Questo blog è dedicato al popolo cubano, a tutti i cubani che hanno perso la vita in mare per fuggire alla tirannia, è dedicato alle decine di prigionieri politici ingiustamente incarcerati dalla dittatura castrista per aver chiesto libertà di pensiero, ma è dedicato anche al popolo del Venezuela finito nel girone infernale dell'influenza della dittatura castrista, essendo il destino dei due sanguinari narcoregimi ormai legato da un patto scellerato che ha generato solo ingiustizia, sangue e miseria.
Ed è dedicato anche a tutti coloro che sognano in buona fede che il comunismo è un romantico paradiso e che ignorano la reale tragedia che è in realtà.
Ed è dedicato anche a tutti coloro che sognano in buona fede che il comunismo è un romantico paradiso e che ignorano la reale tragedia che è in realtà.
01/10/2021
Cuba, con il più alto tasso COVID nel mondo, insiste sulla sua facciata “potere medico”
Cuba ha per settimane hanno riportato il più alto tasso di casi pro capite COVID nel mondo. Se le morti effettive fossero accuratamente riflesse nei dati, Cuba si classificherebbe ancora peggio e potrebbe persino riflettere l'esito della pandemia più mortale (mortalità come percentuale di casi positivi) per qualsiasi paese fino ad oggi. La difficile situazione dei cittadini cubani e un costo inutilmente elevato in vite umane è una tragedia che i numeri non possono descrivere.
Un risultato così disastroso non sorprenderebbe la maggior parte dei cubani dell'isola. Sebbene Cuba abbia la più alta percentuale di popolazione anziana di tutta l'America Latina e dei Caraibi, ha riconosciuto la carenza di test diagnostici, farmaci e ossigeno. Le carenze sono riportate come estreme nei social media e nelle notizie indipendenti, che quasi quotidianamente riferiscono anche di ospedali traboccanti, personale medico carente e oberato di lavoro, obitori e crematori sovraccarichi e sepolture di massa.
L'infrastruttura sanitaria di Cuba è in rovina a causa dell'estremo sottoinvestimento dello Stato socialista, che controlla quasi il 100% dell'economia pianificata a livello centrale e ha il monopolio della salute. Molti ospedali sono sporchi e cadenti, mancano persino l'acqua corrente, l'aria condizionata anche nelle unità di terapia intensiva e le lenzuola; le ambulanze sono un lusso scarso su cui pochi possono contare. Nel 2020, con la pandemia in corso, Cuba ha speso solo 28,1 milioni di dollari in sanità pubblica e assistenza sociale (0,8% dell'investimento totale) poiché ha investito 4,1 miliardi di dollari in immobili alberghieri e in affitto. Nel frattempo, l'investimento nella repressione, nella propaganda, in un enorme corpo diplomatico e in un servizio di intelligence indulgente non è segnalato, ma è noto per essere molto alto.
Qual è il reale tasso di mortalità da COVID?
Nell'agosto 2021, il ministro della Salute di Cuba ha riconosciuto che, nonostante una carenza di test diagnostici, solo le persone con un risultato positivo al momento della morte sono state contate come morte di COVID. Molti operatori sanitari e parenti delle vittime hanno anche riferito sui social media di Cuba che i certificati di morte nascondono decessi COVID segnalando la causa della morte come polmonite, influenza o embolia polmonare. Il New York Timesha pubblicato che il rapporto ufficiale di 8 decessi giornalieri per coronavirus nella città di Guantanamo nell'agosto 2021 non corrispondeva a 69 decessi segnalati in un solo giorno da un funzionario del governo cittadino sulla televisione di stato (i decessi effettivi sarebbero stati otto volte superiori). Anche i media controllati dallo stato di Cuba hanno informato della morte per COVID di un gran numero di celebrità, eminenti medici/scienziati, capi militari in pensione, capi di governo e personaggi del Partito Comunista.
Nonostante ciò, il 22 settembre 2021, l'Organizzazione Panamericana della Sanità (PAHO), che in genere timbra i dati di Cuba con il suo sigillo di approvazione, ha riportato un tasso di mortalità per casi COVID (CFR) di 0,8 per Cuba, il più basso, di gran lunga, in tutti dell'America Latina e dei Caraibi e uno dei più bassi al mondo. Questo tasso è presumibilmente una media che copre la durata della pandemia che contempla un tasso di mortalità estremamente basso per 15 mesi da marzo 2020 a giugno-2021. I dati ufficiali hanno iniziato a riflettere un numero maggiore di casi e decessi a partire da metà luglio 2021, poiché i social media erano pieni di immagini, video e resoconti della situazione reale sul campo.
In definitiva, a meno che i disertori del regime non forniscano le informazioni, il vero costo in vite umane del COVID a Cuba rimarrà sconosciuto.
Cuba, potere medico o stato mendicante?
La situazione è così grave che anche le piccole nazioni insulari caraibiche che stanno affrontando la pandemia hanno inviato assistenza per sostenere il sistema sanitario di Cuba e aiutare a nutrire la popolazione. Barbados, Barbados, St. Kitts & Nevis, St. Lucia e St. Vincent e Grenadine si sono unite a un elenco crescente di benefattori (governi, agenzie e organizzazioni internazionali, società e gruppi di solidarietà) che inviano assistenza da oltre 25 paesi. Ciò aggrava decenni di estrema dipendenza esterna dall'assistenza estera, dagli aiuti della diaspora cubana e miliardi di debiti estero in gran parte non pagati.
Il regime spaccia i suoi farmaci e “vaccini” poco convincenti
L'alto numero di casi e decessi COVID è particolarmente sconcertante dato che Cuba riporta un alto tasso di vaccinazione con "vaccini" prodotti localmente. Infatti, se si considerano solo i vaccini approvati dall'Organizzazione mondiale della sanità (OMS), Cuba è l'unico paese della regione - e forse del mondo - con un tasso di vaccinazione pari a zero .
Il governo cubano non partecipa al programma COVAX per la distribuzione di vaccini COVID gratuiti o sovvenzionati, sostenuto dall'OMS/PAHO. Invece, Cuba ha rilasciato autorizzazioni di emergenza per tre dei suoi "vaccini COVID" sviluppati localmente, Soberana 02, Soberana Plus e Abdala. Tuttavia, la loro presunta efficacia del 90% è dubbia, dati molti resoconti indipendenti di persone che sono morte o si sono ammalate gravemente a causa del virus settimane dopo aver ricevuto la piena 3-dose dei "vaccini" cubani. Da un elenco parziale di 63 medici morti di coronavirus, almeno 53 (84%) erano stati completamente "vaccinati".
Il pubblicizzato status di "potere medico" di Cuba è regolarmente deriso dai cittadini cubani per le strade e sui social media. L'idea del sistema sanitario cubano come esempio per il mondo è stata costruita nel corso di decenni con enormi risorse delle macchine diplomatiche, di intelligence e di propaganda cubane e con l'aiuto di molti alleati e sostenitori. Quindi, il regime cubano non si arrende nonostante le prove diffuse del contrario. Nel settembre 2021, il ministro della Salute di Cuba stava pubblicizzando ai leader dell'Oms/Paho un portafoglio anti-COVID selezionato della sua industria biotecnologica composto da tre farmaci per uso preventivo, tre antivirali, due nuovi antinfiammatori e quattro diagnostici sierologici. Se questi sono effettivamente disponibili, devono andare ai turisti che trasportano valuta forte e all'élite al potere,
Dal 2020, il governo cubano ha intrapreso un'intensa campagna di pubbliche relazioni e marketing per vendere i suoi vaccini ai "poveri del mondo". Le parti interessate fino ad oggi sono per lo più alleati politici come Venezuela, Iran, ecc., e il Vietnam ha recentemente concesso l'approvazione di emergenza al vaccino Abdala di Cuba, accettando di acquistare 10 milioni di dosi.
Cuba ha molti potenti amici e alleati. Data la campagna decennale e concertata dell'intelligence cubana per infiltrarsi e influenzare le agenzie sanitarie mondiali e ottenere una cooperazione attiva nel portare avanti gli obiettivi di Cuba, l'OMS sarà sottoposta a pressioni per approvare i vaccini di Cuba.
AGGIORNAMENTO SUL PROGETTO ARCHIVIO CUBA VERITÀ E MEMORIA Dall'inizio
dell'anno 2021, 28 casi sono stati documentati e inseriti nel database dei decessi e delle sparizioni. Questi includono 3 morti di oppositori politici e 5 di persone in custodia. 5 erano omicidi extragiudiziali (reali o presunti), 3 erano presunti suicidi e 6 erano internazionalisti, per lo più medici in missioni all'estero del governo cubano, che sono morti principalmente per COVID.
Cuba Archive ha linee guida precise per la documentazione del caso e, quindi, non può inserire nel database molte altre vittime segnalate nel 2021 i cui nomi non sono disponibili, inclusi almeno due annegamenti di massa di "balseros". Inoltre, molti altri decessi possono essere attribuiti alle autorità e agli agenti cubani, anche per estrema negligenza durante la pandemia. Pertanto, gli sforzi di documentazione di Cuba Archive non riflettono e non possono riflettere una stima accurata di un costo molto più ampio nelle vite della rivoluzione cubana.
Vittima della protesta dell'11 luglio
Diubis Tejera , 36 anni, è stato colpito a morte dalla polizia il 12 luglio 2021, un giorno dopo le proteste pacifiche di massa a Cuba dell'11 luglio 2021. È stato colpito alla schiena dal sottotenente di polizia Yoennis Pelegrín Hernández, che ha sparato a una folla disarmata che inscena una pacifica protesta di strada nel quartiere La Güinera di Arroyo Naranjo, all'Avana. Altre due persone hanno subito ferite da arma da fuoco e 161 manifestanti sono stati accusati di disordini pubblici e di intenzione di commettere crimini. Il governo cubano ha affermato che Diubis era un criminale, cosa che la sua famiglia e i suoi vicini hanno negato, e ha giustificato la sparatoria come legittima difesa. Apparentemente in risposta alla forte protesta pubblica, a metà settembre 2021 è stato riferito che l'ufficiale di polizia sarebbe stato processato.
PER FAVORE AIUTATECI A CONTINUARE QUESTO LAVORO
Proprio dall'11 luglioDurante le proteste a Cuba, abbiamo risposto a più di trenta richieste di informazioni, interviste e/o presentazioni da sedi dei media, gruppi di riflessione e altre organizzazioni e istituzioni di diversi paesi. Oltre al nostro consueto lavoro, quest'anno abbiamo anche portato a termine due approfondite e uniche inchieste che verranno pubblicate nelle prossime settimane. La stragrande maggioranza di questo lavoro è pro bono/volontariato e questo progetto è sostenuto quasi interamente da donazioni individuali. Abbiamo bisogno del vostro sostegno per continuare a confrontare la disinformazione e la propaganda su Cuba con i fatti e promuovere la libertà con la verità.
Cuba, con il più alto tasso COVID nel mondo, insiste sulla sua facciata “potere medico”
Cuba ha per settimane hanno riportato il più alto tasso di casi pro capite COVID nel mondo. Se le morti effettive fossero accuratamente riflesse nei dati, Cuba si classificherebbe ancora peggio e potrebbe persino riflettere l'esito della pandemia più mortale (mortalità come percentuale di casi positivi) per qualsiasi paese fino ad oggi. La difficile situazione dei cittadini cubani e un costo inutilmente elevato in vite umane è una tragedia che i numeri non possono descrivere.
Un risultato così disastroso non sorprenderebbe la maggior parte dei cubani dell'isola. Sebbene Cuba abbia la più alta percentuale di popolazione anziana di tutta l'America Latina e dei Caraibi, ha riconosciuto la carenza di test diagnostici, farmaci e ossigeno. Le carenze sono riportate come estreme nei social media e nelle notizie indipendenti, che quasi quotidianamente riferiscono anche di ospedali traboccanti, personale medico carente e oberato di lavoro, obitori e crematori sovraccarichi e sepolture di massa.
L'infrastruttura sanitaria di Cuba è in rovina a causa dell'estremo sottoinvestimento dello Stato socialista, che controlla quasi il 100% dell'economia pianificata a livello centrale e ha il monopolio della salute. Molti ospedali sono sporchi e cadenti, mancano persino l'acqua corrente, l'aria condizionata anche nelle unità di terapia intensiva e le lenzuola; le ambulanze sono un lusso scarso su cui pochi possono contare. Nel 2020, con la pandemia in corso, Cuba ha speso solo 28,1 milioni di dollari in sanità pubblica e assistenza sociale (0,8% dell'investimento totale) poiché ha investito 4,1 miliardi di dollari in immobili alberghieri e in affitto. Nel frattempo, l'investimento nella repressione, nella propaganda, in un enorme corpo diplomatico e in un servizio di intelligence indulgente non è segnalato, ma è noto per essere molto alto.
Qual è il reale tasso di mortalità da COVID?
Nell'agosto 2021, il ministro della Salute di Cuba ha riconosciuto che, nonostante una carenza di test diagnostici, solo le persone con un risultato positivo al momento della morte sono state contate come morte di COVID. Molti operatori sanitari e parenti delle vittime hanno anche riferito sui social media di Cuba che i certificati di morte nascondono decessi COVID segnalando la causa della morte come polmonite, influenza o embolia polmonare. Il New York Timesha pubblicato che il rapporto ufficiale di 8 decessi giornalieri per coronavirus nella città di Guantanamo nell'agosto 2021 non corrispondeva a 69 decessi segnalati in un solo giorno da un funzionario del governo cittadino sulla televisione di stato (i decessi effettivi sarebbero stati otto volte superiori). Anche i media controllati dallo stato di Cuba hanno informato della morte per COVID di un gran numero di celebrità, eminenti medici/scienziati, capi militari in pensione, capi di governo e personaggi del Partito Comunista.
Nonostante ciò, il 22 settembre 2021, l'Organizzazione Panamericana della Sanità (PAHO), che in genere timbra i dati di Cuba con il suo sigillo di approvazione, ha riportato un tasso di mortalità per casi COVID (CFR) di 0,8 per Cuba, il più basso, di gran lunga, in tutti dell'America Latina e dei Caraibi e uno dei più bassi al mondo. Questo tasso è presumibilmente una media che copre la durata della pandemia che contempla un tasso di mortalità estremamente basso per 15 mesi da marzo 2020 a giugno-2021. I dati ufficiali hanno iniziato a riflettere un numero maggiore di casi e decessi a partire da metà luglio 2021, poiché i social media erano pieni di immagini, video e resoconti della situazione reale sul campo.
In definitiva, a meno che i disertori del regime non forniscano le informazioni, il vero costo in vite umane del COVID a Cuba rimarrà sconosciuto.
Cuba, potere medico o stato mendicante?
La situazione è così grave che anche le piccole nazioni insulari caraibiche che stanno affrontando la pandemia hanno inviato assistenza per sostenere il sistema sanitario di Cuba e aiutare a nutrire la popolazione. Barbados, Barbados, St. Kitts & Nevis, St. Lucia e St. Vincent e Grenadine si sono unite a un elenco crescente di benefattori (governi, agenzie e organizzazioni internazionali, società e gruppi di solidarietà) che inviano assistenza da oltre 25 paesi. Ciò aggrava decenni di estrema dipendenza esterna dall'assistenza estera, dagli aiuti della diaspora cubana e miliardi di debiti estero in gran parte non pagati.
Il regime spaccia i suoi farmaci e “vaccini” poco convincenti
L'alto numero di casi e decessi COVID è particolarmente sconcertante dato che Cuba riporta un alto tasso di vaccinazione con "vaccini" prodotti localmente. Infatti, se si considerano solo i vaccini approvati dall'Organizzazione mondiale della sanità (OMS), Cuba è l'unico paese della regione - e forse del mondo - con un tasso di vaccinazione pari a zero .
Il governo cubano non partecipa al programma COVAX per la distribuzione di vaccini COVID gratuiti o sovvenzionati, sostenuto dall'OMS/PAHO. Invece, Cuba ha rilasciato autorizzazioni di emergenza per tre dei suoi "vaccini COVID" sviluppati localmente, Soberana 02, Soberana Plus e Abdala. Tuttavia, la loro presunta efficacia del 90% è dubbia, dati molti resoconti indipendenti di persone che sono morte o si sono ammalate gravemente a causa del virus settimane dopo aver ricevuto la piena 3-dose dei "vaccini" cubani. Da un elenco parziale di 63 medici morti di coronavirus, almeno 53 (84%) erano stati completamente "vaccinati".
Il pubblicizzato status di "potere medico" di Cuba è regolarmente deriso dai cittadini cubani per le strade e sui social media. L'idea del sistema sanitario cubano come esempio per il mondo è stata costruita nel corso di decenni con enormi risorse delle macchine diplomatiche, di intelligence e di propaganda cubane e con l'aiuto di molti alleati e sostenitori. Quindi, il regime cubano non si arrende nonostante le prove diffuse del contrario. Nel settembre 2021, il ministro della Salute di Cuba stava pubblicizzando ai leader dell'Oms/Paho un portafoglio anti-COVID selezionato della sua industria biotecnologica composto da tre farmaci per uso preventivo, tre antivirali, due nuovi antinfiammatori e quattro diagnostici sierologici. Se questi sono effettivamente disponibili, devono andare ai turisti che trasportano valuta forte e all'élite al potere,
Dal 2020, il governo cubano ha intrapreso un'intensa campagna di pubbliche relazioni e marketing per vendere i suoi vaccini ai "poveri del mondo". Le parti interessate fino ad oggi sono per lo più alleati politici come Venezuela, Iran, ecc., e il Vietnam ha recentemente concesso l'approvazione di emergenza al vaccino Abdala di Cuba, accettando di acquistare 10 milioni di dosi.
Cuba ha molti potenti amici e alleati. Data la campagna decennale e concertata dell'intelligence cubana per infiltrarsi e influenzare le agenzie sanitarie mondiali e ottenere una cooperazione attiva nel portare avanti gli obiettivi di Cuba, l'OMS sarà sottoposta a pressioni per approvare i vaccini di Cuba.
AGGIORNAMENTO SUL PROGETTO ARCHIVIO CUBA VERITÀ E MEMORIA Dall'inizio
dell'anno 2021, 28 casi sono stati documentati e inseriti nel database dei decessi e delle sparizioni. Questi includono 3 morti di oppositori politici e 5 di persone in custodia. 5 erano omicidi extragiudiziali (reali o presunti), 3 erano presunti suicidi e 6 erano internazionalisti, per lo più medici in missioni all'estero del governo cubano, che sono morti principalmente per COVID.
Cuba Archive ha linee guida precise per la documentazione del caso e, quindi, non può inserire nel database molte altre vittime segnalate nel 2021 i cui nomi non sono disponibili, inclusi almeno due annegamenti di massa di "balseros". Inoltre, molti altri decessi possono essere attribuiti alle autorità e agli agenti cubani, anche per estrema negligenza durante la pandemia. Pertanto, gli sforzi di documentazione di Cuba Archive non riflettono e non possono riflettere una stima accurata di un costo molto più ampio nelle vite della rivoluzione cubana.
Vittima della protesta dell'11 luglio
Diubis Tejera , 36 anni, è stato colpito a morte dalla polizia il 12 luglio 2021, un giorno dopo le proteste pacifiche di massa a Cuba dell'11 luglio 2021. È stato colpito alla schiena dal sottotenente di polizia Yoennis Pelegrín Hernández, che ha sparato a una folla disarmata che inscena una pacifica protesta di strada nel quartiere La Güinera di Arroyo Naranjo, all'Avana. Altre due persone hanno subito ferite da arma da fuoco e 161 manifestanti sono stati accusati di disordini pubblici e di intenzione di commettere crimini. Il governo cubano ha affermato che Diubis era un criminale, cosa che la sua famiglia e i suoi vicini hanno negato, e ha giustificato la sparatoria come legittima difesa. Apparentemente in risposta alla forte protesta pubblica, a metà settembre 2021 è stato riferito che l'ufficiale di polizia sarebbe stato processato.
PER FAVORE AIUTATECI A CONTINUARE QUESTO LAVORO
Proprio dall'11 luglioDurante le proteste a Cuba, abbiamo risposto a più di trenta richieste di informazioni, interviste e/o presentazioni da sedi dei media, gruppi di riflessione e altre organizzazioni e istituzioni di diversi paesi. Oltre al nostro consueto lavoro, quest'anno abbiamo anche portato a termine due approfondite e uniche inchieste che verranno pubblicate nelle prossime settimane. La stragrande maggioranza di questo lavoro è pro bono/volontariato e questo progetto è sostenuto quasi interamente da donazioni individuali. Abbiamo bisogno del vostro sostegno per continuare a confrontare la disinformazione e la propaganda su Cuba con i fatti e promuovere la libertà con la verità.
20/09/2021
El Pollo in gabbia
La Polizia Nazionale Spagnola da il benservito a “El Pollo” di Hugo Chavez (il defunto presidente del Venezuela), lo scorso giovedì 9 settembre a Madrid, durante un’azione combinata in collaborazione con la DEA, l’Agenzia antidroga degli Stati Uniti.
La notizia dell’arresto di Hugo Carvajal è passata quasi inosservata sulla stampa internazionale, nonostante tale evento costituisca uno dei maggiori successi internazionali dell’agenzia federale antidroga e del Dipartimento di Giustizia statunitense.
“El Pollo” Carvajal era ricercato dagli Stati Uniti con l’accusa di violazione dei diritti umani, crimini contro l’umanità, traffico di droga, riciclaggio di denaro sporco e collaborazione con le Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia (FARC) con lo scopo di introdurre droga nel territorio USA. Il governo americano aveva spiccato su di lui un mandato di arresto internazionale ed offerto una taglia di 10 milioni di dollari a chiunque fornisse informazioni utili alla sua cattura.
Fonte: Twitter
In proposito è molto interessante l’analisi condotta da Johan Obdola, di Global Organization for Security and Intelligence – IOSI, e gli operatori di Hagana Consulting due società internazionali particolarmente conosciute e specializzate nell’analisi di intelligence e nella gestione della sicurezza. Si è così delineato il percorso che ha portato alla cattura di Hugo Carvajal che alla sua possibile estradizione negli Stati Uniti (si attende il via libera della magistratura spagnola), ed al complesso delle vicende legate al Venezuela ed al suo leader massimo Nicolás Maduro.
Hugo Armando Carvajal Barrios è stato per otto anni fino al 2019 a capo della direzione dell’intelligence militare del Venezuela, sotto le presidenze di Hugo Chávez prima e Nicolás Maduro poi. Presto però entrò in conflitto con il dittatore Maduro e si allontanò definitivamente dal “chavismo”, l’omonimo movimento fondato dal presidente venezuelano e leader della rivoluzione bolivariana Hugo Chávez, la cui azione e ideologia politica si fonda sul socialismo democratico e anti-imperialista.
A seguito della recente crisi politica, economica e sociale in Venezuela, “El Pollo” Carvajal si era avvicinato alle idee di Juan Guaidó, oppositore politico e acerrimo nemico di Maduro. In quell’occasione scrisse persino una lettera aperta a Nicolás Maduro, chiedendogli di assumersi la piena responsabilità della crisi sociale ed economica galoppante nel paese, attanagliato com’era dalla mancanza di cibo e medicine, e pregando il leader chavista di consentire l’ingresso in Venezuela agli aiuti umanitari di stanza a Cúcuta.
Guaidó era stato eletto in gennaio 2019 come presidente dell’Assemblea Nazionale e si era poi autoproclamato Presidente pro tempore del Venezuela, prima che Maduro si insediasse per la seconda volta appoggiato da Iran, Russia, Turchia, Cina e Lega Araba. In marzo dello stesso anno Guaidò venne rimosso, ad opera del secondo governo Maduro, dalla carica di Presidente dell’Assemblea Nazionale e venne esautorato per 15 anni dal ricoprire qualsiasi incarico pubblico.
Fu allora che Hugo Carvajal fuggì dal Venezuela facendo perdere le sue tracce, nascondendosi con molta probabilità negli ultimi anni tra Marocco, Portogallo e Spagna e facendo richiesta di asilo nel paese iberico.
Nella lista dei pluriricercati dagli Stati Uniti è stato inserito anche Diosdado Cabello, il numero due del chavismo in Venezuela, così come è ricercato con le medesime accuse lo stesso leader venezuelano, Nicolás Maduro.
Fonte: Small War Journal
Hugo Carvajal è accusato anche di far parte, insieme a Maduro, Cabello e altri, del famigerato “Cartel de los soles”, un’organizzazione criminale, costituita da una rete di alti funzionari della Guardia Nazionale Pretoriana Bolivariana (GNB), dedita al traffico internazionale di armi e droga, nonché alle attività illecite legate ai prodotti petroliferi, noto anche per aver avuto legami con le organizzazioni terroristiche delle FARC, di Hezbollah e Hamas. Si dice che il “Cartello dei Soli” sia stato particolarmente attivo proprio nelle attività di reclutamento di terroristi di Hezbollah e di Hamas da addestrare in Venezuela, al fine di pianificare e organizzare attacchi contro gli interessi degli Stati Uniti. Anche in questo Hugo Carvajal è coinvolto ed è a conoscenza di tutti i particolari relativi alla fornitura illecita di benzina e carburante ai gruppi terroristici mediorientali, nonché al rilascio di passaporti diplomatici venezuelani cha hanno permesso ai loro leaders di muoversi indisturbati in tutto il mondo.
Gli affiliati dell’organizzazione (es. Alex Saab, Adel El Zabayar, ecc.) avevano anche agito da tramite tra il governo venezuelano e il presidente siriano Bashar al-Assad nonché con i regimi iraniani di Ahmadinejad e Rouhani.
Nel 2014 avevano ricevuto dai loro partner del medio Oriente, in cambio della cocaina, un carico di armi (prevalentemente lanciarazzi, fucili d’assalto AK-103 e munizionamenti vari), arrivato all’aeroporto Maiquetía di Caracas con un aereo cargo proveniente dal Libano, armi che erano destinate ai militanti rivoluzionari delle FARC.
Secondo un rapporto della DEA americana le spedizioni di droga dal Venezuela negli Stati Uniti e in Europa si sono addirittura quadruplicate nell’ultimo decennio, tanto che dal sudamerica vengono esportate circa 269 tonnellate l’anno, il 17% di tutta la cocaina mondiale.
Del commercio internazionale di stupefacenti dal Venezuela si ricordano episodi tra i più eclatanti in cui fu coinvolto anche Hugo Carvajal. Ad esempio quello di Parigi, quando un volo dell’Air France fu letteralmente imbottito di droga; la polizia di frontiera francese non potè credere ai propri occhi mentre venivano scaricati dal vettore aereo centinaia di valige contenenti la cocaina. Un episodio simile accadde anche in Messico dove furono rivenute in un aereo DC-9 proveniente da Caracas 128 valigie stipate con 5,6 tonnellate di cocaina.
Il Cartello dei Soli è anche accusato di aver commesso omicidi eccellenti, tra cui: il giornalista Mauro Marcano, assassinato mentre usciva di casa; Eudo González Polanco, leader del cartello Guajira, ucciso a Bejuma; Wilber “Jabón” Varela, del cartello del Norte del Valle, assassinato insieme alle sue guardie del corpo in un hotel nello stato di Mérida.
Fonte: efectococuyo.com
Washington è convinta inoltre che El Pollo Carvajal sia legato alle attività di “money laundering” del regime venezuelano e sia a conoscenza dei suoi conti all’estero dove confluisce il denaro connesso alla corruzione del paese, ed è questo che lo legherebbe ad Alex Saab.
Alex Nain Saab Morán è un uomo di affari colombiano di origini libanesi, ricercato dagli Stati Uniti perchè accusato di aver condotto una mega operazione di riciclaggio di denaro per contratti stipulati con il Venezuela del valore di oltre 350 milioni di dollari, e di associazione per delinquere, arricchimento illecito, esportazioni e importazioni fittizie e truffa aggravata per eventi legati alla sua società Shatex. È inoltre considerato una pedina fondamentale del regime di Maduro e, secondo la DEA, sarebbe in grado di svelare gli accordi segreti che legano il paese sudamericano con Iran, Turchia e Russia. Saab è attualmente detenuto a Capo Verde, dove il suo aereo il 12 giugno 2020 fece scalo mentre era in viaggio dall’Iran al Venezuela. Fu arrestato dalla polizia locale in base ad un “avviso rosso” dell’Interpol, perché ricercato dagli Stati Uniti che ne chiedevano l’immediata estradizione, presto confermata – contro tutte le resistenze di Russia, Iran, Venezuela, e varie istituzioni internazionali – dal Tribunale Costituzionale di Capo Verde il 8 settembre 2021.
Le estradizioni di Hugo Carvajal e Alex Saab negli Stati Uniti rappresenterebbero dunque un duro colpo per Nicolás Maduro, perché le loro eventuali rivelazioni agli investigatori USA, potrebbero far vacillare il regime del leader venezuelano.
Fonte: elperiodicodemonagas.com.ve
Ritornando alla rocambolesca cattura di El Pollo Carvajal a Madrid, ci sarebbero ancora molti interrogativi da sciogliere, uno tra tutti è come ha fatto un pluriricercato internazionale a sparire nel nulla, pur risiedendo – a quanto sembra – fino ad oggi, nella turbolenta capitale spagnola?
Carvajal ha dichiarato che cambiava rifugio ogni tre mesi dove conduceva una vita ritirata, senza uscire né affacciarsi alla finestra e sempre protetto da persone di fiducia. Sono stati trovati nella sua casa parrucche, barbe e baffi finti, nonché una decina di passaporti falsi e si ritiene che abbia persino subito degli interventi di chirurgia plastica al fine di apportare modifiche alla sua fisionomia.
Viveva insieme ad una venezuelana di 30 anni in un lussuoso e tranquillo appartamento della periferia di Madrid, in via Torrelaguna al numero 123. Fonti della polizia spagnola affermano che l’arresto sia avvenuto pochi giorni dopo che l’ex-numero uno dell’intelligence militare venezuelana riattivasse incautamente il suo account Twitter. Ed è proprio un messaggio partito dal suo account che ha permesso agli investigatori di rintracciare la posizione del suo covo. “… Los falsos positivos de Alvaro Uribe me van dando la razòn …” scriveva Carvajal su Twitter, senza pensare minimamente che i Nuclei di Intervento di Polizia spagnola (UIP – la polizia antisommossa), in collaborazione con la DEA statunitense, sarebbero intervenuti di lì a poco tempo per arrestarlo.
Fonte: twitter
Hugo Carvajal era già stato tratto in arresto la prima volta nell’aprile del 2019, quando arrivò nella capitale spagnola e fu fermato per essere entrato nel paese iberico con un passaporto falso. In quel frangente la Corte nazionale spagnola rigettò la richiesta di estradizione da parte degli Stati Uniti e lo rilasciò perché si riteneva che l’obiettivo di Washington fosse squisitamente politico, con l’intento di strappare informazioni sul regime venezuelano. Mesi dopo però la sessione plenaria della Camera della Corte confermò l’estradizione di Carvajal, ma lui si era già dato alla fuga.
Ma a quanto pare la trama si infittisce, perché proprio in questi giorni si apprende dal quotidiano spagnolo “El Mundo” che la terza sezione penale della Corte nazionale ha nuovamente sospeso in via provvisoria la consegna di “El Pollo” Carvajal agli Stati Uniti, pare in attesa che venga risolta la precedente domanda di asilo che l’ex-capo del controspionaggio venezuelano fece al suo arrivo in Spagna.
Come andrà a finire? Il pluriricercato internazionale verrà presto assicurato alla giustizia e processato per i capi di accusa che sono stati emessi dagli Stati Uniti contro di lui? Quali rivelazioni epocali sul “Cartel de los Soles”, e sui legami delle FARC e del ELN con il regime venezuelano, nonché con i gruppi terroristici di Hezbollah e Hamas, El Pollo sarà in grado di rilasciare agli investigatori statunitensi?
Ed infine, quali politici spagnoli vicini al Venezuela lo hanno protetto finora e potrebbero essere stati coinvolti nella sua incredibile latitanza nel paese iberico?
Una riflessione finale è doverosamente dedicata al ruolo sempre più crescente della Agenzie private di intelligence.
Le attività, spesso svolte in piena sinergia tra diverse realtà accomunate dai medesimi intenti di sicurezza globale, si sono sempre più spesso rivelate decisive nel contributo info-investigativo idoneo a rendere possibili le operazioni di Polizia o delle varie Intelligence statali.
Sarebbe opportuno rivalutare il ruolo di queste entità anche in considerazione del delicato momento di tensioni internazionali che stiamo attraversando. Proprio nei giorni scorsi si è ritornato a parlare di Polizia e di agenzia di intelligence europee, senza considerare che già all’interno di ogni Paese la mancata collaborazione, le invidie le gelosie e l’assoluta carenza di un reale e onesto interscambio informativo tra le varie forze di sicurezza rappresentano l’assenza di basi solide per estendere le sinergie oltre i confini nazionali.
El Pollo in gabbia
La Polizia Nazionale Spagnola da il benservito a “El Pollo” di Hugo Chavez (il defunto presidente del Venezuela), lo scorso giovedì 9 settembre a Madrid, durante un’azione combinata in collaborazione con la DEA, l’Agenzia antidroga degli Stati Uniti.
La notizia dell’arresto di Hugo Carvajal è passata quasi inosservata sulla stampa internazionale, nonostante tale evento costituisca uno dei maggiori successi internazionali dell’agenzia federale antidroga e del Dipartimento di Giustizia statunitense.
“El Pollo” Carvajal era ricercato dagli Stati Uniti con l’accusa di violazione dei diritti umani, crimini contro l’umanità, traffico di droga, riciclaggio di denaro sporco e collaborazione con le Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia (FARC) con lo scopo di introdurre droga nel territorio USA. Il governo americano aveva spiccato su di lui un mandato di arresto internazionale ed offerto una taglia di 10 milioni di dollari a chiunque fornisse informazioni utili alla sua cattura.
Fonte: Twitter
In proposito è molto interessante l’analisi condotta da Johan Obdola, di Global Organization for Security and Intelligence – IOSI, e gli operatori di Hagana Consulting due società internazionali particolarmente conosciute e specializzate nell’analisi di intelligence e nella gestione della sicurezza. Si è così delineato il percorso che ha portato alla cattura di Hugo Carvajal che alla sua possibile estradizione negli Stati Uniti (si attende il via libera della magistratura spagnola), ed al complesso delle vicende legate al Venezuela ed al suo leader massimo Nicolás Maduro.
Hugo Armando Carvajal Barrios è stato per otto anni fino al 2019 a capo della direzione dell’intelligence militare del Venezuela, sotto le presidenze di Hugo Chávez prima e Nicolás Maduro poi. Presto però entrò in conflitto con il dittatore Maduro e si allontanò definitivamente dal “chavismo”, l’omonimo movimento fondato dal presidente venezuelano e leader della rivoluzione bolivariana Hugo Chávez, la cui azione e ideologia politica si fonda sul socialismo democratico e anti-imperialista.
A seguito della recente crisi politica, economica e sociale in Venezuela, “El Pollo” Carvajal si era avvicinato alle idee di Juan Guaidó, oppositore politico e acerrimo nemico di Maduro. In quell’occasione scrisse persino una lettera aperta a Nicolás Maduro, chiedendogli di assumersi la piena responsabilità della crisi sociale ed economica galoppante nel paese, attanagliato com’era dalla mancanza di cibo e medicine, e pregando il leader chavista di consentire l’ingresso in Venezuela agli aiuti umanitari di stanza a Cúcuta.
Guaidó era stato eletto in gennaio 2019 come presidente dell’Assemblea Nazionale e si era poi autoproclamato Presidente pro tempore del Venezuela, prima che Maduro si insediasse per la seconda volta appoggiato da Iran, Russia, Turchia, Cina e Lega Araba. In marzo dello stesso anno Guaidò venne rimosso, ad opera del secondo governo Maduro, dalla carica di Presidente dell’Assemblea Nazionale e venne esautorato per 15 anni dal ricoprire qualsiasi incarico pubblico.
Fu allora che Hugo Carvajal fuggì dal Venezuela facendo perdere le sue tracce, nascondendosi con molta probabilità negli ultimi anni tra Marocco, Portogallo e Spagna e facendo richiesta di asilo nel paese iberico.
Nella lista dei pluriricercati dagli Stati Uniti è stato inserito anche Diosdado Cabello, il numero due del chavismo in Venezuela, così come è ricercato con le medesime accuse lo stesso leader venezuelano, Nicolás Maduro.
Fonte: Small War Journal
Hugo Carvajal è accusato anche di far parte, insieme a Maduro, Cabello e altri, del famigerato “Cartel de los soles”, un’organizzazione criminale, costituita da una rete di alti funzionari della Guardia Nazionale Pretoriana Bolivariana (GNB), dedita al traffico internazionale di armi e droga, nonché alle attività illecite legate ai prodotti petroliferi, noto anche per aver avuto legami con le organizzazioni terroristiche delle FARC, di Hezbollah e Hamas. Si dice che il “Cartello dei Soli” sia stato particolarmente attivo proprio nelle attività di reclutamento di terroristi di Hezbollah e di Hamas da addestrare in Venezuela, al fine di pianificare e organizzare attacchi contro gli interessi degli Stati Uniti. Anche in questo Hugo Carvajal è coinvolto ed è a conoscenza di tutti i particolari relativi alla fornitura illecita di benzina e carburante ai gruppi terroristici mediorientali, nonché al rilascio di passaporti diplomatici venezuelani cha hanno permesso ai loro leaders di muoversi indisturbati in tutto il mondo.
Gli affiliati dell’organizzazione (es. Alex Saab, Adel El Zabayar, ecc.) avevano anche agito da tramite tra il governo venezuelano e il presidente siriano Bashar al-Assad nonché con i regimi iraniani di Ahmadinejad e Rouhani.
Nel 2014 avevano ricevuto dai loro partner del medio Oriente, in cambio della cocaina, un carico di armi (prevalentemente lanciarazzi, fucili d’assalto AK-103 e munizionamenti vari), arrivato all’aeroporto Maiquetía di Caracas con un aereo cargo proveniente dal Libano, armi che erano destinate ai militanti rivoluzionari delle FARC.
Secondo un rapporto della DEA americana le spedizioni di droga dal Venezuela negli Stati Uniti e in Europa si sono addirittura quadruplicate nell’ultimo decennio, tanto che dal sudamerica vengono esportate circa 269 tonnellate l’anno, il 17% di tutta la cocaina mondiale.
Del commercio internazionale di stupefacenti dal Venezuela si ricordano episodi tra i più eclatanti in cui fu coinvolto anche Hugo Carvajal. Ad esempio quello di Parigi, quando un volo dell’Air France fu letteralmente imbottito di droga; la polizia di frontiera francese non potè credere ai propri occhi mentre venivano scaricati dal vettore aereo centinaia di valige contenenti la cocaina. Un episodio simile accadde anche in Messico dove furono rivenute in un aereo DC-9 proveniente da Caracas 128 valigie stipate con 5,6 tonnellate di cocaina.
Il Cartello dei Soli è anche accusato di aver commesso omicidi eccellenti, tra cui: il giornalista Mauro Marcano, assassinato mentre usciva di casa; Eudo González Polanco, leader del cartello Guajira, ucciso a Bejuma; Wilber “Jabón” Varela, del cartello del Norte del Valle, assassinato insieme alle sue guardie del corpo in un hotel nello stato di Mérida.
Fonte: efectococuyo.com
Washington è convinta inoltre che El Pollo Carvajal sia legato alle attività di “money laundering” del regime venezuelano e sia a conoscenza dei suoi conti all’estero dove confluisce il denaro connesso alla corruzione del paese, ed è questo che lo legherebbe ad Alex Saab.
Alex Nain Saab Morán è un uomo di affari colombiano di origini libanesi, ricercato dagli Stati Uniti perchè accusato di aver condotto una mega operazione di riciclaggio di denaro per contratti stipulati con il Venezuela del valore di oltre 350 milioni di dollari, e di associazione per delinquere, arricchimento illecito, esportazioni e importazioni fittizie e truffa aggravata per eventi legati alla sua società Shatex. È inoltre considerato una pedina fondamentale del regime di Maduro e, secondo la DEA, sarebbe in grado di svelare gli accordi segreti che legano il paese sudamericano con Iran, Turchia e Russia. Saab è attualmente detenuto a Capo Verde, dove il suo aereo il 12 giugno 2020 fece scalo mentre era in viaggio dall’Iran al Venezuela. Fu arrestato dalla polizia locale in base ad un “avviso rosso” dell’Interpol, perché ricercato dagli Stati Uniti che ne chiedevano l’immediata estradizione, presto confermata – contro tutte le resistenze di Russia, Iran, Venezuela, e varie istituzioni internazionali – dal Tribunale Costituzionale di Capo Verde il 8 settembre 2021.
Le estradizioni di Hugo Carvajal e Alex Saab negli Stati Uniti rappresenterebbero dunque un duro colpo per Nicolás Maduro, perché le loro eventuali rivelazioni agli investigatori USA, potrebbero far vacillare il regime del leader venezuelano.
Fonte: elperiodicodemonagas.com.ve
Ritornando alla rocambolesca cattura di El Pollo Carvajal a Madrid, ci sarebbero ancora molti interrogativi da sciogliere, uno tra tutti è come ha fatto un pluriricercato internazionale a sparire nel nulla, pur risiedendo – a quanto sembra – fino ad oggi, nella turbolenta capitale spagnola?
Carvajal ha dichiarato che cambiava rifugio ogni tre mesi dove conduceva una vita ritirata, senza uscire né affacciarsi alla finestra e sempre protetto da persone di fiducia. Sono stati trovati nella sua casa parrucche, barbe e baffi finti, nonché una decina di passaporti falsi e si ritiene che abbia persino subito degli interventi di chirurgia plastica al fine di apportare modifiche alla sua fisionomia.
Viveva insieme ad una venezuelana di 30 anni in un lussuoso e tranquillo appartamento della periferia di Madrid, in via Torrelaguna al numero 123. Fonti della polizia spagnola affermano che l’arresto sia avvenuto pochi giorni dopo che l’ex-numero uno dell’intelligence militare venezuelana riattivasse incautamente il suo account Twitter. Ed è proprio un messaggio partito dal suo account che ha permesso agli investigatori di rintracciare la posizione del suo covo. “… Los falsos positivos de Alvaro Uribe me van dando la razòn …” scriveva Carvajal su Twitter, senza pensare minimamente che i Nuclei di Intervento di Polizia spagnola (UIP – la polizia antisommossa), in collaborazione con la DEA statunitense, sarebbero intervenuti di lì a poco tempo per arrestarlo.
Fonte: twitter
Hugo Carvajal era già stato tratto in arresto la prima volta nell’aprile del 2019, quando arrivò nella capitale spagnola e fu fermato per essere entrato nel paese iberico con un passaporto falso. In quel frangente la Corte nazionale spagnola rigettò la richiesta di estradizione da parte degli Stati Uniti e lo rilasciò perché si riteneva che l’obiettivo di Washington fosse squisitamente politico, con l’intento di strappare informazioni sul regime venezuelano. Mesi dopo però la sessione plenaria della Camera della Corte confermò l’estradizione di Carvajal, ma lui si era già dato alla fuga.
Ma a quanto pare la trama si infittisce, perché proprio in questi giorni si apprende dal quotidiano spagnolo “El Mundo” che la terza sezione penale della Corte nazionale ha nuovamente sospeso in via provvisoria la consegna di “El Pollo” Carvajal agli Stati Uniti, pare in attesa che venga risolta la precedente domanda di asilo che l’ex-capo del controspionaggio venezuelano fece al suo arrivo in Spagna.
Come andrà a finire? Il pluriricercato internazionale verrà presto assicurato alla giustizia e processato per i capi di accusa che sono stati emessi dagli Stati Uniti contro di lui? Quali rivelazioni epocali sul “Cartel de los Soles”, e sui legami delle FARC e del ELN con il regime venezuelano, nonché con i gruppi terroristici di Hezbollah e Hamas, El Pollo sarà in grado di rilasciare agli investigatori statunitensi?
Ed infine, quali politici spagnoli vicini al Venezuela lo hanno protetto finora e potrebbero essere stati coinvolti nella sua incredibile latitanza nel paese iberico?
Una riflessione finale è doverosamente dedicata al ruolo sempre più crescente della Agenzie private di intelligence.
Le attività, spesso svolte in piena sinergia tra diverse realtà accomunate dai medesimi intenti di sicurezza globale, si sono sempre più spesso rivelate decisive nel contributo info-investigativo idoneo a rendere possibili le operazioni di Polizia o delle varie Intelligence statali.
Sarebbe opportuno rivalutare il ruolo di queste entità anche in considerazione del delicato momento di tensioni internazionali che stiamo attraversando. Proprio nei giorni scorsi si è ritornato a parlare di Polizia e di agenzia di intelligence europee, senza considerare che già all’interno di ogni Paese la mancata collaborazione, le invidie le gelosie e l’assoluta carenza di un reale e onesto interscambio informativo tra le varie forze di sicurezza rappresentano l’assenza di basi solide per estendere le sinergie oltre i confini nazionali.
12/7/2021
REVOLUCION !
Questa volta non si torna indietro, i cubani stanchi della miseria e della mancanza di libertà si sono ribellati alla tirannia. E se i cubani si sono ribellati è evidente che non potevano fare altro nella situazione che la pandemia ha creato, il governo comunista del paese ha del tutto ignorato le basilari necessità del popolo, manca da mesi il cibo, mancano i vaccini a causa della presunzione demenziale di essere capaci di essere in grado di rifiutare gli aiuti internazionali e di essere capaci di farli in casa quei vaccini, e mentre la gente aspetta questi fantomatici vaccini che in realtà non non hanno mai funzionato il covid avanza senza nessun freno tra la popolazione. Questa volta le rivolte sono distribuite in tutta l'isola, la gente di cuba è disperata, il blocco del turismo e la mancanza dei bene di prima necessità hanno spinto migliaia di giovani e meno giovani ad attaccare la polizia spesso mettendola in fuga e a distruggere le loro auto, oggi in alcuni centri dell'isola sono state date alle fiamme le botteghe statali, quelle dove viene distribuito il cibo a prezzo calmierato. Un simile livello di ribellione sociale a Cuba non si è mai visto dal 1959, il "maleconazo" del 1994 fu una piccola dimostrazione limitata alla Habana che venne immediatamente soffocata dall'arrivo di Fidel in persona, questa volta l'impressione è di una situazione senza ritorno, adesso le rivolte stanno avvenendo in tutta l'isola e si stanno mobilitando anche i cubani di Miami che con migliaia di motoscafi dalla Florida hanno dichiarato di voler raggiungere Cuba. A questo punto il governo dell'isola dovrà ascoltare il popolo, la polizia dovrà smettere di essere violenta per evitare linciaggi, non sarà possibile arrestare migliaia di cittadini ribelli, si dovrà formare un apparato popolare per tenere i contatti con il regime, se non si riuscirà a fare questo temo che la situazione non potrà che peggiorare e il governo dell'isola sarà investito da uno tsunami di disperati ormai stanchi di vivere di stenti a causa dei membri del partito comunista a cui però non manca nulla. Diaz Canel seguendo la linea dei suoi predecessori considera i cubani che stanno protestando come criminali comuni pagati dagli USA per danneggiare il meraviglioso sistema comunista dell'isola, a questo punto ai cubani non resta altro che andare avanti nella protesta fino a far comprendere alla dittatura che è ormai finita, il disastro sociale ed economico è ormai totale. Personalmente conosco bene il popolo cubano, è un popolo che ha sofferto e tenuto duro per decenni sotto la dittatura, è un popolo che si era abituato a vivere in una miseria che pochi altri popoli avrebbero accettato in nome di una rivoluzione che ormai sentono lontana e inutile, se si stanno ribellando in modo così deciso significa che davvero la dittatura ha i giorni contati.
REVOLUCION !
Questa volta non si torna indietro, i cubani stanchi della miseria e della mancanza di libertà si sono ribellati alla tirannia. E se i cubani si sono ribellati è evidente che non potevano fare altro nella situazione che la pandemia ha creato, il governo comunista del paese ha del tutto ignorato le basilari necessità del popolo, manca da mesi il cibo, mancano i vaccini a causa della presunzione demenziale di essere capaci di essere in grado di rifiutare gli aiuti internazionali e di essere capaci di farli in casa quei vaccini, e mentre la gente aspetta questi fantomatici vaccini che in realtà non non hanno mai funzionato il covid avanza senza nessun freno tra la popolazione. Questa volta le rivolte sono distribuite in tutta l'isola, la gente di cuba è disperata, il blocco del turismo e la mancanza dei bene di prima necessità hanno spinto migliaia di giovani e meno giovani ad attaccare la polizia spesso mettendola in fuga e a distruggere le loro auto, oggi in alcuni centri dell'isola sono state date alle fiamme le botteghe statali, quelle dove viene distribuito il cibo a prezzo calmierato. Un simile livello di ribellione sociale a Cuba non si è mai visto dal 1959, il "maleconazo" del 1994 fu una piccola dimostrazione limitata alla Habana che venne immediatamente soffocata dall'arrivo di Fidel in persona, questa volta l'impressione è di una situazione senza ritorno, adesso le rivolte stanno avvenendo in tutta l'isola e si stanno mobilitando anche i cubani di Miami che con migliaia di motoscafi dalla Florida hanno dichiarato di voler raggiungere Cuba. A questo punto il governo dell'isola dovrà ascoltare il popolo, la polizia dovrà smettere di essere violenta per evitare linciaggi, non sarà possibile arrestare migliaia di cittadini ribelli, si dovrà formare un apparato popolare per tenere i contatti con il regime, se non si riuscirà a fare questo temo che la situazione non potrà che peggiorare e il governo dell'isola sarà investito da uno tsunami di disperati ormai stanchi di vivere di stenti a causa dei membri del partito comunista a cui però non manca nulla. Diaz Canel seguendo la linea dei suoi predecessori considera i cubani che stanno protestando come criminali comuni pagati dagli USA per danneggiare il meraviglioso sistema comunista dell'isola, a questo punto ai cubani non resta altro che andare avanti nella protesta fino a far comprendere alla dittatura che è ormai finita, il disastro sociale ed economico è ormai totale. Personalmente conosco bene il popolo cubano, è un popolo che ha sofferto e tenuto duro per decenni sotto la dittatura, è un popolo che si era abituato a vivere in una miseria che pochi altri popoli avrebbero accettato in nome di una rivoluzione che ormai sentono lontana e inutile, se si stanno ribellando in modo così deciso significa che davvero la dittatura ha i giorni contati.
22/12/2019
Yacht, lussi e piaceri: la bella vita americana dei rampolli castristi
Il popolo vive in miseria ma gli eredi di Fidel fanno i nababbi. E se ne vantano sui social
Chi se ne frega se a Cuba il pueblo revolucionario sopravvive con la miseria di 270 pesos di pensione - l'equivalente di 10 euro e con salari da 540 pesos con cui sarebbe impossibile tirare avanti se non ci fossero i dollari mandati dai parenti di Miami.
«Noi, i figli dei leader del PCC (il Partito Comunista Cubano) ci diamo alla bella vita, gozzovigliamo nel funesto impero yankee, giriamo il mondo in yacht, beviamo whisky e non ci vergogniamo nemmeno un po' di ostentare i nostri lussi da sceicchi sui social network, perché tanto siamo intoccabili». È questo, in sintesi, il messaggio che trasmettono sui social network (mostrando senza pudore immagini che confermano la ricchezza delle loro famiglie) i rampolli del regime castrista che è riuscito a rendere tutti i cubani uguali grazie ad una «decrescita felice» che i 5 Stelle se la sognano. Tutti miserabili a Cuba meno loro naturalmente e, non bastasse, molti fanno i gradassi sui social dagli Stati Uniti, l'odiato Impero secondo la narrativa ipocrita del Socialismo del XXI secolo, l'ultima balla trasformista del castrismo. Il caso più recente che ha fatto infuriare i cubani dell'Avana che, invece, il capitalismo a loro negato lo sognano è quello di Alex Acosta Aldaya, figlio di Homero Acosta Álvarez, nientepopodimeno che il segretario del Consiglio di Stato. Il trentenne vive a sbafo a Valley Stream, nella contea di Nassau, stato di New York, il cuore dell'odiato Impero yankee, e sul suo Instagram si immortala fiero mentre assiste ad un match di football americano in quel di Pittsburgh. Sul suo viso, bianco e brufoloso, ha anche gli adesivi degli Steelers, la squadra di casa, neanche fosse un elettore qualsiasi di Trump. Peccato solo che, quando torna a Cuba, passi il suo tempo in hotel a 5 stelle a Varadero, zona off limits per quel 95% dei cubani che, invece, sono costretti a godersi full time la dittatura con annesso comunismo su cui vigila il babbo di Alex.
Poi c'è Alejandro Machín Rojas, figlio dell'ambasciatore cubano in Spagna, Gustavo Ricardo Machín Gómez, che è stato smascherato in un programma trasmesso sul canale América TeVé di Miami, da Luis Domínguez, autore del blog «Cuba al descubierto», che ha raccontato come quest'altro rampollo di castristi doc sia andato a vivere e studiare a Boston, nel Massachusetts, altro simbolo dell'odiato (a parole) Impero. E smascherato da Domínguez anche Raúl Rodríguez Castro, alias «Il Granchio», uno dei nipoti nonché bodyguard di Raúl Castro, che controlla una delle agenzie che inviano dagli Stati Uniti i pacchi a Cuba, pieni di cibo, vestiti ed elettrodomestici. Figlio del presidente del potente consorzio aziendale/militare Gaesa e di Déborah Castro Espín, «Il Granchio» fa i miliardi usando come prestanomi moglie e suocera.
Il caso che ha però causato più sdegno è quello di Tony Castro, nipote di Fidel. All'inizio del 2019, giorni prima che l'isola comunista celebrasse il 60° anniversario della Rivoluzione, sono venute alla luce foto del giovane su yacht e nei luoghi più esclusivi del mondo. A differenza dei suoi connazionali, Tony non si priva di nulla e conduce una vita avvolta da piaceri e senza limiti, come dimostra il suo Instagram. Si gusta i vini e cibi migliori durante la celebrazione del compleanno di uno dei suoi zii, posa sdraiato su uno yacht di fronte all'orizzonte. Il nipote di Fidel, il leader che ha imposto la dittatura comunista lasciando l'isola nella miseria più nera, in altre immagini di Instagram si gode un viaggio al volante di una Bmw, mentre i suoi connazionali sono costretti invece a spostarsi molto sovente a cavallo, come 100 anni fa. Poi pubblica foto di un viaggio a Madrid, poco prima della fine dell'anno, si fa immortalare mentre si gode il paesaggio seduto di fronte a un antico tempio Maya, in Messico, fa shopping pazzo nei negozi di lusso vicino alla Puerta del Sol, nella capitale spagnola, come un capitalista qualsiasi. I cubani di Cuba? Chi se ne frega.
Yacht, lussi e piaceri: la bella vita americana dei rampolli castristi
Il popolo vive in miseria ma gli eredi di Fidel fanno i nababbi. E se ne vantano sui social
Chi se ne frega se a Cuba il pueblo revolucionario sopravvive con la miseria di 270 pesos di pensione - l'equivalente di 10 euro e con salari da 540 pesos con cui sarebbe impossibile tirare avanti se non ci fossero i dollari mandati dai parenti di Miami.
«Noi, i figli dei leader del PCC (il Partito Comunista Cubano) ci diamo alla bella vita, gozzovigliamo nel funesto impero yankee, giriamo il mondo in yacht, beviamo whisky e non ci vergogniamo nemmeno un po' di ostentare i nostri lussi da sceicchi sui social network, perché tanto siamo intoccabili». È questo, in sintesi, il messaggio che trasmettono sui social network (mostrando senza pudore immagini che confermano la ricchezza delle loro famiglie) i rampolli del regime castrista che è riuscito a rendere tutti i cubani uguali grazie ad una «decrescita felice» che i 5 Stelle se la sognano. Tutti miserabili a Cuba meno loro naturalmente e, non bastasse, molti fanno i gradassi sui social dagli Stati Uniti, l'odiato Impero secondo la narrativa ipocrita del Socialismo del XXI secolo, l'ultima balla trasformista del castrismo. Il caso più recente che ha fatto infuriare i cubani dell'Avana che, invece, il capitalismo a loro negato lo sognano è quello di Alex Acosta Aldaya, figlio di Homero Acosta Álvarez, nientepopodimeno che il segretario del Consiglio di Stato. Il trentenne vive a sbafo a Valley Stream, nella contea di Nassau, stato di New York, il cuore dell'odiato Impero yankee, e sul suo Instagram si immortala fiero mentre assiste ad un match di football americano in quel di Pittsburgh. Sul suo viso, bianco e brufoloso, ha anche gli adesivi degli Steelers, la squadra di casa, neanche fosse un elettore qualsiasi di Trump. Peccato solo che, quando torna a Cuba, passi il suo tempo in hotel a 5 stelle a Varadero, zona off limits per quel 95% dei cubani che, invece, sono costretti a godersi full time la dittatura con annesso comunismo su cui vigila il babbo di Alex.
Poi c'è Alejandro Machín Rojas, figlio dell'ambasciatore cubano in Spagna, Gustavo Ricardo Machín Gómez, che è stato smascherato in un programma trasmesso sul canale América TeVé di Miami, da Luis Domínguez, autore del blog «Cuba al descubierto», che ha raccontato come quest'altro rampollo di castristi doc sia andato a vivere e studiare a Boston, nel Massachusetts, altro simbolo dell'odiato (a parole) Impero. E smascherato da Domínguez anche Raúl Rodríguez Castro, alias «Il Granchio», uno dei nipoti nonché bodyguard di Raúl Castro, che controlla una delle agenzie che inviano dagli Stati Uniti i pacchi a Cuba, pieni di cibo, vestiti ed elettrodomestici. Figlio del presidente del potente consorzio aziendale/militare Gaesa e di Déborah Castro Espín, «Il Granchio» fa i miliardi usando come prestanomi moglie e suocera.
Il caso che ha però causato più sdegno è quello di Tony Castro, nipote di Fidel. All'inizio del 2019, giorni prima che l'isola comunista celebrasse il 60° anniversario della Rivoluzione, sono venute alla luce foto del giovane su yacht e nei luoghi più esclusivi del mondo. A differenza dei suoi connazionali, Tony non si priva di nulla e conduce una vita avvolta da piaceri e senza limiti, come dimostra il suo Instagram. Si gusta i vini e cibi migliori durante la celebrazione del compleanno di uno dei suoi zii, posa sdraiato su uno yacht di fronte all'orizzonte. Il nipote di Fidel, il leader che ha imposto la dittatura comunista lasciando l'isola nella miseria più nera, in altre immagini di Instagram si gode un viaggio al volante di una Bmw, mentre i suoi connazionali sono costretti invece a spostarsi molto sovente a cavallo, come 100 anni fa. Poi pubblica foto di un viaggio a Madrid, poco prima della fine dell'anno, si fa immortalare mentre si gode il paesaggio seduto di fronte a un antico tempio Maya, in Messico, fa shopping pazzo nei negozi di lusso vicino alla Puerta del Sol, nella capitale spagnola, come un capitalista qualsiasi. I cubani di Cuba? Chi se ne frega.
17/11/2019
Morales, il comunista con la casa da sceicco
Svelata la suite su due piani del "presidente del popolo": Lussi da sceicco arabo
Morales, il comunista con la casa da sceicco
Svelata la suite su due piani del "presidente del popolo": Lussi da sceicco arabo
Mentre Evo Morales è in Messico ospitato dal presidente López Obrador (Amlo), il nuovo governo della Bolivia - insediatosi come da Costituzione e che deve indire nuove elezioni entro gennaio - mostra al mondo il lusso «da sceicco» in cui viveva il sindacalista cocalero. Una risposta alla foto divulgata l'altroieri dai produttori di coca di cui Morales è il leader, con Evo a dormire per terra sotto una umile tenda nel suo feudo del Chapare, dove il 94% delle foglie di coca prodotte (fonte Dea, agenzia anti-droga Usa) si trasformano in cocaina per i mercati statunitensi ed europei.
La suite imperiale di Morales è stata presentata alla stampa dal neo ministro dell'Informazione, Roxana Lizárraga, e occupa due piani, il 23esimo e 24esimo della Casa Grande del Popolo, uno degli edifici simbolo dello sfarzo senza limiti di Evo. 120 metri d'altezza (il più alto di La Paz) tutta in vetro, con piste di atterraggio per elicotteri sul tetto e pareti decorate da immagini della tradizione indigena e da murales che raffigurano operai al lavoro. Peccato solo che dall'agosto 2018, quando la «Casa del Popolo» fu inaugurata, il popolo (quello che guadagna una miseria in Bolivia, il 40% vive in povertà) non potesse entrare nella suite su due piani di Morales, oltre mille metri quadrati a piano. Anzi, il popolo non ne conosceva neanche l'esistenza visto che a svelarla è stata proprio ieri Roxana Lizáraga, in anteprima mondiale. «Sembra l'abitazione di uno sceicco arabo - ha detto il ministro, aggiungendo - lo spreco di denaro che è stato fatto per la costruzione di questo palazzo è davvero un insulto per tutti i boliviani». Quasi 40 milioni di euro, infatti, il costo per consentire al socialista Morales di «riposare meglio», con all'interno una fornitissima e costosissima collezione di alcolici. Il governo della presidente ad interim Jeanine Áñez - che ieri ha risposto ad Evo che vuole tornare per «pacificare» che «non ci sono problemi, può farlo» - ha annunciato che presenterà una denuncia per furto visto che prima di fuggire in Messico via Chapare gli uomini della sua sicurezza hanno portato via oltre a documentazione top secret tutte le decorazioni e le suppellettili, molte dei quali regali fatti all'Evo dei tempi d'oro da altri presidenti e di proprietà dello Stato. Rimasti solo alcuni soldi in contanti, un letto di tre metri, una jacuzzi e una palestra.
Il «povero indio» Evo - così lo presenta la sinistra mondiale - «è in realtà miliardario - ha svelato ieri il giornalista peruviano Jaime Bayly - grazie alla vendita a 2.500 dollari al kg di tonnellate di coca prodotte nel Chapare al Cartello di Sinaloa». Tutto da dimostrare ma di certo c'è che quando nel 2012 la Corte dei conti boliviana divulgò che l'ammontare dei beni del presidente della Bolivia era misteriosamente quadruplicato in pochi anni, chiedendogli di dimostrare il suo subitaneo arricchimento Evo rispose con la «faccia di bronzo» dei socialisti del secolo XXI: «Che responsabilità ho io se il popolo continua a regalarmi ponchos da 200 dollari l'uno?».
La suite imperiale di Morales è stata presentata alla stampa dal neo ministro dell'Informazione, Roxana Lizárraga, e occupa due piani, il 23esimo e 24esimo della Casa Grande del Popolo, uno degli edifici simbolo dello sfarzo senza limiti di Evo. 120 metri d'altezza (il più alto di La Paz) tutta in vetro, con piste di atterraggio per elicotteri sul tetto e pareti decorate da immagini della tradizione indigena e da murales che raffigurano operai al lavoro. Peccato solo che dall'agosto 2018, quando la «Casa del Popolo» fu inaugurata, il popolo (quello che guadagna una miseria in Bolivia, il 40% vive in povertà) non potesse entrare nella suite su due piani di Morales, oltre mille metri quadrati a piano. Anzi, il popolo non ne conosceva neanche l'esistenza visto che a svelarla è stata proprio ieri Roxana Lizáraga, in anteprima mondiale. «Sembra l'abitazione di uno sceicco arabo - ha detto il ministro, aggiungendo - lo spreco di denaro che è stato fatto per la costruzione di questo palazzo è davvero un insulto per tutti i boliviani». Quasi 40 milioni di euro, infatti, il costo per consentire al socialista Morales di «riposare meglio», con all'interno una fornitissima e costosissima collezione di alcolici. Il governo della presidente ad interim Jeanine Áñez - che ieri ha risposto ad Evo che vuole tornare per «pacificare» che «non ci sono problemi, può farlo» - ha annunciato che presenterà una denuncia per furto visto che prima di fuggire in Messico via Chapare gli uomini della sua sicurezza hanno portato via oltre a documentazione top secret tutte le decorazioni e le suppellettili, molte dei quali regali fatti all'Evo dei tempi d'oro da altri presidenti e di proprietà dello Stato. Rimasti solo alcuni soldi in contanti, un letto di tre metri, una jacuzzi e una palestra.
Il «povero indio» Evo - così lo presenta la sinistra mondiale - «è in realtà miliardario - ha svelato ieri il giornalista peruviano Jaime Bayly - grazie alla vendita a 2.500 dollari al kg di tonnellate di coca prodotte nel Chapare al Cartello di Sinaloa». Tutto da dimostrare ma di certo c'è che quando nel 2012 la Corte dei conti boliviana divulgò che l'ammontare dei beni del presidente della Bolivia era misteriosamente quadruplicato in pochi anni, chiedendogli di dimostrare il suo subitaneo arricchimento Evo rispose con la «faccia di bronzo» dei socialisti del secolo XXI: «Che responsabilità ho io se il popolo continua a regalarmi ponchos da 200 dollari l'uno?».
10/11/2019
L'aspirante dittatore a vita Morales cacciato dalla Bolivia, addio Evo, buona fortuna.
L'aspirante dittatore a vita Morales cacciato dalla Bolivia, addio Evo, buona fortuna.
Prima Dopo
10/11/2019
Un altro frutto marcio della dittatura castrista si avvia alla fine, Bolivia, il presidente Evo Morales annuncia nuove elezioni
Le parole del presidente dopo che gli agenti si sono ammutinati a Cochabamba e in altre 5 città e dopo la decisione di schierare l’esercito. Finora ci sono stati 3 morti e 500 feriti
Il presidente boliviano, Evo Morales, ha annunciato nuove elezioni sulla scia delle massicce proteste che nelle ultime settimane hanno contestato i risultati delle presidenziali del 20 ottobre, che lo avevano visto vincitore.
Morales aveva prima invitato l'opposizione a istituire un tavolo di dialogo per la pacificazione del Paese, dopo che la notizia dell'ammutinamento di numerosi poliziotti in diverse regioni ha fatto scattare da parte del capo di Stato l'allarme per un "colpo di Stato". Parlando da città di El Alto, vicino di La Paz, Morales ha spiegato che l'obiettivo del dialogo è "preservare la vita" e "cercare l'unità", con un "programma aperto volto a pacificare la Bolivia", dopo più di due settimane di protest, in cui sono morte tre persone e circa cento sono state arrestate.
In questo dialogo, il presidente ha invocato il sostegno di organizzazioni internazionali come le Nazioni Unite e l'Organizzazione degli Stati americani (Oas), di "Paesi di qualsiasi parte del mondo" come anche di papa Francesco; tutti, a suo dire, dovrebbero unirsi nella denuncia di La Paz "contro i gruppi anti-democratici che hanno lanciato un colpo di Stato".
Proprio il Papa oggi all'Angelus ha ricordato la Bolivia, chiedendo che il processo di revisione dei risultati delle presidenziali - scintilla che ha fatto scoppiare la protesta due settimane fa - abbia luogo "in pace" e senza precondizioni.
La strada del dialogo prefigurata da Morales appare, però, in salita. Il presidente, la cui rielezione il 20 ottobre viene contestata dalla piazza, che lo accusa di brogli, ha chiesto il dialogo con i partiti dell'opposizione che siedono in Parlamento, ma ha escluso espressamente i potenti comitati civici regionali che gli si oppongono. Il leader dell'opposizione, l'ex presidente Carlos Mesa, ha immediatamente respinto le aperture del presidente, come anche Ruben Costas, il potente governatore dello Stato orientale di Santa Cruz.
Evo Morales aveva denunciato stanotte di fronte alla comunità internazionale ed al popolo boliviano che "il piano di golpe fascista esegue atti violenti con gruppi irregolari che hanno incendiato la casa dei governatori di Chuquisaca ed Oruro e quella di mia sorella in quest'ultimna città".
Via Twitter Morales aveva anche condannato l'attacco "codardo e selvaggio", "nello stile delle dittature militari", alla radio della Confederazione sindacale unica dei lavoratori contadini della Bolivia (Csutcb).
Il capo dello Stato aveva anche rivelato che "gruppi organizzati" hanno preso il controllo dei media statali Bolivia Tv (Btv) e Red Patria Nueva (Rpn). "Dopo aver minacciato ed intimorito i giornalisti - aveva concluso - li hanno obbligati ad abbandonare le loro fonti di lavoro".
In Bolivia si è ribellata anche la polizia. Settori della polizia boliviana si sono ammutinati da due giorni a Cochabamba e in altre città del Paese nel quadro di proteste di piazza contro il presidente Evo Morales, la cui recente conferma alla massima carica dello Stato nelle elezioni del 20 ottobre è respinta dall'opposizione. L'ammutinamento è cominciato venerdì pomeriggio nell'Unità tattica di operazioni di polizia (Utop) di Cochabamba e si è esteso nelle ore successive a settori di agenti di altri cinque dipartimenti.
In particolare alle unità di Sucre e Santa Cruz, roccaforte dell'opposizione. Durante la notte la ribellione ha raggiunto altre città, ma ha risparmiato La Paz, la capitale amministrativa del Paese. Ma un segnale preoccupante per il governo Morales è che gli ufficiali Utop a La Paz, che per settimane hanno sorvegliato la centralissima Plaza Murillo - dove si trova il palazzo presidenziale - si sono ritirati nei loro quartieri nelle ultime ore in evidente solidarietà con le proteste.
Il ministro dell'Interno, Carlos Romero, ha accettato la principale richiesta di Cochabamba, esonerando il capo della polizia dipartimentale, Raúl Grandy, dicendosi fiducioso di poter superare il malessere attraverso il dialogo. Da parte sua il ministro della Difesa, Javier Zavaleta, ha escluso un intervento dell'esercito in questa crisi.
Sale la tensione, in Bolivia. Morales ha chiesto il dialogo con i partiti dell'opposizione che siedono in parlamento, ma ha escluso espressamente i potenti comitati civici regionali che gli si oppongono. Il leader dell'opposizione, l'ex presidente Carlos Mesa, ha immediatamente respinto il gesto di Morales. L'offerta è stata anche respinta da Ruben Costas, il potente governatore dello Stato orientale di Santa Cruz.
La protesta in Bolivia, nata dopo il controverso risultato che ha portato per la quarta volta Evo Morales alla presidenza, si estende. Polarizza e spacca il Paese. Tra indigeni e contadini, i meticci del sud, e impiegati, studenti, la classe media, bianca, del nord.
Non è una solidarietà con chi grida alla frode e rifiuta il risultato elettorale. Piuttosto è la manifestazione di un disagio più profondo e generale. I poliziotti chiedono aumenti salariali, modifiche alle condizioni di lavoro: gli scontri li costringono a turni massacranti. Gli agenti chiedevano la rimozione del comandante regionale Raúl Grandi: alla fine il governo ha nominato un nuovo comandante, ha varato un "buono di lealtà", 430 dollari, e distribuito cibo. Ma è stato considerato solo un obolo.
Morales ha chiamato a raccolta i "movimenti sociali" che sono la base del suo Mas "per difendere il progetto" che dirige da 14 anni e ha parlato di "colpo di Stato". Da giorni non si vedono più poliziotti per le strade. Il presidente non si fida più, è deciso a schierare l’esercito. Finora ci sono stati 3 morti e 500 feriti.
Un altro frutto marcio della dittatura castrista si avvia alla fine, Bolivia, il presidente Evo Morales annuncia nuove elezioni
Le parole del presidente dopo che gli agenti si sono ammutinati a Cochabamba e in altre 5 città e dopo la decisione di schierare l’esercito. Finora ci sono stati 3 morti e 500 feriti
Il presidente boliviano, Evo Morales, ha annunciato nuove elezioni sulla scia delle massicce proteste che nelle ultime settimane hanno contestato i risultati delle presidenziali del 20 ottobre, che lo avevano visto vincitore.
Morales aveva prima invitato l'opposizione a istituire un tavolo di dialogo per la pacificazione del Paese, dopo che la notizia dell'ammutinamento di numerosi poliziotti in diverse regioni ha fatto scattare da parte del capo di Stato l'allarme per un "colpo di Stato". Parlando da città di El Alto, vicino di La Paz, Morales ha spiegato che l'obiettivo del dialogo è "preservare la vita" e "cercare l'unità", con un "programma aperto volto a pacificare la Bolivia", dopo più di due settimane di protest, in cui sono morte tre persone e circa cento sono state arrestate.
In questo dialogo, il presidente ha invocato il sostegno di organizzazioni internazionali come le Nazioni Unite e l'Organizzazione degli Stati americani (Oas), di "Paesi di qualsiasi parte del mondo" come anche di papa Francesco; tutti, a suo dire, dovrebbero unirsi nella denuncia di La Paz "contro i gruppi anti-democratici che hanno lanciato un colpo di Stato".
Proprio il Papa oggi all'Angelus ha ricordato la Bolivia, chiedendo che il processo di revisione dei risultati delle presidenziali - scintilla che ha fatto scoppiare la protesta due settimane fa - abbia luogo "in pace" e senza precondizioni.
La strada del dialogo prefigurata da Morales appare, però, in salita. Il presidente, la cui rielezione il 20 ottobre viene contestata dalla piazza, che lo accusa di brogli, ha chiesto il dialogo con i partiti dell'opposizione che siedono in Parlamento, ma ha escluso espressamente i potenti comitati civici regionali che gli si oppongono. Il leader dell'opposizione, l'ex presidente Carlos Mesa, ha immediatamente respinto le aperture del presidente, come anche Ruben Costas, il potente governatore dello Stato orientale di Santa Cruz.
Evo Morales aveva denunciato stanotte di fronte alla comunità internazionale ed al popolo boliviano che "il piano di golpe fascista esegue atti violenti con gruppi irregolari che hanno incendiato la casa dei governatori di Chuquisaca ed Oruro e quella di mia sorella in quest'ultimna città".
Via Twitter Morales aveva anche condannato l'attacco "codardo e selvaggio", "nello stile delle dittature militari", alla radio della Confederazione sindacale unica dei lavoratori contadini della Bolivia (Csutcb).
Il capo dello Stato aveva anche rivelato che "gruppi organizzati" hanno preso il controllo dei media statali Bolivia Tv (Btv) e Red Patria Nueva (Rpn). "Dopo aver minacciato ed intimorito i giornalisti - aveva concluso - li hanno obbligati ad abbandonare le loro fonti di lavoro".
In Bolivia si è ribellata anche la polizia. Settori della polizia boliviana si sono ammutinati da due giorni a Cochabamba e in altre città del Paese nel quadro di proteste di piazza contro il presidente Evo Morales, la cui recente conferma alla massima carica dello Stato nelle elezioni del 20 ottobre è respinta dall'opposizione. L'ammutinamento è cominciato venerdì pomeriggio nell'Unità tattica di operazioni di polizia (Utop) di Cochabamba e si è esteso nelle ore successive a settori di agenti di altri cinque dipartimenti.
In particolare alle unità di Sucre e Santa Cruz, roccaforte dell'opposizione. Durante la notte la ribellione ha raggiunto altre città, ma ha risparmiato La Paz, la capitale amministrativa del Paese. Ma un segnale preoccupante per il governo Morales è che gli ufficiali Utop a La Paz, che per settimane hanno sorvegliato la centralissima Plaza Murillo - dove si trova il palazzo presidenziale - si sono ritirati nei loro quartieri nelle ultime ore in evidente solidarietà con le proteste.
Il ministro dell'Interno, Carlos Romero, ha accettato la principale richiesta di Cochabamba, esonerando il capo della polizia dipartimentale, Raúl Grandy, dicendosi fiducioso di poter superare il malessere attraverso il dialogo. Da parte sua il ministro della Difesa, Javier Zavaleta, ha escluso un intervento dell'esercito in questa crisi.
Sale la tensione, in Bolivia. Morales ha chiesto il dialogo con i partiti dell'opposizione che siedono in parlamento, ma ha escluso espressamente i potenti comitati civici regionali che gli si oppongono. Il leader dell'opposizione, l'ex presidente Carlos Mesa, ha immediatamente respinto il gesto di Morales. L'offerta è stata anche respinta da Ruben Costas, il potente governatore dello Stato orientale di Santa Cruz.
La protesta in Bolivia, nata dopo il controverso risultato che ha portato per la quarta volta Evo Morales alla presidenza, si estende. Polarizza e spacca il Paese. Tra indigeni e contadini, i meticci del sud, e impiegati, studenti, la classe media, bianca, del nord.
Non è una solidarietà con chi grida alla frode e rifiuta il risultato elettorale. Piuttosto è la manifestazione di un disagio più profondo e generale. I poliziotti chiedono aumenti salariali, modifiche alle condizioni di lavoro: gli scontri li costringono a turni massacranti. Gli agenti chiedevano la rimozione del comandante regionale Raúl Grandi: alla fine il governo ha nominato un nuovo comandante, ha varato un "buono di lealtà", 430 dollari, e distribuito cibo. Ma è stato considerato solo un obolo.
Morales ha chiamato a raccolta i "movimenti sociali" che sono la base del suo Mas "per difendere il progetto" che dirige da 14 anni e ha parlato di "colpo di Stato". Da giorni non si vedono più poliziotti per le strade. Il presidente non si fida più, è deciso a schierare l’esercito. Finora ci sono stati 3 morti e 500 feriti.
4/11/2019
Venezuela, Cile e Bolivia.
La sfida globale dell’America LatinaLa Bolivia è solo l’ultimo dei tasselli di una crisi continentale che negli ultimi anni ha sconvolto la politica dell’America Latina il cui epicentro resta il Venezuela. L'analisi di Carmine PintoLa Bolivia è solo l’ultimo campo di battaglia dell’America Latina. Immense folle hanno occupato le piazze di La Paz e Santa Cruz. Le occupazioni sono pacifiche, non ci sono i saccheggiatori violenti che hanno inquinato le proteste in Cile e in Ecuador, ma la reazione del governo è brutale. I manifestanti chiedono la rinuncia del presidente Evo Morales, accusato di brogli di ogni tipo nelle ultime elezioni. Si tratta di un conflitto diventato inarrestabile. Morales ha modificato a suo piacere la costituzione, per ottenere la rielezione dopo 14 anni di potere assoluto. Indifferente a qualsiasi regola, pur avendo perduto il referendum che aveva bocciato la possibilità di ricandidarsi, ha forzato la mano e ottenuto le elezioni, contestate come mai dall’opposizione e dalla stampa libera.
La Bolivia è solo l’ultimo dei tasselli di una crisi continentale che negli ultimi anni sconvolto la politica dell’America Latina. L’epicentro resta il Venezuela. Un paese che, fino agli anni Novanta, aveva un sistema politico basato su una perfetta alternanza tra democristiani e socialdemocratici, un grado elevato di crescita economica, i problemi proprio dei paesi della periferia occidentale (povertà e corruzione), ma privo di rischi e pericoli autoritari. Una piccola tangentopoli venezuelana e una marea antipolitica portò al potere il colonnello ex golpista Hugo Chavez. Doveva riformare il paese, invece pose le basi per la prima dittatura latino-americana del XXI secolo: un regime basato su un misto di autoritarismo militare e semi collettivismo marxista, condito di una progressiva repressione delle istituzioni libere del paese.
Il chavismo ebbe successo nel costruire una narrazione condivisa da gruppi intellettuali-politici europei e statunitensi, che ne garantirono una versione romantica idealizzante, inversamente proporzionale al disastro sociale: il chavismo non solo ridusse le libertà, ma moltiplicò povertà e violenza, facendo del Venezuela uno dei paesi più poveri del continente. Il ruolo dirimente di Caracas emerse con prepotenza nel secolo, assumendo per molti aspetti nel continente il ruolo che Cuba aveva avuto nella Guerra fredda: una potenziale possibilità per le democrazie più fragili di una trasformazione social-autocratica simile. Certo il contesto era cambiato. La fine della Guerra fredda aveva determinato una notevole ritirata degli USA dal continente, non si vedevano ancora all’orizzonte le autocrazie asiatiche. Così pure Cuba, trasformata in un paradiso delle vacanze degli occidentali che guardavano con occhi romantici la povertà e la vita da caserma dei poveri cubani, poté sopravvivere gestita con mano di ferro dal regime.
I fratelli Castro furono tra i registi (insieme al brasiliano Lula da Silva) di un’alleanza delle sinistre latine: il Foro di Sao Paulo. Con una strategia frontista da post-guerra fredda, riuscirono a mettere insieme una piattaforma che andava dai narco-guerriglieri delle Farc in Colombia fino ai socialisti cileni (anche se molti socialdemocratici lo contrastarono e non aderirono). Il Foro iniziò una marcia nel continente. Negli anni Novanta i successi furono limitati, ma il disastro economico che portò il marchio della destra dei peronisti in Argentina, i fallimenti di forze liberiste in Ecuador e Bolivia, la brutale esperienza del presidente Fujimori in Perù, aprì la strada al successo del Foro.
Chavez aveva conquistato il potere nel 1998, diventando subito l’alter ego di Castro, che da quel momento stabilì una presenza politica e militare permanente in Venezuela. Alzando le bandiere della lotta alla corruzione e alla povertà, le forze del Polo conquistarono il potere in una dozzina di stati, anche se in pratica stabilirono due pratiche di governo molto diverse. Un misto di populismo democratico e capitalismo rampante segnò i governi di Cile e Brasile. Invece ben diversa, e fallimentare, fu l’esperienza di Cristina Kirchner in Argentina, populismo corruttivo e violenza simbolica. Ancora peggio, Morales in Bolivia e Correa in Ecuador, cercarono di demolire le opposizioni e costruire un modello simile al loro alleato Chavez.
Solo Colombia e Messico fecero eccezione. Nel primo caso (l’unico con un intervento importante degli USA, il Plan Colombia), il presidente moderato Alvaro Uribe riuscì nell’obiettivo storico di sconfiggere le potenti narco-guerriglie marxiste, disarmare i paramilitari e disinnescare la bomba del narco-traffico, normalizzando la democrazia colombiana. In Messico, invece, i primi presidenti che posero fine al monopolio dell’antico PRI (i conservatori Fox e Calderon) poterono garantire una consistente crescita economica, ma non a vincere la potente guerra dei cartelli del narcotraffico o a stabilizzare un paese travagliato da intense tensioni sociali.
Negli anni successivi si delineò una reazione su larga scala di forze conservatrici o liberali, che utilizzarono proprio le pesanti accuse di corruzione e di incapacità delle sinistre al governo per conquistare Argentina, Perù e molti altri paesi, fino alle vittorie strategiche del 2018: Brasile e di nuovo in Colombia. Nel frattempo il Venezuela restava il punto di crisi della situazione americana. I Castro controllarono la successione di Chavez dopo la sua morte, avevano voluto l’oscuro Maduro al potere, lo sostennero nonostante i tentativi disperati dell’opposizione e di buona parte della popolazione venezuelana, ridotta alla fame, di liberarsi della dittatura (oramai al centro di anche di importanti reti del terrorismo e del narco traffico).
Le forze liberali e conservatrici, guidate ora dai presidenti Bolsonaro e Duque, spalleggiati dagli USA, diedero vita al gruppo di Lima per isolare la dittatura venezuelana, favorire un pacifico cambio di regime a Caracas, cambiare il quadro politico del continente. La partita decisiva si giocò a febbraio. Il gruppo di Lima e l’opposizione venezuelana scatenano una campagna di mobilitazione e propaganda per ottenere le dimissioni di Maduro, ma fecero i conti con la determinazione del dittatore e dei cubani. I paramilitari al servizio del regime sparano sugli aiuti che cercano di entrare in Venezuela, mentre centinaia e migliaia di esponenti dell’opposizione sono arrestati o uccisi.
La determinazione dei castro-chavisti ad usare ogni forma di violenza per controllare i regimi fece il paio con l’incapacità degli avversari di decidere l’uso della forza. La dittatura di Maduro resisté così indisturbata, consentendo un nuovo cambiamento dello scenario politico, favorita dall’elezione di un presidente di sinistra radicale in Mexico, che a sua volta iniziò una battaglia poderosa contro l’opposizione (per ora però fallendo sul terreno dell’economia e nella lotta ai narcos). Proprio in Messico inizia la controffensiva del frontismo latino. A luglio nasce il gruppo di Puebla, una trentina di alleati della sinistra radicale, con tre obiettivi espliciti: difendere il regime di Maduro, mettere in crisi il gruppo di Lima, riconquistare il potere dove possibile. L’irrazionalità della politica di Trump e le difficoltà strategiche di Russia e Cina facilitarono questo scenario. I cubani lasciarono in primo piano alcuni attori minori, ma sono tra i veri registi della partita.
L’offensiva si scatena negli ultimi due mesi, con risultati alterni. In Argentina il conservatore Macry non è riuscito a mantenere la promessa di tirare fuori il paese dal disastro economico e corruttivo del kirchnerismo, viene travolto dalla rimonta del peronismo. Invece, sia in Ecuador che in Cile i presidenti Moreno e Pinera riescono a resistere alle ondate di proteste, dove ai manifestanti si aggiungono gruppi e amici del gruppo di Puebla con il chiaro obiettivo di far saltare i governi. Infine, in Bolivia Morales respinge qualsiasi tentativo di democratizzare realmente il paese. Eppure, ancora una volta, il Venezuela è il vero terreno di lotta. Nonostante sia diventato il secondo al mondo per rifugiati ed esuli politici, per non parlare della fame e della violenza che marca il paese, Maduro resiste spalleggiato dalle sinistre marxiste latine e dagli autocrati di tutto il mondo.
Lo scontro che sta opponendo il gruppo di Lima al gruppo di Puebla è sulla questione venezuelana, ma ha dimensioni continentali e valore globale. L’America Latina è terreno di battaglia tra il liberalismo presidenziale e il populismo autocratico-socialisteggiante, lasciando per sempre alle spalle i sogni di normalizzazione degli anni Novanta. Ed è un terreno di verifica delle narrazioni nell’epoca di media e social ben più potenti delle armi. Se le democrazie mondiali si sono schierate contro la dittatura venezuelana, il castro-chavismo ottiene la copertura delle autocrazie asiatiche e del mondo della sinistra salottiera o protestaria occidentali. Questi proiettano nell’America Latina i miti su cui legittimano la propria esistenza: neo-pacifismo, post-terzomondismo, presunta lotta ad imperi inesistenti, legittimando dittatori e loro amici. Invece, le forze liberali sono ancora poco impegnate e spesso distratte, ma sono di fronte ad una delle grandi sfide del secolo di cui dovranno tenere conto.
9/9/2019
Cuba, il nipote di Castro compra uno yacht usando soldi pubblici
Raúl Guillermo Rodriguez Castro ha acquistato un panfilo di 17 metri da 3 milioni usando i soldi pubblici. Intanto l'economia cubana è sempre più in crisi
A Cuba la popolazione è allo stremo ma gli eredi di Fidel Castro trascorrono una vita piena di agi.
L'ennesima dimostrazione che sottolinea l'inefficienza del sistema cubano arriva dall'ultimo acquisto di lusso di Raúl Guillermo Rodriguez Castro.
Il nipote di Castro, hanno scoperto da Miami, ha acquistato un panfilo di 17 metri, dotato di due moto d'acqua e tutti i lussi del caso. Il prezzo? 3 milioni di dollari. Un particolare che cozza con la povertà dilagante presente sull'isola.
Mentre Raúl Guillermo Rodriguez Castro ha scucito in un batter d'occhio una montagna di soldi per soddisfare i suoi vizi, un numero crescente di cubani fatica sempre di più a mettere insieme il pranzo con la cena.
Altro particolare che non deve essere trascurato è che i 3 milioni di dollari investiti nell'acquisto dello yatch provengono dalla Gaesa, ovvero dal Grupo de Administracion Empresarial, cioè la holding statale che controlla il 60% dell'economia cubana, il 70% del commercio al dettaglio e quasi l'intero comparto turistico.
Gli sprechi degli eredi di Castro A capo della Gaesa risiede Luis Alberto Rodríguez López-Callejas, genero di Raúl Castro e padre di Raúl Guillermo. Pare che lo shopping sfrenato del nipote di Castro non sia affatto piaciuto al resto della famiglia, in imbarazzo nel dover giustificare un esborso di soldi pubblici inutile quanto spropositato. E probabilmente anche invidiosa della spesa pazza di uno degli eredi castristi.
I cinque figli di Fidel avrebbero protestato affermando che ai tempi di Fidel non sarebbe mai potuto accadere che un membro della famiglia sperperasse una somma così ingente di denaro in futilità.
La difesa di Raúl Guillermo, amante di hotel di lusso, discoteche e Rolex, è timida. Il giovane rampollo avrebbe spiegato che il panfilo sarebbe in realtà un regalo di uno zio francese.
Cuba, il nipote di Castro compra uno yacht usando soldi pubblici
Raúl Guillermo Rodriguez Castro ha acquistato un panfilo di 17 metri da 3 milioni usando i soldi pubblici. Intanto l'economia cubana è sempre più in crisi
A Cuba la popolazione è allo stremo ma gli eredi di Fidel Castro trascorrono una vita piena di agi.
L'ennesima dimostrazione che sottolinea l'inefficienza del sistema cubano arriva dall'ultimo acquisto di lusso di Raúl Guillermo Rodriguez Castro.
Il nipote di Castro, hanno scoperto da Miami, ha acquistato un panfilo di 17 metri, dotato di due moto d'acqua e tutti i lussi del caso. Il prezzo? 3 milioni di dollari. Un particolare che cozza con la povertà dilagante presente sull'isola.
Mentre Raúl Guillermo Rodriguez Castro ha scucito in un batter d'occhio una montagna di soldi per soddisfare i suoi vizi, un numero crescente di cubani fatica sempre di più a mettere insieme il pranzo con la cena.
Altro particolare che non deve essere trascurato è che i 3 milioni di dollari investiti nell'acquisto dello yatch provengono dalla Gaesa, ovvero dal Grupo de Administracion Empresarial, cioè la holding statale che controlla il 60% dell'economia cubana, il 70% del commercio al dettaglio e quasi l'intero comparto turistico.
Gli sprechi degli eredi di Castro A capo della Gaesa risiede Luis Alberto Rodríguez López-Callejas, genero di Raúl Castro e padre di Raúl Guillermo. Pare che lo shopping sfrenato del nipote di Castro non sia affatto piaciuto al resto della famiglia, in imbarazzo nel dover giustificare un esborso di soldi pubblici inutile quanto spropositato. E probabilmente anche invidiosa della spesa pazza di uno degli eredi castristi.
I cinque figli di Fidel avrebbero protestato affermando che ai tempi di Fidel non sarebbe mai potuto accadere che un membro della famiglia sperperasse una somma così ingente di denaro in futilità.
La difesa di Raúl Guillermo, amante di hotel di lusso, discoteche e Rolex, è timida. Il giovane rampollo avrebbe spiegato che il panfilo sarebbe in realtà un regalo di uno zio francese.
17/7/2019
Oro e petrolio, così Maduro aggira le sanzioni americane
Uffici a Mosca, navi di pirati e vendita di oro agli Emirati Arabi e la Turchia. Sono queste alcune delle strategie del regime venezuelano per fare cassaIl regime di Nicolás Maduro continua a sfruttare il business del petrolio, nonostante le sanzioni americane e il divieto da parte del presidente dell’Assemblea Nazionale e presidente ad interim, Juan Guaidó.
Il Dipartimento del Tesoro americano ha imposto limitazioni contro 34 navi dell’impresa statale Petróleos de Venezuela (Pdvsa) e le imprese americane che avevano contratti con la società petrolifera venezuelana. Tuttavia, le misure sono aggirate da molti e all’isola di Cuba, per esempio, arrivano in maniera clandestina circa 60mila barili di greggio ogni giorno dal Venezuela.
PIRATI NEI CARAIBI
I metodi per questo traffico illegale di crudo sono stai pubblicati in un’inchiesta del quotidiano argentino El Clarín. “Settimanalmente – si legge nel reportage – partono dai porti nazionali navi pirata con bandiera venezuelana o straniera verso Cuba che non hanno certificazione internazionale di nessun tipo e non rispettano le sanzioni”. L’informazione è stata confermata dal capitano José Ballaven, direttore dell’Associazione Civile Gente de Mar. Le persone che guidano queste navi non avrebbero la qualifica necessaria, mettendo a rischio altre imbarcazioni nei Caraibi.
Secondo il sito Bloomberg, le navi Ocean Elegance e S-Trotter sanzionate dagli Usa hanno cambiato nome per Océano e Tropic Sea e continuano ad operare liberamente.
L’impegno di Maduro di inviare petrolio a Cuba sarebbe dovuto alla necessità di pagare fatture per sicurezza personale e il servizio di medici cubani. Circa 20mila cittadini cubani vivono in Venezuela e offrono prestazioni al governo socialista.
UFFICI A MOSCA
Da gennaio, Maduro è in conversazione con gli alleati russi per schivare il divieto di pagamento a Pdvsa in dollari.
L’impresa statale venezuelana è riuscita a continuare le operazioni aprendo anche una sede operativa a Mosca. Secondo l’agenzia Reuters, Pdvsa ha trasferito le fatture di vendita alla petrolifera Rosneft, con uno sconto e la riduzione dei tempi di pagamento.
EL DORADO DI MADURO
Ma i conti del regime di Maduro non reggono soltanto grazie al petrolio. Il sito Bloomberg sostiene che il Venezuela ha venduto circa 40 milioni di dollari la settimana scorsa, sfidando le numerose sanzioni degli Stati Uniti.
“La Banca Centrale ha venduto quasi una tonnellata di oro il 12 luglio – si legge sul sito -, il che riduce le riserve di dollari del Venezuela al minimo storico negli ultimi 30 anni a 8,1 miliardi di dollari”.
Le sanzioni limitano sempre di più l’accesso del Venezuela al sistema finanziario globale, spiega il sito, ma Maduro riesce ad aggirarle vendendo l’oro venezuelano a imprese negli Emirati Arabi Uniti e Turchia, per esempio. Da aprile ad oggi sono state vendute circa 24 tonnellate di oro del Venezuela.
Oro e petrolio, così Maduro aggira le sanzioni americane
Uffici a Mosca, navi di pirati e vendita di oro agli Emirati Arabi e la Turchia. Sono queste alcune delle strategie del regime venezuelano per fare cassaIl regime di Nicolás Maduro continua a sfruttare il business del petrolio, nonostante le sanzioni americane e il divieto da parte del presidente dell’Assemblea Nazionale e presidente ad interim, Juan Guaidó.
Il Dipartimento del Tesoro americano ha imposto limitazioni contro 34 navi dell’impresa statale Petróleos de Venezuela (Pdvsa) e le imprese americane che avevano contratti con la società petrolifera venezuelana. Tuttavia, le misure sono aggirate da molti e all’isola di Cuba, per esempio, arrivano in maniera clandestina circa 60mila barili di greggio ogni giorno dal Venezuela.
PIRATI NEI CARAIBI
I metodi per questo traffico illegale di crudo sono stai pubblicati in un’inchiesta del quotidiano argentino El Clarín. “Settimanalmente – si legge nel reportage – partono dai porti nazionali navi pirata con bandiera venezuelana o straniera verso Cuba che non hanno certificazione internazionale di nessun tipo e non rispettano le sanzioni”. L’informazione è stata confermata dal capitano José Ballaven, direttore dell’Associazione Civile Gente de Mar. Le persone che guidano queste navi non avrebbero la qualifica necessaria, mettendo a rischio altre imbarcazioni nei Caraibi.
Secondo il sito Bloomberg, le navi Ocean Elegance e S-Trotter sanzionate dagli Usa hanno cambiato nome per Océano e Tropic Sea e continuano ad operare liberamente.
L’impegno di Maduro di inviare petrolio a Cuba sarebbe dovuto alla necessità di pagare fatture per sicurezza personale e il servizio di medici cubani. Circa 20mila cittadini cubani vivono in Venezuela e offrono prestazioni al governo socialista.
UFFICI A MOSCA
Da gennaio, Maduro è in conversazione con gli alleati russi per schivare il divieto di pagamento a Pdvsa in dollari.
L’impresa statale venezuelana è riuscita a continuare le operazioni aprendo anche una sede operativa a Mosca. Secondo l’agenzia Reuters, Pdvsa ha trasferito le fatture di vendita alla petrolifera Rosneft, con uno sconto e la riduzione dei tempi di pagamento.
EL DORADO DI MADURO
Ma i conti del regime di Maduro non reggono soltanto grazie al petrolio. Il sito Bloomberg sostiene che il Venezuela ha venduto circa 40 milioni di dollari la settimana scorsa, sfidando le numerose sanzioni degli Stati Uniti.
“La Banca Centrale ha venduto quasi una tonnellata di oro il 12 luglio – si legge sul sito -, il che riduce le riserve di dollari del Venezuela al minimo storico negli ultimi 30 anni a 8,1 miliardi di dollari”.
Le sanzioni limitano sempre di più l’accesso del Venezuela al sistema finanziario globale, spiega il sito, ma Maduro riesce ad aggirarle vendendo l’oro venezuelano a imprese negli Emirati Arabi Uniti e Turchia, per esempio. Da aprile ad oggi sono state vendute circa 24 tonnellate di oro del Venezuela.
19/6/2019
Redditi bassi, prezzi dei beni alle stelle, razionamenti. Nell'avamposto socialista la vita è sempre più complicata
«E' solo una questione anagrafica perché a Cuba crolli la dittatura: bisogna attendere che trapassino gli ultimi reduci della revolución che prese il potere il 1 gennaio del 1959». Questa frase «off the record» di un ambasciatore italiano d’alto rango è oramai un leitmotiv all’Avana. «Devono solo morire Raúl Castro e i suoi generali e poi, inevitabilmente, le cose miglioreranno anche qui» gli fa eco Douglas, giovane autista di uno scassatissimo taxi mentre porta chi scrive a zonzo per l’Avana Vecchia, il centro storico, che «sembra la Germania del Secondo dopoguerra per colpa dei pazzi che ci governano da 60 anni».
Come definire se non «pazza» la proposta fatta dal generale Leopoldo Cintra Frías, ministro delle Forze armate rivoluzionarie, che alla tv di Stato ha consigliato ai suoi connazionali di mangiare jutía - un roditore indigeno del Caribe - coccodrilli e struzzi? «La jutía ha più proteine di tutti gli altri tipi di carne, compresa quella bovina e per giunta ha una pelle di altissima qualità» ha affermato il braccio destro di Raúl, invitando i cubani ad allevare questa sorta di nutria per poi aggiungere che «lo struzzo produce più delle vacche». Ovviamente tutti i giovani dell’isola caraibica hanno sbertucciato via social questo 77enne «eroe della revolución».
Il problema vero è che alle promesse del regime non crede più nessuno e la vita è in povertà per chi guadagna al mese un salario statale da 30 dollari, con prezzi che sono la metà di quelli italiani e una tessera annonaria che può garantire alimenti a una famiglia per appena una settimana. Senza rimesse dall’estero in dollari o euro è impossibile vivere, e con queste si sopravvive a stento. Il risultato? Quello di sempre nei regimi comunisti, ovvero file interminabili ma, sempre più spesso, anche proteste. L’ultima a giugno è stata una manifestazione per chiedere acqua davanti al vecchio Palazzo delle Orsoline vicino al mercado Egido, a pochi passi dalla prima sede del governo di Fidel Castro, il Capitolio. La gente ha bloccato il traffico, è intervenuta la polizia ma almeno all’inizio non ci sono stati arresti, una rarità da queste parti. «Sono quasi venti giorni che siamo senz’acqua, siamo stanchi» racconta esasperata una signora di mezza età «qui ci sono anziani, bambini malati sotto un sole cocente e invece di mandare camion cisterne il governo non fa nulla!». Intanto una giovane la filma col cellulare e il giornalista dissidente Yusnaby Pérez riversa su Facebook il video, ottenendo in breve tempo migliaia di visualizzazioni.
«Qui si fa la fila per tutto» protesta Miguel, che da anni ospita nella sua casa particular (bed and breakfast) turisti che arrivano da tutto il mondo, affascinati da una città che è ferma a fine Anni 50. A maggio, per esempio, nella provincia di Santa Clara è sbarcato l’olio di semi: «Mancava da tempo immemorabile, subito si è sparsa la voce e la gente si è azzuffata perché se arrivi tardi finisce e poi tocca aspettare un altro mese per friggere il pesce» spiega Edenita, vecchia proprietaria di un baracchino in cui vende dai dolciumi a una sorta di imitazione di onion rings in versione casereccia, cipolle fritte avvolte nella carta del Granma, il quotidiano di regime che nei momenti di crisi come l’attuale i cubani usano più come carta igienica che come fonte informativa.
Vende anche una sorta di caffè che, giura lei, fa con una moka italiana regalatale da una coppia di bergamaschi ma, alla terza tazzina bevuta senza riuscire a risvegliarsi dal torpore di questa torrida estate habanera, ti confessa che al posto della miscela ci aggiunge il 50 per cento di ceci tostati. Risultato? Il sapore somiglia a un nostro caffè lungo ma intanto non ti svegli e poi è come bere una feijoada liquida, con tutte le conseguenze del caso. Edenita è una delle migliaia di cuentapropistas (quelli che in Italia chiameremmo il popolo delle partite Iva) ed è furente perché tartassata dal governo con una tassazione elevatissima a prescindere dai reali guadagni.
Che i cubani abbiano perso la paura di protestare lo ha capito persino il primo presidente che non fa Castro di cognome da 60 anni, Miguel Díaz-Canel. In visita a un quartiere colpito da un tornado a fine gennaio, è stato costretto velocemente alla ritirata con la coda tra le gambe perché fischiato dalla popolazione locale, stipata in aree che se fossimo in un altro Paese da tempo i media chiamerebbero favelas. Solo che siamo a Cuba e non è politicamente corretto per gli intellettuali scrivere che senza le rimesse dall’estero qui i poveri sarebbero l’80 per cento della popolazione.
Del resto c’è poco da fare, se si nasconde tutto dietro a un’ideologia stantia il risultato è questo: case pericolanti, tubature che perdono acqua, code infinite per acquistare pane, uova, pollo, olio e medicine. Persino per il pesce, che in un’isola dei Caraibi dovrebbe essere l’alimento più a portata di mano. Questo in teoria. Invece il governo «controlla» e «libera» la vendita pure delle sardine, garantendo un pesce per tre persone con la libreta, la tessera annonaria. «C’è bisogno di una vera operazione chirurgica visto che con i 30 centimetri di pesce che ci è toccato in sorte dobbiamo mangiarci io, mio marito e qualcosa deve restare per Toti, il nostro gatto» ironizza Yoani Sánchez, altra giornalista indipendente che grazie al Web è diventata una celebrità raccontando al mondo la surreale quotidianità dei cubani.
«Sembra che debbano partire per la guerra in Venezuela». Bruno è un turista italiano che, da oltre trent’anni, trascorre a Cuba almeno due mesi l’anno e descrive così la mobilitazione che da inizio 2019 il regime ha dispiegato con tutto il suo apparato di propaganda. Scolaresche delle elementari vengono fatte sfilare ogni mattina nel centro dell’Avana, al pari dei funzionari statali per confermare il più classico Socialismo o muerte!, lo slogan castrista fatto suo da Hugo Chávez. Il problema è che da gennaio Donald Trump ha rafforzato l’embargo contro Caracas e senza il petrolio venezuelano, oltre alla mancanza d’acqua e al razionamento alimentare per il popolo, sono tornati anche i «blackout programmati». Come dopo il crollo dell’impero sovietico in quello che i cubani ancora oggi ricordano con terrore come il periodo especial.
«Ci toglievano la corrente fino a tre giorni di fila e ci si doveva ingegnare. Poi al terzo giorno, quando tornava la luce si sentivano dappertutto grida di gioia perché “finalmente” era ricomparsa», ricorda Cristian Crespo, attivista per i diritti umani. «Questa è la classica gestione comunista di un servizio di base»aggiunge «la stessa modalità che c’è per cibo, medicine e il resto. La luce tornava pochi minuti prima della messa in onda della telenovela brasiliana, allora il massimo dello svago per il cubano medio». Oggi però c’è la Rete e le soap verde-oro non calamitano più i giovani. Loro aspettano che Raúl e i suoi generali «trapassino».
Redditi bassi, prezzi dei beni alle stelle, razionamenti. Nell'avamposto socialista la vita è sempre più complicata
«E' solo una questione anagrafica perché a Cuba crolli la dittatura: bisogna attendere che trapassino gli ultimi reduci della revolución che prese il potere il 1 gennaio del 1959». Questa frase «off the record» di un ambasciatore italiano d’alto rango è oramai un leitmotiv all’Avana. «Devono solo morire Raúl Castro e i suoi generali e poi, inevitabilmente, le cose miglioreranno anche qui» gli fa eco Douglas, giovane autista di uno scassatissimo taxi mentre porta chi scrive a zonzo per l’Avana Vecchia, il centro storico, che «sembra la Germania del Secondo dopoguerra per colpa dei pazzi che ci governano da 60 anni».
Come definire se non «pazza» la proposta fatta dal generale Leopoldo Cintra Frías, ministro delle Forze armate rivoluzionarie, che alla tv di Stato ha consigliato ai suoi connazionali di mangiare jutía - un roditore indigeno del Caribe - coccodrilli e struzzi? «La jutía ha più proteine di tutti gli altri tipi di carne, compresa quella bovina e per giunta ha una pelle di altissima qualità» ha affermato il braccio destro di Raúl, invitando i cubani ad allevare questa sorta di nutria per poi aggiungere che «lo struzzo produce più delle vacche». Ovviamente tutti i giovani dell’isola caraibica hanno sbertucciato via social questo 77enne «eroe della revolución».
Il problema vero è che alle promesse del regime non crede più nessuno e la vita è in povertà per chi guadagna al mese un salario statale da 30 dollari, con prezzi che sono la metà di quelli italiani e una tessera annonaria che può garantire alimenti a una famiglia per appena una settimana. Senza rimesse dall’estero in dollari o euro è impossibile vivere, e con queste si sopravvive a stento. Il risultato? Quello di sempre nei regimi comunisti, ovvero file interminabili ma, sempre più spesso, anche proteste. L’ultima a giugno è stata una manifestazione per chiedere acqua davanti al vecchio Palazzo delle Orsoline vicino al mercado Egido, a pochi passi dalla prima sede del governo di Fidel Castro, il Capitolio. La gente ha bloccato il traffico, è intervenuta la polizia ma almeno all’inizio non ci sono stati arresti, una rarità da queste parti. «Sono quasi venti giorni che siamo senz’acqua, siamo stanchi» racconta esasperata una signora di mezza età «qui ci sono anziani, bambini malati sotto un sole cocente e invece di mandare camion cisterne il governo non fa nulla!». Intanto una giovane la filma col cellulare e il giornalista dissidente Yusnaby Pérez riversa su Facebook il video, ottenendo in breve tempo migliaia di visualizzazioni.
«Qui si fa la fila per tutto» protesta Miguel, che da anni ospita nella sua casa particular (bed and breakfast) turisti che arrivano da tutto il mondo, affascinati da una città che è ferma a fine Anni 50. A maggio, per esempio, nella provincia di Santa Clara è sbarcato l’olio di semi: «Mancava da tempo immemorabile, subito si è sparsa la voce e la gente si è azzuffata perché se arrivi tardi finisce e poi tocca aspettare un altro mese per friggere il pesce» spiega Edenita, vecchia proprietaria di un baracchino in cui vende dai dolciumi a una sorta di imitazione di onion rings in versione casereccia, cipolle fritte avvolte nella carta del Granma, il quotidiano di regime che nei momenti di crisi come l’attuale i cubani usano più come carta igienica che come fonte informativa.
Vende anche una sorta di caffè che, giura lei, fa con una moka italiana regalatale da una coppia di bergamaschi ma, alla terza tazzina bevuta senza riuscire a risvegliarsi dal torpore di questa torrida estate habanera, ti confessa che al posto della miscela ci aggiunge il 50 per cento di ceci tostati. Risultato? Il sapore somiglia a un nostro caffè lungo ma intanto non ti svegli e poi è come bere una feijoada liquida, con tutte le conseguenze del caso. Edenita è una delle migliaia di cuentapropistas (quelli che in Italia chiameremmo il popolo delle partite Iva) ed è furente perché tartassata dal governo con una tassazione elevatissima a prescindere dai reali guadagni.
Che i cubani abbiano perso la paura di protestare lo ha capito persino il primo presidente che non fa Castro di cognome da 60 anni, Miguel Díaz-Canel. In visita a un quartiere colpito da un tornado a fine gennaio, è stato costretto velocemente alla ritirata con la coda tra le gambe perché fischiato dalla popolazione locale, stipata in aree che se fossimo in un altro Paese da tempo i media chiamerebbero favelas. Solo che siamo a Cuba e non è politicamente corretto per gli intellettuali scrivere che senza le rimesse dall’estero qui i poveri sarebbero l’80 per cento della popolazione.
Del resto c’è poco da fare, se si nasconde tutto dietro a un’ideologia stantia il risultato è questo: case pericolanti, tubature che perdono acqua, code infinite per acquistare pane, uova, pollo, olio e medicine. Persino per il pesce, che in un’isola dei Caraibi dovrebbe essere l’alimento più a portata di mano. Questo in teoria. Invece il governo «controlla» e «libera» la vendita pure delle sardine, garantendo un pesce per tre persone con la libreta, la tessera annonaria. «C’è bisogno di una vera operazione chirurgica visto che con i 30 centimetri di pesce che ci è toccato in sorte dobbiamo mangiarci io, mio marito e qualcosa deve restare per Toti, il nostro gatto» ironizza Yoani Sánchez, altra giornalista indipendente che grazie al Web è diventata una celebrità raccontando al mondo la surreale quotidianità dei cubani.
«Sembra che debbano partire per la guerra in Venezuela». Bruno è un turista italiano che, da oltre trent’anni, trascorre a Cuba almeno due mesi l’anno e descrive così la mobilitazione che da inizio 2019 il regime ha dispiegato con tutto il suo apparato di propaganda. Scolaresche delle elementari vengono fatte sfilare ogni mattina nel centro dell’Avana, al pari dei funzionari statali per confermare il più classico Socialismo o muerte!, lo slogan castrista fatto suo da Hugo Chávez. Il problema è che da gennaio Donald Trump ha rafforzato l’embargo contro Caracas e senza il petrolio venezuelano, oltre alla mancanza d’acqua e al razionamento alimentare per il popolo, sono tornati anche i «blackout programmati». Come dopo il crollo dell’impero sovietico in quello che i cubani ancora oggi ricordano con terrore come il periodo especial.
«Ci toglievano la corrente fino a tre giorni di fila e ci si doveva ingegnare. Poi al terzo giorno, quando tornava la luce si sentivano dappertutto grida di gioia perché “finalmente” era ricomparsa», ricorda Cristian Crespo, attivista per i diritti umani. «Questa è la classica gestione comunista di un servizio di base»aggiunge «la stessa modalità che c’è per cibo, medicine e il resto. La luce tornava pochi minuti prima della messa in onda della telenovela brasiliana, allora il massimo dello svago per il cubano medio». Oggi però c’è la Rete e le soap verde-oro non calamitano più i giovani. Loro aspettano che Raúl e i suoi generali «trapassino».
21/5/2019
La grande rapina del secolo
La grande rapina del secolo
Nonostante le sanzioni imposte dagli Stati Uniti, il Venezuela è stato in grado di vendere 570 milioni di dollari in oro dalle riserve della Banca Centrale.
Il Venezuela ha venduto 570 milioni di dollari in riserve auree della Banca Centrale nelle ultime due settimane, evitando le sanzioni del Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti progettato per congelare i beni dell'Amministrazione venezuelana guidata dal Presidente Nicolas Maduro, ha riferito, ieri, il portale Bloomberg.
Il rapporto ha riferito che il paese bolivariano ha venduto circa 9,7 tonnellate di oro il 10 maggio e 4 tonnellate supplementari tre giorni dopo e i ricavi saranno utilizzati in parte per finanziare le importazioni attraverso l'ufficio del commercio estero.
Da aprile, il paese bolivariano ha venduto 23 tonnellate d'oro.
Lo stesso mese di aprile, l'Office of Control of Foreign Assets, OFAC, del Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti ha includeso la Banca Centrale del Venezuela nella sua lista di entità sanzionate.
Sebbene le sanzioni mirino a soffocare l'economia venezuelana, il paese caraibico ha venduto oro a società straniere, tra cui la Turchia e gli Emirati Arabi Uniti (EAU).
L'oro è attualmente la maggior parte delle riserve del Venezuela, almeno 1 miliardo e 200 milioni di dollari di questo metallo prezioso è depositato nella Bank of England, che recentemente ha bloccato i ripetuti tentativi di Maduro di ritirarlo.
Il Venezuela ha venduto 570 milioni di dollari in riserve auree della Banca Centrale nelle ultime due settimane, evitando le sanzioni del Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti progettato per congelare i beni dell'Amministrazione venezuelana guidata dal Presidente Nicolas Maduro, ha riferito, ieri, il portale Bloomberg.
Il rapporto ha riferito che il paese bolivariano ha venduto circa 9,7 tonnellate di oro il 10 maggio e 4 tonnellate supplementari tre giorni dopo e i ricavi saranno utilizzati in parte per finanziare le importazioni attraverso l'ufficio del commercio estero.
Da aprile, il paese bolivariano ha venduto 23 tonnellate d'oro.
Lo stesso mese di aprile, l'Office of Control of Foreign Assets, OFAC, del Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti ha includeso la Banca Centrale del Venezuela nella sua lista di entità sanzionate.
Sebbene le sanzioni mirino a soffocare l'economia venezuelana, il paese caraibico ha venduto oro a società straniere, tra cui la Turchia e gli Emirati Arabi Uniti (EAU).
L'oro è attualmente la maggior parte delle riserve del Venezuela, almeno 1 miliardo e 200 milioni di dollari di questo metallo prezioso è depositato nella Bank of England, che recentemente ha bloccato i ripetuti tentativi di Maduro di ritirarlo.
7/5/2019
Il Venezuela sempre più coinvolto nel narcotraffico
Il Venezuela sempre più coinvolto nel narcotraffico
Brad Johnson è un ex funzionario veterano ed ex capo della stazione per operazioni della Cia, ora in pensione. È presidente della Americans for Intelligence Reform.
Una recente inchiesta della Cnn ha rivelato come il Paese del presidente Maduro sia sempre più profondamente coinvolto nel narcotraffico.
Il Venezuela, in quanto regime socialista, è piuttosto a suo agio nel traffico di cocaina; inoltre si sente giustificato a farlo sia a causa delle sanzioni imposte, che danneggiano la sua capacità di avere una moneta forte e sia perché in questo modo ha uno strumento di contrattacco nei confronti degli Stati Uniti.
Questa strategia denominata «guerra asimmetrica» è stata messa a punto da uno dei principali responsabili dell‘instaurazione del regime socialista in Venezuela, Hugo Chávez.
Nella visione di Chávez gli Stati Uniti erano il grande nemico da abbattere, ma il leader socialista era consapevole che il Venezuela non sarebbe stato capace di affrontare gli Usa in uno scontro diretto, perciò ha adottato la guerra asimmetrica come strategia di attacco indiretta; infatti agevolare il traffico di cocaina e altre droghe, oltre che rovinare una larga fetta della popolazione giovanile americana, fa perdere agli Usa enormi risorse per il trattamento dei tossicodipendenti, per la formulazione di leggi e per i centri di detenzione volti ad arginare il problema.
L’esempio di Cuba
Il Venezuela non è il primo Paese socialista vicino agli Stati Uniti e coinvolto nel narcotraffico. Già negli anni ’80, nei giorni da cowboy della cocaina di Pablo Escobar e del cartello di Medellin, la Colombia e Cuba fecero esattamente la stessa cosa: coinvolsero i loro Paesi nel narcotraffico per ottenere una certa quantità di valuta forte e aggirare le sanzioni statunitensi, proprio come hanno fatto i venezuelani più recentemente.
Al tempo si potevano vedere tantissime foto dall’alto che mostravano i motoscafi che trasportavano la cocaina intorno alle spiagge più isolate di Cuba. Le fotografie a infrarossi hanno mostrato che gli aerei portavano continuamente la cocaina dalla Colombia a Cuba.
Tutte queste azioni, una volta rivelate al pubblico, hanno causato particolari problemi all’uomo che deteneva il potere nella Cuba socialista, il famoso Fidel Castro, che spesso viaggiava in tutto il mondo senza problemi, persino negli Stati Uniti, o si recava a parlare all’Onu.
Dopo le rivelazioni, Castro è stato incluso nel novero dei narcotrafficanti ed è stato isolato sempre più, tanto da perdere in seguito il coraggio di lasciare la sua isola-fortezza. Perciò, a mente fredda, ha trovato una soluzione pratica: il 13 luglio 1989, ha condannato a morte con l’accusa di narcotraffico il generale delle squadre d’assalto Arnaldo Ochoa, il colonnello del Ministero degli Interni Antonio de la Guardia e i loro più stretti collaboratori: il capitano Jorge Martinez e il maggiore Amado Padrón.
Dopo l’esecuzione, Castro ha potuto dichiarare che i colpevoli erano stati puniti, pensando anche di aver dimostrato la propria innocenza. In realtà, la morte di Ochoa, che era una figura popolare a Cuba, in quanto considerato un eroe nazionale e molto rispettato dall’esercito, è stata di grande aiuto nell’eliminare un potenziale rivale di Castro, la cui strategia è sempre stata una sola: mantenere il potere assoluto e indiscusso dell’isola.
La sinistra negli Stati uniti ha sostenuto che Castro non fosse coinvolto, né che fosse a conoscenza del narcotraffico. Ma è assolutamente assurdo credere che milioni di dollari di valuta forte, così difficile da trovare nell’isola, che hanno iniettato energia all’intera economia di Cuba, siano stati immessi nel mercato locale senza che nessuno (al potere) se ne accorgesse, e questo in una piccola isola di 10 milioni di abitanti strettamente controllati da un dittatore indiscusso.
Come ha detto una volta la stessa Hillary Clinton, perché qualcuno sostenga una tale conclusione sarebbe necessaria una «sospensione intenzionale dello scetticismo».
Si può notare che l’idea della guerra asimmetrica è precisamente quella che la Russia sta usando con successo contro gli Stati Uniti in questo momento. L’intelligence russa sta usando i ‘burattini’ volontari nel Partito Democratico per seminare discordia e caos diffondendo fraudolentemente sospetti sull’elezione del presidente Donald Trump, affermando che sia stata in qualche maniera illegittima.
C’è anche un aspetto del narcotraffico venezuelano che è particolarmente interessante e deve ancora essere spiegato correttamente.
Gli aerei distrutti
Come è noto l’aereo bimotore e altri piccoli aerei sono stati usati per decenni per trasportare la cocaina in diversi luoghi e Paesi in modo che possano essere introdotti di contrabbando negli Stati Uniti. La novità è che i trafficanti venezuelani bruciano o distruggono gli aerei dopo un solo utilizzo per il trasporto di cocaina dall’Honduras verso gli Stati Uniti.
La spiegazione suggerita dai media è che che il business della cocaina è così lucrativo da giustificare un comportamento del genere. Tuttavia non sembra essere questo il motivo.
La cocaina è sempre stata il mezzo preferito (dai fuorilegge) per generare un’enorme quantità di denaro, tanto che i trafficanti potrebbero davvero distruggere ogni singolo aereo dopo un solo viaggio; tuttavia questo non è mai successo nella storia.
Non c’è nessun vantaggio nell’agire così.
Secondo un’inchiesta della Cnn il Venezuela sta aumentando enormemente il suo coinvolgimento nel narcotraffico, tanto che ora ci sono voli quasi giornalieri per il trasporto di cocaina, e aumentano giorno dopo giorno. Chiunque sostenga che l’uomo al potere del Venezuela, Nicolas Maduro, non sia consapevole o coinvolto nel narcotraffico è mal informato o sta coprendo il regime socialista del Paese.
Questa realtà è abbondantemente resa chiara dal fatto che più di 300 aerei sono stati usati dal Venezuela e distrutti in Honduras. Questi aerei sono stati importati da qualche parte fuori dal Venezuela e sarebbe alquanto insensato suggerire che centinaia di piccoli aerei siano stati portati in Venezuela senza che la dittatura militare del Paese al potere se ne fosse accorta.
Gli Stati Uniti sono pienamente coscienti del problema e hanno accusato vari funzionari venezuelani per il traffico di droga, incluso Diosdado Cabello, il comandante in seconda di Maduro.
L’interessante domanda comunque rimane: «Perché i Venezuelani bruciano e distruggono gli aerei usati per portare la cocaina, e da dove vengono gli aerei che li rimpiazzano?».
Come molti sanno, il regime socialista venezuelano ha preso il potere contro la volontà del proprio popolo con l’aiuto di Cuba, Iran, Cina e Russia. A questo punto è necessario farsi delle legittime domande: ‘Gli aerei vengono forse distrutti per nascondere il coinvolgimento del governo venezuelano e la loro provenienza?’ E inoltre: ‘Cuba, Iran, Cina e Russia sono coinvolte nella fornitura di aerei?’.
Una recente inchiesta della Cnn ha rivelato come il Paese del presidente Maduro sia sempre più profondamente coinvolto nel narcotraffico.
Il Venezuela, in quanto regime socialista, è piuttosto a suo agio nel traffico di cocaina; inoltre si sente giustificato a farlo sia a causa delle sanzioni imposte, che danneggiano la sua capacità di avere una moneta forte e sia perché in questo modo ha uno strumento di contrattacco nei confronti degli Stati Uniti.
Questa strategia denominata «guerra asimmetrica» è stata messa a punto da uno dei principali responsabili dell‘instaurazione del regime socialista in Venezuela, Hugo Chávez.
Nella visione di Chávez gli Stati Uniti erano il grande nemico da abbattere, ma il leader socialista era consapevole che il Venezuela non sarebbe stato capace di affrontare gli Usa in uno scontro diretto, perciò ha adottato la guerra asimmetrica come strategia di attacco indiretta; infatti agevolare il traffico di cocaina e altre droghe, oltre che rovinare una larga fetta della popolazione giovanile americana, fa perdere agli Usa enormi risorse per il trattamento dei tossicodipendenti, per la formulazione di leggi e per i centri di detenzione volti ad arginare il problema.
L’esempio di Cuba
Il Venezuela non è il primo Paese socialista vicino agli Stati Uniti e coinvolto nel narcotraffico. Già negli anni ’80, nei giorni da cowboy della cocaina di Pablo Escobar e del cartello di Medellin, la Colombia e Cuba fecero esattamente la stessa cosa: coinvolsero i loro Paesi nel narcotraffico per ottenere una certa quantità di valuta forte e aggirare le sanzioni statunitensi, proprio come hanno fatto i venezuelani più recentemente.
Al tempo si potevano vedere tantissime foto dall’alto che mostravano i motoscafi che trasportavano la cocaina intorno alle spiagge più isolate di Cuba. Le fotografie a infrarossi hanno mostrato che gli aerei portavano continuamente la cocaina dalla Colombia a Cuba.
Tutte queste azioni, una volta rivelate al pubblico, hanno causato particolari problemi all’uomo che deteneva il potere nella Cuba socialista, il famoso Fidel Castro, che spesso viaggiava in tutto il mondo senza problemi, persino negli Stati Uniti, o si recava a parlare all’Onu.
Dopo le rivelazioni, Castro è stato incluso nel novero dei narcotrafficanti ed è stato isolato sempre più, tanto da perdere in seguito il coraggio di lasciare la sua isola-fortezza. Perciò, a mente fredda, ha trovato una soluzione pratica: il 13 luglio 1989, ha condannato a morte con l’accusa di narcotraffico il generale delle squadre d’assalto Arnaldo Ochoa, il colonnello del Ministero degli Interni Antonio de la Guardia e i loro più stretti collaboratori: il capitano Jorge Martinez e il maggiore Amado Padrón.
Dopo l’esecuzione, Castro ha potuto dichiarare che i colpevoli erano stati puniti, pensando anche di aver dimostrato la propria innocenza. In realtà, la morte di Ochoa, che era una figura popolare a Cuba, in quanto considerato un eroe nazionale e molto rispettato dall’esercito, è stata di grande aiuto nell’eliminare un potenziale rivale di Castro, la cui strategia è sempre stata una sola: mantenere il potere assoluto e indiscusso dell’isola.
La sinistra negli Stati uniti ha sostenuto che Castro non fosse coinvolto, né che fosse a conoscenza del narcotraffico. Ma è assolutamente assurdo credere che milioni di dollari di valuta forte, così difficile da trovare nell’isola, che hanno iniettato energia all’intera economia di Cuba, siano stati immessi nel mercato locale senza che nessuno (al potere) se ne accorgesse, e questo in una piccola isola di 10 milioni di abitanti strettamente controllati da un dittatore indiscusso.
Come ha detto una volta la stessa Hillary Clinton, perché qualcuno sostenga una tale conclusione sarebbe necessaria una «sospensione intenzionale dello scetticismo».
Si può notare che l’idea della guerra asimmetrica è precisamente quella che la Russia sta usando con successo contro gli Stati Uniti in questo momento. L’intelligence russa sta usando i ‘burattini’ volontari nel Partito Democratico per seminare discordia e caos diffondendo fraudolentemente sospetti sull’elezione del presidente Donald Trump, affermando che sia stata in qualche maniera illegittima.
C’è anche un aspetto del narcotraffico venezuelano che è particolarmente interessante e deve ancora essere spiegato correttamente.
Gli aerei distrutti
Come è noto l’aereo bimotore e altri piccoli aerei sono stati usati per decenni per trasportare la cocaina in diversi luoghi e Paesi in modo che possano essere introdotti di contrabbando negli Stati Uniti. La novità è che i trafficanti venezuelani bruciano o distruggono gli aerei dopo un solo utilizzo per il trasporto di cocaina dall’Honduras verso gli Stati Uniti.
La spiegazione suggerita dai media è che che il business della cocaina è così lucrativo da giustificare un comportamento del genere. Tuttavia non sembra essere questo il motivo.
La cocaina è sempre stata il mezzo preferito (dai fuorilegge) per generare un’enorme quantità di denaro, tanto che i trafficanti potrebbero davvero distruggere ogni singolo aereo dopo un solo viaggio; tuttavia questo non è mai successo nella storia.
Non c’è nessun vantaggio nell’agire così.
Secondo un’inchiesta della Cnn il Venezuela sta aumentando enormemente il suo coinvolgimento nel narcotraffico, tanto che ora ci sono voli quasi giornalieri per il trasporto di cocaina, e aumentano giorno dopo giorno. Chiunque sostenga che l’uomo al potere del Venezuela, Nicolas Maduro, non sia consapevole o coinvolto nel narcotraffico è mal informato o sta coprendo il regime socialista del Paese.
Questa realtà è abbondantemente resa chiara dal fatto che più di 300 aerei sono stati usati dal Venezuela e distrutti in Honduras. Questi aerei sono stati importati da qualche parte fuori dal Venezuela e sarebbe alquanto insensato suggerire che centinaia di piccoli aerei siano stati portati in Venezuela senza che la dittatura militare del Paese al potere se ne fosse accorta.
Gli Stati Uniti sono pienamente coscienti del problema e hanno accusato vari funzionari venezuelani per il traffico di droga, incluso Diosdado Cabello, il comandante in seconda di Maduro.
L’interessante domanda comunque rimane: «Perché i Venezuelani bruciano e distruggono gli aerei usati per portare la cocaina, e da dove vengono gli aerei che li rimpiazzano?».
Come molti sanno, il regime socialista venezuelano ha preso il potere contro la volontà del proprio popolo con l’aiuto di Cuba, Iran, Cina e Russia. A questo punto è necessario farsi delle legittime domande: ‘Gli aerei vengono forse distrutti per nascondere il coinvolgimento del governo venezuelano e la loro provenienza?’ E inoltre: ‘Cuba, Iran, Cina e Russia sono coinvolte nella fornitura di aerei?’.
5/5/2019
Cuba, dal sogno della super-vacca alla carne di struzzo.
Cuba, dal sogno della super-vacca alla carne di struzzo.
Dunque, perché le molto austere ed indubbiamente benintenzionate parole del “comandante della rivoluzione”, Guillermo García Frías – uno dei non molti sopravvissuti, ormai, della gloriosa saga della Sierra Maestra – sono finite sepolte sotto una valanga di frizzi, lazzi, sberleffi e spernacchiate varie, tanto nella tradizionale forma di “radio-bemba”, radio labbra (ovvero, della barzelletta trasmessa di bocca in bocca), quanto in quella, modernissima, dei meme? E in che modo questi frizzi, lazzi, sberleffi e spernacchiate vanno preannunciando, come mosche cocchiere, l’imminente arrivo dei tempi duri d’un nuovo “periodo especial”? Le ragioni partono da lontano – da prima della rivoluzione castrista per molti aspetti – e percorrono, in ogni suo anfratto, tutta la storia alimentare (quella carnivora, in particolare) della Cuba castrista.
Narrano infatti le cifre riportate dall’Anuario Estadistico de Cuba come, nell’anno del signore 1958 – quello che, poco prima della mezzanotte del suo ultimo giorno, avrebbe visto la fuga del tiranno Fulgencio Batista – i capi di bestiame fossero, nell’isola, qualcosina più d’uno per ciascuno dei sei milioni d’abitanti d’allora. Più esattamente: 6.325.000, dei quali 940.000 erano vacche da latte, più che sufficienti per garantire – garantire, va da sé, “statisticamente”, in una situazione di grandi diseguaglianze economico-sociali – tutta la carne ed i prodotti caseari di cui il paese aveva bisogno.
Già nel 1989, alle soglie del primo “periodo speciale”, quel rapporto s’era tuttavia ridotto a 1 a 2, in una situazione nella quale la carne – in particolare quella di vitello e quella di maiale, le più tradizionalmente bramate dai cubani – era indubbiamente, rispetto al passato, molto più equamente distribuita tra la popolazione. Cosa, questa, non particolarmente complessa, visto che, a conti fatti, si trattava di redistribuire il nulla, essendo la carne di vitello e di maiale già in quegli anni reperibile, in pratica, solo nei ristoranti o nei mercati riservati, in una logica di vero e proprio apartheid, ai turisti stranieri. Undici anni più tardi, iniziato il nuovo millennio e superate le forche caudine del primo periodo speciale, quel rapporto era diventato di 1 ogni 3. E tale è ancor oggi, mentre il “periodo especial 2.0” bussa alla porta. In tutto il settore agroalimentare, Cuba produce oggi – non solo in termini relativi, ma in termini assoluti – molto meno di quel che produceva prima della rivoluzione.
Le ragioni di questo disastro? La versione ufficiale vuole, ovviamente, che tanta scarsità – contrapposta alla diseguale abbondanza dei tempi pre-rivoluzione – non sia che il riflesso d’una gloriosa lotta di resistenza all’assedio dell’Impero del Nord. E va da sé che, se valutata in senso lato (molto lato) non si tratta affatto (o soltanto) d’una invenzione propagandistica. L’assedio è, infatti, non “una” realtà, ma, per molti aspetti, “la” realtà della storia della Cuba castrista. E tuttavia molto reali, anzi molto più reali e visibili, molto più dirette ed incriminanti – laddove di delitti contro la disponibilità di carne, latte ed alimenti in genere si tratta – sono le impronte digitali ovunque lasciate da quello che, del regime castrista, è stato un elemento fondante: il culto della personalità. E, più specificamente: della pretesa ed incontestabile onniscienza – in ogni campo, ma in particolare in quello agricolo-alimentare – dell’indiscusso “líder máximo”, Fidel Castro Ruz. Ovvero: del lato più oscuro – tragicomico, come tragicomico è, in ultima analisi, ogni culto della personalità – d’un personaggio che, pure, è senza dubbio annoverabile tra i più significativi leader politici del XX secolo.
La carne di struzzo e di jutía conga osannata giorni fa durante la “Mesa redonda” dall’attempato generale García Frías, è entrata nelle mente del “cubano de a pie”, dell’uomo della strada, come, per l’appunto, l’ultimo atto d’una lunga storia, grandiosa e ridicola al tempo stesso, lungo la quale s’incontrano, in una forse unica miscela di titanica utopia e di dispotica saccenteria, tutti i rovinosi relitti di idee mirabolanti ed immancabilmente svanite nel nulla della propria grandeur. C’è, alla base di tutto, la realtà d’una riforma agraria basata sulla collettivizzazione delle terre (contro, tra l’altro, quello ch’era il programma originale del movimento rivoluzionario). C’è l’epica – ed epicamente fallimentare – storia della “zafra dei 10 milioni” nel 1970. Così come ancor prima, nel 1968, c’era stata – sempre partorita dall’insindacabile mente di Fidel – la storia del “cordón de la Habana” che, nel tentativo di coltivare in pianura, nelle periferia della capitale, il “caffè caturra” (una variante dell’arabica), distrusse gran parte dell’esistente produzione di frutta. Ci sono, sparse ovunque, le reliquie della volontà di creare – un costosissimo pallino, questo, del “comandante en jefe” – una nuova e superlativa razza bovina in grado, non solo di soddisfare la domanda interna di latte e carne, ma di trasformare Cuba in una planetaria potenza casearia.
Alla fine di questa storia, ci sono, di nuovo, il “picadillo extendido” e il “bistec de toronja”, molto cubana variante di quella che, da altre parti, si chiama “fame”. C’è l’osanna ad una carne di struzzo e di jutía conga che mai arriverà sulle tavole del cubano qualunque. E c’è un monumento che è anche, probabilmente, la più nitida metafora della Cuba castrista, della sua grandezza e della sua miseria: quello, scolpito nel marmo, che a Gerona, nella Isla de la Juventud, è stato dedicato a Ubre Blanca (mammella bianca), la vacca – un incrocio, da Fidel concepito, tra la razza Holstein, ubertosa figlia delle valli svizzere, e la razza Cebú, originaria delle aride pianure africane – che, a cavallo tra gli anni 70, frantumò, uno dopo l’altro, tutti i record mondiali di produzione di latte. Per poi andarsene senza eredi – probabilmente uccisa da un cancro causato dagli esperimenti genetici di cui era il frutto – lasciandosi alle spalle un paese nel quale il latte disponibile era (e continua ad essere) meno della metà di quello prodotto prima della rivoluzione (qui tutta la storia in italiano).
Sta dunque andando, Cuba, verso una Ubre Blanca con piume? O, per uscir di metafora, stanno tornando i più duri dei tempi duri? Pare di sì. E di questo – proprio perché non c’è niente da ridere – Cuba già ha cominciato a sghignazzare disperata.
Narrano infatti le cifre riportate dall’Anuario Estadistico de Cuba come, nell’anno del signore 1958 – quello che, poco prima della mezzanotte del suo ultimo giorno, avrebbe visto la fuga del tiranno Fulgencio Batista – i capi di bestiame fossero, nell’isola, qualcosina più d’uno per ciascuno dei sei milioni d’abitanti d’allora. Più esattamente: 6.325.000, dei quali 940.000 erano vacche da latte, più che sufficienti per garantire – garantire, va da sé, “statisticamente”, in una situazione di grandi diseguaglianze economico-sociali – tutta la carne ed i prodotti caseari di cui il paese aveva bisogno.
Già nel 1989, alle soglie del primo “periodo speciale”, quel rapporto s’era tuttavia ridotto a 1 a 2, in una situazione nella quale la carne – in particolare quella di vitello e quella di maiale, le più tradizionalmente bramate dai cubani – era indubbiamente, rispetto al passato, molto più equamente distribuita tra la popolazione. Cosa, questa, non particolarmente complessa, visto che, a conti fatti, si trattava di redistribuire il nulla, essendo la carne di vitello e di maiale già in quegli anni reperibile, in pratica, solo nei ristoranti o nei mercati riservati, in una logica di vero e proprio apartheid, ai turisti stranieri. Undici anni più tardi, iniziato il nuovo millennio e superate le forche caudine del primo periodo speciale, quel rapporto era diventato di 1 ogni 3. E tale è ancor oggi, mentre il “periodo especial 2.0” bussa alla porta. In tutto il settore agroalimentare, Cuba produce oggi – non solo in termini relativi, ma in termini assoluti – molto meno di quel che produceva prima della rivoluzione.
Le ragioni di questo disastro? La versione ufficiale vuole, ovviamente, che tanta scarsità – contrapposta alla diseguale abbondanza dei tempi pre-rivoluzione – non sia che il riflesso d’una gloriosa lotta di resistenza all’assedio dell’Impero del Nord. E va da sé che, se valutata in senso lato (molto lato) non si tratta affatto (o soltanto) d’una invenzione propagandistica. L’assedio è, infatti, non “una” realtà, ma, per molti aspetti, “la” realtà della storia della Cuba castrista. E tuttavia molto reali, anzi molto più reali e visibili, molto più dirette ed incriminanti – laddove di delitti contro la disponibilità di carne, latte ed alimenti in genere si tratta – sono le impronte digitali ovunque lasciate da quello che, del regime castrista, è stato un elemento fondante: il culto della personalità. E, più specificamente: della pretesa ed incontestabile onniscienza – in ogni campo, ma in particolare in quello agricolo-alimentare – dell’indiscusso “líder máximo”, Fidel Castro Ruz. Ovvero: del lato più oscuro – tragicomico, come tragicomico è, in ultima analisi, ogni culto della personalità – d’un personaggio che, pure, è senza dubbio annoverabile tra i più significativi leader politici del XX secolo.
La carne di struzzo e di jutía conga osannata giorni fa durante la “Mesa redonda” dall’attempato generale García Frías, è entrata nelle mente del “cubano de a pie”, dell’uomo della strada, come, per l’appunto, l’ultimo atto d’una lunga storia, grandiosa e ridicola al tempo stesso, lungo la quale s’incontrano, in una forse unica miscela di titanica utopia e di dispotica saccenteria, tutti i rovinosi relitti di idee mirabolanti ed immancabilmente svanite nel nulla della propria grandeur. C’è, alla base di tutto, la realtà d’una riforma agraria basata sulla collettivizzazione delle terre (contro, tra l’altro, quello ch’era il programma originale del movimento rivoluzionario). C’è l’epica – ed epicamente fallimentare – storia della “zafra dei 10 milioni” nel 1970. Così come ancor prima, nel 1968, c’era stata – sempre partorita dall’insindacabile mente di Fidel – la storia del “cordón de la Habana” che, nel tentativo di coltivare in pianura, nelle periferia della capitale, il “caffè caturra” (una variante dell’arabica), distrusse gran parte dell’esistente produzione di frutta. Ci sono, sparse ovunque, le reliquie della volontà di creare – un costosissimo pallino, questo, del “comandante en jefe” – una nuova e superlativa razza bovina in grado, non solo di soddisfare la domanda interna di latte e carne, ma di trasformare Cuba in una planetaria potenza casearia.
Alla fine di questa storia, ci sono, di nuovo, il “picadillo extendido” e il “bistec de toronja”, molto cubana variante di quella che, da altre parti, si chiama “fame”. C’è l’osanna ad una carne di struzzo e di jutía conga che mai arriverà sulle tavole del cubano qualunque. E c’è un monumento che è anche, probabilmente, la più nitida metafora della Cuba castrista, della sua grandezza e della sua miseria: quello, scolpito nel marmo, che a Gerona, nella Isla de la Juventud, è stato dedicato a Ubre Blanca (mammella bianca), la vacca – un incrocio, da Fidel concepito, tra la razza Holstein, ubertosa figlia delle valli svizzere, e la razza Cebú, originaria delle aride pianure africane – che, a cavallo tra gli anni 70, frantumò, uno dopo l’altro, tutti i record mondiali di produzione di latte. Per poi andarsene senza eredi – probabilmente uccisa da un cancro causato dagli esperimenti genetici di cui era il frutto – lasciandosi alle spalle un paese nel quale il latte disponibile era (e continua ad essere) meno della metà di quello prodotto prima della rivoluzione (qui tutta la storia in italiano).
Sta dunque andando, Cuba, verso una Ubre Blanca con piume? O, per uscir di metafora, stanno tornando i più duri dei tempi duri? Pare di sì. E di questo – proprio perché non c’è niente da ridere – Cuba già ha cominciato a sghignazzare disperata.
4/5/2019
Venezuela, le storia segreta del golpe mancato il 2 maggio
L'intelligence cubana ha fatto saltare il piano degli americani e i congiurati si sono ritirati lasciando soli Guaidò e gli Usa. Che ora meditano vendetta usando l'ex capo dei servizi venezuealani, narcotrafficante, contro i generali.
Venezuela, le storia segreta del golpe mancato il 2 maggio
L'intelligence cubana ha fatto saltare il piano degli americani e i congiurati si sono ritirati lasciando soli Guaidò e gli Usa. Che ora meditano vendetta usando l'ex capo dei servizi venezuealani, narcotrafficante, contro i generali.
L'appuntamento per il cambio di regime in Venezuela era fissato per il 2 maggio. L'accordo era stato negoziato tra gli americani, l'opposizione guidata da Juan Guaidó, il ministro della Difesa Vladimir Padrino Lopez, il capo del servizio segreto Sebin Manuel Christoper Figuera, il presidente della Corte Suprema Maikel Moreno, e alcuni generali dell'alto comando militare come il capo del controspionaggio militare e della Guardia Presidenziale Iván Hernández Dala.
Maduro sarebbe stato arrestato e fatto fuggire verso l'esilio in Repubblica Dominicana, Guaidò avrebbe avuto il potere, il ministro della Difesa avrebbe conservato il posto e i generali avrebbero avuto salva la carriera. E a tutti sarebbero state tolte le sanzioni americane. Ruolo chiave lo avrebbe avuto il capo della Corte Suprema che avrebbe pubblicato un documento nel quale definiva "rivolta legale" l'intervento militare“a sostegno del legittimo presidente Guaidò”.
LA SOFFIATA DEI CUBANI - Tutto perfetto, sulla carta. Se non che il 29 l'intelligence cubana, che infiltra l'intero apparto statale venezuelano, avrebbe avuto notizia di una conversazione tra Lenin Padrino e gli americani e ne avrebbe fatto parola con altri membri del regime. Ad essere avvertito è stato in particolare il controverso Diosdado Cabello, capo della Assemblea Costituente, legato ai cubani e accusato dagli americani della Dea di essere a capo del Cartel de lo Soles, organizzazione che traffica in droga per conto del regime di Maduro. Per far saltare il golpe Cabello - popolare in Venezuela per la sua trasmissione televisiva “con el mazo dando” (“a mazzate”) nella quale letteralmente rotea una clava contro l'opposizione -, ha deciso d'intesa con Maduro, di reagire sul tempo e programmare per il primo maggio l'arresto di Guaidò.
LA MOSSA DI GUAIDO' - Ma in un gioco di spie e controspie la notizia ed è giunta all'opposizione che per decisione autonoma di Juan Guaidò stesso ha deciso di intervenire a sua volta d'anticipo prendendo il 30 aprile il controllo - con una trentina di militari fedeli - della base aerea de La Carlota e procedendo nel frattempo, d'intesa con il capo del Sebin, il servizio segreto, a liberare Leopoldo Lopez, figura chiave dell'opposizione, che era in mano dell'intelligence.
Ma la mossa era disperata. Gli americani, presi di sorpresa hanno contattato non senza difficoltà Lenin Padrino per capire se confermava la sua partecipazione al “levantamento legal” ma a quel punto Padrino ha alzato la posta, chiedendo di essere nominato presidente al posto di Guaidò. Era troppo per gli americani, chehanno risposto picche. E questa è stata la fine del tentativo di Guaidò, che si è trovato solo con Lopez, il capo del servizio segreto Sebin Manuel Christoper Figuera (poi sostituito da Maduro con Gustavo Gonzalez Lopez, uomo di fiducia di Cabello), e poche decine di uomini armati.
IL FLOP - Il disperato appello alle forze armate a sollevarsi è caduto nel nulla, anche perchè nelle stesse ore Padrino ha avvertito Maduro dicendo che in effetti gli americani lo avevano contattato ma lui aveva sdegnosamente rifiutato il tentativo di corruzione. Per dare più forza alla propria posizione, Padrino ha pubblicamente ed enfaticamente denunciato condannato il tentativo di colpo di stato chiamando all'uso delle armi per bloccarlo. Quanto al capo della Corte Suprema, vista la mala parata, si è chiamato fuori. E il levantamento legal è diventato un golpe da operetta.
Chiuso nel palazzo di Miraflores, Nicolas Maduro ha fatto buon viso a cattivo gioco, conscio che deve la sua sopravvivenza a Cabello e al suo sodale, il vicepresidente Tarek el Aissaimi, che secondo la Dea partecipa e organizza con Cabello i traffici di cocaina che ingrassano i vertici dello stato venezuelano, oltre che al mancato congiurato Vladimir Padrino Lopez. Ed ed è probabilmente da loro tre, più che da Guaidò, che Maduro dovrà ora guardarsi.
IL PIANO B USA - Quanto agli americani, si sentono traditi da i tre congiurati e seppur riluttanti meditano di usare i servigi di Ugo Carvajal, detto “el pollo” ex capo dei servizi segreti venezuelani dal 2000 al 2014 e per questo definito una sorta di disco rigido ambulante sui segreti del regime chavista.
Carvajal è stato arrestato il 12 aprile a Madrid dopo che gli Stati Uniti hanno emesso un ordine di estradizione per reati di riciclaggio di denaro legati al traffico di droga e ora si trova in una cella della prigione di Soto del Real (Madrid). Già da tempo ha rotto con Maduro e cercato di accreditsrsi con l'opposizione.
Lo scorso febbraio, prima dell'arresto quindi, ha lanciato un appello chiedendo a Nicolás Maduro di dimettersi dal potere e chiedendo ai militari di ribellarsi contro il presidente. Se gli americani vogliono davvero fare pressioni sui generali che gestiscono il traffico di droga che dalla Colombia va verso l'America e l'Europa via Venezuela - si parla di 300 mila tonnellate di cocaina - ricattandoli, Carvajal è l'uomo giusto. Contatti ci sono stati, ma sono falliti perchè Carvajal chiede di essere riabilitato e conservare le sue enormi ricchezze. Ma il fallimento del golpe legale e il cul de sac che ne è scaturito potrebbero farli riconsiderare l'eventualità di trattare con il diavolo.
Maduro sarebbe stato arrestato e fatto fuggire verso l'esilio in Repubblica Dominicana, Guaidò avrebbe avuto il potere, il ministro della Difesa avrebbe conservato il posto e i generali avrebbero avuto salva la carriera. E a tutti sarebbero state tolte le sanzioni americane. Ruolo chiave lo avrebbe avuto il capo della Corte Suprema che avrebbe pubblicato un documento nel quale definiva "rivolta legale" l'intervento militare“a sostegno del legittimo presidente Guaidò”.
LA SOFFIATA DEI CUBANI - Tutto perfetto, sulla carta. Se non che il 29 l'intelligence cubana, che infiltra l'intero apparto statale venezuelano, avrebbe avuto notizia di una conversazione tra Lenin Padrino e gli americani e ne avrebbe fatto parola con altri membri del regime. Ad essere avvertito è stato in particolare il controverso Diosdado Cabello, capo della Assemblea Costituente, legato ai cubani e accusato dagli americani della Dea di essere a capo del Cartel de lo Soles, organizzazione che traffica in droga per conto del regime di Maduro. Per far saltare il golpe Cabello - popolare in Venezuela per la sua trasmissione televisiva “con el mazo dando” (“a mazzate”) nella quale letteralmente rotea una clava contro l'opposizione -, ha deciso d'intesa con Maduro, di reagire sul tempo e programmare per il primo maggio l'arresto di Guaidò.
LA MOSSA DI GUAIDO' - Ma in un gioco di spie e controspie la notizia ed è giunta all'opposizione che per decisione autonoma di Juan Guaidò stesso ha deciso di intervenire a sua volta d'anticipo prendendo il 30 aprile il controllo - con una trentina di militari fedeli - della base aerea de La Carlota e procedendo nel frattempo, d'intesa con il capo del Sebin, il servizio segreto, a liberare Leopoldo Lopez, figura chiave dell'opposizione, che era in mano dell'intelligence.
Ma la mossa era disperata. Gli americani, presi di sorpresa hanno contattato non senza difficoltà Lenin Padrino per capire se confermava la sua partecipazione al “levantamento legal” ma a quel punto Padrino ha alzato la posta, chiedendo di essere nominato presidente al posto di Guaidò. Era troppo per gli americani, chehanno risposto picche. E questa è stata la fine del tentativo di Guaidò, che si è trovato solo con Lopez, il capo del servizio segreto Sebin Manuel Christoper Figuera (poi sostituito da Maduro con Gustavo Gonzalez Lopez, uomo di fiducia di Cabello), e poche decine di uomini armati.
IL FLOP - Il disperato appello alle forze armate a sollevarsi è caduto nel nulla, anche perchè nelle stesse ore Padrino ha avvertito Maduro dicendo che in effetti gli americani lo avevano contattato ma lui aveva sdegnosamente rifiutato il tentativo di corruzione. Per dare più forza alla propria posizione, Padrino ha pubblicamente ed enfaticamente denunciato condannato il tentativo di colpo di stato chiamando all'uso delle armi per bloccarlo. Quanto al capo della Corte Suprema, vista la mala parata, si è chiamato fuori. E il levantamento legal è diventato un golpe da operetta.
Chiuso nel palazzo di Miraflores, Nicolas Maduro ha fatto buon viso a cattivo gioco, conscio che deve la sua sopravvivenza a Cabello e al suo sodale, il vicepresidente Tarek el Aissaimi, che secondo la Dea partecipa e organizza con Cabello i traffici di cocaina che ingrassano i vertici dello stato venezuelano, oltre che al mancato congiurato Vladimir Padrino Lopez. Ed ed è probabilmente da loro tre, più che da Guaidò, che Maduro dovrà ora guardarsi.
IL PIANO B USA - Quanto agli americani, si sentono traditi da i tre congiurati e seppur riluttanti meditano di usare i servigi di Ugo Carvajal, detto “el pollo” ex capo dei servizi segreti venezuelani dal 2000 al 2014 e per questo definito una sorta di disco rigido ambulante sui segreti del regime chavista.
Carvajal è stato arrestato il 12 aprile a Madrid dopo che gli Stati Uniti hanno emesso un ordine di estradizione per reati di riciclaggio di denaro legati al traffico di droga e ora si trova in una cella della prigione di Soto del Real (Madrid). Già da tempo ha rotto con Maduro e cercato di accreditsrsi con l'opposizione.
Lo scorso febbraio, prima dell'arresto quindi, ha lanciato un appello chiedendo a Nicolás Maduro di dimettersi dal potere e chiedendo ai militari di ribellarsi contro il presidente. Se gli americani vogliono davvero fare pressioni sui generali che gestiscono il traffico di droga che dalla Colombia va verso l'America e l'Europa via Venezuela - si parla di 300 mila tonnellate di cocaina - ricattandoli, Carvajal è l'uomo giusto. Contatti ci sono stati, ma sono falliti perchè Carvajal chiede di essere riabilitato e conservare le sue enormi ricchezze. Ma il fallimento del golpe legale e il cul de sac che ne è scaturito potrebbero farli riconsiderare l'eventualità di trattare con il diavolo.
30/4/2019
Le prime azioni legali negli Stati Uniti per le proprietà confiscate a Cuba saranno effettuate dai porti
I querelanti di Meliá in Spagna studiano se fanno causa negli Stati Uniti
I primi due cause legali per essere depositata negli Stati Uniti con l'uso delle proprietà confiscate a Cuba hanno a che fare con i porti e l'imputato sarà la compagnia di crociere Carnival, ha riferito Lunedi l'avvocato dei querelanti.
Giovedì 2 maggio inizierà una battaglia giudiziaria negli Stati Uniti per la quale l'avvocato cubano-americano Nicolás Gutiérrez, che fino a poco tempo considerato un "pazzo", si è preparato da 25 anni.
Quel giorno sarà il primo in cui azioni legali possono essere portate davanti ai tribunali statunitensi contro coloro che beneficiano di beni confiscati a Cuba, grazie all'entrata in vigore del titolo III della legge Helms-Burton.
Javier García Bengoechea, che sostiene di essere il legittimo proprietario del porto di Santiago de Cuba, e Mickael Behn, la cui famiglia possedeva l'Havana Docks Corporation nel porto dell'Avana, sono i primi querelanti
Le prime azioni legali saranno archiviati da Javier García Bengoechea, che sostiene di essere il legittimo proprietario del porto di Santiago di Cuba, e Mickael Behn, la cui famiglia, originaria di Kentucky, aveva le società Avana Docks Corporation nel porto dell'Avana fino a quando non è stato confiscato.
In entrambi i casi la società convenuta crociera Carnival, che dal 2016 opera linee a Cuba e usa questi due porti, ha detto Gutierrez, che avverte che queste richieste seguiranno simili Garcia Bengoechea e Behn contro altri compagnie di crociera e di trasporto merci.
Prima di andare in tribunale, sia Garcia Bengoechea che Behn hanno già rispettato una sorta di meccanismo di conciliazione che il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti stabilisce e non è obbligatorio ma "consigliabile", sottolinea l'avvocato.
Si tratta di una lettera ufficiale inviata a potenziali imputati che avvertono che hanno un periodo di 30 giorni per raggiungere un accordo extragiudiziale.
Da parte loro, gli eredi di Rafael Lucas Sánchez Hill, che era proprietario a Cuba di una grande proprietà ora popolata da hotel, non hanno ancora deciso se faranno causa negli Stati Uniti a coloro che beneficiano di una proprietà "rubata", ha detto Gutiérrez.
"Non faremo nulla che ostacoli i nostri sforzi legali in Spagna", ha detto l'avvocato per quanto riguarda il processo già avviato in questo paese contro il gruppo alberghiero Meliá, che gestisce diversi hotel nell'area costiera di quella che era la gigantesca proprietà.
"Non faremo nulla che ostacoli i nostri sforzi legali in Spagna", ha detto l'avvocato per quanto riguarda il processo già iniziato in questo paese contro il gruppo alberghiero Meliá.
Proprio questa settimana, secondo Gutierrez, gli avvocati per i discendenti di Sanchez Hill, che si è identificato come José Ramón Ferrándiz e Rafael Gimeno-Bayón Cobos, formalmente presentato davanti al giudice di Palma di Maiorca causa contro Meliá.
Gutierrez ha ricordato che il gruppo hotel dispone di "attività all'interno della giurisdizione degli Stati Uniti", come due alberghi nella zona di Miami, un'azione simile se è sorto negli Stati Uniti, potrebbe valere per compensare gli eredi di Sanchez Hill.
Secondo Gutiérrez, per 30 anni si sono tenuti incontri con i rappresentanti di Meliá e hanno "avuto la" possibilità "di risolvere questo problema e non ne hanno approfittato". Ora devono attenersi alle conseguenze, ha detto l'avvocato, il quale ha criticato il fatto che il governo spagnolo è contrario all'attivazione del titolo III della legge Helms Burton.
A suo avviso, è una contraddizione in Spagna è un crimine ed è "severamente vietato usufruire di beni rubati" e che il governo spagnolo non rispettare la stessa regola per Cuba.
"Siamo tutti disposti a scendere a compromessi se ci offrono un risarcimento", ha detto Gutiérrez, il quale, oltre a essere l'avvocato per molti di coloro che vogliono fare causa, sta vedendo se può anche essere un querelante, alla sua famiglia il "regime dittatoriale" a Cuba confiscato allevamenti di bestiame, zuccherifici e altre proprietà, tra cui una casa a L'Avana quartiere Vedado dove oggi si trova un ufficio della società britannica Lloyd.
Per presentare un reclamo, la proprietà confiscata deve avere un valore pari o superiore a $ 50.000, valutato dai giudici, in base al titolo III della legge Helms Burtom. Il valore della proprietà di 100.000 acri che la famiglia Sánchez Hill ha avuto a nord della provincia di Holguín, con un fronte costiero di 57 chilometri, è infinitamente più alto, sottolinea Gutiérrez.
La zona costiera della proprietà, che al momento in cui operava lo zuccherificio Santa Lucia, era considerata senza valore dal punto di vista della produzione, ma è molto preziosa dal punto di vista turistico, aggiunge.
Gli edifici dell'hotel costruiti dopo la rivoluzione del 1959 sono di proprietà del Grupo Gaviota, controllato dai militari cubani e appartengono al conglomerato commerciale GAESA, che è incluso in un elenco di merci soggette a sanzioni dagli Stati Uniti.
Secondo John Kavulich, presidente del Consiglio economico e commerciale USA-Cuba, le autorità statunitensi hanno "certificato" 5.913 casi di cittadini e imprese in questo paese che possono beneficiare del Titolo III per un totale di 1.900 milioni di dollari, con interessi per più di 60 anni ammonterebbero a 8.521 milioni.
Le prime azioni legali negli Stati Uniti per le proprietà confiscate a Cuba saranno effettuate dai porti
I querelanti di Meliá in Spagna studiano se fanno causa negli Stati Uniti
I primi due cause legali per essere depositata negli Stati Uniti con l'uso delle proprietà confiscate a Cuba hanno a che fare con i porti e l'imputato sarà la compagnia di crociere Carnival, ha riferito Lunedi l'avvocato dei querelanti.
Giovedì 2 maggio inizierà una battaglia giudiziaria negli Stati Uniti per la quale l'avvocato cubano-americano Nicolás Gutiérrez, che fino a poco tempo considerato un "pazzo", si è preparato da 25 anni.
Quel giorno sarà il primo in cui azioni legali possono essere portate davanti ai tribunali statunitensi contro coloro che beneficiano di beni confiscati a Cuba, grazie all'entrata in vigore del titolo III della legge Helms-Burton.
Javier García Bengoechea, che sostiene di essere il legittimo proprietario del porto di Santiago de Cuba, e Mickael Behn, la cui famiglia possedeva l'Havana Docks Corporation nel porto dell'Avana, sono i primi querelanti
Le prime azioni legali saranno archiviati da Javier García Bengoechea, che sostiene di essere il legittimo proprietario del porto di Santiago di Cuba, e Mickael Behn, la cui famiglia, originaria di Kentucky, aveva le società Avana Docks Corporation nel porto dell'Avana fino a quando non è stato confiscato.
In entrambi i casi la società convenuta crociera Carnival, che dal 2016 opera linee a Cuba e usa questi due porti, ha detto Gutierrez, che avverte che queste richieste seguiranno simili Garcia Bengoechea e Behn contro altri compagnie di crociera e di trasporto merci.
Prima di andare in tribunale, sia Garcia Bengoechea che Behn hanno già rispettato una sorta di meccanismo di conciliazione che il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti stabilisce e non è obbligatorio ma "consigliabile", sottolinea l'avvocato.
Si tratta di una lettera ufficiale inviata a potenziali imputati che avvertono che hanno un periodo di 30 giorni per raggiungere un accordo extragiudiziale.
Da parte loro, gli eredi di Rafael Lucas Sánchez Hill, che era proprietario a Cuba di una grande proprietà ora popolata da hotel, non hanno ancora deciso se faranno causa negli Stati Uniti a coloro che beneficiano di una proprietà "rubata", ha detto Gutiérrez.
"Non faremo nulla che ostacoli i nostri sforzi legali in Spagna", ha detto l'avvocato per quanto riguarda il processo già avviato in questo paese contro il gruppo alberghiero Meliá, che gestisce diversi hotel nell'area costiera di quella che era la gigantesca proprietà.
"Non faremo nulla che ostacoli i nostri sforzi legali in Spagna", ha detto l'avvocato per quanto riguarda il processo già iniziato in questo paese contro il gruppo alberghiero Meliá.
Proprio questa settimana, secondo Gutierrez, gli avvocati per i discendenti di Sanchez Hill, che si è identificato come José Ramón Ferrándiz e Rafael Gimeno-Bayón Cobos, formalmente presentato davanti al giudice di Palma di Maiorca causa contro Meliá.
Gutierrez ha ricordato che il gruppo hotel dispone di "attività all'interno della giurisdizione degli Stati Uniti", come due alberghi nella zona di Miami, un'azione simile se è sorto negli Stati Uniti, potrebbe valere per compensare gli eredi di Sanchez Hill.
Secondo Gutiérrez, per 30 anni si sono tenuti incontri con i rappresentanti di Meliá e hanno "avuto la" possibilità "di risolvere questo problema e non ne hanno approfittato". Ora devono attenersi alle conseguenze, ha detto l'avvocato, il quale ha criticato il fatto che il governo spagnolo è contrario all'attivazione del titolo III della legge Helms Burton.
A suo avviso, è una contraddizione in Spagna è un crimine ed è "severamente vietato usufruire di beni rubati" e che il governo spagnolo non rispettare la stessa regola per Cuba.
"Siamo tutti disposti a scendere a compromessi se ci offrono un risarcimento", ha detto Gutiérrez, il quale, oltre a essere l'avvocato per molti di coloro che vogliono fare causa, sta vedendo se può anche essere un querelante, alla sua famiglia il "regime dittatoriale" a Cuba confiscato allevamenti di bestiame, zuccherifici e altre proprietà, tra cui una casa a L'Avana quartiere Vedado dove oggi si trova un ufficio della società britannica Lloyd.
Per presentare un reclamo, la proprietà confiscata deve avere un valore pari o superiore a $ 50.000, valutato dai giudici, in base al titolo III della legge Helms Burtom. Il valore della proprietà di 100.000 acri che la famiglia Sánchez Hill ha avuto a nord della provincia di Holguín, con un fronte costiero di 57 chilometri, è infinitamente più alto, sottolinea Gutiérrez.
La zona costiera della proprietà, che al momento in cui operava lo zuccherificio Santa Lucia, era considerata senza valore dal punto di vista della produzione, ma è molto preziosa dal punto di vista turistico, aggiunge.
Gli edifici dell'hotel costruiti dopo la rivoluzione del 1959 sono di proprietà del Grupo Gaviota, controllato dai militari cubani e appartengono al conglomerato commerciale GAESA, che è incluso in un elenco di merci soggette a sanzioni dagli Stati Uniti.
Secondo John Kavulich, presidente del Consiglio economico e commerciale USA-Cuba, le autorità statunitensi hanno "certificato" 5.913 casi di cittadini e imprese in questo paese che possono beneficiare del Titolo III per un totale di 1.900 milioni di dollari, con interessi per più di 60 anni ammonterebbero a 8.521 milioni.
27/4/2019
Cuba, un vecchio fantasma si aggira per l’isola. E ora bussa di nuovo alla porta
Lo scorso 10 aprile – non per caso giorno del 150esimo anniversario della Carta Magna di Guáimaro, quella che Carlos Manuel de Céspedes e i suoi seguaci stilarono agli albori della lotta per l’indipendenza – Cuba ha ufficialmente varato una Costituzione tutta nuova, pensata, scritta e approvata via plebiscito per adeguarsi ai tempi che arrivano. E, forte di questa novità, va ora marciando orgogliosa e decisa verso il proprio passato. O per meglio dire, verso l’eterno presente – una lunga linea grigia, senza passato né futuro – nel quale una rivoluzione trasformatasi in arte della sopravvivenza ha da almeno un ventennio e con alti e bassi racchiuso se stessa. Volendo anzi esser ancor più precisi: verso il non breve segmento di questo eterno presente ricordato dagli annali come – Fidel Castro dixit – “periodo especial en tiempos de paz”.
Il periodo speciale fu, come certo ricorderanno tutti coloro che hanno un minimo di conoscenza della Cuba castrista, il decennio (o giù di lì) che seguì il dissolversi dell’impero sovietico, al quale la prima Costituzione della Cuba rivoluzionaria (quella entrata in vigore nel 1976) aveva giurato “eterna amistad”, amicizia eterna. E con più d’una buona ragione, visto che l’economia cubana, finalmente liberatasi dall’invadenza avida del vicino del Nord – e per questo da quel vicino accerchiata e perseguitata – proprio dalla generosità di mamma Urss per un buon 50% dipendeva. Tanto che – come impietose riportano le statistiche e le rimembranze dei cubani che il “periodo speciale” ebbero la ventura di misurarlo a occhio e a stomaco – esattamente del 50% fu il verticale crollo del Pil tra il 1992 e il 1995.
Il “periodo especial en tiempos de paz” è finito, gradualmente, con l’inizio del nuovo millennio e con il sorgere d’una nuova – anche se non costituzionalmente sancita – forma di “eterna amistad”: quella, ideologica e battezzata con petrolio, che ancor oggi – seppur in termini inevitabilmente sempre più precari – lega Cuba al Venezuela“bolivariano”, o a quel che ne resta. Il suo fantasma non ha però mai cessato di aggirarsi come un cupo presentimento tra gli scaffali dei mercati e nei dintorni delle mense – da sempre, periodo speciale o meno, piuttosto mal imbandite – di un Paese il cui modello economico iperstatalista e improduttivo è costretto a vivere, o meglio a sopravvivere, in un perenne stato di crisi.
Ed è proprio nel bel mezzo del discorso con il quale, il 10 aprile, Raúl Castro ha annunciato l’entrata in vigore della nuova Costituzione, che questo fantasma è riapparso, temuto e atteso. Prevedibilmente evocato non per annunciare, ma per negare un proprio ritorno in vita. Rispetto ai primi anni 90, ha detto infatti Raúl, “del tutto diversa è oggi la situazione in quanto a diversificazione dell’economia”. Ma ha subito tetramente aggiunto: “Dobbiamo esser però coscienti del fatto che stiamo affrontando problemi addizionali e che le cose potrebbero aggravarsi nel giro di qualche mese. Dobbiamo essere pronti a fronteggiare la peggior variante”. I cubani hanno, senza troppo sforzo, colto l’antifona: un “periodo speciale 2.0” sta bussando alla porta.
Quali siano questi “problemi addizionali” e quale sia “la peggior variante da affrontare” è, infatti, fin troppo chiaro. Il Venezuela “bolivariano e socialista” – formula dietro la quale si cela la realtà del più inetto, corrotto e autoritario governo nella storia della patria di Simon Bolívar – è precipitato in una crisi economica, politica e morale (della quale Cuba è causa e vittima al tempo stesso) sempre più simile a un cancro incurabile(ma non terminale, il che lascia intravvedere una molto prolungata sofferenza). Ed estremamente difficile è prevedere per quanto tempo potrà continuare a fornire, in cambio di servizi medici che da tempo hanno cessato di funzionare, i 70mila barili di petrolio al giorno (erano 100mila fino al 2016) che per Cuba sono probabilmente un’insostituibile linfa energetica.
Negli Stati Uniti, nel contempo, Donald Trump non ha solo brutalmente troncato la “storica svolta” inaugurata da Barack Obama con la riapertura delle relazioni diplomatiche e con la visita all’Avana del marzo 2016. Ma ha anche rispolverato – nel bluff di una tragicomica riedizione della vecchia gunboat diplomacy, la diplomazia delle cannoniere – le parti più ottuse di quella che è probabilmente la più stolta delle leggi mai promulgate in materia di relazioni internazionali dagli Usa. Ovvero: la Helms-Burton, ritardato parto del più anacronistico anticomunismo, che nel 1996 trasformò lo storico e controproducente embargo contro Cuba – fino ad allora un semplice decreto presidenziale – in una legge federale: in quanto tale, cancellabile. Cosa, sic stantibus rebus, pressoché impossibile solo con un voto dei due rami del Congresso.
Una legge tanto “stupida” – così la definì, molto efficacemente, l’ex-presidente Jimmy Carter – che in alcune sue parti, inapplicabili perché in contrasto con il diritto internazionale, ha dovuto essere fin qui sistematicamente “sospesa” semestre dopo semestre per decisione presidenziale. E proprio questo è quel che Trump ha ora annunciato: la fine della sospensione del famigerato articolo III, che consente a chiunque di denunciare presso tribunali statunitensi chi “traffica” in beni a suo tempo confiscati dalla rivoluzione cubana.
Così stanno le cose. Con la nuova Costituzione la Cuba “rivoluzionaria” guarda avanti (anche se, è appena il caso di ricordarlo, non oltre il “naso” della propria natura totalitaria). Ma è costretta, trascinata dalla logica dei tempi, a camminare all’indietro, verso gli anni più bui della sua storia.
Cuba, un vecchio fantasma si aggira per l’isola. E ora bussa di nuovo alla porta
Lo scorso 10 aprile – non per caso giorno del 150esimo anniversario della Carta Magna di Guáimaro, quella che Carlos Manuel de Céspedes e i suoi seguaci stilarono agli albori della lotta per l’indipendenza – Cuba ha ufficialmente varato una Costituzione tutta nuova, pensata, scritta e approvata via plebiscito per adeguarsi ai tempi che arrivano. E, forte di questa novità, va ora marciando orgogliosa e decisa verso il proprio passato. O per meglio dire, verso l’eterno presente – una lunga linea grigia, senza passato né futuro – nel quale una rivoluzione trasformatasi in arte della sopravvivenza ha da almeno un ventennio e con alti e bassi racchiuso se stessa. Volendo anzi esser ancor più precisi: verso il non breve segmento di questo eterno presente ricordato dagli annali come – Fidel Castro dixit – “periodo especial en tiempos de paz”.
Il periodo speciale fu, come certo ricorderanno tutti coloro che hanno un minimo di conoscenza della Cuba castrista, il decennio (o giù di lì) che seguì il dissolversi dell’impero sovietico, al quale la prima Costituzione della Cuba rivoluzionaria (quella entrata in vigore nel 1976) aveva giurato “eterna amistad”, amicizia eterna. E con più d’una buona ragione, visto che l’economia cubana, finalmente liberatasi dall’invadenza avida del vicino del Nord – e per questo da quel vicino accerchiata e perseguitata – proprio dalla generosità di mamma Urss per un buon 50% dipendeva. Tanto che – come impietose riportano le statistiche e le rimembranze dei cubani che il “periodo speciale” ebbero la ventura di misurarlo a occhio e a stomaco – esattamente del 50% fu il verticale crollo del Pil tra il 1992 e il 1995.
Il “periodo especial en tiempos de paz” è finito, gradualmente, con l’inizio del nuovo millennio e con il sorgere d’una nuova – anche se non costituzionalmente sancita – forma di “eterna amistad”: quella, ideologica e battezzata con petrolio, che ancor oggi – seppur in termini inevitabilmente sempre più precari – lega Cuba al Venezuela“bolivariano”, o a quel che ne resta. Il suo fantasma non ha però mai cessato di aggirarsi come un cupo presentimento tra gli scaffali dei mercati e nei dintorni delle mense – da sempre, periodo speciale o meno, piuttosto mal imbandite – di un Paese il cui modello economico iperstatalista e improduttivo è costretto a vivere, o meglio a sopravvivere, in un perenne stato di crisi.
Ed è proprio nel bel mezzo del discorso con il quale, il 10 aprile, Raúl Castro ha annunciato l’entrata in vigore della nuova Costituzione, che questo fantasma è riapparso, temuto e atteso. Prevedibilmente evocato non per annunciare, ma per negare un proprio ritorno in vita. Rispetto ai primi anni 90, ha detto infatti Raúl, “del tutto diversa è oggi la situazione in quanto a diversificazione dell’economia”. Ma ha subito tetramente aggiunto: “Dobbiamo esser però coscienti del fatto che stiamo affrontando problemi addizionali e che le cose potrebbero aggravarsi nel giro di qualche mese. Dobbiamo essere pronti a fronteggiare la peggior variante”. I cubani hanno, senza troppo sforzo, colto l’antifona: un “periodo speciale 2.0” sta bussando alla porta.
Quali siano questi “problemi addizionali” e quale sia “la peggior variante da affrontare” è, infatti, fin troppo chiaro. Il Venezuela “bolivariano e socialista” – formula dietro la quale si cela la realtà del più inetto, corrotto e autoritario governo nella storia della patria di Simon Bolívar – è precipitato in una crisi economica, politica e morale (della quale Cuba è causa e vittima al tempo stesso) sempre più simile a un cancro incurabile(ma non terminale, il che lascia intravvedere una molto prolungata sofferenza). Ed estremamente difficile è prevedere per quanto tempo potrà continuare a fornire, in cambio di servizi medici che da tempo hanno cessato di funzionare, i 70mila barili di petrolio al giorno (erano 100mila fino al 2016) che per Cuba sono probabilmente un’insostituibile linfa energetica.
Negli Stati Uniti, nel contempo, Donald Trump non ha solo brutalmente troncato la “storica svolta” inaugurata da Barack Obama con la riapertura delle relazioni diplomatiche e con la visita all’Avana del marzo 2016. Ma ha anche rispolverato – nel bluff di una tragicomica riedizione della vecchia gunboat diplomacy, la diplomazia delle cannoniere – le parti più ottuse di quella che è probabilmente la più stolta delle leggi mai promulgate in materia di relazioni internazionali dagli Usa. Ovvero: la Helms-Burton, ritardato parto del più anacronistico anticomunismo, che nel 1996 trasformò lo storico e controproducente embargo contro Cuba – fino ad allora un semplice decreto presidenziale – in una legge federale: in quanto tale, cancellabile. Cosa, sic stantibus rebus, pressoché impossibile solo con un voto dei due rami del Congresso.
Una legge tanto “stupida” – così la definì, molto efficacemente, l’ex-presidente Jimmy Carter – che in alcune sue parti, inapplicabili perché in contrasto con il diritto internazionale, ha dovuto essere fin qui sistematicamente “sospesa” semestre dopo semestre per decisione presidenziale. E proprio questo è quel che Trump ha ora annunciato: la fine della sospensione del famigerato articolo III, che consente a chiunque di denunciare presso tribunali statunitensi chi “traffica” in beni a suo tempo confiscati dalla rivoluzione cubana.
Così stanno le cose. Con la nuova Costituzione la Cuba “rivoluzionaria” guarda avanti (anche se, è appena il caso di ricordarlo, non oltre il “naso” della propria natura totalitaria). Ma è costretta, trascinata dalla logica dei tempi, a camminare all’indietro, verso gli anni più bui della sua storia.
19/4/2019
Cuba, piano contro la carenza di cibo: mangiare struzzi, nutrie e coccodrilli
Critiche per la scelta di Cuba di distribuire ai civili carne di struzzo e di nutria sono state espresse sia da ong ambientaliste sia dalle Nazioni Unite
Le autorità cubane hanno in questi giorni ideato una singolare soluzione alla carenza di generi alimentari di cui soffre il Paese, causata dalla drammatica situazione economica nazionale. La leadership castrista ha deciso di sopperire alla penuria di viveri che affligge l’isola, aggravata dall’embargo imposto dagli Usa, facendo mangiare alla popolazione “struzzi e roditori”. Al fine di liberare i Cubani dall’incubo-fame, il governo di Miguel Díaz-Canel ha infatti ordinato la macellazione dei grandi volatili presenti nei giardini zoologici nazionali nonché quella delle nutrie stanziate nelle aree selvatiche del Paese. La carne di tali animali verrà quindi distribuita ai civili al posto degli ormai introvabili generi alimentari tradizionali.
Tale trovata è frutto dell’inventiva di Guillermo Garcia Frias, a capo dell’ente statale preposto alla salvaguardia del patrimonio naturale cubano. Stando a quanto riporta il quotidiano online britannico The Independent, avrebbe incoraggiato la macellazione di struzzi e nutrie evidenziando l'"alta capacità nutritiva per l'uomo" posseduta dalla carne di questi animali. Secondo l’alto funzionario dell’Avana, le carni in questione presenterebbero quantità di proteine superiori a quelle riscontrabili nelle parti del corpo di vitelli, suini e polli. Di conseguenza, mangiare struzzi e roditori rappresenterebbe per l’uomo, sempre a detta di Garcia Frias, una “scelta estremamente salutare”.
L'esponente del Partito comunista cubano ha quindi annunciato che a breve verrà avviata anche la macellazione della “carne di coccodrillo” e la conseguente distribuzione di quest’ultima agli abitanti dell’isola sofferenti per la fame. Anche tale inconsueto genere alimentare sarebbe, ad avviso di Garcia Frias, “molto più nutriente” delle carni tradizionali.
La scelta dell’esecutivo castrista è stata accolta con disapprovazione dalle ong ecologiste straniere. Ad esempio, l’associazione animalista britannica Compassion in World Farmingha espresso “profonda preoccupazione” per l’iniziativa dell’Avana, affermando che il consumo di carne di struzzi e nutrie arrecherebbe “gravi danni” alla salute delle persone e potrebbe persino facilitare la propagazione di “malattie infettive”. Sconcerto per la trovata delle autorità dell’Avana è stato manifestato anche dall’Unep, l’agenzia Onu per la protezione dell’ambiente, che, tramite un comunicato, esorta il governo di Cuba a concentrarsi su come rendere efficiente il proprio settore primario invece di avventurarsi in “progetti bizzarri”.
Cuba, piano contro la carenza di cibo: mangiare struzzi, nutrie e coccodrilli
Critiche per la scelta di Cuba di distribuire ai civili carne di struzzo e di nutria sono state espresse sia da ong ambientaliste sia dalle Nazioni Unite
Le autorità cubane hanno in questi giorni ideato una singolare soluzione alla carenza di generi alimentari di cui soffre il Paese, causata dalla drammatica situazione economica nazionale. La leadership castrista ha deciso di sopperire alla penuria di viveri che affligge l’isola, aggravata dall’embargo imposto dagli Usa, facendo mangiare alla popolazione “struzzi e roditori”. Al fine di liberare i Cubani dall’incubo-fame, il governo di Miguel Díaz-Canel ha infatti ordinato la macellazione dei grandi volatili presenti nei giardini zoologici nazionali nonché quella delle nutrie stanziate nelle aree selvatiche del Paese. La carne di tali animali verrà quindi distribuita ai civili al posto degli ormai introvabili generi alimentari tradizionali.
Tale trovata è frutto dell’inventiva di Guillermo Garcia Frias, a capo dell’ente statale preposto alla salvaguardia del patrimonio naturale cubano. Stando a quanto riporta il quotidiano online britannico The Independent, avrebbe incoraggiato la macellazione di struzzi e nutrie evidenziando l'"alta capacità nutritiva per l'uomo" posseduta dalla carne di questi animali. Secondo l’alto funzionario dell’Avana, le carni in questione presenterebbero quantità di proteine superiori a quelle riscontrabili nelle parti del corpo di vitelli, suini e polli. Di conseguenza, mangiare struzzi e roditori rappresenterebbe per l’uomo, sempre a detta di Garcia Frias, una “scelta estremamente salutare”.
L'esponente del Partito comunista cubano ha quindi annunciato che a breve verrà avviata anche la macellazione della “carne di coccodrillo” e la conseguente distribuzione di quest’ultima agli abitanti dell’isola sofferenti per la fame. Anche tale inconsueto genere alimentare sarebbe, ad avviso di Garcia Frias, “molto più nutriente” delle carni tradizionali.
La scelta dell’esecutivo castrista è stata accolta con disapprovazione dalle ong ecologiste straniere. Ad esempio, l’associazione animalista britannica Compassion in World Farmingha espresso “profonda preoccupazione” per l’iniziativa dell’Avana, affermando che il consumo di carne di struzzi e nutrie arrecherebbe “gravi danni” alla salute delle persone e potrebbe persino facilitare la propagazione di “malattie infettive”. Sconcerto per la trovata delle autorità dell’Avana è stato manifestato anche dall’Unep, l’agenzia Onu per la protezione dell’ambiente, che, tramite un comunicato, esorta il governo di Cuba a concentrarsi su come rendere efficiente il proprio settore primario invece di avventurarsi in “progetti bizzarri”.
19/4/2019
Cubani che reprimono in Venezuela, secondo Bloomberg l’intelligence castrista sta aiutando Maduro
“Gli uomini che hanno strappato le unghie a Carlos Guillen e che gli hanno stretto una busta di plastica attorno al volto nel quartier generale del controspionaggio a Caracas erano venezuelani”, scrivono Ethan Bronner, Alex Vasquez e David Wainer su Bloomberg: “Ma le autorità che hanno sorvegliato la tortura erano cubane. Gullen, un ex tenente dell’esercito venezuelano accusato di tradimento, ha detto che l’accento spagnolo degli ufficiali ha svelato la loro nazionalità. Gli accenti sono stati un indizio anche per Maria Martinez Guzman, che faceva parte della troupe televisiva della Univision che ha intervistato il presidente venezuelano Nicolás Maduro lo scorso febbraio. Martinez Guzman racconta di essere rimasta colpita da ciò che ha visto: i cubani in giacca e cravatta davano ordini agli assistenti di Maduro, che indossavano un paio di jeans. La comunità internazionale cerca di spiegare la sopravvivenza di Maduro, a dispetto di un’economia al collasso e le sanzioni americane, attraverso il ruolo della Russia e della Cina, due paesi che finanziano il regime sudamericano”. Tuttavia, spiegano i giornalisti di Bloomberg, “anche l’intelligence cubana ha fornito un sostegno enorme a Maduro. ‘Siamo al corrente del fatto che i bodyguard del dittatore siano cubani’, ha detto in un’intervista Elliott Abrams, l’inviato speciale del Dipartimento di Stato americano in Venezuela: ‘I cubani sono ilsistema nervoso di questo regime. Non sarebbe al suo posto se non fosse per loro’”.
Il legame stretto tra i due paesi socialisti ha avuto inizio dopo l’elezione di Hugo Chávez nel 1998. Decine di migliaia di cubani sono andati in Venezuela per stabilire dei centri medici e per sviluppare dei programmi atletici, oltre che per offrire degli strumenti di repressione politica. Secondo il governo americano, tra i 5 e 10 mila cubani occupano delle posizioni di rilievo in Venezuela, soprattutto nell’intelligence e negli apparati di sicurezza. Caracas ricambia attraverso il petrolio: a oggi, Cuba riceve 50 mila barili di petrolio al giorno, ha detto Abrams. Tuttavia, la disintegrazione del Venezuela significa che Cuba dovrà trovare altri strumenti per uscire dalla povertà. Gullen sostiene che i bodyguard cubani presidiano la residenza di Maduro e del suo ministro della Difesa. Molti si domandano il motivo per cui i cittadini venezuelani non se la prendono con le autorità cubane, come era successo durante le proteste del 2002 contro Chávez. Il senatore americano Marco Rubio sostiene che ci siano alcune fazioni anticubane all’interno dell’esercito di Maduro. In un rapporto diplomatico americano del 2006, svelato da Wikileaks, un ufficiale venezuelano parla dell’impegno di Chávez per accogliere il maggior numero di cubani. Lo studioso americano Fonseca sostiene che il rapporto tra Cuba e Venezuela sia diventato più debole nel tempo, come testimonia il calo del commercio tra i due paesi. “Per ora, – concludono i giornalisti di Bloomberg – la presenza dei cubani nelle posizioni di potere continua a essere fondamentale”.trolio: a oggi, Cuba riceve 50 mila barili di petrolio al giorno, ha detto Abrams. Tuttavia, la disintegrazione del Venezuela significa che Cuba dovrà trovare altri strumenti per uscire dalla povertà. Gullen sostiene che i bodyguard cubani presidiano la residenza di Maduro e del suo ministro della Difesa. Molti si domandano il motivo per cui i cittadini venezuelani non se la prendono con le autorità cubane, come era successo durante le proteste del 2002 contro Chávez. Il senatore americano Marco Rubio sostiene che ci siano alcune fazioni anticubane all’interno dell’esercito di Maduro. In un rapporto diplomatico americano del 2006, svelato da Wikileaks, un ufficiale venezuelano parla dell’impegno di Chávez per accogliere il maggior numero di cubani. Lo studioso americano Fonseca sostiene che il rapporto tra Cuba e Venezuela sia diventato più debole nel tempo, come testimonia il calo del commercio tra i due paesi. “Per ora, – concludono i giornalisti di Bloomberg – la presenza dei cubani nelle posizioni di potere continua a essere fondamentale”.
Cubani che reprimono in Venezuela, secondo Bloomberg l’intelligence castrista sta aiutando Maduro
“Gli uomini che hanno strappato le unghie a Carlos Guillen e che gli hanno stretto una busta di plastica attorno al volto nel quartier generale del controspionaggio a Caracas erano venezuelani”, scrivono Ethan Bronner, Alex Vasquez e David Wainer su Bloomberg: “Ma le autorità che hanno sorvegliato la tortura erano cubane. Gullen, un ex tenente dell’esercito venezuelano accusato di tradimento, ha detto che l’accento spagnolo degli ufficiali ha svelato la loro nazionalità. Gli accenti sono stati un indizio anche per Maria Martinez Guzman, che faceva parte della troupe televisiva della Univision che ha intervistato il presidente venezuelano Nicolás Maduro lo scorso febbraio. Martinez Guzman racconta di essere rimasta colpita da ciò che ha visto: i cubani in giacca e cravatta davano ordini agli assistenti di Maduro, che indossavano un paio di jeans. La comunità internazionale cerca di spiegare la sopravvivenza di Maduro, a dispetto di un’economia al collasso e le sanzioni americane, attraverso il ruolo della Russia e della Cina, due paesi che finanziano il regime sudamericano”. Tuttavia, spiegano i giornalisti di Bloomberg, “anche l’intelligence cubana ha fornito un sostegno enorme a Maduro. ‘Siamo al corrente del fatto che i bodyguard del dittatore siano cubani’, ha detto in un’intervista Elliott Abrams, l’inviato speciale del Dipartimento di Stato americano in Venezuela: ‘I cubani sono ilsistema nervoso di questo regime. Non sarebbe al suo posto se non fosse per loro’”.
Il legame stretto tra i due paesi socialisti ha avuto inizio dopo l’elezione di Hugo Chávez nel 1998. Decine di migliaia di cubani sono andati in Venezuela per stabilire dei centri medici e per sviluppare dei programmi atletici, oltre che per offrire degli strumenti di repressione politica. Secondo il governo americano, tra i 5 e 10 mila cubani occupano delle posizioni di rilievo in Venezuela, soprattutto nell’intelligence e negli apparati di sicurezza. Caracas ricambia attraverso il petrolio: a oggi, Cuba riceve 50 mila barili di petrolio al giorno, ha detto Abrams. Tuttavia, la disintegrazione del Venezuela significa che Cuba dovrà trovare altri strumenti per uscire dalla povertà. Gullen sostiene che i bodyguard cubani presidiano la residenza di Maduro e del suo ministro della Difesa. Molti si domandano il motivo per cui i cittadini venezuelani non se la prendono con le autorità cubane, come era successo durante le proteste del 2002 contro Chávez. Il senatore americano Marco Rubio sostiene che ci siano alcune fazioni anticubane all’interno dell’esercito di Maduro. In un rapporto diplomatico americano del 2006, svelato da Wikileaks, un ufficiale venezuelano parla dell’impegno di Chávez per accogliere il maggior numero di cubani. Lo studioso americano Fonseca sostiene che il rapporto tra Cuba e Venezuela sia diventato più debole nel tempo, come testimonia il calo del commercio tra i due paesi. “Per ora, – concludono i giornalisti di Bloomberg – la presenza dei cubani nelle posizioni di potere continua a essere fondamentale”.trolio: a oggi, Cuba riceve 50 mila barili di petrolio al giorno, ha detto Abrams. Tuttavia, la disintegrazione del Venezuela significa che Cuba dovrà trovare altri strumenti per uscire dalla povertà. Gullen sostiene che i bodyguard cubani presidiano la residenza di Maduro e del suo ministro della Difesa. Molti si domandano il motivo per cui i cittadini venezuelani non se la prendono con le autorità cubane, come era successo durante le proteste del 2002 contro Chávez. Il senatore americano Marco Rubio sostiene che ci siano alcune fazioni anticubane all’interno dell’esercito di Maduro. In un rapporto diplomatico americano del 2006, svelato da Wikileaks, un ufficiale venezuelano parla dell’impegno di Chávez per accogliere il maggior numero di cubani. Lo studioso americano Fonseca sostiene che il rapporto tra Cuba e Venezuela sia diventato più debole nel tempo, come testimonia il calo del commercio tra i due paesi. “Per ora, – concludono i giornalisti di Bloomberg – la presenza dei cubani nelle posizioni di potere continua a essere fondamentale”.
6/3/2019
CUBA. IL PERIODO DI TRANSIZIONE FINISCE CON L’APPROVAZIONE DELLA NUOVA COSTITUZIONE
Con la vittoria del “sì” al referendum cubano sull’approvazione del nuovo testo costituzionale si chiude definitivamente il periodo di transizione politica che l’isola caraibica ha vissuto da quando il leader maximo Fidel Castro ha ceduto le sue cariche al fratello Raúl.
La dittatura castrista a Cuba è iniziata nel 1959 con la sconfitta del regime di Fulgencio Batista grazie alla cosiddetta rivoluzione cubana. Fidel Castro cedette il potere a suo fratello Raúl. Nel 2008 con una dichiarazione trasmessa dalla televisione cubana, Raúl Castro ha riferito della morte di suo fratello Fidel. Con il ripristino dei rapporti tra gli Stati Uniti e Cuba, Raúl Castro ha scritto uno dei più importanti capitoli della storia cubana sostenuto dal suo omologo statunitense Barack Obama nel dicembre del 2014.
Fin dall’inizio della sua amministrazione Raúl Castro annunciò che non intendeva rimanere al potere per più di due mandati, e così ha ceduto il suo incarico a Miguel Díaz-Canel. L’ultima fase dell’era castrista è stata segnata dall’arrivo alla Casa Bianca di Donald Trump. Il nuovo esecutivo statunitense nel novembre del 2018 ha rafforzato il blocco contro Cuba e ha invertito i progressi compiuti nella normalizzazione delle relazioni tra i due paesi, iniziati nel 2015 dal presidente Obama. In quell’occasione c’era stata l’apertura delle ambasciate a Washington, DC e all’Avana.
Il nuovo presidente cubano Miguel Díaz-Canel è stato eletto il 19 aprile del 2018 dopo un lungo percorso elettorale iniziato il 26 novembre 2017, quando i cubani hanno eletto i delegati delle Assemblee comunali. Una volta eletti i rappresentanti municipali, sono stati eletti i membri delle assemblee provinciali, e i 605 membri dell’Assemblea nazionale. Da questi 605 deputati poi sono stati eletti i 31 membri del Consiglio di Stato, che eleggono durante la loro prima riunione le principali cariche del paese che sono: il presidente del Consiglio di Stato, il primo vice presidente e altri cinque vice presidenti.
Nei primi mesi il lavoro del nuovo governo è stato frenetico, avendo avuto tre o quattro riunioni ministeriali alla settimana. Il neo presidente ha visitato tutte le province dell’isola andando a ispezionare industrie, scuole, edifici pubblici, ospedali e cantieri. La sua autonomia decisionale però non è piena, in quanto si fa consigliare da Raúl Castro sulle decisioni più importanti. La prima legge approvata dal presidente del Consiglio dei ministri ha riguardato l’aumento delle pensioni. Gli altri problemi irrisolti dell’isola sono dovuti all’embargo statunitense come la carenza di cibo, i bassi salari, la scarsità di case popolari, la mancanza d’acqua, la pessima qualità dell’istruzione e della sanità pubblica.
La stesura di un nuovo testo costituzionale è il compito principale che Raúl Castro ha lasciato in eredità al suo successore. La riforma è stata discussa per più di un anno e ha generato aspettative, con un acceso dibattito che ha coinvolto tutti i settori della società civile. Il 24 febbraio scorso il governo di Miguel Diaz-Canel mediante referendum ha proposto di cambiare la costituzione cubana, in vigore dal 1976. Secondo i dati del governo, più di 7,5 milioni di elettori hanno partecipato al referendum, di cui l’86,85% ha votato “SI”, il 9% ha votato “no” e il 4,15% ha votato scheda bianca.
La nuova Costituzione avrà 229 articoli. Le principali modifiche riguardano il riconoscimento della proprietà privata, la promozione degli investimenti esteri, il limite dei due mandati consecutivi e la presunzione di innocenza. Su temi etici le novità riguardano il divieto di discriminazione su base sessuale e sull’identità di genere, mentre lascia da definire in un referendum separato la proposta di legalizzare il matrimonio tra persone dello stesso sesso. I principali poteri istituzionali inseriti nella Costituzione sono: il presidente del Consiglio dei ministri, il presidente del Consiglio di Stato, che a sua volta, dirige l’Assemblea nazionale, e assume la carica di primo segretario del PCC (Partido Comunista de Cuba). Cuba è ancora una Repubblica Popolare a partito unico e quindi senza nessuna norma sulla elezione diretta delle principali cariche politiche.
Il passaggio di potere del nuovo presidente dell’isola caraibica, Miguel Diaz-Canel non ha ancora portato significativi miglioramenti alla vita dei cubani. Il nuovo presidente è da quasi un anno incarica, ma non ha il pieno controllo sulle forze armate delle FAR (Fuerzas Armadas Revolucionarias), le quali rispondono agli ordini di Raúl Castro. Un altro membro della famiglia Castro che ha ancora un grosso potere sull’isola è il generale Luis Alberto Rodríguez López-Callejas, ex marito di una delle figlie di Raúl Castro, Débora.
L’ex genero di Raúl Castro è presidente della holding GAESA (Grupo de Administración Empresarial, SA), l’emporio militare del MINFAR (Ministerio de las Fuerzas Armadas Revolucionarias). Conoscendo l’importanza di GAESA per il mantenimento del potere a Cuba, il presidente Donald Trump lo scorso anno aveva posto il veto ai cittadini statunitensi di compiere qualsiasi tipo di transazione commerciale con le imprese di quella holding per evitare di finanziare le forze armate cubane.
Attraverso GAESA i militari e la famiglia Castro controllano il 70% delle attività economiche dell’isola che vanno dal settore turistico a quello militare comprese altre svariate attività. In questo modo Rodríguez López-Callejas e alcuni membri del Consiglio di Stato come i vicepresidenti Ramiro Valdés Menéndez e Gladys María Bejerano Portela, monitorano le scelte dell’attuale presidente per conto della famiglia Castro e degli apparati militari che non vogliono perdere il loro potere sull’economia dell’isola.
CUBA. IL PERIODO DI TRANSIZIONE FINISCE CON L’APPROVAZIONE DELLA NUOVA COSTITUZIONE
Con la vittoria del “sì” al referendum cubano sull’approvazione del nuovo testo costituzionale si chiude definitivamente il periodo di transizione politica che l’isola caraibica ha vissuto da quando il leader maximo Fidel Castro ha ceduto le sue cariche al fratello Raúl.
La dittatura castrista a Cuba è iniziata nel 1959 con la sconfitta del regime di Fulgencio Batista grazie alla cosiddetta rivoluzione cubana. Fidel Castro cedette il potere a suo fratello Raúl. Nel 2008 con una dichiarazione trasmessa dalla televisione cubana, Raúl Castro ha riferito della morte di suo fratello Fidel. Con il ripristino dei rapporti tra gli Stati Uniti e Cuba, Raúl Castro ha scritto uno dei più importanti capitoli della storia cubana sostenuto dal suo omologo statunitense Barack Obama nel dicembre del 2014.
Fin dall’inizio della sua amministrazione Raúl Castro annunciò che non intendeva rimanere al potere per più di due mandati, e così ha ceduto il suo incarico a Miguel Díaz-Canel. L’ultima fase dell’era castrista è stata segnata dall’arrivo alla Casa Bianca di Donald Trump. Il nuovo esecutivo statunitense nel novembre del 2018 ha rafforzato il blocco contro Cuba e ha invertito i progressi compiuti nella normalizzazione delle relazioni tra i due paesi, iniziati nel 2015 dal presidente Obama. In quell’occasione c’era stata l’apertura delle ambasciate a Washington, DC e all’Avana.
Il nuovo presidente cubano Miguel Díaz-Canel è stato eletto il 19 aprile del 2018 dopo un lungo percorso elettorale iniziato il 26 novembre 2017, quando i cubani hanno eletto i delegati delle Assemblee comunali. Una volta eletti i rappresentanti municipali, sono stati eletti i membri delle assemblee provinciali, e i 605 membri dell’Assemblea nazionale. Da questi 605 deputati poi sono stati eletti i 31 membri del Consiglio di Stato, che eleggono durante la loro prima riunione le principali cariche del paese che sono: il presidente del Consiglio di Stato, il primo vice presidente e altri cinque vice presidenti.
Nei primi mesi il lavoro del nuovo governo è stato frenetico, avendo avuto tre o quattro riunioni ministeriali alla settimana. Il neo presidente ha visitato tutte le province dell’isola andando a ispezionare industrie, scuole, edifici pubblici, ospedali e cantieri. La sua autonomia decisionale però non è piena, in quanto si fa consigliare da Raúl Castro sulle decisioni più importanti. La prima legge approvata dal presidente del Consiglio dei ministri ha riguardato l’aumento delle pensioni. Gli altri problemi irrisolti dell’isola sono dovuti all’embargo statunitense come la carenza di cibo, i bassi salari, la scarsità di case popolari, la mancanza d’acqua, la pessima qualità dell’istruzione e della sanità pubblica.
La stesura di un nuovo testo costituzionale è il compito principale che Raúl Castro ha lasciato in eredità al suo successore. La riforma è stata discussa per più di un anno e ha generato aspettative, con un acceso dibattito che ha coinvolto tutti i settori della società civile. Il 24 febbraio scorso il governo di Miguel Diaz-Canel mediante referendum ha proposto di cambiare la costituzione cubana, in vigore dal 1976. Secondo i dati del governo, più di 7,5 milioni di elettori hanno partecipato al referendum, di cui l’86,85% ha votato “SI”, il 9% ha votato “no” e il 4,15% ha votato scheda bianca.
La nuova Costituzione avrà 229 articoli. Le principali modifiche riguardano il riconoscimento della proprietà privata, la promozione degli investimenti esteri, il limite dei due mandati consecutivi e la presunzione di innocenza. Su temi etici le novità riguardano il divieto di discriminazione su base sessuale e sull’identità di genere, mentre lascia da definire in un referendum separato la proposta di legalizzare il matrimonio tra persone dello stesso sesso. I principali poteri istituzionali inseriti nella Costituzione sono: il presidente del Consiglio dei ministri, il presidente del Consiglio di Stato, che a sua volta, dirige l’Assemblea nazionale, e assume la carica di primo segretario del PCC (Partido Comunista de Cuba). Cuba è ancora una Repubblica Popolare a partito unico e quindi senza nessuna norma sulla elezione diretta delle principali cariche politiche.
Il passaggio di potere del nuovo presidente dell’isola caraibica, Miguel Diaz-Canel non ha ancora portato significativi miglioramenti alla vita dei cubani. Il nuovo presidente è da quasi un anno incarica, ma non ha il pieno controllo sulle forze armate delle FAR (Fuerzas Armadas Revolucionarias), le quali rispondono agli ordini di Raúl Castro. Un altro membro della famiglia Castro che ha ancora un grosso potere sull’isola è il generale Luis Alberto Rodríguez López-Callejas, ex marito di una delle figlie di Raúl Castro, Débora.
L’ex genero di Raúl Castro è presidente della holding GAESA (Grupo de Administración Empresarial, SA), l’emporio militare del MINFAR (Ministerio de las Fuerzas Armadas Revolucionarias). Conoscendo l’importanza di GAESA per il mantenimento del potere a Cuba, il presidente Donald Trump lo scorso anno aveva posto il veto ai cittadini statunitensi di compiere qualsiasi tipo di transazione commerciale con le imprese di quella holding per evitare di finanziare le forze armate cubane.
Attraverso GAESA i militari e la famiglia Castro controllano il 70% delle attività economiche dell’isola che vanno dal settore turistico a quello militare comprese altre svariate attività. In questo modo Rodríguez López-Callejas e alcuni membri del Consiglio di Stato come i vicepresidenti Ramiro Valdés Menéndez e Gladys María Bejerano Portela, monitorano le scelte dell’attuale presidente per conto della famiglia Castro e degli apparati militari che non vogliono perdere il loro potere sull’economia dell’isola.
27/2/2019
Il dramma del popolo venezuelano: "Bambini denutriti, morti sotterrati negli scatoloni"
La drammatica testimonianza di suor Patrizia Andrizzi, missionaria italiana in Venezuela: Una famiglia intera vive con 2 kg di pasta al mese. Non ci sono neanche i soldi per seppellire i morti. Mentre la bestia fa bruciare gli aiuti umanitari al confine con il Brasile e la Colombia.
Il dramma del popolo venezuelano: "Bambini denutriti, morti sotterrati negli scatoloni"
La drammatica testimonianza di suor Patrizia Andrizzi, missionaria italiana in Venezuela: Una famiglia intera vive con 2 kg di pasta al mese. Non ci sono neanche i soldi per seppellire i morti. Mentre la bestia fa bruciare gli aiuti umanitari al confine con il Brasile e la Colombia.
La situazione in Venezuela è drammatica. Stavolta, però, non vi parliamo né di Nicolas Maduro né di Juan Guaidò.
Ci soffermiamo sul dramma che sta vivendo la popolazione. La testimonianza arriva da suor Patrizia Andrizzi, missionaria della Congregazione delle sorelle dell’Immacolata. In un'intervista a InBlu Radio la suora dice che "la popolazione è allo stremo" e "i bimbi sono denutriti e non crescono, alcuni di 10 anni sembrano averne solo 6". Un altro particolare, raccapricciante, ci svela quanto sia drammatica la vita in quello che fino a non molto tempo fa era un ricco Paese del Sud America. "La gente che muore - racconta suor Patrizia - non può permettersi neanche una cassa da morto. Hanno interrato persone e bambini dentro gli scatoloni".
La popolazione sta male, non solo per l'incertezza politica. Soffre perché mancano il cibo e le medicine. La speranza è che arrivino gli aiuti umanitari e che non vengano bloccati, come purtroppo è già avvenuto.
"Molte famiglie, alcune anche di 8 persone spiega suor Patrizia - vivono con 2 kg di pasta al mese". Sono meno di 70 grammi al giorno per tutta la famiglia. Numeri che si commentano da soli. "Noi riusciamo ad aiutare qualcuno grazie al lavoro della Caritas ma anche noi siamo in difficoltà perché non sappiamo dove andare a prendere la roba. È un popolo in miseria. In 40 anni non avevo mai visto una cosa del genere. Ne ho viste tante qui in Venezuela ma mai a questo livello".
Le sorelle dell'Immacolata tutti i giorni sfamano 60 bambini e, una volta alla settimana, danno del cibo a un nutrito gruppo di bambini (almeno 120). "Maduro dice che in Venezuela non c’è fame? Perché ha la dispensa piena - dice suor Patrizia - ma non vede i bambini che vanno a cercare il cibo nella spazzatura". Questo è un altro assurdo paradosso: un Paese ricco di risorse naturali dove la popolazone, per sopravvivere, è costretta a rovistare tra i rifiuti. E non riesce nemmeno a dare degna sepoltura ai morti.
Ci soffermiamo sul dramma che sta vivendo la popolazione. La testimonianza arriva da suor Patrizia Andrizzi, missionaria della Congregazione delle sorelle dell’Immacolata. In un'intervista a InBlu Radio la suora dice che "la popolazione è allo stremo" e "i bimbi sono denutriti e non crescono, alcuni di 10 anni sembrano averne solo 6". Un altro particolare, raccapricciante, ci svela quanto sia drammatica la vita in quello che fino a non molto tempo fa era un ricco Paese del Sud America. "La gente che muore - racconta suor Patrizia - non può permettersi neanche una cassa da morto. Hanno interrato persone e bambini dentro gli scatoloni".
La popolazione sta male, non solo per l'incertezza politica. Soffre perché mancano il cibo e le medicine. La speranza è che arrivino gli aiuti umanitari e che non vengano bloccati, come purtroppo è già avvenuto.
"Molte famiglie, alcune anche di 8 persone spiega suor Patrizia - vivono con 2 kg di pasta al mese". Sono meno di 70 grammi al giorno per tutta la famiglia. Numeri che si commentano da soli. "Noi riusciamo ad aiutare qualcuno grazie al lavoro della Caritas ma anche noi siamo in difficoltà perché non sappiamo dove andare a prendere la roba. È un popolo in miseria. In 40 anni non avevo mai visto una cosa del genere. Ne ho viste tante qui in Venezuela ma mai a questo livello".
Le sorelle dell'Immacolata tutti i giorni sfamano 60 bambini e, una volta alla settimana, danno del cibo a un nutrito gruppo di bambini (almeno 120). "Maduro dice che in Venezuela non c’è fame? Perché ha la dispensa piena - dice suor Patrizia - ma non vede i bambini che vanno a cercare il cibo nella spazzatura". Questo è un altro assurdo paradosso: un Paese ricco di risorse naturali dove la popolazone, per sopravvivere, è costretta a rovistare tra i rifiuti. E non riesce nemmeno a dare degna sepoltura ai morti.
11/2/2019
La scelta di Maduro: "Soldati cubani al posto di quelli venezuelani"
Il dossier realizzato da un alto funzionario della Difesa Usa non precisa però quanti siano i soldati dell’Avana stanziati attualmente nel Paese sudamericano, ma asserisce che avrebbero ormai “superato” la soglia delle “diecimila unità”
La scelta di Maduro: "Soldati cubani al posto di quelli venezuelani"
Il dossier realizzato da un alto funzionario della Difesa Usa non precisa però quanti siano i soldati dell’Avana stanziati attualmente nel Paese sudamericano, ma asserisce che avrebbero ormai “superato” la soglia delle “diecimila unità”
Un dossier redatto di recente dal Pentagono afferma che il presidente venezuelano Maduro starebbe “sostituendo” l’esercito di Caracas con “quello cubano”.
Un rapporto stilato dall’ammiraglio Craig S. Faller, responsabile dell’United States Southern Command, stabilisce infatti che il leader bolivariano avrebbe ormai “completamente perso la fiducia" nei confronti del proprio apparato militare. L’ammiraglio, nel presentare il documento in questione alla Commissione Forze armate del Senato statunitense, ha quindi dichiarato che l’esponente chavista avrebbe scelto di affidare la propria sicurezza, nonché quella della sua famiglia e dei propri sodali, all’“esercito dell’Avana”.
Secondo Faller, Maduro non considererebbe più “affidabili” i militari di Caracas, da egli bollati come “prossimi a schierarsi con Guaidó”. Agli occhi del capo dello Stato venezuelano, le truppe cubane, al contrario, incarnerebbero una “dedizione totale” alla leadership e agli ideali chavisti.
Il dossier realizzato dall’alto funzionario della Difesa Usa non precisa però quanti siano i soldati dell’Avana stanziati attualmente nel Paese sudamericano, ma asserisce che avrebbero ormai “superato” la soglia delle “diecimila unità”. Oltre che da reparti inviati dall’isola caraibica, Maduro sarebbe “attorniato” da “consiglieri militari russi” e da “esperti cinesi di guerre informatiche”, anch’essi incaricati di salvaguardare l’incolumità del “delfino” di Chávez e la stabilità del potere chavista.
Il rappresentante del Pentagono ha quindi esposto le ragioni della “disaffezione” delle forze armate di Caracas verso il capo dello Stato socialista. Ad avviso dell’ammiraglio Usa, un numero “costantemente crescente” di militari del Paese sudamericano si starebbe avvicinando a Guaidó a causa del “repentino peggioramento” delle loro condizioni di vita. Soldati e ufficiali sarebbero infatti passati in poco tempo da una “condizione di agiatezza” alla “miseria totale”, come il resto della popolazione venezuelana. La decisione dei membri dell’esercito di sostenere l’opposizione antichavista sarebbe quindi, a detta di Faller, una “ritorsione” all’indirizzo di Maduro, accusato da costoro di non essere stato in grado di preservare la “dignità economico-sociale” delle forze armate bolivariane.
Un rapporto stilato dall’ammiraglio Craig S. Faller, responsabile dell’United States Southern Command, stabilisce infatti che il leader bolivariano avrebbe ormai “completamente perso la fiducia" nei confronti del proprio apparato militare. L’ammiraglio, nel presentare il documento in questione alla Commissione Forze armate del Senato statunitense, ha quindi dichiarato che l’esponente chavista avrebbe scelto di affidare la propria sicurezza, nonché quella della sua famiglia e dei propri sodali, all’“esercito dell’Avana”.
Secondo Faller, Maduro non considererebbe più “affidabili” i militari di Caracas, da egli bollati come “prossimi a schierarsi con Guaidó”. Agli occhi del capo dello Stato venezuelano, le truppe cubane, al contrario, incarnerebbero una “dedizione totale” alla leadership e agli ideali chavisti.
Il dossier realizzato dall’alto funzionario della Difesa Usa non precisa però quanti siano i soldati dell’Avana stanziati attualmente nel Paese sudamericano, ma asserisce che avrebbero ormai “superato” la soglia delle “diecimila unità”. Oltre che da reparti inviati dall’isola caraibica, Maduro sarebbe “attorniato” da “consiglieri militari russi” e da “esperti cinesi di guerre informatiche”, anch’essi incaricati di salvaguardare l’incolumità del “delfino” di Chávez e la stabilità del potere chavista.
Il rappresentante del Pentagono ha quindi esposto le ragioni della “disaffezione” delle forze armate di Caracas verso il capo dello Stato socialista. Ad avviso dell’ammiraglio Usa, un numero “costantemente crescente” di militari del Paese sudamericano si starebbe avvicinando a Guaidó a causa del “repentino peggioramento” delle loro condizioni di vita. Soldati e ufficiali sarebbero infatti passati in poco tempo da una “condizione di agiatezza” alla “miseria totale”, come il resto della popolazione venezuelana. La decisione dei membri dell’esercito di sostenere l’opposizione antichavista sarebbe quindi, a detta di Faller, una “ritorsione” all’indirizzo di Maduro, accusato da costoro di non essere stato in grado di preservare la “dignità economico-sociale” delle forze armate bolivariane.
9/2/2019
Segretario generale dell'OSA: Cuba allena i torturatori in Venezuela
Segretario generale dell'OSA: Cuba allena i torturatori in Venezuela
Il regime illegittimo di Nicolás Maduro in Venezuela cerca nella Cuba comunista, il suo vicino dall'altra parte dei Caraibi, il sostegno alle sue tattiche intimidatorie contro dissidenti e prigionieri politici.
Attualmente vi è preoccupazione che le forze di sicurezza e gli ufficiali dei servizi segreti cubani in Venezuela abbiano effettivamente consigliato alla polizia segreta venezuelana le tecniche per torturare i prigionieri politici.
In un discorso tenuto a dicembre in una conferenza sulle violazioni dei diritti umani a Cuba, il Segretario generale dell'Organizzazione degli Stati americani (OAS) Luis Almagro ha dichiarato :
"Si stima che in Venezuela ci siano circa 46.000 cubani, una forza di occupazione che insegna come torturare e reprimere, che svolge attività di intelligence, identificazione civile e servizi di migrazione".
L'OAS, come gli Stati Uniti e dozzine di altri paesi , ha denunciato il regime di Maduro come illegittimo.
Almagro ha denunciato "gli effetti tossici di Cuba nel resto della regione e il modo in cui nega le libertà al proprio popolo. ... è tempo di porre fine all'impunità goduta dalla dittatura cubana ".
Kimberly Breier, Assistente Segretario di Stato per gli Affari dell'Emisfero Occidentale, ha chiesto nei social network il 1 ° febbraio , "Quanti dei 939 prigionieri politici in Venezuela sono stati torturati dai Maduro ei suoi scagnozzi grazie all'aiuto che Cuba ha dato al SEBIN e al FAES? Tutti questi prigionieri devono già tornare a casa. "
Il SEBIN è il servizio di intelligence nazionale bolivariano, la polizia segreta di Maduro, i FAES sono le forze speciali d'azione con cui Maduro fa incursioni nei quartieri i cui abitanti si sono rivoltati contro il regime.
Breier ha citato le statistiche di Foro Penal, un'organizzazione per i diritti umani in Venezuela, che indica che in Venezuela ci sono 939 prigionieri politici e che durante le proteste che si sono verificate tra il 21 e il 27 gennaio, sono state uccise in totale 43 persone.
Attualmente vi è preoccupazione che le forze di sicurezza e gli ufficiali dei servizi segreti cubani in Venezuela abbiano effettivamente consigliato alla polizia segreta venezuelana le tecniche per torturare i prigionieri politici.
In un discorso tenuto a dicembre in una conferenza sulle violazioni dei diritti umani a Cuba, il Segretario generale dell'Organizzazione degli Stati americani (OAS) Luis Almagro ha dichiarato :
"Si stima che in Venezuela ci siano circa 46.000 cubani, una forza di occupazione che insegna come torturare e reprimere, che svolge attività di intelligence, identificazione civile e servizi di migrazione".
L'OAS, come gli Stati Uniti e dozzine di altri paesi , ha denunciato il regime di Maduro come illegittimo.
Almagro ha denunciato "gli effetti tossici di Cuba nel resto della regione e il modo in cui nega le libertà al proprio popolo. ... è tempo di porre fine all'impunità goduta dalla dittatura cubana ".
Kimberly Breier, Assistente Segretario di Stato per gli Affari dell'Emisfero Occidentale, ha chiesto nei social network il 1 ° febbraio , "Quanti dei 939 prigionieri politici in Venezuela sono stati torturati dai Maduro ei suoi scagnozzi grazie all'aiuto che Cuba ha dato al SEBIN e al FAES? Tutti questi prigionieri devono già tornare a casa. "
Il SEBIN è il servizio di intelligence nazionale bolivariano, la polizia segreta di Maduro, i FAES sono le forze speciali d'azione con cui Maduro fa incursioni nei quartieri i cui abitanti si sono rivoltati contro il regime.
Breier ha citato le statistiche di Foro Penal, un'organizzazione per i diritti umani in Venezuela, che indica che in Venezuela ci sono 939 prigionieri politici e che durante le proteste che si sono verificate tra il 21 e il 27 gennaio, sono state uccise in totale 43 persone.
4/2/2019
La bestia prima di fuggire ruba miliardi di dollari e tonnellate d'oro
La bestia prima di fuggire ruba miliardi di dollari e tonnellate d'oro
Sarebbe fallito il tentativo di Nicolas Maduro di vendere 20 tonnellate di oro ad una società degli Emirati Arabi Uniti: a quanto sostiene il quotidiano spagnolo El Mundo, l'operazione non è andata in porto a causa delle sanzioni minacciate da Washington nei confronti di chi avesse sostenuto il presidente venezuelano. Fonti della Banca centrale del Venezuela (Bcv) hanno confermato a El Mundo che lunedì sera è stata prelevata dai suoi caveau una partita d'oro del valore di circa 900 milioni di dollari.
"Nessuno sa dove sia finito l'oro e perché l'operazione sia stata annullata", hanno aggiunto le fonti. Pare che sia stato organizzato un volo aereo al Maiquetia, l'aeroporto principale di Caracas, per trasportarlo fuori dal Paese. Ma, a quanto afferma il giornale, il volo sarebbe ripartito "vuoto". Il senatore americano Marco Rubio ha scritto su Twitter che la transazione sarebbe dovuta essere gestita dalla Noor Capital, una società degli Emirati Arabi Uniti. "Maduro sta spazzando via le riserve d'oro del Venezuela per generare denaro e ha già rubato almeno il 10% delle riserve totali nell'ultima settimana, e qualsiasi società coinvolta dovrà affrontare sanzioni dagli Stati Uniti", ha aggiunto Rubio.
"Nessuno sa dove sia finito l'oro e perché l'operazione sia stata annullata", hanno aggiunto le fonti. Pare che sia stato organizzato un volo aereo al Maiquetia, l'aeroporto principale di Caracas, per trasportarlo fuori dal Paese. Ma, a quanto afferma il giornale, il volo sarebbe ripartito "vuoto". Il senatore americano Marco Rubio ha scritto su Twitter che la transazione sarebbe dovuta essere gestita dalla Noor Capital, una società degli Emirati Arabi Uniti. "Maduro sta spazzando via le riserve d'oro del Venezuela per generare denaro e ha già rubato almeno il 10% delle riserve totali nell'ultima settimana, e qualsiasi società coinvolta dovrà affrontare sanzioni dagli Stati Uniti", ha aggiunto Rubio.
4/2/2019
E il petrolio ora può far cadere il regime Senza più i barili acquistati da Usa e Cina, Maduro ha i giorni contati
È bastato che gli Stati Uniti, stufi di sentirsi insultare ogni giorno dalla dittatura di Maduro, interrompessero l'acquisto dei 500mila barili di petrolio che compravano ogni giorno, pari a circa 30 milioni di dollari cash, perché il dittatore venezuelano cominciasse a capire che il suo tempo era oramai scaduto. Del resto oggi Caracas estrae appena un milione di barili, meno di un terzo rispetto ai 3,5 milioni di 20 anni fa, quando il chavismo arrivò al potere, distruggendo l'industria che da sola garantisce il 95% del Pil venezuelano. Usa a parte, altri 330mila barili ogni giorno Maduro li vende a Pechino ma, piccolo particolare, non ottiene un dollaro in cambio in contanti. Il motivo? Quei barili, dal valore di quasi 20 milioni di dollari al giorno, servono per ripagare una parte infinitesimale dell'enorme debito che il regime ha nei confronti della Cina. Tutti gli altri, invece, finiscono nei Caraibi, quasi a tutti a Cuba, il cui governo dittatoriale sarà, sicuramente, il più danneggiato dalla prossima ed imminente uscita di gioco di Maduro. Non a caso all'Avana Diaz-Canel e soci sono preoccupati perché, se verranno meno gli aiuti da Caracas, sarà gioco forza per loro cambiare sponsor. Dopo il crollo dell'Urss, Fidel Castro sopravvisse al «periodo speciale» solo perché poi trovò la ciambella di salvataggio di Chávez. Ora si pone di nuovo il problema, con la differenza che il Messico è più lontano geograficamente ma, soprattutto, Internet ha cominciato a fare crescere le proteste anche a Cuba. Solo ieri, ad esempio, Diaz-Canel - in visita in un quartiere colpito da un tornado qualche giorno fa - è stato costretto a ritirarsi perché fischiato e spernacchiato dalla popolazione locale, che vive in quelle che se fosse in un altro paese da tempo i media definirebbero favelas. Ora l'annuncio fatto da Guaidó che sono già pronti al confine di Colombia e Brasile e nel Mar dei Caraibi aiuti umanitari che entreranno in Venezuela nelle prossime settimane accelera i tempi. Possibilmente entreranno con l'aiuto dell'esercito venezuelano, ha detto il presidente costituzionale, chiarendo comunque che accadrà a prescindere dalla volontà di Maduro. Una questione di settimane per chiudere la partita con il delfino di Chávez insomma. Un Maduro sempre più isolato anche perché la Cina deve ricevere da lui qualcosa come 60 miliardi di dollari e sa bene che ha più probabilità di prenderli se arriva un nuovo presidente che riesce a rimettere in sesto l'economia, piuttosto che resti «el moribundo», il moribondo come oramai lo chiamano anche i chavisti. Non a caso la realpolitik cinese ha portato l'altroieri Pechino ad annunciare la fine della sua collaborazione con Pdvsa, la statale petrolifera venezuelana, di cui gli Usa hanno congelato i conti, assieme a quelli della sua partecipata Citgo, la sesta maggiore raffineria degli Stati Uniti. Guaidó ieri ha annunciato che, dopo ambasciatori e addetti commerciali, nelle prossime ore annuncerà anche i nomi della nuova Citgo: per ora al di là delle parole, Putin tace mentre Trump incombe su Caracas.
E il petrolio ora può far cadere il regime Senza più i barili acquistati da Usa e Cina, Maduro ha i giorni contati
È bastato che gli Stati Uniti, stufi di sentirsi insultare ogni giorno dalla dittatura di Maduro, interrompessero l'acquisto dei 500mila barili di petrolio che compravano ogni giorno, pari a circa 30 milioni di dollari cash, perché il dittatore venezuelano cominciasse a capire che il suo tempo era oramai scaduto. Del resto oggi Caracas estrae appena un milione di barili, meno di un terzo rispetto ai 3,5 milioni di 20 anni fa, quando il chavismo arrivò al potere, distruggendo l'industria che da sola garantisce il 95% del Pil venezuelano. Usa a parte, altri 330mila barili ogni giorno Maduro li vende a Pechino ma, piccolo particolare, non ottiene un dollaro in cambio in contanti. Il motivo? Quei barili, dal valore di quasi 20 milioni di dollari al giorno, servono per ripagare una parte infinitesimale dell'enorme debito che il regime ha nei confronti della Cina. Tutti gli altri, invece, finiscono nei Caraibi, quasi a tutti a Cuba, il cui governo dittatoriale sarà, sicuramente, il più danneggiato dalla prossima ed imminente uscita di gioco di Maduro. Non a caso all'Avana Diaz-Canel e soci sono preoccupati perché, se verranno meno gli aiuti da Caracas, sarà gioco forza per loro cambiare sponsor. Dopo il crollo dell'Urss, Fidel Castro sopravvisse al «periodo speciale» solo perché poi trovò la ciambella di salvataggio di Chávez. Ora si pone di nuovo il problema, con la differenza che il Messico è più lontano geograficamente ma, soprattutto, Internet ha cominciato a fare crescere le proteste anche a Cuba. Solo ieri, ad esempio, Diaz-Canel - in visita in un quartiere colpito da un tornado qualche giorno fa - è stato costretto a ritirarsi perché fischiato e spernacchiato dalla popolazione locale, che vive in quelle che se fosse in un altro paese da tempo i media definirebbero favelas. Ora l'annuncio fatto da Guaidó che sono già pronti al confine di Colombia e Brasile e nel Mar dei Caraibi aiuti umanitari che entreranno in Venezuela nelle prossime settimane accelera i tempi. Possibilmente entreranno con l'aiuto dell'esercito venezuelano, ha detto il presidente costituzionale, chiarendo comunque che accadrà a prescindere dalla volontà di Maduro. Una questione di settimane per chiudere la partita con il delfino di Chávez insomma. Un Maduro sempre più isolato anche perché la Cina deve ricevere da lui qualcosa come 60 miliardi di dollari e sa bene che ha più probabilità di prenderli se arriva un nuovo presidente che riesce a rimettere in sesto l'economia, piuttosto che resti «el moribundo», il moribondo come oramai lo chiamano anche i chavisti. Non a caso la realpolitik cinese ha portato l'altroieri Pechino ad annunciare la fine della sua collaborazione con Pdvsa, la statale petrolifera venezuelana, di cui gli Usa hanno congelato i conti, assieme a quelli della sua partecipata Citgo, la sesta maggiore raffineria degli Stati Uniti. Guaidó ieri ha annunciato che, dopo ambasciatori e addetti commerciali, nelle prossime ore annuncerà anche i nomi della nuova Citgo: per ora al di là delle parole, Putin tace mentre Trump incombe su Caracas.
2/2/2019
Venezuela, il generale che si schiera con Guaidó: "Il dittatore ha due aerei pronti a portarlo via"
La prima defezione importante nell'esercito arriva su Twitter da parte di un alto ufficiale dell'aviazione: "Disconosco la dittatura di Maduro"
CARACAS. Il primo colpo di scena di una giornata che le opposizioni a Maduro annunciano come storica, arriva di buon mattino e, come sempre, via Twitter. A rivolgersi attraverso il social network direttamente al popolo venezuelano è il generale di divisione dell’aviazione venezuelana, Francisco Yánez, direttore della pianificazione strategica: “Buongiorno popolo del Venezuela mi rivolgo direttamente a te per dire che disconosco l’autorità dittatoriale di Nicolás Maduro e riconosco Juan Guaidó come presidenteincaricato dall’assemblea nazionale”.
Le parole di Yánez producono immediatamente un effetto dirompente. Dopo le sanzioni petrolifere annunciate dall’America si può dire che questo sia infatti il colpo più pesante inferto al regime dall’apertura della crisi ad oggi. Maduro, infatti, ha sempre potuto contare sulla fedeltà (“monolitica”, diceva) dell’esercito che sembrava in effetti - almeno nei suoi rappresentanti di vertice - molto compatto attorno al leader chavista. Adesso, invece si apre una prima crepa. Che rischia di allargarsi nelle prossime ore durante la manifestazione. Tanto che il regime ha subito cominciato una controffensiva social dando a Yánez del traditore.
Ma la crepa è ormai aperta, e l’acqua sta entrando copiosa a bordo. Yánez spiega la sua scelta: “Voglio dirvi che il novanta per cento della forza armata non sta con il dittatore ma sta con il popolo del Venezuela, che ha già sofferto troppo. La transizione alla democrazia è imminente”. E a conferma, regala al popolo una notizia di prima mano: “I miei compagni del gruppo 4 mi informano che il dittatore ha ogni giorno due aerei sempre pronti a portarlo via.” Infine gli appelli. All’esercito: “A non voltare le spalle al popolo”. E alla gente: “A scendere in piazza per manifestare pacificamente e difendere il nostro presidente Guaidó”.
Venezuela, il generale che si schiera con Guaidó: "Il dittatore ha due aerei pronti a portarlo via"
La prima defezione importante nell'esercito arriva su Twitter da parte di un alto ufficiale dell'aviazione: "Disconosco la dittatura di Maduro"
CARACAS. Il primo colpo di scena di una giornata che le opposizioni a Maduro annunciano come storica, arriva di buon mattino e, come sempre, via Twitter. A rivolgersi attraverso il social network direttamente al popolo venezuelano è il generale di divisione dell’aviazione venezuelana, Francisco Yánez, direttore della pianificazione strategica: “Buongiorno popolo del Venezuela mi rivolgo direttamente a te per dire che disconosco l’autorità dittatoriale di Nicolás Maduro e riconosco Juan Guaidó come presidenteincaricato dall’assemblea nazionale”.
Le parole di Yánez producono immediatamente un effetto dirompente. Dopo le sanzioni petrolifere annunciate dall’America si può dire che questo sia infatti il colpo più pesante inferto al regime dall’apertura della crisi ad oggi. Maduro, infatti, ha sempre potuto contare sulla fedeltà (“monolitica”, diceva) dell’esercito che sembrava in effetti - almeno nei suoi rappresentanti di vertice - molto compatto attorno al leader chavista. Adesso, invece si apre una prima crepa. Che rischia di allargarsi nelle prossime ore durante la manifestazione. Tanto che il regime ha subito cominciato una controffensiva social dando a Yánez del traditore.
Ma la crepa è ormai aperta, e l’acqua sta entrando copiosa a bordo. Yánez spiega la sua scelta: “Voglio dirvi che il novanta per cento della forza armata non sta con il dittatore ma sta con il popolo del Venezuela, che ha già sofferto troppo. La transizione alla democrazia è imminente”. E a conferma, regala al popolo una notizia di prima mano: “I miei compagni del gruppo 4 mi informano che il dittatore ha ogni giorno due aerei sempre pronti a portarlo via.” Infine gli appelli. All’esercito: “A non voltare le spalle al popolo”. E alla gente: “A scendere in piazza per manifestare pacificamente e difendere il nostro presidente Guaidó”.
29/01/2019
La bestia da le ultime zampate: 35 morti e 850 arresti
Il bilancio delle vittime della repressione delle proteste in Venezuela nell'ultima settimana è salito a 35 morti. Lo ha detto Rafael Uzcategui, direttore di Provea, una Ong locale di difesa dei diritti umani. Allo stesso tempo, sempre nella settimana fra il 21 e il 27 gennaio, 850 cittadini venezuelani, fra i quali 77 minorenni fra i 13 e i 14 anni, sono stati "arrestati arbitrariamente e posti sotto custodia delle forze di sicurezza", secondo quanto ha detto oggi Alfredo Romero, direttore del Foro Penale, una associazione che assiste i prigionieri politici in Venezuela.
La bestia da le ultime zampate: 35 morti e 850 arresti
Il bilancio delle vittime della repressione delle proteste in Venezuela nell'ultima settimana è salito a 35 morti. Lo ha detto Rafael Uzcategui, direttore di Provea, una Ong locale di difesa dei diritti umani. Allo stesso tempo, sempre nella settimana fra il 21 e il 27 gennaio, 850 cittadini venezuelani, fra i quali 77 minorenni fra i 13 e i 14 anni, sono stati "arrestati arbitrariamente e posti sotto custodia delle forze di sicurezza", secondo quanto ha detto oggi Alfredo Romero, direttore del Foro Penale, una associazione che assiste i prigionieri politici in Venezuela.
28/01/2019
Tornado colpisce la Havana, tre morti e un centinaio di feriti, colpiti i quartieri dell'entroterra della città.
Tornado colpisce la Havana, tre morti e un centinaio di feriti, colpiti i quartieri dell'entroterra della città.
26/01/2019
Ci sono mercenari russi in Venezuela a difendere Maduro?
Lo sostiene un'inchiesta di Reuters, che aveva già svelato la loro presenza in Siria e in Ucraina
Secondo un’inchiesta pubblicata venerdì da Reuters, negli ultimi giorni sarebbero arrivati in Venezuela un certo numero di “contractors” russi, cioè mercenari che lavorano per società militari private, con l’obiettivo di difendere il regime del presidente Nicolás Maduro dai tentativi dell’opposizione di togliergli il potere. Reuters, che ha basato la sua inchiesta sulla testimonianza di diverse fonti, ha detto che né il ministero della Difesa russo né il ministero dell’Informazione venezuelano hanno voluto commentare la notizia. Il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, ha commentato, riferendosi alla presenza di mercenari russi in Venezuela: «Non abbiamo questa informazione».
Tre delle fonti citate da Reuters hanno detto che i mercenari arrivati in Venezuela sarebbero legati a “Wagner”, gruppo formato per lo più da ex soldati che negli ultimi anni è intervenuto a sostegno dei militari russi impiegati in azioni militari in Siria (a fianco del presidente siriano Bashar al Assad) e in Ucraina (a fianco dei ribelli filo-russi). Del “gruppo Wagner”, che si sospetta abbia legami con il regime del presidente russo Vladimir Putin, si era parlato anche nell’agosto dello scorso anno dopo l’uccisione di tre giornalisti russi nella Repubblica Centrafricana: i tre, che avevano lavorato per giornali anti-Putin o che si erano occupati delle opposizioni in Russia, stavano indagando proprio su “Wagner”, i cui mercenari sarebbero stati presenti nel paese africano.
L’uso di mercenari al posto di soldati veri e propri garantisce di norma alcuni vantaggi per il paese che li impiega, soprattutto se c’è la volontà di mantenere segreta l’operazione militare in questione: tra le altre cose, l’uso dei “contractor” consente al governo di non prendersi la responsabilità di azioni controverse o violazioni di norme internazionali. Se venisse confermato che mercenari russi di “Wagner” sono arrivati in Venezuela per difendere il regime di Maduro, ha scritto il giornalista Andrew Roth sul Guardian, sarebbe la prima azione militare conosciuta del gruppo nell’emisfero occidentale.
Secondo l’inchiesta di Reuters, i mercenari russi sarebbero arrivati in Venezuela con un volo commerciale proveniente da Cuba, paese di cui la Russia è tradizionale alleata. Non si sa con precisione di quanti mercenari si stia parlando: Yevgeny Shabayev, leader di un gruppo paramilitare di cosacchi che ha legami con i mercenari russi, ha detto di avere sentito di almeno 400 mercenari mandati in Venezuela; altre fonti contattate da Reuters hanno citato però numeri più limitati. Shabayev ha detto inolre che il compito dei mercenari russi sarebbe quello di proteggere Maduro da qualsiasi tentativo di arrestarlo da parte di membri delle forze di sicurezza venezuelane che potrebbero avere simpatia per le opposizioni.
L’inchiesta sull’arrivo di mercenari russi in Venezuela è stata pubblicata due giorni dopo le grandi manifestazioni che si sono tenute nel paese convocate dal nuovo emergente leader delle opposizioni venezuelane, Juan Guaidó, che ha sfidato il potere di Maduro autoproclamandosi presidente. Guaidó è appoggiato dagli Stati Uniti, che lo hanno riconosciuto come presidente legittimo, e da diversi paesi europei. Russia e Cina, da sempre vicine al regime di Maduro, hanno invece invitato gli stati stranieri a non interferire negli affari interni del Venezuela.
Ci sono mercenari russi in Venezuela a difendere Maduro?
Lo sostiene un'inchiesta di Reuters, che aveva già svelato la loro presenza in Siria e in Ucraina
Secondo un’inchiesta pubblicata venerdì da Reuters, negli ultimi giorni sarebbero arrivati in Venezuela un certo numero di “contractors” russi, cioè mercenari che lavorano per società militari private, con l’obiettivo di difendere il regime del presidente Nicolás Maduro dai tentativi dell’opposizione di togliergli il potere. Reuters, che ha basato la sua inchiesta sulla testimonianza di diverse fonti, ha detto che né il ministero della Difesa russo né il ministero dell’Informazione venezuelano hanno voluto commentare la notizia. Il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, ha commentato, riferendosi alla presenza di mercenari russi in Venezuela: «Non abbiamo questa informazione».
Tre delle fonti citate da Reuters hanno detto che i mercenari arrivati in Venezuela sarebbero legati a “Wagner”, gruppo formato per lo più da ex soldati che negli ultimi anni è intervenuto a sostegno dei militari russi impiegati in azioni militari in Siria (a fianco del presidente siriano Bashar al Assad) e in Ucraina (a fianco dei ribelli filo-russi). Del “gruppo Wagner”, che si sospetta abbia legami con il regime del presidente russo Vladimir Putin, si era parlato anche nell’agosto dello scorso anno dopo l’uccisione di tre giornalisti russi nella Repubblica Centrafricana: i tre, che avevano lavorato per giornali anti-Putin o che si erano occupati delle opposizioni in Russia, stavano indagando proprio su “Wagner”, i cui mercenari sarebbero stati presenti nel paese africano.
L’uso di mercenari al posto di soldati veri e propri garantisce di norma alcuni vantaggi per il paese che li impiega, soprattutto se c’è la volontà di mantenere segreta l’operazione militare in questione: tra le altre cose, l’uso dei “contractor” consente al governo di non prendersi la responsabilità di azioni controverse o violazioni di norme internazionali. Se venisse confermato che mercenari russi di “Wagner” sono arrivati in Venezuela per difendere il regime di Maduro, ha scritto il giornalista Andrew Roth sul Guardian, sarebbe la prima azione militare conosciuta del gruppo nell’emisfero occidentale.
Secondo l’inchiesta di Reuters, i mercenari russi sarebbero arrivati in Venezuela con un volo commerciale proveniente da Cuba, paese di cui la Russia è tradizionale alleata. Non si sa con precisione di quanti mercenari si stia parlando: Yevgeny Shabayev, leader di un gruppo paramilitare di cosacchi che ha legami con i mercenari russi, ha detto di avere sentito di almeno 400 mercenari mandati in Venezuela; altre fonti contattate da Reuters hanno citato però numeri più limitati. Shabayev ha detto inolre che il compito dei mercenari russi sarebbe quello di proteggere Maduro da qualsiasi tentativo di arrestarlo da parte di membri delle forze di sicurezza venezuelane che potrebbero avere simpatia per le opposizioni.
L’inchiesta sull’arrivo di mercenari russi in Venezuela è stata pubblicata due giorni dopo le grandi manifestazioni che si sono tenute nel paese convocate dal nuovo emergente leader delle opposizioni venezuelane, Juan Guaidó, che ha sfidato il potere di Maduro autoproclamandosi presidente. Guaidó è appoggiato dagli Stati Uniti, che lo hanno riconosciuto come presidente legittimo, e da diversi paesi europei. Russia e Cina, da sempre vicine al regime di Maduro, hanno invece invitato gli stati stranieri a non interferire negli affari interni del Venezuela.
24/01/2019
In Venezuela sta succedendo qualcosa di grosso il capo dell'Assemblea Nazionale Juan Guaidó si è autoproclamato presidente e gli Stati Uniti e molti paesi dell'America latina lo hanno riconosciuto
In Venezuela sta succedendo qualcosa di grosso il capo dell'Assemblea Nazionale Juan Guaidó si è autoproclamato presidente e gli Stati Uniti e molti paesi dell'America latina lo hanno riconosciuto
Il 23 gennaio Jaun Guaidó, presidente dell’Assemblea Nazionale del Venezuela, il Parlamento uscito dalle elezioni del 2015 e controllato dalle opposizioni ma svuotato di qualsiasi potere, si è autoproclamato presidente ad interim del paese. Guaidó ha invocato un emendamento costituzionale che consente al capo della legislatura di guidare un governo provvisorio fino a quando non si possano tenere nuove elezioni.
L’annuncio è stato fatto a Caracas durante una grande manifestazione organizzata dallo stesso Guaidó per protestare contro il regime del presidente Nicolàs Maduro. Diverse manifestazioni si sono svolte in tutto il paese, con la partecipazione di migliaia di venezuelani. Durante le proteste ci sono stati degli scontri tra i manifestanti antigovernativi e sostenitori di Maduro, nei quali sono morte quattro persone.
Subito dopo l’annuncio di Guaidó, il presidente degli Stati Uniti lo ha ufficialmente riconosciuto come presidente ad interim del Venezuela, e in seguito sono arrivati i riconoscimenti da parte di Canada, Brasile, Paraguay, Colombia, Argentina, Perù, Ecuador, Cile, Guatemala e Costa Rica. Contro Guaidó e in difesa di Maduro si sono dichiarati invece Messico, Cuba, Bolivia e Turchia.
In risposta a Trump, Maduro ha dato 72 ore di tempo ai diplomatici statunitensi per lasciare il Venezuela. «Io sono l’unico presidente del Venezuela – ha dichiarato Maduro – Non vogliamo tornare al Ventesimo secolo, con intromissioni dei “gringo” e colpi di stato».
Guaidó è stato eletto capo dell’Assemblea Nazionale solo due settimane fa, e nonostante non fosse un personaggio particolarmente conosciuto ha attirato subito la curiosità della stampa internazionale, gli entusiasmi delle opposizioni venezuelane e l’attenzione del regime di Maduro. La scelta da parte di Guaidó organizzare le manifestazioni di protesta proprio oggi non è casuale: il 23 gennaio è infatti l’anniversario della rivolta popolare che nel 1958 rovesciò la giunta militare guidata dal dittatore Marcos Pérez Jiménez.
L’annuncio è stato fatto a Caracas durante una grande manifestazione organizzata dallo stesso Guaidó per protestare contro il regime del presidente Nicolàs Maduro. Diverse manifestazioni si sono svolte in tutto il paese, con la partecipazione di migliaia di venezuelani. Durante le proteste ci sono stati degli scontri tra i manifestanti antigovernativi e sostenitori di Maduro, nei quali sono morte quattro persone.
Subito dopo l’annuncio di Guaidó, il presidente degli Stati Uniti lo ha ufficialmente riconosciuto come presidente ad interim del Venezuela, e in seguito sono arrivati i riconoscimenti da parte di Canada, Brasile, Paraguay, Colombia, Argentina, Perù, Ecuador, Cile, Guatemala e Costa Rica. Contro Guaidó e in difesa di Maduro si sono dichiarati invece Messico, Cuba, Bolivia e Turchia.
In risposta a Trump, Maduro ha dato 72 ore di tempo ai diplomatici statunitensi per lasciare il Venezuela. «Io sono l’unico presidente del Venezuela – ha dichiarato Maduro – Non vogliamo tornare al Ventesimo secolo, con intromissioni dei “gringo” e colpi di stato».
Guaidó è stato eletto capo dell’Assemblea Nazionale solo due settimane fa, e nonostante non fosse un personaggio particolarmente conosciuto ha attirato subito la curiosità della stampa internazionale, gli entusiasmi delle opposizioni venezuelane e l’attenzione del regime di Maduro. La scelta da parte di Guaidó organizzare le manifestazioni di protesta proprio oggi non è casuale: il 23 gennaio è infatti l’anniversario della rivolta popolare che nel 1958 rovesciò la giunta militare guidata dal dittatore Marcos Pérez Jiménez.
09/01/2019
Cosa è rimasto della rivoluzione nella famiglia Castro
Tony Castro, chi è il nipote di Fidel che fa la “bella vita” in giro per il mondo e ha la passione per le auto sportive
Cosa è rimasto della rivoluzione nella famiglia Castro
Tony Castro, chi è il nipote di Fidel che fa la “bella vita” in giro per il mondo e ha la passione per le auto sportive
Ha 20 anni, fa il modello e il suo profilo Instagram mostra ai suoi 4mila followers una vita tra lussi e vacanze. Ama i liquori e le macchine sportive, alla guida delle quali si fa spesso immortalare.
Vacanze in spiagge caraibiche. Una visita alla Basilica della Sagrada Familia a Barcellona. Disteso a prendere il sole a bordo di un mega yatch. E ancora: auto di lusso, cene in ristoranti esclusivi in compagnia di ragazze bellisisme, acquisti in alcune delle località più esclusive del mondo, ostentazione di ricchezza. Lui si chiama Tony, ha 20 anni, fa il modello e il suo profilo Instagram mostra ai suoi 4mila followers una vita tra lussi e vacanze. Ama i liquori e le macchine sportive, alla guida delle quali si fa spesso immortalare. Ad una prima occhiata sembrerebbe uno dei tanti “rich kids“, ma Tony non è un ragazzo qualunque. Di cognome fa infatti Castro ed è il nipote di Fidel Castro. Figlio di Antonio, terzo dei cinque figli nati dal matrimonio del lider maximo con Delia Soto del Valle, che è un noto funzionario di baseball cubano e chirurgo ortopedico.
Alto, moro, i capelli un po’ lunghi, gli occhi verdi e lo sguardo penetrante, Tony è stato scelto da Karl Lagerfeld per la prima storica sfilata di Chanel all’Avana nel 2017. Così la sua carriera nel mondo della moda ha avuto uno slancio e, allo stesso tempo, la sua “bella vita”. Ma, pur essendo il suo profilo Instagram assolutamente privato, il quotidiano El Nuovo Herald ha ottenuto da un followers di Tony alcuni scatti che, una volta resi pubblici, hanno suscitato molte polemiche tra i cubani. A far discutere, non c’è solo il fatto che il suo stile di vita poco si addice con il regime di austerithy imposto dalla rivoluzione e dal regime comunista del Paese ma anche l’incognita di come il giovane faccia a mantenere quel tenore di vita. Non è chiaro infatti se tutti questi viaggi siano “di lavoro” e poi in molti si chiedono come faccia un ragazzo di appena 20 anni, seppur con una carriera da modello, a permettersi tutto questo lusso.
Vacanze in spiagge caraibiche. Una visita alla Basilica della Sagrada Familia a Barcellona. Disteso a prendere il sole a bordo di un mega yatch. E ancora: auto di lusso, cene in ristoranti esclusivi in compagnia di ragazze bellisisme, acquisti in alcune delle località più esclusive del mondo, ostentazione di ricchezza. Lui si chiama Tony, ha 20 anni, fa il modello e il suo profilo Instagram mostra ai suoi 4mila followers una vita tra lussi e vacanze. Ama i liquori e le macchine sportive, alla guida delle quali si fa spesso immortalare. Ad una prima occhiata sembrerebbe uno dei tanti “rich kids“, ma Tony non è un ragazzo qualunque. Di cognome fa infatti Castro ed è il nipote di Fidel Castro. Figlio di Antonio, terzo dei cinque figli nati dal matrimonio del lider maximo con Delia Soto del Valle, che è un noto funzionario di baseball cubano e chirurgo ortopedico.
Alto, moro, i capelli un po’ lunghi, gli occhi verdi e lo sguardo penetrante, Tony è stato scelto da Karl Lagerfeld per la prima storica sfilata di Chanel all’Avana nel 2017. Così la sua carriera nel mondo della moda ha avuto uno slancio e, allo stesso tempo, la sua “bella vita”. Ma, pur essendo il suo profilo Instagram assolutamente privato, il quotidiano El Nuovo Herald ha ottenuto da un followers di Tony alcuni scatti che, una volta resi pubblici, hanno suscitato molte polemiche tra i cubani. A far discutere, non c’è solo il fatto che il suo stile di vita poco si addice con il regime di austerithy imposto dalla rivoluzione e dal regime comunista del Paese ma anche l’incognita di come il giovane faccia a mantenere quel tenore di vita. Non è chiaro infatti se tutti questi viaggi siano “di lavoro” e poi in molti si chiedono come faccia un ragazzo di appena 20 anni, seppur con una carriera da modello, a permettersi tutto questo lusso.
19/12/2018
La rivolta degli artisti contro la censura scuote la Cuba di Díaz-Canel
Il nuovo presidente ha fama di essere più liberal dei Castro, ma il primo decreto che ha firmato è stato un giro di vite sulla libertà di espressione. Nel mondo artistico cubano si è messa in moto una protesta senza precedenti, che sta costringendo il potere a fare marcia indietro
La rivolta degli artisti contro la censura scuote la Cuba di Díaz-Canel
Il nuovo presidente ha fama di essere più liberal dei Castro, ma il primo decreto che ha firmato è stato un giro di vite sulla libertà di espressione. Nel mondo artistico cubano si è messa in moto una protesta senza precedenti, che sta costringendo il potere a fare marcia indietro
Ha pochi precedenti quello che si è mosso a Cuba nelle ultime settimane. Tutto ha a che fare con il decreto 349. Da quando è stato emanato, ad aprile, se n’erano accorti in pochi. Poi le discussioni tra piccoli gruppi di artisti hanno cominciato a diventare critiche pubbliche e le proteste plateali, fino ad arrivare alla detenzione - tre volte in tre giorni - di una stella dell’arte contemporanea come Tania Bruguera. Sono anche intervenute importanti istituzioni culturali internazionali, a cominciare dalla direttrice della Tate Modern.
Persino un’icona del castrismo, Silvio Rodríguez, il cantautore più famoso della Revolución, ha rotto gli indugi: «Può anche essere che il Decreto abbia buone intenzioni ma sono sicuro che sarebbe stato meglio discuterlo con gli artisti», ha scritto nel suo blog Segunda Cita. Il governo cubano sembra essere rimasto spiazzato e ha fatto mezza marcia indietro. Gli artisti cubanihanno scoperto di avere una forza che nessuno, nemmeno nelle alte sfere del potere castrista, può più eludere.
A pesare è anche il fatto che il 349 è il primo Decreto firmato da Miguel Díaz-Canelall’indomani dell’insediamento da presidente. La data è 20 aprile 2018 - il giorno dopo la proclamazione -, cui è seguita la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale e l’entrata in vigore 150 giorni dopo, vale a dire a metà settembre. «Gliel’hanno messo a firmare», ha scritto amaro Rodríguez.
Díaz-Canel ama far trapelare la sua indole liberal dietro una carriera interna all’apparato e la sua elezione annunciava un’epoca di aperture, caute ma profonde: invece è subito inciampato sul terreno insidioso delle libertà. Non che finora la cultura fosse estranea alla censura, tutt’altro: sono conosciuti i divieti e le mille trappole per contenerla. Neppure le proteste sono nuove ma finora erano isolate e individuali.
Il Decreto 349 aggiorna una normativa risalente al 1997 con l’obiettivo, giurano al Ministero della cultura, di regolamentare la produzione e la vendita di opere in un mercato sempre più aperto alle iniziative private. Ma il Decreto va ben oltre: ogni creazione artistica, in qualsiasi settore, per essere esposta - o pagata - deve avere l’autorizzazione delle autorità competenti.
Si elencano diciannove casi di violazione di legge. Alcuni sono chiari: dalla pornografia alle incitazioni all’odio o al razzismo, fino ai decibel eccessivi e ai diritti d’autore. Alcuni tagliano alla radice qualunque possibilità di fare arte indipendente: è punito “chi presta servizi artistici senza essere autorizzati per esercitare lavori d’arte” (art.2.1, comma e). Altri restano aperti a qualunque interpretazione discrezionale: “chiunque infranga le disposizioni legali che regolano il normale sviluppo della nostra società” (art.3.1 comma g).
A rendere ancora più indigesta la nuova legge è l’istituzione di “supervisori-ispettori designati dal ministero della Cultura” che dovrebbero “ispezionare e conoscere gli atti da sanzionare raccolti nel Decreto” (art.8). Una sorta di polizia culturale addetta alla censura sul campo? Non più le multe o le irruzioni delle forze dell’ordine ma ispettori che verificano, multano, interrompono mostre o spettacoli.
C’è voluto tempo perché il dibattito sul Decreto venisse alla luce. Poi si è formata un’onda. El Estornudo, uno dei migliori giornali cubani - da febbraio oscurato nel Paese dalle autorità -, ha ricostruito il susseguirsi delle riunioni tra una serie di artisti, come Leandro Feal, Chino Novo, Abel González y José Manuel Mesías, raccontando come la protesta si sia ingrossata.
Non è un caso che siano gli artisti a uscire allo scoperto: il mondo culturale cubano è magmatico, cosmopolita, abituato a entrare e uscire dall’isola, post-ideologico, non si lascia imbrigliare dalla contrapposizione con o contro Cuba su cui poggia tutta la retorica tradizionale del governo e dei suoi avversari.
La contestazione dei giorni scorsi ha ben pochi precedenti. Così come la cautela del governo e il suo mezzo dietro-front. I media ufficiali o filo-governativi hanno provato a reagire - e anche i tempi di reazione la dicono lunga - come di abitudine, provando a dividere i dissidenti e mettendo all’indice chi protestava.
Jorge Ángel Hernández, sulla rivista la Jiribilla l’ha definita “una scaramuccia di guerra culturale”: il poeta e scrittore, molto noto nell’isola, ha difeso il Decreto e ha descritto i suoi critici come quelli che “proteggono, senza alcuna sottigliezza, le fonti di finanziamento straniero, injerencista, che stanno permettendo loro diversi livelli di protagonismo nello spettro pubblico internazionale”. Parole usuali ma che stavolta sono sembrati degli spari a salve.
Il suo editoriale ha provocato un tumulto nella comunità di artisti, che si sono sentiti ancora una volta messi alla berlina come agenti stranieri o arricchiti. Silvio Rodríguez, il cui intervento è calato come un macigno, ha rilanciato: «ci vorrebbe una moratoria nell’applicazione, finché non si discuta davvero e non si trovi una modifica accettabile».
Il vice-Ministro della cultura, Fernando Rojas, cui spetterà emanare il regolamento al Decreto, ha promesso in un’intervista alla AP, che gli ispettori interverranno «solo in situazioni molto chiare» e in casi di «estrema gravità», non potranno ispezionare alcuno studio privato o luogo non pubblico e dovranno riportare i casi ai loro superiori, senza prendere iniziative.
Negli stessi giorni è intervenuto il titolare del dicastero, Alpidio Alonso, facendo un altro passo avanti: «il Decreto non entrerà in vigore in alcune aree di promozione dell’arte e dei servizi culturali che in questo momento non sono previsti dalla legge», ha dichiarato. Dunque non si applicherebbe a spazi privati e non ufficiali, cioè proprio il motivo per cui sarebbe nata la legge.
Un dietro-front esplicito: se così fosse, sarebbe una vittoria per la comunità di artisti. Tuttavia, la maggior parte di loro non si fida e continua a denunciare il provvedimento in tutte le sedi.
«Tutti abbiamo fatto sì che le nostre critiche fossero ascoltate a partire dal proprio settore e questo è un atto democratico che non si era visto da anni a Cuba», ha ammesso Tania Brugera nella sua pagina Facebook. Davanti al Ministero c’era lei assieme a un folto gruppo di artisti, tra cui Luis Manuel Otero Alcántara, Amaury Pacheco, Michel Matos, Yasser Castellanos e la curatrice Yanelys Nuñez Leyva. Tutti arrestati. E rilasciati dopo qualche ora.
Alla mano dura hanno risposto altri 100 artisti, come Carlos Martiel, Coco Fusco, Maria Correa do Lago, Regina José Galindo, tutti di fama internazionale, con una lettera aperta alle autorità, in cui denunciavano gli arresti. La missiva ha fatto il giro del mondo, respingendo “l’uso insistente di aggettivi obsoleti per riferirsi ai manifestanti come mercenari e nemici della rivoluzione”.
Nel frattempo Bruguera ha annullato la sua partecipazione alla Biennale di Kochi-Muziris nel Kerala, il più importante evento d’arte in India, mandando una lettera accorata: “Come artista sento che oggi il mio dovere non è esporre il mio lavoro in una mostra internazionale ma stare con i miei compagni esponendo la vulnerabilità degli artisti cubani al giorno d’oggi”. Denunciando le minacce ricevute da parte delle forze dell’ordine, ha aggiunto: “L’ingiustizia esiste perché le ingiustizie precedenti non sono state sfidate. Ironicamente, vi mando questa lettera il 10 dicembre, giorno internazionale dei diritti umani».
A Cuba qualcosa è successo.
Persino un’icona del castrismo, Silvio Rodríguez, il cantautore più famoso della Revolución, ha rotto gli indugi: «Può anche essere che il Decreto abbia buone intenzioni ma sono sicuro che sarebbe stato meglio discuterlo con gli artisti», ha scritto nel suo blog Segunda Cita. Il governo cubano sembra essere rimasto spiazzato e ha fatto mezza marcia indietro. Gli artisti cubanihanno scoperto di avere una forza che nessuno, nemmeno nelle alte sfere del potere castrista, può più eludere.
A pesare è anche il fatto che il 349 è il primo Decreto firmato da Miguel Díaz-Canelall’indomani dell’insediamento da presidente. La data è 20 aprile 2018 - il giorno dopo la proclamazione -, cui è seguita la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale e l’entrata in vigore 150 giorni dopo, vale a dire a metà settembre. «Gliel’hanno messo a firmare», ha scritto amaro Rodríguez.
Díaz-Canel ama far trapelare la sua indole liberal dietro una carriera interna all’apparato e la sua elezione annunciava un’epoca di aperture, caute ma profonde: invece è subito inciampato sul terreno insidioso delle libertà. Non che finora la cultura fosse estranea alla censura, tutt’altro: sono conosciuti i divieti e le mille trappole per contenerla. Neppure le proteste sono nuove ma finora erano isolate e individuali.
Il Decreto 349 aggiorna una normativa risalente al 1997 con l’obiettivo, giurano al Ministero della cultura, di regolamentare la produzione e la vendita di opere in un mercato sempre più aperto alle iniziative private. Ma il Decreto va ben oltre: ogni creazione artistica, in qualsiasi settore, per essere esposta - o pagata - deve avere l’autorizzazione delle autorità competenti.
Si elencano diciannove casi di violazione di legge. Alcuni sono chiari: dalla pornografia alle incitazioni all’odio o al razzismo, fino ai decibel eccessivi e ai diritti d’autore. Alcuni tagliano alla radice qualunque possibilità di fare arte indipendente: è punito “chi presta servizi artistici senza essere autorizzati per esercitare lavori d’arte” (art.2.1, comma e). Altri restano aperti a qualunque interpretazione discrezionale: “chiunque infranga le disposizioni legali che regolano il normale sviluppo della nostra società” (art.3.1 comma g).
A rendere ancora più indigesta la nuova legge è l’istituzione di “supervisori-ispettori designati dal ministero della Cultura” che dovrebbero “ispezionare e conoscere gli atti da sanzionare raccolti nel Decreto” (art.8). Una sorta di polizia culturale addetta alla censura sul campo? Non più le multe o le irruzioni delle forze dell’ordine ma ispettori che verificano, multano, interrompono mostre o spettacoli.
C’è voluto tempo perché il dibattito sul Decreto venisse alla luce. Poi si è formata un’onda. El Estornudo, uno dei migliori giornali cubani - da febbraio oscurato nel Paese dalle autorità -, ha ricostruito il susseguirsi delle riunioni tra una serie di artisti, come Leandro Feal, Chino Novo, Abel González y José Manuel Mesías, raccontando come la protesta si sia ingrossata.
Non è un caso che siano gli artisti a uscire allo scoperto: il mondo culturale cubano è magmatico, cosmopolita, abituato a entrare e uscire dall’isola, post-ideologico, non si lascia imbrigliare dalla contrapposizione con o contro Cuba su cui poggia tutta la retorica tradizionale del governo e dei suoi avversari.
La contestazione dei giorni scorsi ha ben pochi precedenti. Così come la cautela del governo e il suo mezzo dietro-front. I media ufficiali o filo-governativi hanno provato a reagire - e anche i tempi di reazione la dicono lunga - come di abitudine, provando a dividere i dissidenti e mettendo all’indice chi protestava.
Jorge Ángel Hernández, sulla rivista la Jiribilla l’ha definita “una scaramuccia di guerra culturale”: il poeta e scrittore, molto noto nell’isola, ha difeso il Decreto e ha descritto i suoi critici come quelli che “proteggono, senza alcuna sottigliezza, le fonti di finanziamento straniero, injerencista, che stanno permettendo loro diversi livelli di protagonismo nello spettro pubblico internazionale”. Parole usuali ma che stavolta sono sembrati degli spari a salve.
Il suo editoriale ha provocato un tumulto nella comunità di artisti, che si sono sentiti ancora una volta messi alla berlina come agenti stranieri o arricchiti. Silvio Rodríguez, il cui intervento è calato come un macigno, ha rilanciato: «ci vorrebbe una moratoria nell’applicazione, finché non si discuta davvero e non si trovi una modifica accettabile».
Il vice-Ministro della cultura, Fernando Rojas, cui spetterà emanare il regolamento al Decreto, ha promesso in un’intervista alla AP, che gli ispettori interverranno «solo in situazioni molto chiare» e in casi di «estrema gravità», non potranno ispezionare alcuno studio privato o luogo non pubblico e dovranno riportare i casi ai loro superiori, senza prendere iniziative.
Negli stessi giorni è intervenuto il titolare del dicastero, Alpidio Alonso, facendo un altro passo avanti: «il Decreto non entrerà in vigore in alcune aree di promozione dell’arte e dei servizi culturali che in questo momento non sono previsti dalla legge», ha dichiarato. Dunque non si applicherebbe a spazi privati e non ufficiali, cioè proprio il motivo per cui sarebbe nata la legge.
Un dietro-front esplicito: se così fosse, sarebbe una vittoria per la comunità di artisti. Tuttavia, la maggior parte di loro non si fida e continua a denunciare il provvedimento in tutte le sedi.
«Tutti abbiamo fatto sì che le nostre critiche fossero ascoltate a partire dal proprio settore e questo è un atto democratico che non si era visto da anni a Cuba», ha ammesso Tania Brugera nella sua pagina Facebook. Davanti al Ministero c’era lei assieme a un folto gruppo di artisti, tra cui Luis Manuel Otero Alcántara, Amaury Pacheco, Michel Matos, Yasser Castellanos e la curatrice Yanelys Nuñez Leyva. Tutti arrestati. E rilasciati dopo qualche ora.
Alla mano dura hanno risposto altri 100 artisti, come Carlos Martiel, Coco Fusco, Maria Correa do Lago, Regina José Galindo, tutti di fama internazionale, con una lettera aperta alle autorità, in cui denunciavano gli arresti. La missiva ha fatto il giro del mondo, respingendo “l’uso insistente di aggettivi obsoleti per riferirsi ai manifestanti come mercenari e nemici della rivoluzione”.
Nel frattempo Bruguera ha annullato la sua partecipazione alla Biennale di Kochi-Muziris nel Kerala, il più importante evento d’arte in India, mandando una lettera accorata: “Come artista sento che oggi il mio dovere non è esporre il mio lavoro in una mostra internazionale ma stare con i miei compagni esponendo la vulnerabilità degli artisti cubani al giorno d’oggi”. Denunciando le minacce ricevute da parte delle forze dell’ordine, ha aggiunto: “L’ingiustizia esiste perché le ingiustizie precedenti non sono state sfidate. Ironicamente, vi mando questa lettera il 10 dicembre, giorno internazionale dei diritti umani».
A Cuba qualcosa è successo.
14/12/2018
Maduro sempre più assetato di sangue, ora i suoi sgherri uccidono indios per l'oro
Il regime vuole eliminare gli indigeni per sfruttare da sé le riserve. I raid con gli elicotteri governativi
Maduro sempre più assetato di sangue, ora i suoi sgherri uccidono indios per l'oro
Il regime vuole eliminare gli indigeni per sfruttare da sé le riserve. I raid con gli elicotteri governativi
Come in una storia da Far West. Ma lo scenario stavolta è il Venezuela e ad asserragliarsi nella foresta un gruppo di coraggiosi indios che hanno preso in ostaggio tre uomini del regime di Maduro che volevano ucciderli per impossessarsi dell'oro di cui sono ricche le loro terre.
Tanto che c'è chi dice che se la Bank of England avesse accettato di restituire alla dittatura di Nicolás Maduro i lingotti d'oro che conserva nei suoi forzieri valutati 550 milioni dollari sinora non l'ha fatto adducendo rischi di «riciclaggio» - il 21enne indio Charlie Peñaloza Rivas oggi sarebbe ancora vivo e questa storia non sarebbe mai cominciata. In realtà il «no» da Londra è arrivato quando Charlie era già stato ucciso nella riserva in cui viveva, ovvero il Parco Nazionale Canaima nel sud del Venezuela, non lontano dalla frontiera brasiliana, ma la sostanza della storia non cambia. Suo fratello Carlos, inoltre, con altri due indigeni della sua stessa etnia, i Pemón, rimanevano gravemente feriti per mano di una dozzina di membri della direzione generale del militare controspionaggio, la temibile Dgcim di Maduro. Accompagnati nel raid criminale da altri funzionari statali, compresi un paio almeno della Corpoelec, la compagnia statale che dovrebbe occuparsi di elettricità invece di dar la caccia agli indios.
I fatti sono degni di una serie Netflix come Narcos e rischiano di mettere adesso per l'ennesima volta Maduro&co in guai seri di fronte alla comunità internazionale, a cominciare dagli Stati Uniti di Donald Trump. Tutto ha inizio il 7 dicembre, quando a Santa Elena de Uairén, cittadina di 30mila abitanti, capitale della regione Sabana Grande, atterrano a stretto giro di posta 5 aerei con a bordo un folto gruppo di «turisti», o almeno così si presentano. In realtà sono venuti per uccidere gli indios. Sono tutti uomini, e si giustificano dicendo di voler fare una serie di escursioni al Salto del Ángel, la cascata più alta del mondo, la cartolina del Paese in un parco che è patrimonio dell'umanità Unesco, in grado ai tempi d'oro del Venezuela di attirare ogni anno migliaia di turisti. Da allora qui le cose sono cambiate, con una crisi che da economica si è trasformata in umanitaria anche per gli indios Pemón, che hanno visto crollare il turismo, loro principale fonte di reddito. E allora chi di loro può fugge dal «paradiso» del socialismo del 21esimo secolo di Chávez. Basti pensare che oggi a Manaus, nel cuore dell'Amazzonia brasiliana, vivono 4mila indios venezuelani per strada. Chi rimane, invece, per sopravvivere è costretto alla minerazione illegale, un lavoro faticosissimo e poco remunerato perché gestito da mafie locali legate al governo. «È una questione di sopravvivenza», dicono tutti.
Il problema è che con un'inflazione che ha superato il 1.300.000% e nuovi creditori come Cina e Russia, assai meno pazienti degli Usa (che continuano a comperare 900mila barili di greggio venezuelano al giorno pagando cash pur di non contrariare la lobby texana delle raffinerie), il presidente Nicolás Maduro non sa più come fare cassa. Per questo il 24 febbraio 2016 rispolvera un'idea di Chávez e crea l'Arco Mineiro dell'Orinoco. In tutto si tratta di un'area di 111,843 kmq di estensione, oltre un terzo dell'Italia, e ne concede lo sfruttamento alla Società militare limitata delle industrie minerarie, petrolio e gas (Caminpeg), una compagnia statale, e a poche e oscure aziende private. Nel 2017, poi, il regime di Caracas si trasforma ufficialmente in dittatura sul modello cubano, prima togliendo ogni potere al parlamento, sostituito con un'illegittima assemblea costituente, poi a maggio di quest'anno con una rielezione presidenziale farsa di Maduro, che dal prossimo 10 gennaio inizierà un altro mandato di sei anni. A inizio dicembre, dopo avere incontrato il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, al quale garantisce concessioni minerarie in cambio di un salvacondotto se mai per lui le cose dovessero mettersi male, il delfino di Chávez ordina ai suoi generali (quasi tutti accusati di narcotraffico dalla Dea, l'agenzia statunitense antidroga) di sloggiare gli indios dalle zone aurifere del Parco Nazionale Canaima. Ufficialmente per fermare il disastro ambientale, in realtà per estrarre direttamente con la Caminpeg o per conto di società private legate a mafie transnazionali l'oro, ma anche il coltan e i diamanti, che abbondano sotto le terre Pemón.
Secondo le testimonianze raccolte da un paio di coraggiosi giornalisti che al momento in cui andiamo in stampa sono già stati minacciati dalla dittatura di Maduro, l'ordine del raid sarebbe stato dato dal ministro della Difesa, Vladimir Padrino López, appoggiato dal titolare dell'Energia, generale maggiore Luis Motta Domínguez. Nello specifico a guidare l'attacco contro la comunità indigena Pemón sarebbe stato Alexander Granko Arteaga, lo stesso che il 15 gennaio comandò un altro massacrò, quello del Junquito, in cui fu ucciso tra gli altri il poliziotto ribelle Oscar Pérez.
Non una parola da parte di Caracas sul fatto che i killer del Dgcim sarebbero atterrati nella riserva Pemón su un Cessna targato YV-2030, come rivelato dal fotoreporter locale German Dam, subito minacciato da sgherri del regime. Per la cronaca si tratta dello stesso aereo usato dai nipoti di Maduro quando furono arrestati ad Haiti dalla Dea per narcotraffico mentre cercavano di introdurre 800 kg di cocaina purissima negli Usa. E bocca chiusa da parte di Maduro anche sul LearJet25 YV3087, un altro degli aerei usati nell'operativo militare contro gli indios, che quando aveva la targa N181PA finì anch'esso nel mirino della antinarcotici statunitense.
Tanto che c'è chi dice che se la Bank of England avesse accettato di restituire alla dittatura di Nicolás Maduro i lingotti d'oro che conserva nei suoi forzieri valutati 550 milioni dollari sinora non l'ha fatto adducendo rischi di «riciclaggio» - il 21enne indio Charlie Peñaloza Rivas oggi sarebbe ancora vivo e questa storia non sarebbe mai cominciata. In realtà il «no» da Londra è arrivato quando Charlie era già stato ucciso nella riserva in cui viveva, ovvero il Parco Nazionale Canaima nel sud del Venezuela, non lontano dalla frontiera brasiliana, ma la sostanza della storia non cambia. Suo fratello Carlos, inoltre, con altri due indigeni della sua stessa etnia, i Pemón, rimanevano gravemente feriti per mano di una dozzina di membri della direzione generale del militare controspionaggio, la temibile Dgcim di Maduro. Accompagnati nel raid criminale da altri funzionari statali, compresi un paio almeno della Corpoelec, la compagnia statale che dovrebbe occuparsi di elettricità invece di dar la caccia agli indios.
I fatti sono degni di una serie Netflix come Narcos e rischiano di mettere adesso per l'ennesima volta Maduro&co in guai seri di fronte alla comunità internazionale, a cominciare dagli Stati Uniti di Donald Trump. Tutto ha inizio il 7 dicembre, quando a Santa Elena de Uairén, cittadina di 30mila abitanti, capitale della regione Sabana Grande, atterrano a stretto giro di posta 5 aerei con a bordo un folto gruppo di «turisti», o almeno così si presentano. In realtà sono venuti per uccidere gli indios. Sono tutti uomini, e si giustificano dicendo di voler fare una serie di escursioni al Salto del Ángel, la cascata più alta del mondo, la cartolina del Paese in un parco che è patrimonio dell'umanità Unesco, in grado ai tempi d'oro del Venezuela di attirare ogni anno migliaia di turisti. Da allora qui le cose sono cambiate, con una crisi che da economica si è trasformata in umanitaria anche per gli indios Pemón, che hanno visto crollare il turismo, loro principale fonte di reddito. E allora chi di loro può fugge dal «paradiso» del socialismo del 21esimo secolo di Chávez. Basti pensare che oggi a Manaus, nel cuore dell'Amazzonia brasiliana, vivono 4mila indios venezuelani per strada. Chi rimane, invece, per sopravvivere è costretto alla minerazione illegale, un lavoro faticosissimo e poco remunerato perché gestito da mafie locali legate al governo. «È una questione di sopravvivenza», dicono tutti.
Il problema è che con un'inflazione che ha superato il 1.300.000% e nuovi creditori come Cina e Russia, assai meno pazienti degli Usa (che continuano a comperare 900mila barili di greggio venezuelano al giorno pagando cash pur di non contrariare la lobby texana delle raffinerie), il presidente Nicolás Maduro non sa più come fare cassa. Per questo il 24 febbraio 2016 rispolvera un'idea di Chávez e crea l'Arco Mineiro dell'Orinoco. In tutto si tratta di un'area di 111,843 kmq di estensione, oltre un terzo dell'Italia, e ne concede lo sfruttamento alla Società militare limitata delle industrie minerarie, petrolio e gas (Caminpeg), una compagnia statale, e a poche e oscure aziende private. Nel 2017, poi, il regime di Caracas si trasforma ufficialmente in dittatura sul modello cubano, prima togliendo ogni potere al parlamento, sostituito con un'illegittima assemblea costituente, poi a maggio di quest'anno con una rielezione presidenziale farsa di Maduro, che dal prossimo 10 gennaio inizierà un altro mandato di sei anni. A inizio dicembre, dopo avere incontrato il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, al quale garantisce concessioni minerarie in cambio di un salvacondotto se mai per lui le cose dovessero mettersi male, il delfino di Chávez ordina ai suoi generali (quasi tutti accusati di narcotraffico dalla Dea, l'agenzia statunitense antidroga) di sloggiare gli indios dalle zone aurifere del Parco Nazionale Canaima. Ufficialmente per fermare il disastro ambientale, in realtà per estrarre direttamente con la Caminpeg o per conto di società private legate a mafie transnazionali l'oro, ma anche il coltan e i diamanti, che abbondano sotto le terre Pemón.
Secondo le testimonianze raccolte da un paio di coraggiosi giornalisti che al momento in cui andiamo in stampa sono già stati minacciati dalla dittatura di Maduro, l'ordine del raid sarebbe stato dato dal ministro della Difesa, Vladimir Padrino López, appoggiato dal titolare dell'Energia, generale maggiore Luis Motta Domínguez. Nello specifico a guidare l'attacco contro la comunità indigena Pemón sarebbe stato Alexander Granko Arteaga, lo stesso che il 15 gennaio comandò un altro massacrò, quello del Junquito, in cui fu ucciso tra gli altri il poliziotto ribelle Oscar Pérez.
Non una parola da parte di Caracas sul fatto che i killer del Dgcim sarebbero atterrati nella riserva Pemón su un Cessna targato YV-2030, come rivelato dal fotoreporter locale German Dam, subito minacciato da sgherri del regime. Per la cronaca si tratta dello stesso aereo usato dai nipoti di Maduro quando furono arrestati ad Haiti dalla Dea per narcotraffico mentre cercavano di introdurre 800 kg di cocaina purissima negli Usa. E bocca chiusa da parte di Maduro anche sul LearJet25 YV3087, un altro degli aerei usati nell'operativo militare contro gli indios, che quando aveva la targa N181PA finì anch'esso nel mirino della antinarcotici statunitense.
13/12/2018
Venezuela privo di medicinali: frullati di foglie per curare l'Hiv
La recessione economica che da quasi cinque anni sta attanagliando il Venezuela non risparmia nemmeno il servizio sanitario nazionale, che dovendo fare i conti con la scarsità di strumentazione e medicinali costringe i malati ad improvvisare terapie di fortuna per potersi curare. Ad essere duramente colpiti dalle conseguenze dell'iperinflazione sono soprattutto i cittadini venezuelani affetti da Hiv, che vista l'impossibilità di ottenere i farmaci antiretrovirali di cui necessitano per sopravvivere hanno deciso di fare affidamento su rimedi naturali della medicina tradizionale sudamericana. Tra le nuove terapie maggiormente diffuse tra i pazienti sieropositivi c'è infatti l'assunzione delle foglie della Guazuma ulmifolia, una pianta tropicale nota anche come cedro della baia o guasimo diffusa in America Latina, America centrale e Caraibi, già storicamente utilizzata per curare diarrea, dissenteria, raffreddori, tosse, contusioni e malattie veneree. Le modalità di somministrazione della pianta stabilite dal dottor Carlos Perez - membro di Solidarity Action, organizzazione che aiuta a fornire assistenza ai pazienti affetti da Hiv - consistono nel frullare cinquanta foglie di guasimo assieme ad acqua per poi successivamente filtrare il composto e berlo due o tre volte al giorno.
Lo stesso dottor Perez, che ha incominciato a prescrivere il trattamento a base di guasimo a partire da quest'anno in concomitanza con l'acuirsi della carenza di medicinali, ha tuttavia specificato: "Sì tratta di una terapia di tipo complementare. Tra i componenti delle foglie di guasimo sono presenti anche composti polifenolici come il tannino, che secondo recenti studi possiedono proprietà antivirali". Attualmente in Venezuela i farmaci antiretrovirali possono essere acquistati solo rivolgendosi all'estero e un anno di trattamento può venire a costare almeno 85 dollari, l'equivalente di un anno di stipendio minimo. Secondo il programma delle Nazioni Unite per la lotta all'Hiv e all'Aids sono inoltre presenti nel Paese circa 120 mila persone sieropositive, delle quali il 61 per cento era sotto trattamento con farmaci antiretrovirali. Cifra riferita tuttavia all'anno 2016, dato che da allora il governo venezuelano non ha più aggiornato le informazioni relative a questi dati.
Anche il dottor Josè Felix Oletta, ex ministro della Salute sotto la presidenza di Rafael Caldera, sottolinea la totale responsabilità del governo in merito all'attuale situazione sanitaria in cui l'80 per cento dei medicinali non è disponibile nel Paese, precisando però come gli effetti della terapia a base di foglie di guasimo non abbiano alcun riscontro scientifico: "Lo stato ha fallito nei suoi obblighi di garantire l'accesso all'assistenza sanitaria, ma la bevanda al guasimo non fa assolutamente nulla, né è un trattamento con alcun supporto scientifico". Malgrado ciò, i sieropositivi venezuelani continuano a setacciare i mercati alla ricerca delle preziose foglie di guasimo, confidando più su di un eventuale effetto placebo che sulla reale efficacia del torbido frullato, ormai unica ancora di salvezza da quando il governo ha smesso di fornire gratuitamente i farmaci contro l'Hiv.
Il virus dell'immunodeficienza umana, noto con l'acronimo inglese di Hiv, è il responsabile della cosiddetta sindrome da immunodeficienza acquisita (Aids), una malattia del sistema immunitario che se contratta rende il paziente estremamente vulnerabile agli agenti esterni di tipo infettivo, oltreché maggiormente predisposto allo sviluppo di tumori. Grazie agli attuali farmaci antiretrovirali, il decorso dell'Hiv può però essere finalmente tenuto sotto controllo, impedendogli di degenerare in Aids e permettendo così al paziente di condurre una vita sostanzialmente normale. Un'aspettativa che tuttavia l'odierno scenario economico del Venezuela - un tempo Paese leader nella lotta all'Aids - non permette di raggiungere.
Venezuela privo di medicinali: frullati di foglie per curare l'Hiv
La recessione economica che da quasi cinque anni sta attanagliando il Venezuela non risparmia nemmeno il servizio sanitario nazionale, che dovendo fare i conti con la scarsità di strumentazione e medicinali costringe i malati ad improvvisare terapie di fortuna per potersi curare. Ad essere duramente colpiti dalle conseguenze dell'iperinflazione sono soprattutto i cittadini venezuelani affetti da Hiv, che vista l'impossibilità di ottenere i farmaci antiretrovirali di cui necessitano per sopravvivere hanno deciso di fare affidamento su rimedi naturali della medicina tradizionale sudamericana. Tra le nuove terapie maggiormente diffuse tra i pazienti sieropositivi c'è infatti l'assunzione delle foglie della Guazuma ulmifolia, una pianta tropicale nota anche come cedro della baia o guasimo diffusa in America Latina, America centrale e Caraibi, già storicamente utilizzata per curare diarrea, dissenteria, raffreddori, tosse, contusioni e malattie veneree. Le modalità di somministrazione della pianta stabilite dal dottor Carlos Perez - membro di Solidarity Action, organizzazione che aiuta a fornire assistenza ai pazienti affetti da Hiv - consistono nel frullare cinquanta foglie di guasimo assieme ad acqua per poi successivamente filtrare il composto e berlo due o tre volte al giorno.
Lo stesso dottor Perez, che ha incominciato a prescrivere il trattamento a base di guasimo a partire da quest'anno in concomitanza con l'acuirsi della carenza di medicinali, ha tuttavia specificato: "Sì tratta di una terapia di tipo complementare. Tra i componenti delle foglie di guasimo sono presenti anche composti polifenolici come il tannino, che secondo recenti studi possiedono proprietà antivirali". Attualmente in Venezuela i farmaci antiretrovirali possono essere acquistati solo rivolgendosi all'estero e un anno di trattamento può venire a costare almeno 85 dollari, l'equivalente di un anno di stipendio minimo. Secondo il programma delle Nazioni Unite per la lotta all'Hiv e all'Aids sono inoltre presenti nel Paese circa 120 mila persone sieropositive, delle quali il 61 per cento era sotto trattamento con farmaci antiretrovirali. Cifra riferita tuttavia all'anno 2016, dato che da allora il governo venezuelano non ha più aggiornato le informazioni relative a questi dati.
Anche il dottor Josè Felix Oletta, ex ministro della Salute sotto la presidenza di Rafael Caldera, sottolinea la totale responsabilità del governo in merito all'attuale situazione sanitaria in cui l'80 per cento dei medicinali non è disponibile nel Paese, precisando però come gli effetti della terapia a base di foglie di guasimo non abbiano alcun riscontro scientifico: "Lo stato ha fallito nei suoi obblighi di garantire l'accesso all'assistenza sanitaria, ma la bevanda al guasimo non fa assolutamente nulla, né è un trattamento con alcun supporto scientifico". Malgrado ciò, i sieropositivi venezuelani continuano a setacciare i mercati alla ricerca delle preziose foglie di guasimo, confidando più su di un eventuale effetto placebo che sulla reale efficacia del torbido frullato, ormai unica ancora di salvezza da quando il governo ha smesso di fornire gratuitamente i farmaci contro l'Hiv.
Il virus dell'immunodeficienza umana, noto con l'acronimo inglese di Hiv, è il responsabile della cosiddetta sindrome da immunodeficienza acquisita (Aids), una malattia del sistema immunitario che se contratta rende il paziente estremamente vulnerabile agli agenti esterni di tipo infettivo, oltreché maggiormente predisposto allo sviluppo di tumori. Grazie agli attuali farmaci antiretrovirali, il decorso dell'Hiv può però essere finalmente tenuto sotto controllo, impedendogli di degenerare in Aids e permettendo così al paziente di condurre una vita sostanzialmente normale. Un'aspettativa che tuttavia l'odierno scenario economico del Venezuela - un tempo Paese leader nella lotta all'Aids - non permette di raggiungere.
25/11/2018
Così è finita la campagna d’influenza castro-chavista in America latina
Il Brasile e Haiti si distaccano dal modello che per anni aveva creato in America latina consenso attorno al regime comunista dell’Avana ed a quello bolivariano di Caracas
Roma. Dichiarazione uno: “Non possiamo ammettere schiavi cubani in Brasile né possiamo continuare ad alimentare la dittatura cubana”, ha detto Jair Bolsonaro.
Dichiarazione due: “Kot kòb petwo karibe a?”, è lo slogan in creolo della rivolta che ha portato un milione di persone in piazza a Haiti. Letteralmente: “Dove sono i soldi di PetroCaribe?”, 3,8 miliardi di petroldollari inviati dal Venezuela e misteriosamente svaniti.
Due eventi molto diversi. L’una è infatti la dichiarazione del presidente eletto del Brasile, l’altro è un moto popolare la cui repressione ha già fatto almeno sei morti e cinque feriti: cifre a cui la polizia aggiunge anche quella di 20 arresti.
Le due notizie, assieme, segnalano la crisi del soft power castro-chavista. Quel modello che per anni aveva creato in America latina consenso attorno al regime comunista dell’Avana ed a quello bolivariano di Caracas, a partire appunto dall’invio di petrolio e di medici. “Più Medici” è il nome del programma che aveva portato in Brasile 11.400 medici cubani, in base a un accordo risalente all’epoca di Dilma Rousseff. In realtà, anzi, i medici che si sono alternati in Brasile in cinque anni sono stati 20.000, e hanno curato 113,3 milioni di pazienti brasiliani. Il “contingente” in Brasile è circa un quinto dei 55.000 medici cubani che lavorano in 67 Paesi. Più della metà sono in Venezuela: circa 28.000.
L’opinione pubblica conservatrice ha preso questi medici di mira, usando come strumento polemico il fatto che il loro stipendio era pagato direttamente al governo cubano, che poi girava ai medici non più del 30 per cento. Insomma, “medici schiavi”, che non possono portare con sé le loro famiglie, costrette a rimanere a Cuba. L’indignazione è montata in particolare quando qualcuno di loro ha provato a chiedere asilo politico, e gli è stato rifiutato. “Lo danno al terrorista Cesare Battisti, e non a un poveretto schiavizzato!”. Bolsonaro si è attaccato a questa querelle quando ha detto che il suo governo avrebbe invece offerto asilo politico a tutti i medici cubani che lo avessero chiesto, e che avrebbe comunque pagato direttamente lo stipendio ai professionisti. La risposta è stata che dal 25 novembre i medici saranno ritirati. Il regime cubano ricava 11,5 miliardi di dollari all’anno dall’export di servizi professionali. Ci sono anche altre figure, come insegnanti o allenatori sportivi. Questi 11,5 miliardi sono la prima risorsa valutaria del regime: quasi 5 volte i 2,8 miliardi che ha fruttato nel 2016 il turismo.
Il Venezuela paga in petrolio, ed è qui che i due modelli si collegano. Le cifre esatte non sono mai stare rese note, ma Orlando Zamora, ex capo di divisione dell’analisi di rischio cambiario del Banco Central de Venezuela, ha affermato in un suo libro di aver visto dati sui sussidi dati dal governo all’estero per un valore di 24,7 miliardi di dollari, ma che potrebbero ascendere a 35 miliardi con altri stanziamenti non resi noti. L’opposizione venezuelana ha presentato un dossier in cui ha stimato tra 2005 e 2012 ben 70 miliardi di sussidi: in testa tra i beneficiari Cuba con 23,2 miliardi e il Nicaragua con 12,9. Ma a causa della cattiva gestione, l’abbondanza di petrolio è andata sprecata negli anni del chavismo. Secondo l’economista José Guerra, deputato per l’opposizione all’Assemblea Nazionale, molto presto il Venezuela cesserà di essere un paese esportatore di petrolio.
Con programmi come Petrocaribe Caracas spargeva petrodollari a pioggia nella speranza di esportare il suo modello ma invece di esportare la rivoluzione è stata esportata la corruzione.
Così è finita la campagna d’influenza castro-chavista in America latina
Il Brasile e Haiti si distaccano dal modello che per anni aveva creato in America latina consenso attorno al regime comunista dell’Avana ed a quello bolivariano di Caracas
Roma. Dichiarazione uno: “Non possiamo ammettere schiavi cubani in Brasile né possiamo continuare ad alimentare la dittatura cubana”, ha detto Jair Bolsonaro.
Dichiarazione due: “Kot kòb petwo karibe a?”, è lo slogan in creolo della rivolta che ha portato un milione di persone in piazza a Haiti. Letteralmente: “Dove sono i soldi di PetroCaribe?”, 3,8 miliardi di petroldollari inviati dal Venezuela e misteriosamente svaniti.
Due eventi molto diversi. L’una è infatti la dichiarazione del presidente eletto del Brasile, l’altro è un moto popolare la cui repressione ha già fatto almeno sei morti e cinque feriti: cifre a cui la polizia aggiunge anche quella di 20 arresti.
Le due notizie, assieme, segnalano la crisi del soft power castro-chavista. Quel modello che per anni aveva creato in America latina consenso attorno al regime comunista dell’Avana ed a quello bolivariano di Caracas, a partire appunto dall’invio di petrolio e di medici. “Più Medici” è il nome del programma che aveva portato in Brasile 11.400 medici cubani, in base a un accordo risalente all’epoca di Dilma Rousseff. In realtà, anzi, i medici che si sono alternati in Brasile in cinque anni sono stati 20.000, e hanno curato 113,3 milioni di pazienti brasiliani. Il “contingente” in Brasile è circa un quinto dei 55.000 medici cubani che lavorano in 67 Paesi. Più della metà sono in Venezuela: circa 28.000.
L’opinione pubblica conservatrice ha preso questi medici di mira, usando come strumento polemico il fatto che il loro stipendio era pagato direttamente al governo cubano, che poi girava ai medici non più del 30 per cento. Insomma, “medici schiavi”, che non possono portare con sé le loro famiglie, costrette a rimanere a Cuba. L’indignazione è montata in particolare quando qualcuno di loro ha provato a chiedere asilo politico, e gli è stato rifiutato. “Lo danno al terrorista Cesare Battisti, e non a un poveretto schiavizzato!”. Bolsonaro si è attaccato a questa querelle quando ha detto che il suo governo avrebbe invece offerto asilo politico a tutti i medici cubani che lo avessero chiesto, e che avrebbe comunque pagato direttamente lo stipendio ai professionisti. La risposta è stata che dal 25 novembre i medici saranno ritirati. Il regime cubano ricava 11,5 miliardi di dollari all’anno dall’export di servizi professionali. Ci sono anche altre figure, come insegnanti o allenatori sportivi. Questi 11,5 miliardi sono la prima risorsa valutaria del regime: quasi 5 volte i 2,8 miliardi che ha fruttato nel 2016 il turismo.
Il Venezuela paga in petrolio, ed è qui che i due modelli si collegano. Le cifre esatte non sono mai stare rese note, ma Orlando Zamora, ex capo di divisione dell’analisi di rischio cambiario del Banco Central de Venezuela, ha affermato in un suo libro di aver visto dati sui sussidi dati dal governo all’estero per un valore di 24,7 miliardi di dollari, ma che potrebbero ascendere a 35 miliardi con altri stanziamenti non resi noti. L’opposizione venezuelana ha presentato un dossier in cui ha stimato tra 2005 e 2012 ben 70 miliardi di sussidi: in testa tra i beneficiari Cuba con 23,2 miliardi e il Nicaragua con 12,9. Ma a causa della cattiva gestione, l’abbondanza di petrolio è andata sprecata negli anni del chavismo. Secondo l’economista José Guerra, deputato per l’opposizione all’Assemblea Nazionale, molto presto il Venezuela cesserà di essere un paese esportatore di petrolio.
Con programmi come Petrocaribe Caracas spargeva petrodollari a pioggia nella speranza di esportare il suo modello ma invece di esportare la rivoluzione è stata esportata la corruzione.
16/9/2018
Venezuela: Gli stati sudamericani: non escluso un intervento militare
San Paolo «Non è possibile scartare nessuna opzione, neanche l'intervento militare, per rovesciare la dittatura di Nicolás Maduro».
Parole nette quelle pronunciate l'altro ieri dal segretario generale dell'Organizzazione degli stati americani (Oea), l'uruguaiano Luis Almagro in visita per la prima volta a Cùcuta, la Lampedusa colombiana separata dall'inferno chavista solo da un ponte dedicato al padre della «Patria Grande» sudamericana, Simón Bolívar. Ma soprattutto attraversato a piedi ogni giorno in media da 5mila disperati in fuga dalla fame imposta loro dalle folli politiche del delfino di Chávez. «Ciò che sta perpetrando in materia di violazione dei diritti umani, di sofferenza, di esodo forzato e di crimini di lesa umanità contro la sua stessa popolazione il regime di Maduro - ha continuato Almagro dopo avere stretto le mani di decine di donne e bambini ospitati nelle tendopoli gestite dalla Chiesa cattolica locale - fa sì che oltre alle azioni diplomatiche non si possa scartare nessun provvedimento». Neanche l'intervento militare per l'appunto.
Solo Donald Trump aveva osato tanto, un anno fa, venendo subissato da una marea di critiche quando, in realtà, anche The Donald si era solo limitato a registrare l'ovvio, ovvero quanto ribadito anche da Almagro che «la mancanza di cibo, medicine, lavoro e sicurezza è di un'immoralità senza pari» e che la tragedia umanitaria che ha trasformato oggi il Venezuela sino a vent'anni fa il paese sudamericano più ricco in un Sahel senza deserto, potrà essere superata «solo con la caduta della dittatura di Maduro e il ritorno alla democrazia».
La denuncia con annessa minaccia di Almagro è importante perché arriva non dal presidente di un singolo Stato - seppur potente come nel caso di Trump - ma dal segretario generale dell'organizzazione più importante della regione, l'Oea. Ma forse importante lo è ancora di più perché rappresenta la posizione di un uomo di sinistra, già a suo tempo ministro degli Esteri di «Pepe» Mujica, il presidente ex guerrigliero tupamaro dell'Uruguay. Insomma, chi paventa un intervento militare per fini umanitari per salvare milioni di venezuelani allo stremo stavolta non è The Donald, percepito nell'America latina anti-yankee come la peste bubbonica, bensì il «compagno» Almagro.
Difficile dire se il coraggio del segretario generale Oea servirà a salvare qualche venezuelano da morte certa visto che ormai le vittime per inedia si contano a decine, ogni settimana, a Caracas. L'unica certezza è che Maduro non solo non riconosce l'esodo ma, dopo avere accusato Washington di «aver girato una fiction sull'esodo dei venezuelani», la settimana scorsa ha lanciato l'operazione «Vuelta a la Patria», con la quale ha messo a disposizione dei venezuelani emigrati qualche volo di Stato per farli rientrare gratuitamente a Caracas.
Finora la dittatura bolivariana ha inviato aerei in Argentina, Ecuador, Perù e Colombia, rimpatriando un totale di 379 venezuelani. Piccolo problema: tutti i presunti «esuli pentiti» sono scomparsi dai radar dei giornalisti indipendenti subito dopo avere innalzato alle tv di regime Telesur e VTV panegirici degni della Corea del Nord in onore del «sommo presidente Maduro che tanto ci ama» e ripudiando «il capitalismo dei paesi stranieri che ci hanno trattato da schiavi». «Sostenere una balla coi rimpatri di qualche dozzina quando gli esiliati forzati del Venezuela sono milioni è un atto massimamente immorale», ha risposto ieri Almagro, uno dei pochi politici con un briciolo di etica rimasti a sinistra.
Venezuela: Gli stati sudamericani: non escluso un intervento militare
San Paolo «Non è possibile scartare nessuna opzione, neanche l'intervento militare, per rovesciare la dittatura di Nicolás Maduro».
Parole nette quelle pronunciate l'altro ieri dal segretario generale dell'Organizzazione degli stati americani (Oea), l'uruguaiano Luis Almagro in visita per la prima volta a Cùcuta, la Lampedusa colombiana separata dall'inferno chavista solo da un ponte dedicato al padre della «Patria Grande» sudamericana, Simón Bolívar. Ma soprattutto attraversato a piedi ogni giorno in media da 5mila disperati in fuga dalla fame imposta loro dalle folli politiche del delfino di Chávez. «Ciò che sta perpetrando in materia di violazione dei diritti umani, di sofferenza, di esodo forzato e di crimini di lesa umanità contro la sua stessa popolazione il regime di Maduro - ha continuato Almagro dopo avere stretto le mani di decine di donne e bambini ospitati nelle tendopoli gestite dalla Chiesa cattolica locale - fa sì che oltre alle azioni diplomatiche non si possa scartare nessun provvedimento». Neanche l'intervento militare per l'appunto.
Solo Donald Trump aveva osato tanto, un anno fa, venendo subissato da una marea di critiche quando, in realtà, anche The Donald si era solo limitato a registrare l'ovvio, ovvero quanto ribadito anche da Almagro che «la mancanza di cibo, medicine, lavoro e sicurezza è di un'immoralità senza pari» e che la tragedia umanitaria che ha trasformato oggi il Venezuela sino a vent'anni fa il paese sudamericano più ricco in un Sahel senza deserto, potrà essere superata «solo con la caduta della dittatura di Maduro e il ritorno alla democrazia».
La denuncia con annessa minaccia di Almagro è importante perché arriva non dal presidente di un singolo Stato - seppur potente come nel caso di Trump - ma dal segretario generale dell'organizzazione più importante della regione, l'Oea. Ma forse importante lo è ancora di più perché rappresenta la posizione di un uomo di sinistra, già a suo tempo ministro degli Esteri di «Pepe» Mujica, il presidente ex guerrigliero tupamaro dell'Uruguay. Insomma, chi paventa un intervento militare per fini umanitari per salvare milioni di venezuelani allo stremo stavolta non è The Donald, percepito nell'America latina anti-yankee come la peste bubbonica, bensì il «compagno» Almagro.
Difficile dire se il coraggio del segretario generale Oea servirà a salvare qualche venezuelano da morte certa visto che ormai le vittime per inedia si contano a decine, ogni settimana, a Caracas. L'unica certezza è che Maduro non solo non riconosce l'esodo ma, dopo avere accusato Washington di «aver girato una fiction sull'esodo dei venezuelani», la settimana scorsa ha lanciato l'operazione «Vuelta a la Patria», con la quale ha messo a disposizione dei venezuelani emigrati qualche volo di Stato per farli rientrare gratuitamente a Caracas.
Finora la dittatura bolivariana ha inviato aerei in Argentina, Ecuador, Perù e Colombia, rimpatriando un totale di 379 venezuelani. Piccolo problema: tutti i presunti «esuli pentiti» sono scomparsi dai radar dei giornalisti indipendenti subito dopo avere innalzato alle tv di regime Telesur e VTV panegirici degni della Corea del Nord in onore del «sommo presidente Maduro che tanto ci ama» e ripudiando «il capitalismo dei paesi stranieri che ci hanno trattato da schiavi». «Sostenere una balla coi rimpatri di qualche dozzina quando gli esiliati forzati del Venezuela sono milioni è un atto massimamente immorale», ha risposto ieri Almagro, uno dei pochi politici con un briciolo di etica rimasti a sinistra.
28/8/2018
Venezuela, l’ex sindaco di Caracas: “Maduro più sanguinario di Chavez. L’unica via per salvarsi è radicale, anche violenta”
Antonio Ledezma - L’ex sindaco di Caracas fuggito in Spagna: “Paese in bancarotta, col passare del tempo il baratro è senza ritorno”
Dinanzi alle violenze nelle strade e la crisi economica che dura da cinque anni e non lascia scampo, per molti venezuelani l’unica alternativa è la fuga. Secondo l’Organizzazione internazionale per le migrazioni dal 2015 a oggi, 1,6 milioni di venezuelani sono scappati, il 90% dei quali in altri Stati del Sud America. “Si sta determinando una crisi che abbiamo già visto in altre parti del mondo, in particolare nel Mediterraneo”, sostiene l’Oim. Antonio Ledezma, ex sindaco di Caracas e leader del partito Accion Democratica, aveva lasciato il Venezuela quasi un anno fa, il 17 novembre scorso, poche settimane dopo essere uscito dal carcere avendo ottenuto i domiciliari. Coperto da una rete di collaboratori, è andato prima in Colombia e da lì in Spagna, a Madrid. “In realtà, in questi otto mesi dalla Spagna ho viaggiato in più di venti Paesi per incontrare i venezuelani fuori dal nostro Paese, per organizzarci e non perdere l’auto-stima, per continuare nella lotta. In questo percorso ho ricevuto tanti attestati di solidarietà”.
Cosa sta accadendo oggi in Venezuela?
Una catastrofe, senza paragoni con altri scenari attuali. Il Paese è in bancarotta e col passare del tempo il baratro si avvicina ed è senza ritorno. A tenerlo paradossalmente in vita è il popolo che resiste, con le unghie e con i denti.
Rispetto agli scontri nelle strade tra esercito e manifestanti, alle vittime dell’estate scorsa, ora le cose sono peggiorate?
Senza alcun dubbio. Chi si sveglia al mattino in Venezuela oggi sa che potrà andare solo peggio. Gli scontri sono diminuiti, ma l’inflazione ha raggiunto picchi incredibili e la svalutazione della moneta è al 4-5mila per cento.
A proposito di moneta, cosa pensa dell’introduzione del Petro?
Maduro ha introdotto una moneta illegale. È nello stile autoritario del dittatore, capace di giocare con la politica monetaria, di convertire la banca centrale venezuelana in un’impresa buona solo per stampare denaro e aumentare l’iperinflazione.
Sul presunto attacco terroristico al presidente con i droni del 5 agosto, quale idea si è fatto?
Considerate chiuse tutte le strade del dialogo col regime, ad ogni livello, compreso quello elettorale, le uniche alternative sono soluzioni radicali, quindi violente.
Anche questa è opposizione?
Mai appoggiato la violenza, neppure adesso. Tuttavia, lo scenario prevede al momento una lotta intestina nel Paese, una resistenza il cui scopo è condurre ad un processo civile di rivoluzione popolare contro la tirannia. L’obiettivo sono elezioni davvero libere. Esiste un’agenda politica combinata, tra i movimenti interni e la diaspora. Noi facciamo pressione affinché l’Unione Europea, gli Stati Uniti, il Canada e così via aumentino le sanzioni verso il regime di Maduro. Al tempo stesso è urgente attivare il settore umanitario per far fronte alla crisi quotidiana.
Sarebbe pronto a rientrare?
Ora è un sogno, per me e i milioni di connazionali sparsi in tutto il mondo. La diaspora ha raggiunto il 12% della popolazione, milioni di persone, la più grande migrazione del pianeta degli ultimi decenni. La crisi in Venezuela uccide per fame, per disoccupazione, per mancanza di medicina. Tra chi scappa c’è la parte buona della società, i migliori talenti.
Lei ha vissuto tutto il periodo di Chávez e la transizione con Maduro: quali le differenze ritiene vi siano tra i due leader?
Chávez era un impostore carismatico, un populista che ha fatto dell’antipolitica lo strumento per salire al potere. Maduro è un politico con molti limiti, ma più sanguinario del suo predecessore.
Venezuela, l’ex sindaco di Caracas: “Maduro più sanguinario di Chavez. L’unica via per salvarsi è radicale, anche violenta”
Antonio Ledezma - L’ex sindaco di Caracas fuggito in Spagna: “Paese in bancarotta, col passare del tempo il baratro è senza ritorno”
Dinanzi alle violenze nelle strade e la crisi economica che dura da cinque anni e non lascia scampo, per molti venezuelani l’unica alternativa è la fuga. Secondo l’Organizzazione internazionale per le migrazioni dal 2015 a oggi, 1,6 milioni di venezuelani sono scappati, il 90% dei quali in altri Stati del Sud America. “Si sta determinando una crisi che abbiamo già visto in altre parti del mondo, in particolare nel Mediterraneo”, sostiene l’Oim. Antonio Ledezma, ex sindaco di Caracas e leader del partito Accion Democratica, aveva lasciato il Venezuela quasi un anno fa, il 17 novembre scorso, poche settimane dopo essere uscito dal carcere avendo ottenuto i domiciliari. Coperto da una rete di collaboratori, è andato prima in Colombia e da lì in Spagna, a Madrid. “In realtà, in questi otto mesi dalla Spagna ho viaggiato in più di venti Paesi per incontrare i venezuelani fuori dal nostro Paese, per organizzarci e non perdere l’auto-stima, per continuare nella lotta. In questo percorso ho ricevuto tanti attestati di solidarietà”.
Cosa sta accadendo oggi in Venezuela?
Una catastrofe, senza paragoni con altri scenari attuali. Il Paese è in bancarotta e col passare del tempo il baratro si avvicina ed è senza ritorno. A tenerlo paradossalmente in vita è il popolo che resiste, con le unghie e con i denti.
Rispetto agli scontri nelle strade tra esercito e manifestanti, alle vittime dell’estate scorsa, ora le cose sono peggiorate?
Senza alcun dubbio. Chi si sveglia al mattino in Venezuela oggi sa che potrà andare solo peggio. Gli scontri sono diminuiti, ma l’inflazione ha raggiunto picchi incredibili e la svalutazione della moneta è al 4-5mila per cento.
A proposito di moneta, cosa pensa dell’introduzione del Petro?
Maduro ha introdotto una moneta illegale. È nello stile autoritario del dittatore, capace di giocare con la politica monetaria, di convertire la banca centrale venezuelana in un’impresa buona solo per stampare denaro e aumentare l’iperinflazione.
Sul presunto attacco terroristico al presidente con i droni del 5 agosto, quale idea si è fatto?
Considerate chiuse tutte le strade del dialogo col regime, ad ogni livello, compreso quello elettorale, le uniche alternative sono soluzioni radicali, quindi violente.
Anche questa è opposizione?
Mai appoggiato la violenza, neppure adesso. Tuttavia, lo scenario prevede al momento una lotta intestina nel Paese, una resistenza il cui scopo è condurre ad un processo civile di rivoluzione popolare contro la tirannia. L’obiettivo sono elezioni davvero libere. Esiste un’agenda politica combinata, tra i movimenti interni e la diaspora. Noi facciamo pressione affinché l’Unione Europea, gli Stati Uniti, il Canada e così via aumentino le sanzioni verso il regime di Maduro. Al tempo stesso è urgente attivare il settore umanitario per far fronte alla crisi quotidiana.
Sarebbe pronto a rientrare?
Ora è un sogno, per me e i milioni di connazionali sparsi in tutto il mondo. La diaspora ha raggiunto il 12% della popolazione, milioni di persone, la più grande migrazione del pianeta degli ultimi decenni. La crisi in Venezuela uccide per fame, per disoccupazione, per mancanza di medicina. Tra chi scappa c’è la parte buona della società, i migliori talenti.
Lei ha vissuto tutto il periodo di Chávez e la transizione con Maduro: quali le differenze ritiene vi siano tra i due leader?
Chávez era un impostore carismatico, un populista che ha fatto dell’antipolitica lo strumento per salire al potere. Maduro è un politico con molti limiti, ma più sanguinario del suo predecessore.
23/7/2018
Cuba, approvata riforma costituzionale: sparisce la parola “comunismo” e si riconosce la proprietà privata
Il Parlamento cubano ha approvato la riforma della Costituzione del 1976, redatta da una speciale commissione presieduta dall’ex presidente Raúl Castro – a cui è succeduto Miguel Diaz Canel. Il testo, formato da un preambolo e 224 articoli, è stato presentato in aula sabato 21 luglio e discusso per tre giorni in sessione plenaria. Adesso sarà sottoposto “alla consultazione della gente” – riporta il quotidiano Granma – nel periodo compreso fra il 13 agosto e il 15 novembre 2018. Sono tre le principali novità istituzionali che sono stata approvate nel nuovo testo costituzionali: la scomparsa della parola “comunismo”, l’introduzione della proprietà privata e degli investimenti esteri e l’apertura ai matrimoni tra persone dello stesso sesso.
L’articolo 5 della Costituzione del ’76 stabiliva che gli sforzi dello Stato, del partito comunista, erano orientati verso “gli alti fini della costruzione del socialismo e dell’avanzata verso la società comunista“. Nel testo riformato si fa riferimento solamente al socialismo. Il presidente dell’Assemblea nazionale Esteban Lazo Hernández ha dichiarato all’aula che “è importante ricordare che molte cose nell’anno 1976 erano differenti, ed il Paese ed il mondo vivevano altre situazioni“, sostenendo che tale decisione era già stata discussa nei congressi del partito – il sesto e il settimo, riporta il Granma – in cui “hanno preso atto della situazione in mutamento“. Ma questo non vuol dire, ha concluso Lazo, che “rinunciamo alle nostre idee, ma soltanto che nella nostra visione pensiamo ad un Paese socialista, sovrano, indipendente, prospero e sostenibile”. Questo punto potrebbe creare delle contraddizioni interne, visto che al momento l’unico partito legittimo a Cuba è proprio quello comunista. Altra novità istituzionale importante è la creazione delle figure del Presidente e vicepresidente della Repubblica e del Primo Ministro, che di fatto guiderà il governo – per cui è stato imposto un limite di due mandati quinquennali.
In ambito economico, il nuovo testo di riforma riconosce “nuove forme di proprietà, tra le quali quella privata“, ma conserverà “come principio essenziale quello della proprietà socialista del popolo dei mezzi fondamentali di produzione”: il mercato privato può quindi avere un ruolo nell’economia socialista. Circa mezzo milione di cubani hanno già una licenza per gestire piccole imprese private come ristoranti, officine meccaniche e affittacamere: la nuova costituzione cubana sembra fornire una base legale più solida alla riforma economica avviata da Raul Castro che aveva permesso l’apertura alla gestione privata di piccoli settori dell’economia, che in dieci anni ha portato all’aumentodell’impiego nel settore privato del 13%. La riforma riconosce anche l’importanza degli investimenti esteri “per lo sviluppo economico del Paese, con le dovute garanzie“.
L’ultima importante novità della riforma riguarda l’apertura al matrimonio tra persone omosessuali. Il vecchio testo costituzionale, all’art. 36, faceva infatti riferimento al matrimonio come all’unione volontaria tra “uomo e donna“: adesso, invece, dal testo riformato sparisce la specificazione di genere, definendo l’istituzione come unione volontaria tra “persone”. “Sarebbe una porta aperta per un’ulteriore legalizzazione delle coppie dello stesso sesso”, ha scritto sul suo blog il giornalista e attivista gay Francisco Rodríguez, membro del partito comunista al potere. Il nuovo testo costituzionale include anche ilprincipio di non discriminazione sulla base dell’orientamento sessuale o di genere, che secondo l’attivista consentirebbe l’adozione di “altre norme giuridiche e altre politiche pubbliche” per proteggere i diritti della comunità Lgbt a Cuba. Diritti che sono stati spesso calpestati dopo la presa del potere da parte di Fidel Castro nel 1959: le minoranze sessuali furono stigmatizzate e gli omosessuali discriminati o soggetti a campi di “rieducazione”. Nel 2010, lo stesso Castro ha riconosciuto le ingiustiziecommesse contro gli omosessuali.
14/6/2018
Razzista, omofobo e classista: ecco il vero "Che" oltre l'icona
Nasceva 90 anni fa Ernesto Guevara, mito della sinistra Che ha raccontato un uomo ben diverso dalla realtà.
San Paolo Ricorre oggi il novantennale di Ernesto Che Guevara. Nato a Rosario, Argentina, da una famiglia benestante, Guevara si laurea in medicina ma quando nel 1955 conosce Fidel e Raúl Castro in Messico, capisce subito che la sua vocazione è fare il guerrigliero, per liberare non solo Cuba dalla dittatura bensì l'intera America latina dagli Usa. Suo nemico numero uno è infatti l'imperialismo yankee che - per lui stalinista dichiarato anche dopo la destalinizzazione imposta da Kruscev - rappresentava il «male assoluto».
«Ho giurato davanti a una fotografia del vecchio e compianto compagno Stalin che non avrò riposo fino a che non vedrò annientare queste piovre capitaliste», disse nel 1959, subito dopo che la Revolución trionfò all'Avana ma sono molte le sue frasi rimaste nella storia, come la celebre «sì abbiamo fucilato, fuciliamo e fino a quando necessario fucileremo ancora perché la nostra è una lotta alla morte», pronunciata nel 1964 all'ONU. Ma anche l'assai meno nota «come puoi tenere il libro di questo finocchio in ambasciata?».
Già perché così, nel 1965, in visita nella sede diplomatica cubana di Algeri, Guevara si rivolse al suo ambasciatore quando vide la summa «Teatro Completo» del poeta e drammaturgo Virgilio Piñera. L'episodio, raccontato dal vincitore del Premio Cervantes Guillermo Cabrera Infante nel suo «Mi Cuba», dà un'idea dell'odio del Che verso gli omosessuali. Fu proprio Guevara ad istituire, nel 1960, il primo campo di lavori forzati a Cuba per gay, nella regione orientale di Guanahacabibes, all'entrata del quale c'era scritto «Il lavoro vi renderà uomini». E lì, come lo stesso Che spiegò nel 1962, «ci mandiamo chi ha commesso peccati contro la morale rivoluzionaria». Ovvero gay, trans e lesbiche «che non rientravano nel modello dell'uomo nuovo proposto dal Che, uno dei più convinti leader omofobici dell'epoca» scrive Emilio Bejel nel saggio «Gay Cuban Nation».
Molti anche gli spunti sui lavoratori di quando il Che fu, contemporaneamente, presidente della Banca Centrale di Cuba e ministro dell'industria, tra 1959 e 1963. Su tutti due che lascerebbero di stucco i sindacalisti di oggi «compagni, non è corretto aumentare lo stipendio di chi lavora di più, ma piuttosto tagliare quelli di chi produce meno» ed il fatto che «è essenziale rimanere nelle fabbriche durante le ferie anche senza guadagnare nulla in più». Grazie all'editore Giangiacomo Feltrinelli la foto col basco del Che immortalato da Peter Korda diventa uno dei simboli di pace, un'icona dello slogan «fate l'amore, non fate la guerra» insieme a Gandhi e Madre Teresa sulle barricate del Maggio francese e nelle marce contro la guerra in Vietnam, ma la realtà è tutt'altra. Pochi sanno infatti che, a oggi, il Progetto Verità e Memoria di Archivio Cuba ha provato ben 144 omicidi commessi direttamente dal Che. Tra le sue vittime compagni di guerriglia, poliziotti uccisi di fronte ai figli, ragazzini e decine di oppositori politici fucilati nel Forte della Cabaña, fatti fuori al paredón, da Guevara in persona. È del resto lo stesso Che a mettere, nero su bianco, nella sua autobiografia Textos Políticos «l'odio come fattore di lotta, l'odio intransigente contro il nemico che spinge oltre i limiti naturali dell'uomo e lo trasforma in una, violenta, selettiva e fredda macchina per uccidere». Ancora oggi, tanti lo celebrano in Africa e negli Usa, dov'è un idolo secondo solo a Malcom X e Martin Luther King anche per il movimento che difende i diritti degli afroamericani Black Lives Matter. Pochi di loro, però, sanno del razzismo, testimoniato dai suoi «Diari della Motocicletta». Quando è in Venezuela, ad esempio, Guevara scrive che i «negri hanno mantenuto la loro purezza razionale grazie alla scarsa abitudine che hanno di farsi il bagno». Più avanti, in Brasile, comparando portoghesi e coloured, è sempre lui a scrivere «il disprezzo e la povertà li unisce nella lotta quotidiana ma il modo di affrontare la vita li separa totalmente: il negro, indolente e sognatore, spende i suoi soldi per qualsiasi sciocchezza, l'europeo ha invece una tradizione di lavoro e risparmio». Anche questo fu il Che.
«Ho giurato davanti a una fotografia del vecchio e compianto compagno Stalin che non avrò riposo fino a che non vedrò annientare queste piovre capitaliste», disse nel 1959, subito dopo che la Revolución trionfò all'Avana ma sono molte le sue frasi rimaste nella storia, come la celebre «sì abbiamo fucilato, fuciliamo e fino a quando necessario fucileremo ancora perché la nostra è una lotta alla morte», pronunciata nel 1964 all'ONU. Ma anche l'assai meno nota «come puoi tenere il libro di questo finocchio in ambasciata?».
Già perché così, nel 1965, in visita nella sede diplomatica cubana di Algeri, Guevara si rivolse al suo ambasciatore quando vide la summa «Teatro Completo» del poeta e drammaturgo Virgilio Piñera. L'episodio, raccontato dal vincitore del Premio Cervantes Guillermo Cabrera Infante nel suo «Mi Cuba», dà un'idea dell'odio del Che verso gli omosessuali. Fu proprio Guevara ad istituire, nel 1960, il primo campo di lavori forzati a Cuba per gay, nella regione orientale di Guanahacabibes, all'entrata del quale c'era scritto «Il lavoro vi renderà uomini». E lì, come lo stesso Che spiegò nel 1962, «ci mandiamo chi ha commesso peccati contro la morale rivoluzionaria». Ovvero gay, trans e lesbiche «che non rientravano nel modello dell'uomo nuovo proposto dal Che, uno dei più convinti leader omofobici dell'epoca» scrive Emilio Bejel nel saggio «Gay Cuban Nation».
Molti anche gli spunti sui lavoratori di quando il Che fu, contemporaneamente, presidente della Banca Centrale di Cuba e ministro dell'industria, tra 1959 e 1963. Su tutti due che lascerebbero di stucco i sindacalisti di oggi «compagni, non è corretto aumentare lo stipendio di chi lavora di più, ma piuttosto tagliare quelli di chi produce meno» ed il fatto che «è essenziale rimanere nelle fabbriche durante le ferie anche senza guadagnare nulla in più». Grazie all'editore Giangiacomo Feltrinelli la foto col basco del Che immortalato da Peter Korda diventa uno dei simboli di pace, un'icona dello slogan «fate l'amore, non fate la guerra» insieme a Gandhi e Madre Teresa sulle barricate del Maggio francese e nelle marce contro la guerra in Vietnam, ma la realtà è tutt'altra. Pochi sanno infatti che, a oggi, il Progetto Verità e Memoria di Archivio Cuba ha provato ben 144 omicidi commessi direttamente dal Che. Tra le sue vittime compagni di guerriglia, poliziotti uccisi di fronte ai figli, ragazzini e decine di oppositori politici fucilati nel Forte della Cabaña, fatti fuori al paredón, da Guevara in persona. È del resto lo stesso Che a mettere, nero su bianco, nella sua autobiografia Textos Políticos «l'odio come fattore di lotta, l'odio intransigente contro il nemico che spinge oltre i limiti naturali dell'uomo e lo trasforma in una, violenta, selettiva e fredda macchina per uccidere». Ancora oggi, tanti lo celebrano in Africa e negli Usa, dov'è un idolo secondo solo a Malcom X e Martin Luther King anche per il movimento che difende i diritti degli afroamericani Black Lives Matter. Pochi di loro, però, sanno del razzismo, testimoniato dai suoi «Diari della Motocicletta». Quando è in Venezuela, ad esempio, Guevara scrive che i «negri hanno mantenuto la loro purezza razionale grazie alla scarsa abitudine che hanno di farsi il bagno». Più avanti, in Brasile, comparando portoghesi e coloured, è sempre lui a scrivere «il disprezzo e la povertà li unisce nella lotta quotidiana ma il modo di affrontare la vita li separa totalmente: il negro, indolente e sognatore, spende i suoi soldi per qualsiasi sciocchezza, l'europeo ha invece una tradizione di lavoro e risparmio». Anche questo fu il Che.
18 Aprile 2018
Tensione, controlli, arresti. Cuba cambia senza cambiare
Le voci che arrivano da Cuba non annunciano nulla di buono. Da settimane c'è un nuovo giro di vite del regime. I controlli sono aumentati, ci sono molti più arresti. Si contrastano le iniziative private che con Obama e il disgelo avevano preso nuovo slancio.
Un mio amico, di cui non farò il nome su sua richiesta, veterano della guerra in Angola, uno che porta ancora le cicatrici sul corpo per le schegge degli obici e che ha creduto fermamente nella rivoluzione, mi dice che il clima a Cuba è molto teso.
Tutti quelli come lui, costretti a sopravvivere con i turisti, vengono regolarmente fermati. Lui, in particolare, mi spiega di essere finito dentro. Era con amici stranieri e come sempre li assisteva nei giri che volevano fare.
"Sono stato bloccato dalla polizia", racconta, "e mi hanno arrestato. Lo chiamano assalto al turismo. È la prima volta in tanti anni. Non avevo i soldi per pagarmi la cauzione: sono rimasto in cella per sette giorni. Hanno cercato di aprire il mio cellulare per trovare indirizzi e foto. Alla fine lo hanno rotto. Purtroppo, sono controllato e non posso più fare quello che facevo sempre".
Queste sono ore cruciali: per la prima volta dopo 60 anni, l'isola sarà guidata da un presidente che non farà parte della famiglia Castro. Tutto lascia ritenere che lo scettro detenuto prima da Fidel e poi da Raúl sarà affidato alle mani di Miguel Diaz-Canel Bermúdez, attuale vicepresidente e membro del Politburo del Partito comunista cubano.
Ma il passaggio di consegne è pieno di incognite. Diaz-Canel, 57 anni, ingegnere elettronico, più affine come docente universitario che alla casta militare da sempre ai vertici del regime, sarà il primo uomo a sedere nella poltrona più importante di Cuba nato dopo la rivoluzione dei barbudos.
È un dettaglio importante, che potrebbe far ben sperare ma che diventa irrilevante se si legge bene il profilo ideologico di questo quadro politico del Pcc riuscito a salire tutti i gradini della nomenklatura senza mai sbagliare un colpo.
Capello lungo e fluente, camicia sportiva su jeans consumati, Miguel Diaz-Canel Bermudez, si è sempre distinto per i suoi modi affabili, per l'impegno sul lavoro che lo teneva inchiodato fino a tardi nei vari uffici che occupava, per le iniziative culturali messe in campo quando divenne primo segretario provinciale (una sorta di sindaco) del partito a Villa Clara, sua città di nascita e di crescita politica.
Fu il primo, negli anni '90, i più critici e difficili per Cuba, con il petrolio ridotto al contagocce e razionato solo per dare poche ore di luce elettrica a case e ospedali, ad aprire alla musica rock, con concerti e festival musicali, di cui era un grande estimatore. Fu sempre lui, da sindaco, a autorizzare e presenziare a uno spettacolo di transgender.
Piccole ma importanti aperture che rompevano il rigido moralismo rivoluzionario imposto dai protagonisti della guerra sulla Sierra Maestra. Il suo percorso politico nasce all'università. È docente. Alla fine degli anni '80 alterna le aule con la militanza e diventa una delle figure di spicco dell'Unione della Gioventù Comunista (UJC) di Villa Clara.
L'organizzazione è l'anticamera del Partito Comunista e il laboratorio di quadri politici: il luogo dove i giovani con le giuste credenziali dimostrano il proprio talento per continuare a salire la piramide istituzionale del partito.
Nel 1999 il prossimo presidente diventa il secondo segretario del Comitato nazionale della UJC. Due anni dopo passa tra le fila del Partito Comunista. Alterna i suoi modi aperti e trasgressivi a momenti di massimo rigore. Dimostra una fermezza ideologica ed esegue alla lettera i principi e i valori che gli sono stati trasmessi.
"È un uomo senza matrici. Non è sgradevole ma neanche simpatico", commenta un altro amico che lo conosce bene. "Ma ha fatto capire in modo molto chiaro che non sarà l'uomo del cambiamento. È arrivato dove è arrivato perché è un eccellente esecutore di ordini". È il figlio legittimo della generazione di cubani nati nei primi anni della rivoluzione. "Ha assorbito il clima e il linguaggio di quel tempo", aggiunge il mio contatto. "Ha imparato a restare zitto davanti alle direttive. Fa parte di quegli uomini e quelle donne incapaci di alzare la mano e di discutere ciò che è stato stabilito".
La svolta arriva nel 2003. Diaz-Canel entra nel Comitato Centrale. Fa ormai parte della cerchia dei Castro che lo vedono come una promessa su cui si poteva contare in vista dell'inevitabile cambio generazionale.
È Raúl, succeduto a Fidel, a trascinarlo verso l'alto. Sostituisce 8 ministri e 4 vicepresidenti del Consiglio di Stato. Il prossimo presidente viene cooptato al vertice e nel 2009 è nominato ministro dell'Educazione superiore.
Sarà il suo banco di prova: il regime ha bisogno di inserire la ideologia rivoluzionaria tra i libri di testo e tra gli studenti. Diaz-Canel contribuirà in modo determinante al nuovo corso. Viene premiato, il 24 febbraio del 2013, come primo vicepresidente del Consiglio di Stato e Ministro di Cuba. Sarà il primo e unico a sedersi nel bureau politico del Partito con un tablet in mano.
È il solo, del resto, ad avere un profilo sui social dove pubblica foto e momenti della sua storia politica. Non ha mai fatto mistero della sua ideologia marxista. I suoi discorsi hanno la stessa retorica e le stesse frasi rivoluzionarie che i politici cubani hanno usato sin dal 1959. Non ha un profilo militare ma la sua educazione è marziale.
Pochissimi a Cuba lo vogliono. La maggioranza preferirebbe vedere alla guida uno dei cinque agenti liberati nel dicembre del 2014 dagli Usa e accolti sull'isola come eroi. "Meglio uno di loro", dicono le tante voci che raccolgo da L'Avana. "Hanno pagato un duro prezzo, meritano un riconoscimento. L'eletto prenderà sempre ordini di Raúl che resta il presidente del Partito Comunista Cubano".
Gerardo Hernandez, Ramón Lababino, Antonio Guerrero, René Gonzalez e Fernando Gonzalez sono già stati premiati con case di lusso e privilegi. Resteranno al loro posto. La strada è spianata per Miguel Diaz-Canel Bermúdez. Il giorno dopo l'incarico potrà festeggiare una doppia ricorrenza: essere il primo presidente dopo la famiglia Castro e sorseggiare un buon daiquiri per i suoi 58 anni.
Tensione, controlli, arresti. Cuba cambia senza cambiare
Le voci che arrivano da Cuba non annunciano nulla di buono. Da settimane c'è un nuovo giro di vite del regime. I controlli sono aumentati, ci sono molti più arresti. Si contrastano le iniziative private che con Obama e il disgelo avevano preso nuovo slancio.
Un mio amico, di cui non farò il nome su sua richiesta, veterano della guerra in Angola, uno che porta ancora le cicatrici sul corpo per le schegge degli obici e che ha creduto fermamente nella rivoluzione, mi dice che il clima a Cuba è molto teso.
Tutti quelli come lui, costretti a sopravvivere con i turisti, vengono regolarmente fermati. Lui, in particolare, mi spiega di essere finito dentro. Era con amici stranieri e come sempre li assisteva nei giri che volevano fare.
"Sono stato bloccato dalla polizia", racconta, "e mi hanno arrestato. Lo chiamano assalto al turismo. È la prima volta in tanti anni. Non avevo i soldi per pagarmi la cauzione: sono rimasto in cella per sette giorni. Hanno cercato di aprire il mio cellulare per trovare indirizzi e foto. Alla fine lo hanno rotto. Purtroppo, sono controllato e non posso più fare quello che facevo sempre".
Queste sono ore cruciali: per la prima volta dopo 60 anni, l'isola sarà guidata da un presidente che non farà parte della famiglia Castro. Tutto lascia ritenere che lo scettro detenuto prima da Fidel e poi da Raúl sarà affidato alle mani di Miguel Diaz-Canel Bermúdez, attuale vicepresidente e membro del Politburo del Partito comunista cubano.
Ma il passaggio di consegne è pieno di incognite. Diaz-Canel, 57 anni, ingegnere elettronico, più affine come docente universitario che alla casta militare da sempre ai vertici del regime, sarà il primo uomo a sedere nella poltrona più importante di Cuba nato dopo la rivoluzione dei barbudos.
È un dettaglio importante, che potrebbe far ben sperare ma che diventa irrilevante se si legge bene il profilo ideologico di questo quadro politico del Pcc riuscito a salire tutti i gradini della nomenklatura senza mai sbagliare un colpo.
Capello lungo e fluente, camicia sportiva su jeans consumati, Miguel Diaz-Canel Bermudez, si è sempre distinto per i suoi modi affabili, per l'impegno sul lavoro che lo teneva inchiodato fino a tardi nei vari uffici che occupava, per le iniziative culturali messe in campo quando divenne primo segretario provinciale (una sorta di sindaco) del partito a Villa Clara, sua città di nascita e di crescita politica.
Fu il primo, negli anni '90, i più critici e difficili per Cuba, con il petrolio ridotto al contagocce e razionato solo per dare poche ore di luce elettrica a case e ospedali, ad aprire alla musica rock, con concerti e festival musicali, di cui era un grande estimatore. Fu sempre lui, da sindaco, a autorizzare e presenziare a uno spettacolo di transgender.
Piccole ma importanti aperture che rompevano il rigido moralismo rivoluzionario imposto dai protagonisti della guerra sulla Sierra Maestra. Il suo percorso politico nasce all'università. È docente. Alla fine degli anni '80 alterna le aule con la militanza e diventa una delle figure di spicco dell'Unione della Gioventù Comunista (UJC) di Villa Clara.
L'organizzazione è l'anticamera del Partito Comunista e il laboratorio di quadri politici: il luogo dove i giovani con le giuste credenziali dimostrano il proprio talento per continuare a salire la piramide istituzionale del partito.
Nel 1999 il prossimo presidente diventa il secondo segretario del Comitato nazionale della UJC. Due anni dopo passa tra le fila del Partito Comunista. Alterna i suoi modi aperti e trasgressivi a momenti di massimo rigore. Dimostra una fermezza ideologica ed esegue alla lettera i principi e i valori che gli sono stati trasmessi.
"È un uomo senza matrici. Non è sgradevole ma neanche simpatico", commenta un altro amico che lo conosce bene. "Ma ha fatto capire in modo molto chiaro che non sarà l'uomo del cambiamento. È arrivato dove è arrivato perché è un eccellente esecutore di ordini". È il figlio legittimo della generazione di cubani nati nei primi anni della rivoluzione. "Ha assorbito il clima e il linguaggio di quel tempo", aggiunge il mio contatto. "Ha imparato a restare zitto davanti alle direttive. Fa parte di quegli uomini e quelle donne incapaci di alzare la mano e di discutere ciò che è stato stabilito".
La svolta arriva nel 2003. Diaz-Canel entra nel Comitato Centrale. Fa ormai parte della cerchia dei Castro che lo vedono come una promessa su cui si poteva contare in vista dell'inevitabile cambio generazionale.
È Raúl, succeduto a Fidel, a trascinarlo verso l'alto. Sostituisce 8 ministri e 4 vicepresidenti del Consiglio di Stato. Il prossimo presidente viene cooptato al vertice e nel 2009 è nominato ministro dell'Educazione superiore.
Sarà il suo banco di prova: il regime ha bisogno di inserire la ideologia rivoluzionaria tra i libri di testo e tra gli studenti. Diaz-Canel contribuirà in modo determinante al nuovo corso. Viene premiato, il 24 febbraio del 2013, come primo vicepresidente del Consiglio di Stato e Ministro di Cuba. Sarà il primo e unico a sedersi nel bureau politico del Partito con un tablet in mano.
È il solo, del resto, ad avere un profilo sui social dove pubblica foto e momenti della sua storia politica. Non ha mai fatto mistero della sua ideologia marxista. I suoi discorsi hanno la stessa retorica e le stesse frasi rivoluzionarie che i politici cubani hanno usato sin dal 1959. Non ha un profilo militare ma la sua educazione è marziale.
Pochissimi a Cuba lo vogliono. La maggioranza preferirebbe vedere alla guida uno dei cinque agenti liberati nel dicembre del 2014 dagli Usa e accolti sull'isola come eroi. "Meglio uno di loro", dicono le tante voci che raccolgo da L'Avana. "Hanno pagato un duro prezzo, meritano un riconoscimento. L'eletto prenderà sempre ordini di Raúl che resta il presidente del Partito Comunista Cubano".
Gerardo Hernandez, Ramón Lababino, Antonio Guerrero, René Gonzalez e Fernando Gonzalez sono già stati premiati con case di lusso e privilegi. Resteranno al loro posto. La strada è spianata per Miguel Diaz-Canel Bermúdez. Il giorno dopo l'incarico potrà festeggiare una doppia ricorrenza: essere il primo presidente dopo la famiglia Castro e sorseggiare un buon daiquiri per i suoi 58 anni.
Caracas 2017
3 Febbraio 2018
Suicida Fidelito Castro: "Ossessionato dal padre"
Non ce l'ha fatta a sopravvivere a lungo alla morte di quel padre dittatore che gli aveva sempre condizionato la vita e, adesso che non c'era più, paradossalmente gli mancava «la causa vivente» delle sue frustrazioni.
O forse ha deciso di farla finita perché lo uccideva ogni giorno un po' vedere il contrasto tra la povertà del popolo cubano e le sue proprietà nel Mediterraneo, yacht inclusi su cui trascorreva lussuose estati europee. Di certo c'è che Fidelito come tutti all'Avana chiamavano Fidel Ángel Castro Diaz-Balart - il primogenito dei sei figli maschi riconosciuti da Fidel Castro - è stato innanzitutto la vittima di un padre padrone e, dopo mesi passati a rodersi non ha retto al peso della depressione uccidendosi all'alba di giovedì scorso.
Un colpo in testa secondo alcuni, gettandosi dalla finestra della struttura dove era in cura per altri, senza che nessun infermiere o medico riuscisse a bloccarlo nel suo gesto estremo. Al di là della dinamica della morte di Fidelito - circola anche una terza ipotesi, ovvero che sia stato suicidato come tante altre vittime del cosiddetto «Castrointeritismo fulminante» di certo c'è che la dipartita del primogenito maschio di Fidel arriva a meno di 45 giorni dal passaggio di consegne di Raúl, ovvero dalla prima volta in quasi 60 anni che l'isola caraibica non sarà più governata da qualcuno col cognome Castro. Altrettanto sicuro è che tutti i media statali cubani, dopo avere dato l'annuncio, hanno fatto come se nulla fosse accaduto, tenendo la notizia «bassissima».
Nato il 1° settembre del 1949 dal primo matrimonio dell'ex dittatore con Mirtha Diaz-Balart, Fidel Ángel visse con la madre tra Madrid e l'America sino a 10 anni, poi passò sotto la tutela di Fidel e, da allora, a controllare la sua vita fu suo padre. Studi a Mosca, nell'ex Urss, dove Fidelito - che si era intanto guadagnato il soprannome per la gran somiglianza col progenitore - aveva imparato alla perfezione il russo, si era innamorato e, soprattutto, si era laureato con lode in fisica nucleare.
Era una mente Fidelito, come sua sorella Alina del resto che, tuttavia, aveva avuto il coraggio di rinnegare il genitore psicopatico per fuggire negli Stati Uniti, dov'era diventata attivista dei diritti umani. Come fece anche Juanita, una sorella di Fidel. Fosse dipeso da lui sarebbe rimasto nell'ex Urss, ma Fidel lo richiamò in patria per guidare la ricerca cubana sull'atomo. Siamo nel 1980 e sotto la sua guida è costruita la prima centrale nucleare cubana nella provincia di Cienfuegos che, però, non produce energia per il crollo dell'impero sovietico che doveva rifornirla di tecnologia ad hoc. Siamo nel 1992 e invece di essere padre Fidel scarica il primogenito, umiliandolo pubblicamente e facendolo chiamare da Granma, il suo giornale, «inefficiente» e «inetto». Il dittatore «spegne» il figlio sino al 1999 e quello che era un eccellente fisico nucleare comincia a morire allora. Poi grazie alla mediazione del più umano zio Raúl, Fidelito torna da consulente scientifico e come vicepresidente dell'Accademia delle scienze di Cuba, ma è un cerotto su ferite ormai in cancrena. Il treno sovietico è passato, quello statunitense preso da Alina e zia Juanita anche e, ora che da fine 2016 non c'è neanche più il despota padre come giustificazione di una vita non vissuta, come arrivare a 70 anni senza pensare al suicidio, soprattutto quando guardandoti allo specchio ci vedi riflessa l'immagine di chi più odi?
Che i figli dei dittatori finiscano male non è una novità. Basti pensare ai 4 figli di Gheddafi massacrati nella primavera del 2011; a Uday e Qusay Hussein, feroci figli di Saddam uccisi dagli americani nel 2003. O a Nicu Ceausescu, figlio del conducator romeno Nicolae, morto di cirrosi in un ospedale di Vienna nel 1996 dopo una vita fatta di soprusi e violenze sul suo popolo durante la feroce dittatura del padre. O a Svetlana Stalin, prima sposa di un ebreo mandato in Siberia dal genitore e poi vittima del mondo di terrore costruito dal padre, che riuscì a fuggire - via Roma - negli Usa. Più fortunata di suo fratello Jakov, morto in un lager nazista dove era prigioniero di guerra. Suicida, come Fidelito.
7 Gennaio 2018
Venezuela, un narco-Stato che piace agli estremisti islamici
Un narco-stato che vive e si alimenta di narcoterrorismo. E dove la ricchezza enorme derivata dal petrolio adesso è solo un lontano ricordo. Parlano così, del “loro” Venezuela agli Occhi della Guerra alcuni dei più importanti fuoriusciti rifugiatisi da qualche anno nella vicina Florida da dove cercano adesso di denunciare presso il governo Usa tutto quello che sanno sul regime corrotto di Chávez prima e di Maduro adesso.
E se il loro background è diverso, Mario Ivan Carratù Molina è un vice Ammiraglio, già comandante della Casa Militar durante la presidenza di Carlos Andrés Pérez, quella prima di Chávez per intenderci mentre Alberto Franceschi è tra i fondatori del partito socialista venezuelano dei lavoratori e già deputato eletto alla Costituente del 1999, su una cosa i due sono d’accordo. Il loro Venezuela, così come è adesso, oltre ad essere un paese sull’orlo di una crisi umanitaria senza precedenti rischia di trasformarsi presto in una bomba pericolosissima per tutta l’America Latina e, soprattutto, per i vicini Stati Uniti. “Una miscela incandescente a base di cocaina e radicalismo islamico complice un governo non spettatore passivo ma esso stesso protagonista del business criminale del narcotraffico” spiegano. A confermare la denuncia dei due illustri venezuelani anche la Dea e il Dipartimento del Tesoro Usa. Che ha formalmente accusato di essere narcotrafficanti personaggi cruciali del governo venezuelano attuale. Primo nella lista nientedimeno che il vice presidente Tareck El Aissami. Gli sono stati congelati oltre tre miliardi di dollari e due aerei utilizzati per trasportare la cocaina dal Venezuela agli Stati Uniti, quantitativi enormi, secondo le stime 5mila kg al giorno. 42 anni Tarek el Aissami è diventato il simbolo di questo Venezuela ormai consegnato alla criminalità organizzata transnazionale. Oltre ad essere un “grande narcotrafficante” (parola del Tesoro Usa), infatti, el Aissami è collegato ad Hezbollah che ha sempre favorito nel riciclaggio e nei documenti falsi.
“E poi c’è Diosdato Cabello, ex presidente dell’Assemblea Nazionale” spiega Franceschi. “È il numero due di Chávez e vicepresidente del PSUV. È il vero stratega della fitta rete di riciclaggio attraverso banche e società controllate dal regime. Ci sono ampie prove per giustificare che sia una delle teste se non la testa del cartello de Los Soles. Il cartello prenderebbe il nome proprio dalle mostrine delle alte gerarchie militari venezuelane.coinvolte”. Accuse tutte rispedite al mittente da Cabello che ha anche dichiarato di essere “addolorato” perché non ha ricevuto “neanche una parola di scuse”. E invece a scusarsi dovrebbe essere proprio lui, soprattutto con i poveri che hanno sperato in lui e nel socialismo bolivariano per vedersi finalmente riconosciuta una possibilità di riscatto. “Infine – aggiunge Carratù Molina – ci sono i nipoti del presidente Maduro arrestati nel 2015 ad Haiti con 800 kg di cocaina che volevano far entrare negli Stati Uniti”.
Ma da dove arriva la cocaina visto che il Venezuela non risulta paese produttore? L’ex deputato Franceschi racconta così quello che da anni viene denunciato. “Le Farc – spiega – ‘Le forze armate rivoluzionarie della Colombia’- grazie a Chávez controllano ormai qualcosa come mezzo milione di kmq di territorio venezuelano. Qui hanno installato le loro rotte protette anche dai nostri militari che poi si spartiscono i profitti. Dal Venezuela la droga poi raggiunge gli Stati Uniti via America Centrale e Europa attraverso l’Africa occidentale e il Maghreb”.
Ed è proprio questa rotta che apre ancora di più le porte al radicalismo islamico. “In realtà è dall’era Chávez che l’Iran ha letteralmente invaso il Venezuela per aggirare le sanzioni internazionali sul nucleare – spiega Mario Ivan Carratù Molina – perché siamo ricchi di uranio. Così negli anni Hezbollah si è fatto sempre più presente sul nostro territorio arrivando a dedicarsi anche al narcotraffico per finanziare la sua attività terroristica”.
Ma la rotta africana adesso apre scenari e alleanze nuove come quella con al-Qaeda del Maghreb e con lo stato islamico. “Il narcotraffico sta vincendo sull’ideologia, anche religiosa – chiariscono sia Franceschi che Carratù Molina – una bomba che potremmo pagare tutti a caro prezzo”.
7 Gennaio 2018
Inflazione da follia in Venezuela, dove una sigaretta costa quanto 166 litri di benzina
Il carovita ha toccato un livello del 2.735% nel 2017. Per comprare una gazosa occorre il 12% di un salario minimo. La gasolina non costa quasi niente, ma la gazosa il 12% del tuo stipendio. E’ il paradosso, e il dramma, dei venezuelani in questi giorni, con il 2017 che ha chiuso con una inflazione del 2.735% e l’anno appena cominciato che potrebbe andare peggio. L’inflazione, secondo le stime dell’Assemblea Nazionale, raggiungerà e forse supererà il 6.000%. Un reportage del quotidiano argentino ‘La Nación’ racconta la durezza della crisi economica, che ha stravolto persino il linguaggio comune: tenere dietro ai rincari è assai difficile non solo per le tasche, ma quando la gente prova a prezzare i generi di primo consumo che variano da un giorno all’altro. Il presidente del Venezuela Nicolás Maduro è stato appena costretto all’ennesima soluzione tampone, decretando il mese scorso il sesto aumento dei salari minimi e dei buoni alimentari per temperare la crisi. Oggi (ma già dopodomani chissà) i primi sono fissati a 248.510 bolívar e i secondi a 549.000. Sommando salario minimo e ticket alimentare sono 797.510 bolívar, che cambiati al mercato nero parallelo – l’unico efficiente – fanno in tutto sette dollari americani. Sette.
La sigaretta impossibile
Il rialzo stratosferico dei prezzi ha "cannibalizzato" gli zeri: Un caffè? La gente dice che costa dieci bolívar (o bolos, come è chiamata comunemente in Venezuela la divisa nazionale) per intendere che sono 10mila, e si calcoli che una caramella oggi ne costa mille e una sigaretta 1.200. Il paradosso è che, essendo il Paese un grande produttore di petrolio, un litro di benzina alla pompa costa appena, tuttora, 6 bolívar. Insomma, vuol dire che al prezzo di una sola sigaretta un venezuelano può comprarsi 166 litri di benzina a 95 ottani, mentre con quella più economica a 91 ottani – che sta un bolívar al litro – potrebbe riempire un deposito di mille litri.
“Persino le gazose hanno raggiunto i 100.000 bolívar negli acquisti compulsivi di fine anno dopo settimane di scomparsa dagli scaffali. Il 12% di un salario minimo (di quelli adeguati e contando anche i ticket) impegnato in una bottiglia della bibita”, rileva ‘La Nación’.
Inflazione da follia in Venezuela, dove una sigaretta costa quanto 166 litri di benzina
Il carovita ha toccato un livello del 2.735% nel 2017. Per comprare una gazosa occorre il 12% di un salario minimo. La gasolina non costa quasi niente, ma la gazosa il 12% del tuo stipendio. E’ il paradosso, e il dramma, dei venezuelani in questi giorni, con il 2017 che ha chiuso con una inflazione del 2.735% e l’anno appena cominciato che potrebbe andare peggio. L’inflazione, secondo le stime dell’Assemblea Nazionale, raggiungerà e forse supererà il 6.000%. Un reportage del quotidiano argentino ‘La Nación’ racconta la durezza della crisi economica, che ha stravolto persino il linguaggio comune: tenere dietro ai rincari è assai difficile non solo per le tasche, ma quando la gente prova a prezzare i generi di primo consumo che variano da un giorno all’altro. Il presidente del Venezuela Nicolás Maduro è stato appena costretto all’ennesima soluzione tampone, decretando il mese scorso il sesto aumento dei salari minimi e dei buoni alimentari per temperare la crisi. Oggi (ma già dopodomani chissà) i primi sono fissati a 248.510 bolívar e i secondi a 549.000. Sommando salario minimo e ticket alimentare sono 797.510 bolívar, che cambiati al mercato nero parallelo – l’unico efficiente – fanno in tutto sette dollari americani. Sette.
La sigaretta impossibile
Il rialzo stratosferico dei prezzi ha "cannibalizzato" gli zeri: Un caffè? La gente dice che costa dieci bolívar (o bolos, come è chiamata comunemente in Venezuela la divisa nazionale) per intendere che sono 10mila, e si calcoli che una caramella oggi ne costa mille e una sigaretta 1.200. Il paradosso è che, essendo il Paese un grande produttore di petrolio, un litro di benzina alla pompa costa appena, tuttora, 6 bolívar. Insomma, vuol dire che al prezzo di una sola sigaretta un venezuelano può comprarsi 166 litri di benzina a 95 ottani, mentre con quella più economica a 91 ottani – che sta un bolívar al litro – potrebbe riempire un deposito di mille litri.
“Persino le gazose hanno raggiunto i 100.000 bolívar negli acquisti compulsivi di fine anno dopo settimane di scomparsa dagli scaffali. Il 12% di un salario minimo (di quelli adeguati e contando anche i ticket) impegnato in una bottiglia della bibita”, rileva ‘La Nación’.
3 Gennaio 2018
Archivio Cuba documenta 12 morti "di natura politica" sull'isola nel 2017
La cifra potrebbe essere solo la punta dell'iceberg, secondo un rapporto pubblicato dall'organizzazione.
L'iniziativa Archivo Cuba Truth and Memory Project ha documentato 12 morti di "natura politica" a Cuba nel 2017, una cifra che potrebbe essere solo la punta dell'iceberg di altre morti possibili per quella causa, secondo un rapporto pubblicato dall'organizzazione con quartier generale a Puerto Rico.
Archivo Cuba, la cui missione principale è quella di documentare i casi di decessi causati dallo Stato, ha pubblicato la recensione con i dodici defunti accompagnata dalle misteriose circostanze che circondano la loro morte e che, sospettano, erano "omicidi extragiudiziali".
"Tutti i 12 casi denotano l'ingiustizia e l'estrema sofferenza umana vissuta a Cuba, generalmente ignorata dal mondo", afferma il rapporto che inizia con la storia della dottoressa Castillo Sotto, 27 anni, scomparsa lo scorso giugno. a Caracas in circostanze che i media venezuelani hanno descritto come "misteriose".
La giovane donna era in missione medica organizzata dal governo quando "cadde (saltò o fu spinta) dall'ottavo piano di un edificio nel suo complesso residenziale a Fuerte Tiuna, la più grande installazione militare in Venezuela". Funzionari cubani hanno impedito l'esame forense e hanno inviato il corpo immediatamente sull'isola.
Un altro medico cubano, residente in Ecuador, è il prossimo caso sulla lista. Questo è il dottore Roger Vega Tabares, 46 anni, morto a dicembre nella sua casa di Portoviejo "con lesioni al collo e cause non ancora determinate che inizialmente erano anche spiegate come un probabile suicidio".
Archivo Cuba avverte che dietro la "cooperazione internazionalista" si nasconde "un business globale che costituisce la principale fonte di reddito" del governo di Raúl Castro. "Tra le spiacevoli conseguenze di questa forma di schiavitù moderna, molti lavoratori, soprattutto medici, sono inviati in luoghi pericolosi nelle aree infestate dal crimine", dice il testo.
Nel rapporto di defunto comprende anche l'avversario Adrián Sosa Blanco, 48 anni, morto a casa sua nel marzo dello scorso anno. "La causa della morte è stata certificata come trombosi polmonare, ma per ragioni sconosciute non è stata eseguita la normale autopsia", ha riferito la famiglia all'epoca.
Il testo di Archivo Cuba recensisce "almeno 17 oppositori politici" che sono morti "in circostanze misteriose" da quando Raúl Castro si è ufficialmente insediato nel febbraio 2008. "Si sospetta che molti, o tutti, siano stati uccisi o portati a la morte degli agenti dello Stato ", sottolinea.
La morte dell'attivista del movimento Damas de Blanco, Ada María López, è sotto inchiesta da parte dell'organizzazione perché "la famiglia ha fatto dichiarazioni che incolpano il regime cubano". L'organizzazione si impegna a pubblicare "un prossimo rapporto" sull'argomento.
L'elenco presentato da Archivo Cuba include anche la morte in carcere dell'avversario politico Hamel Mas Hernández, 45 anni, nel febbraio scorso nella prigione del Combinado del Este a L'Avana, una morte attribuita alla mancanza di cure mediche " una condizione sviluppata in prigione. "
Altre morti nelle carceri sono quelle di Erick Acosta Ochotorena, 34; Rafael Arredondo Gardens, a Melena del Sur; Angel Manuel Cabrera, nel 1580 di San Miguel del Padrón e il giovane Ramón Garbey Hinojosa che spirò all'Ospedale Clinico Chirurgico di Santiago de Cuba.
Il rapporto è completato da Ramón Hernández Medina, 45 anni, morto nel centro di detenzione di Augusto César Sandino a Pinar del Río; Dulce Luna Castillo, 39 anni, morta nel carcere femminile di Guatao e Hugo Riverón Aguilera, che è deceduto all'ospedale Vladimir Ilich Lenin di Holguin, Cuba, dopo 57 giorni di sciopero della fame.
Archivo Cuba chiarisce che "date le estreme difficoltà nel verificare queste informazioni a Cuba, è impossibile fare una stima esatta delle morti in carcere".
L'organizzazione ha documentato "204 morti nelle carceri e nei centri di detenzione" da quando Raúl Castro è salito al potere, nonostante il fatto che "alle organizzazioni internazionali non è consentito monitorare o ispezionare le prigioni cubane e le organizzazioni indipendenti locali per i diritti umani non hanno il permesso di esistere. "
Il rapporto si conclude con l'avvertimento di "abusi fisici e verbali persistenti, grave sovraffollamento, cattiva alimentazione, condizioni igieniche terribili, acqua non sicura e mancanza di cure mediche" nelle prigioni dell'isola.
Archivio Cuba documenta 12 morti "di natura politica" sull'isola nel 2017
La cifra potrebbe essere solo la punta dell'iceberg, secondo un rapporto pubblicato dall'organizzazione.
L'iniziativa Archivo Cuba Truth and Memory Project ha documentato 12 morti di "natura politica" a Cuba nel 2017, una cifra che potrebbe essere solo la punta dell'iceberg di altre morti possibili per quella causa, secondo un rapporto pubblicato dall'organizzazione con quartier generale a Puerto Rico.
Archivo Cuba, la cui missione principale è quella di documentare i casi di decessi causati dallo Stato, ha pubblicato la recensione con i dodici defunti accompagnata dalle misteriose circostanze che circondano la loro morte e che, sospettano, erano "omicidi extragiudiziali".
"Tutti i 12 casi denotano l'ingiustizia e l'estrema sofferenza umana vissuta a Cuba, generalmente ignorata dal mondo", afferma il rapporto che inizia con la storia della dottoressa Castillo Sotto, 27 anni, scomparsa lo scorso giugno. a Caracas in circostanze che i media venezuelani hanno descritto come "misteriose".
La giovane donna era in missione medica organizzata dal governo quando "cadde (saltò o fu spinta) dall'ottavo piano di un edificio nel suo complesso residenziale a Fuerte Tiuna, la più grande installazione militare in Venezuela". Funzionari cubani hanno impedito l'esame forense e hanno inviato il corpo immediatamente sull'isola.
Un altro medico cubano, residente in Ecuador, è il prossimo caso sulla lista. Questo è il dottore Roger Vega Tabares, 46 anni, morto a dicembre nella sua casa di Portoviejo "con lesioni al collo e cause non ancora determinate che inizialmente erano anche spiegate come un probabile suicidio".
Archivo Cuba avverte che dietro la "cooperazione internazionalista" si nasconde "un business globale che costituisce la principale fonte di reddito" del governo di Raúl Castro. "Tra le spiacevoli conseguenze di questa forma di schiavitù moderna, molti lavoratori, soprattutto medici, sono inviati in luoghi pericolosi nelle aree infestate dal crimine", dice il testo.
Nel rapporto di defunto comprende anche l'avversario Adrián Sosa Blanco, 48 anni, morto a casa sua nel marzo dello scorso anno. "La causa della morte è stata certificata come trombosi polmonare, ma per ragioni sconosciute non è stata eseguita la normale autopsia", ha riferito la famiglia all'epoca.
Il testo di Archivo Cuba recensisce "almeno 17 oppositori politici" che sono morti "in circostanze misteriose" da quando Raúl Castro si è ufficialmente insediato nel febbraio 2008. "Si sospetta che molti, o tutti, siano stati uccisi o portati a la morte degli agenti dello Stato ", sottolinea.
La morte dell'attivista del movimento Damas de Blanco, Ada María López, è sotto inchiesta da parte dell'organizzazione perché "la famiglia ha fatto dichiarazioni che incolpano il regime cubano". L'organizzazione si impegna a pubblicare "un prossimo rapporto" sull'argomento.
L'elenco presentato da Archivo Cuba include anche la morte in carcere dell'avversario politico Hamel Mas Hernández, 45 anni, nel febbraio scorso nella prigione del Combinado del Este a L'Avana, una morte attribuita alla mancanza di cure mediche " una condizione sviluppata in prigione. "
Altre morti nelle carceri sono quelle di Erick Acosta Ochotorena, 34; Rafael Arredondo Gardens, a Melena del Sur; Angel Manuel Cabrera, nel 1580 di San Miguel del Padrón e il giovane Ramón Garbey Hinojosa che spirò all'Ospedale Clinico Chirurgico di Santiago de Cuba.
Il rapporto è completato da Ramón Hernández Medina, 45 anni, morto nel centro di detenzione di Augusto César Sandino a Pinar del Río; Dulce Luna Castillo, 39 anni, morta nel carcere femminile di Guatao e Hugo Riverón Aguilera, che è deceduto all'ospedale Vladimir Ilich Lenin di Holguin, Cuba, dopo 57 giorni di sciopero della fame.
Archivo Cuba chiarisce che "date le estreme difficoltà nel verificare queste informazioni a Cuba, è impossibile fare una stima esatta delle morti in carcere".
L'organizzazione ha documentato "204 morti nelle carceri e nei centri di detenzione" da quando Raúl Castro è salito al potere, nonostante il fatto che "alle organizzazioni internazionali non è consentito monitorare o ispezionare le prigioni cubane e le organizzazioni indipendenti locali per i diritti umani non hanno il permesso di esistere. "
Il rapporto si conclude con l'avvertimento di "abusi fisici e verbali persistenti, grave sovraffollamento, cattiva alimentazione, condizioni igieniche terribili, acqua non sicura e mancanza di cure mediche" nelle prigioni dell'isola.
29 Dicembre 2017
L’ultima bugia del dittatore Maduro a un Venezuela che muore di fame
«Questa dittatura di narcotrafficanti ha distrutto a tal punto il Venezuela che le famiglie seppelliscono i loro morti nel giardino di casa perché mancano soldi anche per i funerali». Padre José Palmar è un sacerdote cattolico picchiato più volte dagli sgherri del regime di Nicolás Maduro nelle manifestazioni di questa primavera gli hanno spaccato le costole a suon di manganellate – ma come dice lui è «un ostinato della fede» e non se ne andrà mai dal Venezuela perché qui ha il suo «gregge». È un prete di strada padre Palmar, di quelli che «puzzano di pecora» direbbe Papa Francesco, anche se a differenza del Santo Padre che nel suo messaggio Urbi et Orbi ha chiesto «un dialogo serio in Venezuela», lui da tempo ha smesso di credere al «populismo militarizzato di Maduro e compagni». Crede in Dio ma, più che nel dialogo dei «narco-criminali», così chiama lui la cupola chavista, questo «sacerdote pronto al martirio in nome della libertà del popolo» crede in Óscar Pérez, il misterioso poliziotto della scientifica salito alla ribalta in questo 2017 che sta per chiudersi. Prima sorvolando Caracas con un elicottero militare e poi partecipando all’Operación David, un fallito tentativo di «sollevazione civico-militare» contro Maduro. Per Natale questo Rambo dagli occhi azzurri è riapparso in video ben due volte. La prima occupando una stazione di polizia e incitando le forze dell’ordine bolivariane da lui disarmate con irrisoria facilità a «difendere il popolo stremato e senza colpe» per non essere complici di «Maduro l’affamatore corrotto». Poi, l’altroieri, ha invitato i venezuelani a tornare a protestare per far cadere il narco-regime di Caracas. «Fatelo e, statene sicuri, noi saremo al vostro fianco in strada per difendervi». La calle, ovvero la protesta strada – al di là dei tentativi diplomatici di Zapatero & co in Repubblica Dominicana (per la cronaca il dialogo tra regime e una parte sempre meno rappresentativa dell’opposizione riprenderà il 15 gennaio 2018) – è oramai per molti la sola via di uscita rimasta, oltre all’esilio ça va sans dire. Soprattutto per quell’80% di venezuelani che oggi sta letteralmente morendo di fame. Già perché «con uno stipendio medio racconta a Il Giornale Vittorio da Roma, uno dei tanti italiani che a Caracas aveva trovato il paradiso negli anni Sessanta e oggi è in fuga da un inferno di miseria ci puoi comprare 3 kg di cipolle». No, non è uno scherzo visto che il prezzo è salito del 2.500% negli ultimi 12 mesi (in linea con l’inflazione di qui, la più alta al mondo) e, nello specifico, «un kg di cipolle a Caracas costa 160mila bolivares, mentre tra aiuti di stato e stipendio un venezuelano ne guadagna in media 480mila al mese». Questa la situazione reale, per cui «chi può è già scappato 3 milioni sono i venezuelani già emigrati mentre il prossimo anno si stima saranno 5 – ma chi è rimasto da due giorni è di nuovo sceso in piazza per protestare contro Maduro», spiega uno dei migliori fotoreporter della capitale che, visto il precipitare della situazione, dopo avere accompagnato i suoi genitori in Spagna, sta per trasferirsi in Colombia. Sia chiaro, la gente non protesta per aderire all’appello del misterioso Oscar Pérez, ma perché furibondi per l’ennesima promessa presidenziale non mantenuta. Un mese fa, infatti, Maduro aveva garantito in diretta tv a reti unificate la consegna per Natale di un pernil (stinco di porco in italiano) a ognuna delle 4 milioni di famiglie povere già dotate di Carnet della Patria, il «bancomat biometrico» introdotto quest’anno dalla dittatura per controllare il voto e per distribuire cibo. Il pernil con patate arrosto è infatti il piatto tipico del Natale dei venezuelani e, di questi tempi, una carica extra di proteine che tanti, chavisti e non, sognavano. Invece gli stinchi promessi non sono stati distribuiti e, da ieri, la gente è scesa in strada a protestare in quella che è già stata ribattezzata la revolución del pernil, ovvero la «rivoluzione dello stinco» mentre Maduro ha accusato per una volta non l’impero yankee bensì «il vile Portogallo colpevole di avere sabotato il Natale dei venezuelani avendo a suo dire – bloccato le navi» con a bordo i tanto agognati cosciotti. Non fosse che qui muore di fame un bambino per denutrizione ogni giorno e che da un mese anche i trapiantati stanno trapassando a ritmo crescente per la mancanza dei farmaci che devono assumere anche dopo 10-15 anni dall’operazione per evitare il rigetto – una fine atroce al pari di quella dei bimbi scheletrici con pancioni che ricordano le foto del Sahel anni 70), ci sarebbe da ridere della «rivolta degli stinchi» ma, rebus sic stantibus e come accadde già in Romania con Ceausescu, a Caracas oggi la situazione è così drammatica e paradossale che potrebbe bastare un nonnulla per rovesciare il regime di Maduro. Anche un cosciotto in meno a tavola. L’unica certezza è che oggi in Venezuela manca tutto, non solo le medicine e il cibo per portare le quali da oltre un anno la comunità internazionale a cominciare dalla Caritas chiede inutilmente l’apertura di un corridoio umanitario negato con crudeltà da Maduro. Negli ultimi giorni – oltre ai soliti black-out elettrici che hanno costretto alle tenebre molte parti del paese anche la notte di Natale manca persino la benzina, un paradosso per il Paese che ha le maggiori riserve petrolifere al mondo. Per risolvere il problema, al solito, Maduro ha firmato l’ennesimo decreto inutile, questa volta razionalizzando la benzina e imponendo un massimo di 35 litri per persona quando, invece, la soluzione corretta sarebbe quella di aumentarne un po’ il prezzo, oggi pari a zero. Se, infatti, un pieno da 50 litri si fa con 10mila bolivares, vuol dire che un kg di cipolle costa come 800 litri di benzina… «La situazione è senza precedenti e drammatica denuncia Gustavo Delgado, neoeletto sindaco di San Cristobal, città simbolo della resistenza del Tachira, la regione occidentale ai confini con la Colombia e per rifornirsi la popolazione si deve sottoporre a file chilometriche senza poi neanche avere la certezza di riuscirci». Come per comprare il riso e quel miraggio che oggi è rappresentato dalla carne nel paradiso del socialismo del XXIesimo secolo chiamato Venezuela. «Sono mesi che ci promettono lo stinco natalizio e un buono da 500mila bolivares (4 euro, nda) ma oggi è il 27 di dicembre si lamenta Elda Ramos, un’anziana e ossuta signora del 23 de Enero, uno dei quartieri più chavisti e popolari di Caracas, appena dietro Miraflores, il palazzo presidenziale e alla mia famiglia non è arrivato niente». E questo nonostante Elda nel 2017 abbia religiosamente obbedito a ogni ordine di Maduro, iscrivendosi e ottenendo il Carnet della Patria, il bancomat del regime con cui le avevano promesso – se avesse votato per il partito – avrebbe ottenuto ogni 15 giorni scatoloni di cibo gratis. Oltre al buono e al tacchino natalizio. Invece «le borse Clap così si chiama il ricatto food for vote della burocrazia madurista arrivano una volta al mese quando va bene, il cibo è immangiabile e queste sono le nostre feste natalizie più tristi di sempre». Per la cronaca, Elda è chavista da sempre.
L’ultima bugia del dittatore Maduro a un Venezuela che muore di fame
«Questa dittatura di narcotrafficanti ha distrutto a tal punto il Venezuela che le famiglie seppelliscono i loro morti nel giardino di casa perché mancano soldi anche per i funerali». Padre José Palmar è un sacerdote cattolico picchiato più volte dagli sgherri del regime di Nicolás Maduro nelle manifestazioni di questa primavera gli hanno spaccato le costole a suon di manganellate – ma come dice lui è «un ostinato della fede» e non se ne andrà mai dal Venezuela perché qui ha il suo «gregge». È un prete di strada padre Palmar, di quelli che «puzzano di pecora» direbbe Papa Francesco, anche se a differenza del Santo Padre che nel suo messaggio Urbi et Orbi ha chiesto «un dialogo serio in Venezuela», lui da tempo ha smesso di credere al «populismo militarizzato di Maduro e compagni». Crede in Dio ma, più che nel dialogo dei «narco-criminali», così chiama lui la cupola chavista, questo «sacerdote pronto al martirio in nome della libertà del popolo» crede in Óscar Pérez, il misterioso poliziotto della scientifica salito alla ribalta in questo 2017 che sta per chiudersi. Prima sorvolando Caracas con un elicottero militare e poi partecipando all’Operación David, un fallito tentativo di «sollevazione civico-militare» contro Maduro. Per Natale questo Rambo dagli occhi azzurri è riapparso in video ben due volte. La prima occupando una stazione di polizia e incitando le forze dell’ordine bolivariane da lui disarmate con irrisoria facilità a «difendere il popolo stremato e senza colpe» per non essere complici di «Maduro l’affamatore corrotto». Poi, l’altroieri, ha invitato i venezuelani a tornare a protestare per far cadere il narco-regime di Caracas. «Fatelo e, statene sicuri, noi saremo al vostro fianco in strada per difendervi». La calle, ovvero la protesta strada – al di là dei tentativi diplomatici di Zapatero & co in Repubblica Dominicana (per la cronaca il dialogo tra regime e una parte sempre meno rappresentativa dell’opposizione riprenderà il 15 gennaio 2018) – è oramai per molti la sola via di uscita rimasta, oltre all’esilio ça va sans dire. Soprattutto per quell’80% di venezuelani che oggi sta letteralmente morendo di fame. Già perché «con uno stipendio medio racconta a Il Giornale Vittorio da Roma, uno dei tanti italiani che a Caracas aveva trovato il paradiso negli anni Sessanta e oggi è in fuga da un inferno di miseria ci puoi comprare 3 kg di cipolle». No, non è uno scherzo visto che il prezzo è salito del 2.500% negli ultimi 12 mesi (in linea con l’inflazione di qui, la più alta al mondo) e, nello specifico, «un kg di cipolle a Caracas costa 160mila bolivares, mentre tra aiuti di stato e stipendio un venezuelano ne guadagna in media 480mila al mese». Questa la situazione reale, per cui «chi può è già scappato 3 milioni sono i venezuelani già emigrati mentre il prossimo anno si stima saranno 5 – ma chi è rimasto da due giorni è di nuovo sceso in piazza per protestare contro Maduro», spiega uno dei migliori fotoreporter della capitale che, visto il precipitare della situazione, dopo avere accompagnato i suoi genitori in Spagna, sta per trasferirsi in Colombia. Sia chiaro, la gente non protesta per aderire all’appello del misterioso Oscar Pérez, ma perché furibondi per l’ennesima promessa presidenziale non mantenuta. Un mese fa, infatti, Maduro aveva garantito in diretta tv a reti unificate la consegna per Natale di un pernil (stinco di porco in italiano) a ognuna delle 4 milioni di famiglie povere già dotate di Carnet della Patria, il «bancomat biometrico» introdotto quest’anno dalla dittatura per controllare il voto e per distribuire cibo. Il pernil con patate arrosto è infatti il piatto tipico del Natale dei venezuelani e, di questi tempi, una carica extra di proteine che tanti, chavisti e non, sognavano. Invece gli stinchi promessi non sono stati distribuiti e, da ieri, la gente è scesa in strada a protestare in quella che è già stata ribattezzata la revolución del pernil, ovvero la «rivoluzione dello stinco» mentre Maduro ha accusato per una volta non l’impero yankee bensì «il vile Portogallo colpevole di avere sabotato il Natale dei venezuelani avendo a suo dire – bloccato le navi» con a bordo i tanto agognati cosciotti. Non fosse che qui muore di fame un bambino per denutrizione ogni giorno e che da un mese anche i trapiantati stanno trapassando a ritmo crescente per la mancanza dei farmaci che devono assumere anche dopo 10-15 anni dall’operazione per evitare il rigetto – una fine atroce al pari di quella dei bimbi scheletrici con pancioni che ricordano le foto del Sahel anni 70), ci sarebbe da ridere della «rivolta degli stinchi» ma, rebus sic stantibus e come accadde già in Romania con Ceausescu, a Caracas oggi la situazione è così drammatica e paradossale che potrebbe bastare un nonnulla per rovesciare il regime di Maduro. Anche un cosciotto in meno a tavola. L’unica certezza è che oggi in Venezuela manca tutto, non solo le medicine e il cibo per portare le quali da oltre un anno la comunità internazionale a cominciare dalla Caritas chiede inutilmente l’apertura di un corridoio umanitario negato con crudeltà da Maduro. Negli ultimi giorni – oltre ai soliti black-out elettrici che hanno costretto alle tenebre molte parti del paese anche la notte di Natale manca persino la benzina, un paradosso per il Paese che ha le maggiori riserve petrolifere al mondo. Per risolvere il problema, al solito, Maduro ha firmato l’ennesimo decreto inutile, questa volta razionalizzando la benzina e imponendo un massimo di 35 litri per persona quando, invece, la soluzione corretta sarebbe quella di aumentarne un po’ il prezzo, oggi pari a zero. Se, infatti, un pieno da 50 litri si fa con 10mila bolivares, vuol dire che un kg di cipolle costa come 800 litri di benzina… «La situazione è senza precedenti e drammatica denuncia Gustavo Delgado, neoeletto sindaco di San Cristobal, città simbolo della resistenza del Tachira, la regione occidentale ai confini con la Colombia e per rifornirsi la popolazione si deve sottoporre a file chilometriche senza poi neanche avere la certezza di riuscirci». Come per comprare il riso e quel miraggio che oggi è rappresentato dalla carne nel paradiso del socialismo del XXIesimo secolo chiamato Venezuela. «Sono mesi che ci promettono lo stinco natalizio e un buono da 500mila bolivares (4 euro, nda) ma oggi è il 27 di dicembre si lamenta Elda Ramos, un’anziana e ossuta signora del 23 de Enero, uno dei quartieri più chavisti e popolari di Caracas, appena dietro Miraflores, il palazzo presidenziale e alla mia famiglia non è arrivato niente». E questo nonostante Elda nel 2017 abbia religiosamente obbedito a ogni ordine di Maduro, iscrivendosi e ottenendo il Carnet della Patria, il bancomat del regime con cui le avevano promesso – se avesse votato per il partito – avrebbe ottenuto ogni 15 giorni scatoloni di cibo gratis. Oltre al buono e al tacchino natalizio. Invece «le borse Clap così si chiama il ricatto food for vote della burocrazia madurista arrivano una volta al mese quando va bene, il cibo è immangiabile e queste sono le nostre feste natalizie più tristi di sempre». Per la cronaca, Elda è chavista da sempre.
8 Dicembre 2017
Venezuela-Hezbollah: le infiltrazioni e gli accordi con i cartelli del narcotraffico
Rapporti intelligence che avevano rivelato la presenza di una cellula terroristica attiva
Il vice presidente della Repubblica bolivariana del Venezuela è la seconda più alta carica politica nel governo del Paese e diretto collaboratore del Presidente della Repubblica, secondo la Costituzione, nella quale l’incarico è stato conferito nel 1830 con rivisitazioni nel 1858 e nel 1999.
Dal 4 gennaio 2017, la carica di vicepresidente di Nicolàs Maduroè ricoperta da Tareck El AissamiMaddah, personaggio noto al mondo dell’intelligence americana poiché, alcuni mesi addietro, era entrato nella lista dei sospettati di fare parte della fitta rete di traffico di droga in Venezuela e di mantenere, in contemporanea, stretti legami con l’Iran, la Siria e il partito politico libanese Hezbollah, iscritto nella lista nera dei gruppi terroristici internazionali.
Aeroterror
Chavez e l’ex presidente iraniano, Mahmoud Ahmadinejad, definirono “Aeroterror” un programma di voli nato nel 2007 e rimasto in vigore fino ad almeno tutto il 2010, dedicato a funzionari governativi con un “permesso speciale”. Un dossier del magazine brasiliano Veja e alcune fonti accreditate del governo degli Stati Uniti, interpellate in merito, rivelano che i voli avrebbero trasportato ingenti quantitativi di droga, armi, denaro e terroristi, lungo rotte interne e internazionali.
Sempre secondo il Veja e le testimonianze di alcuni ex lealisti di Chavez, durante il mandato come ministro degli Interni del governo appunto di Chavez, El Aissami avrebbe partecipato a un “programma clandestino per fornire passaporti venezuelani ai terroristi a Damasco”. L’ex governatore dello Stato di Aragua, in Venezuela, sul Wall Street Journal disse di lui: “E’ un maestro del network mediorientale, da una parte fedele alla ‘rivoluzione cubana’ e dall’altra un ambizioso chavista. El Aissami è un sogno diventato realtà per Teheran e l’Avana, che lo considerano come un personaggio molto influente in Venezuela “.
L’ipotesi di una estesa rete intessuta dai cartelli della droga con HezbollahSecondo l’autorevole esperto di contrasto al terrorismo Joseph Humire, autore del libro Iran’s stategic penetration of Latin American, “nel corso degli anni, El Aissami avrebbe sviluppato una rete finanziaria sofisticata e multistrato che funziona come un oleodotto criminale-terrorista che avrebbe portato militanti in Venezuela e nei paesi circostanti, e che avrebbe inviato fondi e droghe dall’America Latina al Medio Oriente”. La rete si sarebbe integrata con quella più estesa dedita al riciclaggio di milioni di dollari e al traffico di tonnellate di cocaina per conto di cartelli della droga colombiani, messicani e Hezbollah.
Proprio nel 2016, infatti, venne divulgata la notizia secondo cui la Drug Enforcement Administration (DEA) ipotizzava che il partito politico libanese Hezbollah, attraverso la sua la rete di traffico di droga internazionale, si sarebbe legato ai cartelli sudamericani e i proventi degli affari illeciti avrebbero finanziato l’acquisto di armi per le attività del gruppo in Siria.
La Oficina de Envigado
L’organizzazione con cui Hezbollah avrebbe organizzato questi traffici si individuerebbe nel cartello “Oficina de Envigado”. Erede dell’impero di Pablo Escobar in Colombia, la Oficina nacque negli anni ottanta e per volontà di Escobar stesso e venne costituita da un insieme di giovani criminali provenienti dai quartieri operai, trasferitisi di seguito a Envigado, un piccolo comune adiacente a Medellin. E’ attualmente composta da un insieme di bande più piccole che alleatesi con quelle “di strada” manterrebbe il controllo del territorio. La complessa rete di affari attraverserebbe l’Europa, da dove milioni di euro di profitti derivanti dalla vendita di droga verrebbero trasportati verso il Medio Oriente attraverso una rete di corrieri. I fondi verrebbero poi re-inviati ai narcotrafficanti in Colombia attraverso i metodi Hawala o Hundi, sistemi di trasferimento informale di valori nei quali le operazioni dei brokers, localizzati principalmente in Medio Oriente, Nord Africa e Corno d’ Africa, si basano unicamente sulla “fiducia” rendendo pressoché impossibile il tracciamento delle operazioni. La DEA ha ipotizzato che una grande quantità di questi proventi avrebbe attraversato il Libano e una “percentuale più che significativa” sarebbe poi rimasta nelle casse di Hezbollah.
Hezbollah e analisi di studio su possibili infiltrazioni in Sud AmericaNel febbraio 2015, durante una conferenza della National Defense University (NDU) degli Stati Uniti intitolata “Oltre la convergenza: un mondo senza ordine”, venne divulgata la notizia secondo cui Hezbollah aveva già infiltrato quasi tutto il territorio latino-americano e in parte proprio gli Stati Uniti. In realtà, già il 31 ottobre 2014, l’unità antiterrorismo del Perù trasse in arresto il 28enne Muhammad Amadar, sospettato della pianificazione di un atto terroristico in danno di siti ebraici ed altri obiettivi israeliani, tra i quali l’ambasciata e i consolati. Nell’abitazione del sospetto terrorista, legato ad Hezbollah, le forze di sicurezza sudamericane rinvennero detonatori, polvere da sparo, tritolo ed altri materiali per l’assemblaggio di ordigni esplosivi. Il ministro degli Interni del Perù dell’epoca, Daniel Urresti, emise un comunicato ufficiale sostenendo che “un uomo collegato ad una organizzazione terroristica internazionale” era stato arrestato in base ai rapporti dell’intelligence che avevano rivelato la presenza di una cellula terroristica attiva guidata da Amadar legata alla vasta rete di Hezbollah operante nella zona di confine tra Argentina, Paraguay e Brasile ( la triple frontera ) dove, tra l’altro, è presente un insediamento di popolazione di origine araba.
La “Triple frontiera”
L’area geografica denominata “Triple frontiera”, ospita comunità arabe che costituiscono uno dei più grandi gruppi etnici del TBA e, nel contempo, il flusso migratorio più rilevante del Sud America. Un cospicuo numero di persone di origine araba aveva già ha cominciato ad affluire al TBA nel corso del 1960, soprattutto a Foz do Iguaçu e Ciudad del Este, dove hanno fondato scuole, club e organizzazioni.
Si stima che circa il 90% degli arabi a Foz do Iguaçu e Ciudad del Este sia di origini libanesi, per il restante 10% si tratta principalmente di palestinesi, egiziani e giordani. In quest’area molti immigrati arabi intraprendono attività commerciali in particolare a Ciudad del Este, spesso concentrandosi sull’ importazione ed esportazione di prodotti. La maggior parte della popolazione araba in TBA è di fede musulmana, con una maggioranza di sciiti e una minoranza di musulmani sunniti, a questi si aggiungono gli arabi cristiani del Libano e della Siria, i copti egiziani e i cristiani palestinesi emigrati nella TBA oltre cinquant’anni fa.
L’estremismo islamico da decenni ha messo le proprie radici nei Paesi latino americani e i prossimi anni serviranno ad avallare o meno le ipotesi paventate dalle varie Intelligence sul reale ruolo ricoperto dalle organizzazioni estremiste in America Latina.
Venezuela-Hezbollah: le infiltrazioni e gli accordi con i cartelli del narcotraffico
Rapporti intelligence che avevano rivelato la presenza di una cellula terroristica attiva
Il vice presidente della Repubblica bolivariana del Venezuela è la seconda più alta carica politica nel governo del Paese e diretto collaboratore del Presidente della Repubblica, secondo la Costituzione, nella quale l’incarico è stato conferito nel 1830 con rivisitazioni nel 1858 e nel 1999.
Dal 4 gennaio 2017, la carica di vicepresidente di Nicolàs Maduroè ricoperta da Tareck El AissamiMaddah, personaggio noto al mondo dell’intelligence americana poiché, alcuni mesi addietro, era entrato nella lista dei sospettati di fare parte della fitta rete di traffico di droga in Venezuela e di mantenere, in contemporanea, stretti legami con l’Iran, la Siria e il partito politico libanese Hezbollah, iscritto nella lista nera dei gruppi terroristici internazionali.
Aeroterror
Chavez e l’ex presidente iraniano, Mahmoud Ahmadinejad, definirono “Aeroterror” un programma di voli nato nel 2007 e rimasto in vigore fino ad almeno tutto il 2010, dedicato a funzionari governativi con un “permesso speciale”. Un dossier del magazine brasiliano Veja e alcune fonti accreditate del governo degli Stati Uniti, interpellate in merito, rivelano che i voli avrebbero trasportato ingenti quantitativi di droga, armi, denaro e terroristi, lungo rotte interne e internazionali.
Sempre secondo il Veja e le testimonianze di alcuni ex lealisti di Chavez, durante il mandato come ministro degli Interni del governo appunto di Chavez, El Aissami avrebbe partecipato a un “programma clandestino per fornire passaporti venezuelani ai terroristi a Damasco”. L’ex governatore dello Stato di Aragua, in Venezuela, sul Wall Street Journal disse di lui: “E’ un maestro del network mediorientale, da una parte fedele alla ‘rivoluzione cubana’ e dall’altra un ambizioso chavista. El Aissami è un sogno diventato realtà per Teheran e l’Avana, che lo considerano come un personaggio molto influente in Venezuela “.
L’ipotesi di una estesa rete intessuta dai cartelli della droga con HezbollahSecondo l’autorevole esperto di contrasto al terrorismo Joseph Humire, autore del libro Iran’s stategic penetration of Latin American, “nel corso degli anni, El Aissami avrebbe sviluppato una rete finanziaria sofisticata e multistrato che funziona come un oleodotto criminale-terrorista che avrebbe portato militanti in Venezuela e nei paesi circostanti, e che avrebbe inviato fondi e droghe dall’America Latina al Medio Oriente”. La rete si sarebbe integrata con quella più estesa dedita al riciclaggio di milioni di dollari e al traffico di tonnellate di cocaina per conto di cartelli della droga colombiani, messicani e Hezbollah.
Proprio nel 2016, infatti, venne divulgata la notizia secondo cui la Drug Enforcement Administration (DEA) ipotizzava che il partito politico libanese Hezbollah, attraverso la sua la rete di traffico di droga internazionale, si sarebbe legato ai cartelli sudamericani e i proventi degli affari illeciti avrebbero finanziato l’acquisto di armi per le attività del gruppo in Siria.
La Oficina de Envigado
L’organizzazione con cui Hezbollah avrebbe organizzato questi traffici si individuerebbe nel cartello “Oficina de Envigado”. Erede dell’impero di Pablo Escobar in Colombia, la Oficina nacque negli anni ottanta e per volontà di Escobar stesso e venne costituita da un insieme di giovani criminali provenienti dai quartieri operai, trasferitisi di seguito a Envigado, un piccolo comune adiacente a Medellin. E’ attualmente composta da un insieme di bande più piccole che alleatesi con quelle “di strada” manterrebbe il controllo del territorio. La complessa rete di affari attraverserebbe l’Europa, da dove milioni di euro di profitti derivanti dalla vendita di droga verrebbero trasportati verso il Medio Oriente attraverso una rete di corrieri. I fondi verrebbero poi re-inviati ai narcotrafficanti in Colombia attraverso i metodi Hawala o Hundi, sistemi di trasferimento informale di valori nei quali le operazioni dei brokers, localizzati principalmente in Medio Oriente, Nord Africa e Corno d’ Africa, si basano unicamente sulla “fiducia” rendendo pressoché impossibile il tracciamento delle operazioni. La DEA ha ipotizzato che una grande quantità di questi proventi avrebbe attraversato il Libano e una “percentuale più che significativa” sarebbe poi rimasta nelle casse di Hezbollah.
Hezbollah e analisi di studio su possibili infiltrazioni in Sud AmericaNel febbraio 2015, durante una conferenza della National Defense University (NDU) degli Stati Uniti intitolata “Oltre la convergenza: un mondo senza ordine”, venne divulgata la notizia secondo cui Hezbollah aveva già infiltrato quasi tutto il territorio latino-americano e in parte proprio gli Stati Uniti. In realtà, già il 31 ottobre 2014, l’unità antiterrorismo del Perù trasse in arresto il 28enne Muhammad Amadar, sospettato della pianificazione di un atto terroristico in danno di siti ebraici ed altri obiettivi israeliani, tra i quali l’ambasciata e i consolati. Nell’abitazione del sospetto terrorista, legato ad Hezbollah, le forze di sicurezza sudamericane rinvennero detonatori, polvere da sparo, tritolo ed altri materiali per l’assemblaggio di ordigni esplosivi. Il ministro degli Interni del Perù dell’epoca, Daniel Urresti, emise un comunicato ufficiale sostenendo che “un uomo collegato ad una organizzazione terroristica internazionale” era stato arrestato in base ai rapporti dell’intelligence che avevano rivelato la presenza di una cellula terroristica attiva guidata da Amadar legata alla vasta rete di Hezbollah operante nella zona di confine tra Argentina, Paraguay e Brasile ( la triple frontera ) dove, tra l’altro, è presente un insediamento di popolazione di origine araba.
La “Triple frontiera”
L’area geografica denominata “Triple frontiera”, ospita comunità arabe che costituiscono uno dei più grandi gruppi etnici del TBA e, nel contempo, il flusso migratorio più rilevante del Sud America. Un cospicuo numero di persone di origine araba aveva già ha cominciato ad affluire al TBA nel corso del 1960, soprattutto a Foz do Iguaçu e Ciudad del Este, dove hanno fondato scuole, club e organizzazioni.
Si stima che circa il 90% degli arabi a Foz do Iguaçu e Ciudad del Este sia di origini libanesi, per il restante 10% si tratta principalmente di palestinesi, egiziani e giordani. In quest’area molti immigrati arabi intraprendono attività commerciali in particolare a Ciudad del Este, spesso concentrandosi sull’ importazione ed esportazione di prodotti. La maggior parte della popolazione araba in TBA è di fede musulmana, con una maggioranza di sciiti e una minoranza di musulmani sunniti, a questi si aggiungono gli arabi cristiani del Libano e della Siria, i copti egiziani e i cristiani palestinesi emigrati nella TBA oltre cinquant’anni fa.
L’estremismo islamico da decenni ha messo le proprie radici nei Paesi latino americani e i prossimi anni serviranno ad avallare o meno le ipotesi paventate dalle varie Intelligence sul reale ruolo ricoperto dalle organizzazioni estremiste in America Latina.
30 Ottobre 2017
La DEA rivela che la cocaina boliviana entra negli Stati Uniti attraverso Cuba
La rivista brasiliana Veja riferisce che la DEA (Drug Enforcement Agency degli Stati Uniti, per il suo acronimo in inglese) ha informazioni che Cuba è un importante centro di spedizione di cocaina boliviana ai cartelli messicani e gli Stati Uniti. Essi sottolineano inoltre che la nomina del console corrente della Bolivia a Cuba dell'ex ministro della Presidenza Juan Ramón Quintana, che sarebbe una casualità, ma "un semplice movimento politico."
Questi dati sono stati pubblicati venerdì da Veja nel suo articolo "Le prigioni rivelano la vicinanza al traffico con Evo Morales".
Nell'articolo, il caso della Bolivia e possibili collegamenti internazionali dal recente arresto in Brasile vengono analizzati gli arresti del boliviano Carlos André Dorado di 24 anni e Fabio Andrade Lima Lobo di 35, caricati con 480 chili di cocaina .
La rivista riflette il fatto che suo padre di Fabio Andrade è il colombiano Célimo Andrade, uomo del cartello di Cali, imprigionato nel 1992 a Santa Cruz, e la madre, Carmen Lima Lobo, che è arrivata ad essere candidata a Governatore di Beni secondo la rivista Veja- per opera dell'ex ministro Juan Ramón Quintana perché apparteneva al cerchio accanto al vicepresidente Álvaro García Linera.
È la seconda volta che i media brasiliani collegano il governo nazionale con il traffico di droga.
Il trafficante Lima Lobo è stato arrestato nel 2012, quando venne catturato un aero monomotore caricato cocaina e fucili da guerra AK-47 pronti a partire per il Brasile. Nonostante il caso flagrante, è stato rilasciato e non ha mai risposto per il delitto. La rivista Veja cita anche l'arresto a San Paolo il leader MAS Romer Gutierrez Quezada, con 100 chili di droga lo scorso luglio, quando è emerso che dichiarò di appartenere al corpo diplomatico della Bolivia.
I media brasiliani hanno affermato che questa possibile copertura diplomatica ha acceso il segnale rosso alle autorità statunitensi. "L'invio di Quintana a comandare l'ambasciata a L'Avana non è considerato un mero movimento politico. La DEA ha informazioni che Cuba invia importanti quantitativi di cocaina ai cartelli messicani e negli Stati Uniti ", dice la pubblicazione.
Nel 2015, quando ha disertato ed è fuggito negli Stati Uniti, Leamsy Salazar che era una guardia del corpo di Hugo Chávez e il potente Diosdado Cabello ha detto agenti federali decine di operazioni di spedizione di cocaina dal Venezuela a Cuba.
Nell'edizione del 2010, la rivista ha riferito che Quintana e la ex miss Bolivia Jéssica Jordán allora di 28 anni, sono stati fotografati entrare e poi uscire con le valigie dalla casa di un trafficante di droga.
In quel momento, il governo boliviano ha minacciato di querelare la rivista, ma in seguito a rinunciato a farlo.
Secondo la rivista Vjea
La DEA segue Quintana e Jordán
La presenza di Quintana alla Havana e Jéssica nel sud della Florida fa scattare l'allarme della DEA. Considerando che Cuba è un importante centro di transito di cocaina boliviana e Miami è la porta principale della droga negli Stati Uniti, i ricercatori stanno indagando i diplomatici per catturare i trafficanti.
Dopo le rivelazioni di Veja, Jessica rimase attiva e attiva nel nucleo del governo. Era candidata al governo dello Stato di Beni e fu mandata come console della Bolivia a New York. L'anno scorso, è stata "degradata" al vice console a Miami.
Il deputato Tomás Monasterio ha dichiarato che Fabio Andrade Lima Lobo è il figlio di Carmen Lima Lobo.
Un tesoro di oltre trenta tonnellate di lingotti d’oro, per un valore di 1,7 miliardi di dollari, in mano a una banca commerciale, per la precisione la tedesca Deutsche Bank. Potrebbe essere finita così l’ennesima disperata operazione finanziaria del Venezuela, che da anni sta cercando ad ogni costo di rinviare un default che adesso sembra davvero imminente.
A denunciare la vicenda – che non ha ancora ricevuto conferme ufficiali né da Francoforte né da Caracas – è il deputato venezuelano Angel Alvarado, membro della commissione Finanza dell’Asamblea Nacional, che dal 2015 è guidata dall'opposizione al presidente Nicolas Maduro.
«Maduro ha lasciato scadere uno swap sull'oro con Deutsche Bank da 1,7 miliardi di dollari. Abbiamo perso quei lingotti perché continuiamo a negoziare nel modo sbagliato!», ha scritto via Twitter Alvarado.
L’operazione di cui parla il deputato è un contratto che Caracas aveva sottoscritto l’anno scorso, in base al quale la banca tedesca aveva concesso 1,2 miliardi di dollari in contanti a fronte di una garanzia in lingotti per 1,7 miliardi: ai valori attuali si tratterebbe di 1,3 milioni di once, ossia 36,9 tonnellate di oro. Il denaro doveva essere restituito entro metà ottobre, spiega Alvarado, oppure si doveva rinegoziare. Ma Caracas ha fatto né l’una né l’altra cosa. La proprietà dell’oro passa quindi a Deutsche Bank, che le verserà un conguaglio di 500 milioni.
La somma potrebbe essere preziosa per il Venezuela, che non ha più denaro per onorare gli interessi sui debiti e potrebbe andare in default già questo venerdì se Pdvsa, la compagnia petrolifera di Stato, non pagherà una cedola da 984 milioni di dollari su un obbligazione che non prevede periodi di grazia.
Caracas questo mese ha già saltato il pagamento di interessi su sette bond, per un totale di 590 milioni, ma in quei casi è previsto un periodo di grazia di 30 giorni. Le sue riserve valutarie sono ridotte ad appena 9,86 miliardi di dollari, di cui circa 500 milioni in contanti. Il resto è in oro.
Anche le riserve aurifere sono crollate: i dati più recenti del Fondo monetario internazionale le davano a 188,1 tonnellate a fine agosto, addirittura dimezzate rispetto al 2012.
Caracas, che ha debiti per 140 miliardi di dollari in mano a investitori stranieri, finora è sempre riuscita a onorare gli impegni con i creditori. Ma la sua solvibilità è stata pagata a caro prezzo dal popolo venezuelano, costretto ad ogni genere di privazione, e dalle casse dello Stato. L’oro delle riserve è stato venduto a più riprese, oppure impegnato con banche in cambio di liquidità: il contratto di swap con Deutsche Banck non è l’unico su cui siano circolate indiscrezioni. Nel 2015 il Venezuela ne avrebbe siglato uno simile con Citigroup, mentre in precedenza c’erano stati rumor su trattative con Goldman Sachs, BofA-Merrill Lynch e Credit Suisse.
Un gruppo di parlamentari venezuelani, tra cui lo stesso Alvarano, lo scorso aprile aveva inviato una lettera alle principali banche di Wall Street esortandole a non cedere alle richieste di simili accordi da parte di Caracas, perché in questo modo avrebbero «sostenuto un governo che la comunità internazionale riconosce come dittatoriale.
A denunciare la vicenda – che non ha ancora ricevuto conferme ufficiali né da Francoforte né da Caracas – è il deputato venezuelano Angel Alvarado, membro della commissione Finanza dell’Asamblea Nacional, che dal 2015 è guidata dall'opposizione al presidente Nicolas Maduro.
«Maduro ha lasciato scadere uno swap sull'oro con Deutsche Bank da 1,7 miliardi di dollari. Abbiamo perso quei lingotti perché continuiamo a negoziare nel modo sbagliato!», ha scritto via Twitter Alvarado.
L’operazione di cui parla il deputato è un contratto che Caracas aveva sottoscritto l’anno scorso, in base al quale la banca tedesca aveva concesso 1,2 miliardi di dollari in contanti a fronte di una garanzia in lingotti per 1,7 miliardi: ai valori attuali si tratterebbe di 1,3 milioni di once, ossia 36,9 tonnellate di oro. Il denaro doveva essere restituito entro metà ottobre, spiega Alvarado, oppure si doveva rinegoziare. Ma Caracas ha fatto né l’una né l’altra cosa. La proprietà dell’oro passa quindi a Deutsche Bank, che le verserà un conguaglio di 500 milioni.
La somma potrebbe essere preziosa per il Venezuela, che non ha più denaro per onorare gli interessi sui debiti e potrebbe andare in default già questo venerdì se Pdvsa, la compagnia petrolifera di Stato, non pagherà una cedola da 984 milioni di dollari su un obbligazione che non prevede periodi di grazia.
Caracas questo mese ha già saltato il pagamento di interessi su sette bond, per un totale di 590 milioni, ma in quei casi è previsto un periodo di grazia di 30 giorni. Le sue riserve valutarie sono ridotte ad appena 9,86 miliardi di dollari, di cui circa 500 milioni in contanti. Il resto è in oro.
Anche le riserve aurifere sono crollate: i dati più recenti del Fondo monetario internazionale le davano a 188,1 tonnellate a fine agosto, addirittura dimezzate rispetto al 2012.
Caracas, che ha debiti per 140 miliardi di dollari in mano a investitori stranieri, finora è sempre riuscita a onorare gli impegni con i creditori. Ma la sua solvibilità è stata pagata a caro prezzo dal popolo venezuelano, costretto ad ogni genere di privazione, e dalle casse dello Stato. L’oro delle riserve è stato venduto a più riprese, oppure impegnato con banche in cambio di liquidità: il contratto di swap con Deutsche Banck non è l’unico su cui siano circolate indiscrezioni. Nel 2015 il Venezuela ne avrebbe siglato uno simile con Citigroup, mentre in precedenza c’erano stati rumor su trattative con Goldman Sachs, BofA-Merrill Lynch e Credit Suisse.
Un gruppo di parlamentari venezuelani, tra cui lo stesso Alvarano, lo scorso aprile aveva inviato una lettera alle principali banche di Wall Street esortandole a non cedere alle richieste di simili accordi da parte di Caracas, perché in questo modo avrebbero «sostenuto un governo che la comunità internazionale riconosce come dittatoriale.
Comunisti a parole, nei fatti tutti corrotti.
10 Ottobre 2017
L’uomo che catturò il Che: «Fidel lo spedì in Bolivia per sbarazzarsene»
L’uomo che catturò il Che: «Fidel lo spedì in Bolivia per sbarazzarsene»
L'8 ottobre 1967, Ernesto «Che» Guevara venne catturato in Bolivia. Uno dei protagonisti della rivoluzione cubana del 1959 era venuto in Bolivia nella speranza di trasformarla in uno dei «tanti Vietnam» che aveva invocato nel 1966 nel suo «Messaggio alla Tricontinentale». I resoconti degli eventi che hanno circondato la morte del Che divergono, e alcuni dettagli sono contestati ancora oggi. Cinquant’anni dopo Gary Prado Salmón, l’uomo che catturò il rivoluzionario argentino, rievoca le ultime ore del leader guerrigliero in Bolivia.
«L’8 ottobre, i miei soldati stavano controllando il sentiero che portava fuori dalla gola dello Yuro, un’area ricoperta di una fitta boscaglia, con rocce e alberi. All’una circa li sentii gridare che avevano fatto due prigionieri. Salii su di corsa per venti metri e chiesi a uno dei prigionieri di identificarsi. “Che Guevara”, mi disse. L’altro era “Willy” [Simeón Cuba Sarabia, un altro guerrigliero, ndr].
Giravano voci confuse sulla presenza di tre o quattro possibili “Che Guevara” in giro per la regione, perciò era essenziale verificare la sua identità. Chiesi al Che di mostrarmi la mano destra, perché, secondo le informazioni di cui disponevamo, aveva una cicatrice sul dorso. La cicatrice effettivamente c’era. Non assomigliava molto alle foto che avevamo di lui. Aveva un aspetto derelitto, sporco, puzzolente e spossato. Era alla macchia da mesi. I capelli erano lunghi, inzaccherati e arruffati; la barba era ispida. Sopra l’uniforme indossava una giacca blu senza bottoni. Il berretto nero era lurido. Non aveva scarpe ai piedi, solo brandelli di pelli di animali, e indossava calzini spaiati, uno blu e uno rosso. Sembrava uno di quei senzatetto che si vedono mendicare nelle città spingendo un carrello del supermercato. Notai che si portava dietro un tegame di alluminio con dentro sei uova, segno che aveva avuto contatti con la gente del posto.
Il Che era stato ferito al polpaccio destro mentre cercava di sfuggire alla cattura correndo giù per la gola. Avevo fatto sistemare una mitragliatrice per coprire la zona, più un mortaio di 60 millimetri a supporto. I miei soldati avevano aperto il fuoco contro il Che, lo avevano ferito al polpaccio, gli avevano fatto un buco nel berretto e avevano spezzato la carabina M2 che portava con sé.
Il guerrigliero depresso
Il Che era depresso, completamente demoralizzato. Vedeva avvicinarsi la fine. Cinque dei suoi erano stati uccisi, e non ne era contento. Mi vide che chiamavo altri uomini per mettere in sicurezza l’area e disse: ”Non si preoccupi, capitano, questa è la fine. È finita”. Io dissi: “Forse è finita per lei, e lei ora sarà anche prigioniero, ma ci sono ancora dei combattenti validi nella gola”.
Mi chiese un po’ d’acqua. Aveva una borraccia, ma temevo che potesse avere un qualche veleno e cercare di uccidersi, perciò gli diedi quella della mia borraccia, e anche qualche sigaretta. Confiscai tutto quello che aveva nelle tasche e nello zaino, fra cui un po’ di soldi e i suoi diari. Il Che era totalmente rassegnato e non oppose resistenza. Aveva una pistola, ma era priva di caricatore, quindi sostanzialmente era disarmato.
Aveva anche due Rolex, uno al polso e uno in tasca: il secondo, a quanto mi disse, era di “Tuma”, un guerrigliero morto un paio di mesi prima. Disse che tutto il gruppo di cubani aveva ricevuto gli orologi come regalo d’addio da Fidel Castro.
Alle cinque del pomeriggio cominciava a far buio, perciò decisi di mettere fine all’operazione e riportare tutti i miei morti, feriti e prigionieri a La Higuera, a due chilometri di distanza, e trascorrere la notte lì. La Higuera era un paesino di una ventina di case di mattoni con il tetto di paglia, abitato da contadini poveri che sopravvivevano coltivando i loro appezzamenti di terra intorno al villaggio.
I miei soldati aiutavano il Che a camminare, essendo ferito al polpaccio. Mentre marciavamo, mi disse: “Vi sono più utile da vivo che da morto”. I contadini del posto ci aiutarono a portare tutti a La Higuera: erano ben felici di aiutarci a combattere i guerriglieri, che guardavano con diffidenza perché credevano che stessero cercando di invadere il loro Paese.
Passammo la notte nella minuscola scuola del villaggio.
In una stanza mettemmo Willy e i cadaveri e nell’altra il Che, con uno dei miei ufficiali che lo sorvegliava, a turni di due ore. Servimmo ai due prigionieri un pasto a base di carne, patate e riso, più caffè e sigarette. Quella notte non dormii, perché dovevo sorvegliare il villaggio e i prigionieri.
Durante la notte conversai con il Che sette o otto volte, e dopo due o tre chiacchierate sembrò riacquistare un po’ d’animo, come se fosse interessato a quello che lo aspettava. Recuperò un po’ della sua personalità.
Quell’ordine venuto da Cuba
Tutti e due cercavamo di capire la situazione. Gli chiesi: “Perché è venuto in Bolivia? Una delle cose che dice nei suoi libri sulla guerriglia è che se un Paese ha un Governo democratico, anche se con qualche problema, è molto difficile fomentare una rivoluzione lì”. (In Bolivia avevamo un Governo democratico – il presidente René Barrientos era stato eletto un anno prima – e avevamo un Parlamento, libertà di stampa e tutto il resto.) Lui non rispose, perciò gli chiesi di nuovo: “Perché è venuto qui?”. Lui disse: “Non è stata solo una decisione mia, è stata una decisione presa ad altri livelli”.
“Quali livelli? Fidel?”, gli chiesi.
“Altri livelli”, rispose lui, e non ne parlammo più. Era chiaro che l’ordine era venuto da Cuba.
Gli chiesi se aveva sentito parlare della rivoluzione nazionalista che avevamo avuto in Bolivia nel 1952, e lui disse: “Sì, ero qui”. Allora gli chiesi: “Perché è venuto qui a offrire terra alla gente quando avevamo già avuto una riforma agraria molto ampia? Per questo nessun contadino si è unito al vostro movimento”. Lui rispose: “Sì, ci siamo sbagliati su questo, avevamo informazioni sbagliate”.
Il Che venne in Bolivia perché non aveva nessun altro posto dove andare. Dopo il suo insuccesso in Africa [non era riuscito a portare la “guerra rivoluzionaria” in Congo], era andato a Praga. Stava cercando di ricucire i rapporti con Fidel, ma aveva rinunciato alla nazionalità cubana e alla sua posizione di comandante dell’esercito cubano. Non poteva tornare a Cuba, perciò tornò alla guerriglia. Parlò con Castro, e fu in quel momento che decisero di puntare sul Sudamerica. Ma secondo me fu semplicemente la soluzione che trovò Fidel per sbarazzarsi di lui, perché a Cuba non gli serviva a nulla. Il Che era un problema per lui, per Cuba e per il Partito comunista cubano, perché sosteneva un’azione rivoluzionaria in una fase in cui Fidel aveva concordato un altro approccio con l’Unione Sovietica. Le due superpotenze si erano accordate sul principio di una coesistenza pacifica e avevano stabilito di non aiutare movimenti guerriglieri in America Latina. Insomma, il Che era un problema e il modo migliore per liberarsi di lui era spedirlo alla ventura in Bolivia senza fornirgli alcun supporto. Una volta arrivato qui, il Che non ricevette il minimo aiuto da Cuba: nessun uomo, nessun contatto, nulla. Mi disse che avevano perso qualsiasi comunicazione [con Cuba] quando avevano lasciato il loro campo base nel Sudest della Bolivia, dopo che l’esercito se ne era impadronito, quindi erano completamente isolati.
Il «processo» mancato
Il Che era chiaramente preoccupato per quello che lo aspettava. Gli dissi che sarebbe stato processato da un tribunale militare, perché in quel momento [il giornalista francese] Régis Debray e altri stranieri erano sotto processo di fronte a una corte marziale a Camiri per aver fatto parte del gruppo rivoluzionario del Che, e davo per scontato che volessero fare la stessa cosa con lui. Cominciammo a parlare di come sarebbe stato il suo processo. Quello di Debray aveva attirato una grande attenzione mediatica, era diventato una sorta di spettacolo, e il Che ne aveva sentito parlare ascoltando la radio boliviana, perciò probabilmente pensava che un processo sarebbe stato una buona opportunità per lui.
Parlammo anche della rivoluzione cubana. Tutti e due cercavamo di capire che cosa pensava l’altro. “Lei è stato addestrato dagli americani”, disse lui. “Sì”, risposi, “e lei è stato addestrato dai russi, perciò siamo tutti e due burattini nelle mani delle superpotenze, e dobbiamo trovare la nostra strada”. Mi diede ragione.
Durante la notte guardai i diari del Che e gli feci delle domande su alcune delle cose che diceva lì dentro. Poco dopo mi disse che i miei soldati gli avevano preso i Rolex, perciò li chiamai e ordinai di restituirglieli. Glieli diedi, ma lui mi disse: “Domani un altro soldato me li prenderà: li tenga lei per me”. Prese un sassolino da terra e incise una croce sul retro di uno degli orologi. “Questo è il mio”, mi disse porgendomelo. Dopo la morte del Che lo portai al comandante del mio battaglione, ma lui mi disse di tenermelo. Lo conservai fino al 1985, quando in Bolivia venne ristabilita la democrazia e riallacciammo i rapporti diplomatici con Cuba: lo inviai alla sua famiglia attraverso l’ambasciata cubana.
All’alba, il comandante dell’ottava divisione, colonnello [Joaquín] Zenteno, arrivò in elicottero da Vallegrande, il capoluogo della provincia 60 chilometri più a nord. Gli feci un rapporto sulla situazione e gli consegnai i prigionieri, compreso il Che, che era calmo e tranquillo. Zenteno era accompagnato dall’agente della Cia Félix Rodríguez.
L’ordine della fucilazione
Lasciai La Higuera e tornai nella gola dello Yuro con truppe fresche, per cercare di catturare il resto del gruppo (ce n’erano ancora cinque nell’area). Quando tornai al villaggio, a mezzogiorno circa, con altri due guerriglieri catturati, trovai il Che morto: il comandante del mio battaglione, il maggiore Ayoroa, mi disse che era stato giustiziato. Il comandante di divisione era ripartito per Vallegrande, ma aveva lasciato istruzioni di mandare il cadavere del Che via elicottero. Perciò, all’una e mezza circa, assicurammo la sua barella ai pattini di un elicottero e quella fu l’ultima volta che lo vidi.
L’uomo che sparò al Che, il sottufficiale Mario Terán, più tardi mi raccontò che cos’era successo. Dopo che dal presidente e dall’alto comando delle forze armate era arrivato l’ordine di uccidere il Che, il colonnello Zenteno aveva chiesto volontari fra i sottufficiali – ce n’erano sette – presenti in quel momento [alcuni dei tanti resoconti contrastanti affermano che Prado fosse presente nel momento in cui arrivò l’ordine: lui lo nega recisamente.] Contrariamente al mito che nessuno volesse premere il grilletto, tutti i soldati si offrirono volontari, così Zenteno ne selezionò due a caso, dicendo: “Bene, tu fai quella stanza [dov’era il Che] e tu fai quella [dov’era Willy]”. I due entrarono e fecero fuoco con le loro carabine M2. Successe molto in fretta. Da quello che mi raccontò Terán, il Che morì al primo colpo. Non ci fu nessun discorso, nessun addio, nulla.
Quando il corpo del Che arrivò a Vallegrande, fu lavato e ripulito nell’ospedale, secondo le istruzioni dell’esercito. I militari volevano che assomigliasse al Che Guevara che la gente conosceva: se aveste visto il Che con l’aspetto che aveva quando venne catturato, non lo avreste riconosciuto. C’erano altri cadaveri sul pavimento, ma nessuno di loro venne ripulito o altro: il Che fu l’unico che ricevette questo trattamento, perché era importante dimostrare che fosse il vero Che Guevara. Poi lo stesero su un lastrone di cemento nella piccola lavanderia che stava dietro all’ospedale e una trentina di fotoreporter di ogni parte del mondo furono invitati a scattare foto del corpo steso sul cemento. Era importante per il Governo e l’esercito mostrare il cadavere del Che, come ammonimento a chiunque intendesse invadere o minacciare il modo di vivere dei boliviani in futuro.
Il riconoscimento del cadavere
Per dimostrare l’identità del Che ci servivano le impronte digitali e documenti scritti a mano da lui, perciò il Governo boliviano chiese a quello argentino [il Che era nato laggiù] di inviare dei reperti. L’Argentina mandò due esperti della polizia, che portarono le impronte digitali contenute nel suo passaporto del 1952 ed esempi della sua scrittura. I trasporti erano lenti a quei tempi e impiegarono un po’ di tempo per arrivare a destinazione. Nel frattempo il corpo era in stato di decomposizione avanzata: emanava un odore terribile e non c’era nessun posto dove conservarlo, quindi fu presa la decisione di seppellirlo e conservare le mani nella formaldeide.
Quando finalmente arrivarono, gli esperti argentini presero le impronte digitali dalle mani e certificarono che si trattava effettivamente del Che, e fecero lo stesso con la sua calligrafia. Le mani furono conservate dal ministro dell’Interno, che in seguito le diede a un suo amico comunista, che a sua volta le inviò a Castro. A quel punto furono restituite alla famiglia del Che.
Lo choc dell’esecuzione
Io rimasi scioccato dall’esecuzione. Non me lo aspettavo. Pensavo che il Che sarebbe stato processato come gli altri prigionieri. Tutta la faccenda fu gestita male. Il Governo boliviano mise in giro l’informazione falsa che il Che era morto in combattimento, ma poi arrivarono notizie che era stato visto vivo a La Higuera, e alla fine il presidente fu costretto a dire la verità. Penso che prese la decisione di far giustiziare il Che perché in caso contrario avrebbe dovuto processarlo, e il processo sarebbe diventato un caso internazionale. Erano già infastiditi dallo spettacolo in cui si era trasformato il processo Debray, e un processo al Che avrebbe attirato migliaia di giornalisti, cosa che volevano evitare a tutti i costi. Inoltre, se lo avessimo processato sarebbe stato condannato a trent’anni di prigione (non abbiamo la pena di morte in Bolivia, e la pena carceraria massima è trent’anni). Ma dove lo avremmo tenuto per trent’anni? Non esistevano prigioni di massima sicurezza in Bolivia, avremmo sempre avuto il problema di impedire che qualcuno lo facesse evadere. Insomma, lo abbiamo giustiziato per liberarci del problema. Ma la cosa fu gestita male. Sarebbe andata bene se fossero riusciti a sostenere l’idea che era morto eroicamente in battaglia, ma la verità – che era stato giustiziato – era diventata pubblica.
Quanto ai risultati del Che, qui in Bolivia commise moltissimi errori a capo della guerriglia. Fece il contrario di tutto quello che scriveva nei suoi libri. Fu questo che lo condusse al fallimento. Si vede la sua immagine ovunque sui manifesti, una cosa che probabilmente il Che non avrebbe gradito. Ma la maggior parte delle persone non sa chi era, o cosa ha fatto. Era bravo come teorico, ma quando ebbe l’occasione di mettere in pratica le sue idee [in Bolivia], fallì su tutta la linea».
Dopo il suo ruolo come capitano del secondo battaglione delle truppe d’assalto boliviane addestrate dagli Stati Uniti, Gary Prado Salmón divenne ministro del Governo boliviano. Nel 1981 rimase paralizzato e costretto su una sedia a rotelle a causa di un proiettile che lo aveva colpito accidentalmente alla schiena. Ha proseguito la sua carriera come ambasciatore della Bolivia nel Regno Unito e in Messico, e ora insegna in un’università privata a Santa Cruz, in Bolivia. Clare Heargreaves è vissuta in Bolivia (e ha conosciuto Prado) mentre conduceva ricerche per Snowfields, un libro sul traffico di cocaina in Sudamerica.
«L’8 ottobre, i miei soldati stavano controllando il sentiero che portava fuori dalla gola dello Yuro, un’area ricoperta di una fitta boscaglia, con rocce e alberi. All’una circa li sentii gridare che avevano fatto due prigionieri. Salii su di corsa per venti metri e chiesi a uno dei prigionieri di identificarsi. “Che Guevara”, mi disse. L’altro era “Willy” [Simeón Cuba Sarabia, un altro guerrigliero, ndr].
Giravano voci confuse sulla presenza di tre o quattro possibili “Che Guevara” in giro per la regione, perciò era essenziale verificare la sua identità. Chiesi al Che di mostrarmi la mano destra, perché, secondo le informazioni di cui disponevamo, aveva una cicatrice sul dorso. La cicatrice effettivamente c’era. Non assomigliava molto alle foto che avevamo di lui. Aveva un aspetto derelitto, sporco, puzzolente e spossato. Era alla macchia da mesi. I capelli erano lunghi, inzaccherati e arruffati; la barba era ispida. Sopra l’uniforme indossava una giacca blu senza bottoni. Il berretto nero era lurido. Non aveva scarpe ai piedi, solo brandelli di pelli di animali, e indossava calzini spaiati, uno blu e uno rosso. Sembrava uno di quei senzatetto che si vedono mendicare nelle città spingendo un carrello del supermercato. Notai che si portava dietro un tegame di alluminio con dentro sei uova, segno che aveva avuto contatti con la gente del posto.
Il Che era stato ferito al polpaccio destro mentre cercava di sfuggire alla cattura correndo giù per la gola. Avevo fatto sistemare una mitragliatrice per coprire la zona, più un mortaio di 60 millimetri a supporto. I miei soldati avevano aperto il fuoco contro il Che, lo avevano ferito al polpaccio, gli avevano fatto un buco nel berretto e avevano spezzato la carabina M2 che portava con sé.
Il guerrigliero depresso
Il Che era depresso, completamente demoralizzato. Vedeva avvicinarsi la fine. Cinque dei suoi erano stati uccisi, e non ne era contento. Mi vide che chiamavo altri uomini per mettere in sicurezza l’area e disse: ”Non si preoccupi, capitano, questa è la fine. È finita”. Io dissi: “Forse è finita per lei, e lei ora sarà anche prigioniero, ma ci sono ancora dei combattenti validi nella gola”.
Mi chiese un po’ d’acqua. Aveva una borraccia, ma temevo che potesse avere un qualche veleno e cercare di uccidersi, perciò gli diedi quella della mia borraccia, e anche qualche sigaretta. Confiscai tutto quello che aveva nelle tasche e nello zaino, fra cui un po’ di soldi e i suoi diari. Il Che era totalmente rassegnato e non oppose resistenza. Aveva una pistola, ma era priva di caricatore, quindi sostanzialmente era disarmato.
Aveva anche due Rolex, uno al polso e uno in tasca: il secondo, a quanto mi disse, era di “Tuma”, un guerrigliero morto un paio di mesi prima. Disse che tutto il gruppo di cubani aveva ricevuto gli orologi come regalo d’addio da Fidel Castro.
Alle cinque del pomeriggio cominciava a far buio, perciò decisi di mettere fine all’operazione e riportare tutti i miei morti, feriti e prigionieri a La Higuera, a due chilometri di distanza, e trascorrere la notte lì. La Higuera era un paesino di una ventina di case di mattoni con il tetto di paglia, abitato da contadini poveri che sopravvivevano coltivando i loro appezzamenti di terra intorno al villaggio.
I miei soldati aiutavano il Che a camminare, essendo ferito al polpaccio. Mentre marciavamo, mi disse: “Vi sono più utile da vivo che da morto”. I contadini del posto ci aiutarono a portare tutti a La Higuera: erano ben felici di aiutarci a combattere i guerriglieri, che guardavano con diffidenza perché credevano che stessero cercando di invadere il loro Paese.
Passammo la notte nella minuscola scuola del villaggio.
In una stanza mettemmo Willy e i cadaveri e nell’altra il Che, con uno dei miei ufficiali che lo sorvegliava, a turni di due ore. Servimmo ai due prigionieri un pasto a base di carne, patate e riso, più caffè e sigarette. Quella notte non dormii, perché dovevo sorvegliare il villaggio e i prigionieri.
Durante la notte conversai con il Che sette o otto volte, e dopo due o tre chiacchierate sembrò riacquistare un po’ d’animo, come se fosse interessato a quello che lo aspettava. Recuperò un po’ della sua personalità.
Quell’ordine venuto da Cuba
Tutti e due cercavamo di capire la situazione. Gli chiesi: “Perché è venuto in Bolivia? Una delle cose che dice nei suoi libri sulla guerriglia è che se un Paese ha un Governo democratico, anche se con qualche problema, è molto difficile fomentare una rivoluzione lì”. (In Bolivia avevamo un Governo democratico – il presidente René Barrientos era stato eletto un anno prima – e avevamo un Parlamento, libertà di stampa e tutto il resto.) Lui non rispose, perciò gli chiesi di nuovo: “Perché è venuto qui?”. Lui disse: “Non è stata solo una decisione mia, è stata una decisione presa ad altri livelli”.
“Quali livelli? Fidel?”, gli chiesi.
“Altri livelli”, rispose lui, e non ne parlammo più. Era chiaro che l’ordine era venuto da Cuba.
Gli chiesi se aveva sentito parlare della rivoluzione nazionalista che avevamo avuto in Bolivia nel 1952, e lui disse: “Sì, ero qui”. Allora gli chiesi: “Perché è venuto qui a offrire terra alla gente quando avevamo già avuto una riforma agraria molto ampia? Per questo nessun contadino si è unito al vostro movimento”. Lui rispose: “Sì, ci siamo sbagliati su questo, avevamo informazioni sbagliate”.
Il Che venne in Bolivia perché non aveva nessun altro posto dove andare. Dopo il suo insuccesso in Africa [non era riuscito a portare la “guerra rivoluzionaria” in Congo], era andato a Praga. Stava cercando di ricucire i rapporti con Fidel, ma aveva rinunciato alla nazionalità cubana e alla sua posizione di comandante dell’esercito cubano. Non poteva tornare a Cuba, perciò tornò alla guerriglia. Parlò con Castro, e fu in quel momento che decisero di puntare sul Sudamerica. Ma secondo me fu semplicemente la soluzione che trovò Fidel per sbarazzarsi di lui, perché a Cuba non gli serviva a nulla. Il Che era un problema per lui, per Cuba e per il Partito comunista cubano, perché sosteneva un’azione rivoluzionaria in una fase in cui Fidel aveva concordato un altro approccio con l’Unione Sovietica. Le due superpotenze si erano accordate sul principio di una coesistenza pacifica e avevano stabilito di non aiutare movimenti guerriglieri in America Latina. Insomma, il Che era un problema e il modo migliore per liberarsi di lui era spedirlo alla ventura in Bolivia senza fornirgli alcun supporto. Una volta arrivato qui, il Che non ricevette il minimo aiuto da Cuba: nessun uomo, nessun contatto, nulla. Mi disse che avevano perso qualsiasi comunicazione [con Cuba] quando avevano lasciato il loro campo base nel Sudest della Bolivia, dopo che l’esercito se ne era impadronito, quindi erano completamente isolati.
Il «processo» mancato
Il Che era chiaramente preoccupato per quello che lo aspettava. Gli dissi che sarebbe stato processato da un tribunale militare, perché in quel momento [il giornalista francese] Régis Debray e altri stranieri erano sotto processo di fronte a una corte marziale a Camiri per aver fatto parte del gruppo rivoluzionario del Che, e davo per scontato che volessero fare la stessa cosa con lui. Cominciammo a parlare di come sarebbe stato il suo processo. Quello di Debray aveva attirato una grande attenzione mediatica, era diventato una sorta di spettacolo, e il Che ne aveva sentito parlare ascoltando la radio boliviana, perciò probabilmente pensava che un processo sarebbe stato una buona opportunità per lui.
Parlammo anche della rivoluzione cubana. Tutti e due cercavamo di capire che cosa pensava l’altro. “Lei è stato addestrato dagli americani”, disse lui. “Sì”, risposi, “e lei è stato addestrato dai russi, perciò siamo tutti e due burattini nelle mani delle superpotenze, e dobbiamo trovare la nostra strada”. Mi diede ragione.
Durante la notte guardai i diari del Che e gli feci delle domande su alcune delle cose che diceva lì dentro. Poco dopo mi disse che i miei soldati gli avevano preso i Rolex, perciò li chiamai e ordinai di restituirglieli. Glieli diedi, ma lui mi disse: “Domani un altro soldato me li prenderà: li tenga lei per me”. Prese un sassolino da terra e incise una croce sul retro di uno degli orologi. “Questo è il mio”, mi disse porgendomelo. Dopo la morte del Che lo portai al comandante del mio battaglione, ma lui mi disse di tenermelo. Lo conservai fino al 1985, quando in Bolivia venne ristabilita la democrazia e riallacciammo i rapporti diplomatici con Cuba: lo inviai alla sua famiglia attraverso l’ambasciata cubana.
All’alba, il comandante dell’ottava divisione, colonnello [Joaquín] Zenteno, arrivò in elicottero da Vallegrande, il capoluogo della provincia 60 chilometri più a nord. Gli feci un rapporto sulla situazione e gli consegnai i prigionieri, compreso il Che, che era calmo e tranquillo. Zenteno era accompagnato dall’agente della Cia Félix Rodríguez.
L’ordine della fucilazione
Lasciai La Higuera e tornai nella gola dello Yuro con truppe fresche, per cercare di catturare il resto del gruppo (ce n’erano ancora cinque nell’area). Quando tornai al villaggio, a mezzogiorno circa, con altri due guerriglieri catturati, trovai il Che morto: il comandante del mio battaglione, il maggiore Ayoroa, mi disse che era stato giustiziato. Il comandante di divisione era ripartito per Vallegrande, ma aveva lasciato istruzioni di mandare il cadavere del Che via elicottero. Perciò, all’una e mezza circa, assicurammo la sua barella ai pattini di un elicottero e quella fu l’ultima volta che lo vidi.
L’uomo che sparò al Che, il sottufficiale Mario Terán, più tardi mi raccontò che cos’era successo. Dopo che dal presidente e dall’alto comando delle forze armate era arrivato l’ordine di uccidere il Che, il colonnello Zenteno aveva chiesto volontari fra i sottufficiali – ce n’erano sette – presenti in quel momento [alcuni dei tanti resoconti contrastanti affermano che Prado fosse presente nel momento in cui arrivò l’ordine: lui lo nega recisamente.] Contrariamente al mito che nessuno volesse premere il grilletto, tutti i soldati si offrirono volontari, così Zenteno ne selezionò due a caso, dicendo: “Bene, tu fai quella stanza [dov’era il Che] e tu fai quella [dov’era Willy]”. I due entrarono e fecero fuoco con le loro carabine M2. Successe molto in fretta. Da quello che mi raccontò Terán, il Che morì al primo colpo. Non ci fu nessun discorso, nessun addio, nulla.
Quando il corpo del Che arrivò a Vallegrande, fu lavato e ripulito nell’ospedale, secondo le istruzioni dell’esercito. I militari volevano che assomigliasse al Che Guevara che la gente conosceva: se aveste visto il Che con l’aspetto che aveva quando venne catturato, non lo avreste riconosciuto. C’erano altri cadaveri sul pavimento, ma nessuno di loro venne ripulito o altro: il Che fu l’unico che ricevette questo trattamento, perché era importante dimostrare che fosse il vero Che Guevara. Poi lo stesero su un lastrone di cemento nella piccola lavanderia che stava dietro all’ospedale e una trentina di fotoreporter di ogni parte del mondo furono invitati a scattare foto del corpo steso sul cemento. Era importante per il Governo e l’esercito mostrare il cadavere del Che, come ammonimento a chiunque intendesse invadere o minacciare il modo di vivere dei boliviani in futuro.
Il riconoscimento del cadavere
Per dimostrare l’identità del Che ci servivano le impronte digitali e documenti scritti a mano da lui, perciò il Governo boliviano chiese a quello argentino [il Che era nato laggiù] di inviare dei reperti. L’Argentina mandò due esperti della polizia, che portarono le impronte digitali contenute nel suo passaporto del 1952 ed esempi della sua scrittura. I trasporti erano lenti a quei tempi e impiegarono un po’ di tempo per arrivare a destinazione. Nel frattempo il corpo era in stato di decomposizione avanzata: emanava un odore terribile e non c’era nessun posto dove conservarlo, quindi fu presa la decisione di seppellirlo e conservare le mani nella formaldeide.
Quando finalmente arrivarono, gli esperti argentini presero le impronte digitali dalle mani e certificarono che si trattava effettivamente del Che, e fecero lo stesso con la sua calligrafia. Le mani furono conservate dal ministro dell’Interno, che in seguito le diede a un suo amico comunista, che a sua volta le inviò a Castro. A quel punto furono restituite alla famiglia del Che.
Lo choc dell’esecuzione
Io rimasi scioccato dall’esecuzione. Non me lo aspettavo. Pensavo che il Che sarebbe stato processato come gli altri prigionieri. Tutta la faccenda fu gestita male. Il Governo boliviano mise in giro l’informazione falsa che il Che era morto in combattimento, ma poi arrivarono notizie che era stato visto vivo a La Higuera, e alla fine il presidente fu costretto a dire la verità. Penso che prese la decisione di far giustiziare il Che perché in caso contrario avrebbe dovuto processarlo, e il processo sarebbe diventato un caso internazionale. Erano già infastiditi dallo spettacolo in cui si era trasformato il processo Debray, e un processo al Che avrebbe attirato migliaia di giornalisti, cosa che volevano evitare a tutti i costi. Inoltre, se lo avessimo processato sarebbe stato condannato a trent’anni di prigione (non abbiamo la pena di morte in Bolivia, e la pena carceraria massima è trent’anni). Ma dove lo avremmo tenuto per trent’anni? Non esistevano prigioni di massima sicurezza in Bolivia, avremmo sempre avuto il problema di impedire che qualcuno lo facesse evadere. Insomma, lo abbiamo giustiziato per liberarci del problema. Ma la cosa fu gestita male. Sarebbe andata bene se fossero riusciti a sostenere l’idea che era morto eroicamente in battaglia, ma la verità – che era stato giustiziato – era diventata pubblica.
Quanto ai risultati del Che, qui in Bolivia commise moltissimi errori a capo della guerriglia. Fece il contrario di tutto quello che scriveva nei suoi libri. Fu questo che lo condusse al fallimento. Si vede la sua immagine ovunque sui manifesti, una cosa che probabilmente il Che non avrebbe gradito. Ma la maggior parte delle persone non sa chi era, o cosa ha fatto. Era bravo come teorico, ma quando ebbe l’occasione di mettere in pratica le sue idee [in Bolivia], fallì su tutta la linea».
Dopo il suo ruolo come capitano del secondo battaglione delle truppe d’assalto boliviane addestrate dagli Stati Uniti, Gary Prado Salmón divenne ministro del Governo boliviano. Nel 1981 rimase paralizzato e costretto su una sedia a rotelle a causa di un proiettile che lo aveva colpito accidentalmente alla schiena. Ha proseguito la sua carriera come ambasciatore della Bolivia nel Regno Unito e in Messico, e ora insegna in un’università privata a Santa Cruz, in Bolivia. Clare Heargreaves è vissuta in Bolivia (e ha conosciuto Prado) mentre conduceva ricerche per Snowfields, un libro sul traffico di cocaina in Sudamerica.
22 Agosto 2017
Nessuna speranza di cambiamento per Cuba, il nuovo dittatore dell'isola Diaz Canel mette in chiaro che ci sarà più repressione, meno libertà e più censura, meno libertà per i lavoratori per conto proprio, e nessuna possibilità di accordo con gli odiati Stati Uniti.
Nessuna speranza di cambiamento per Cuba, il nuovo dittatore dell'isola Diaz Canel mette in chiaro che ci sarà più repressione, meno libertà e più censura, meno libertà per i lavoratori per conto proprio, e nessuna possibilità di accordo con gli odiati Stati Uniti.
8 Agosto 2017
Ci risiamo, come nella Cuba dei Castro, come i cocaleros delle FARC colombiane, come la Nord Corea con le sue fabbriche di medicinali riconvertite in fabbriche di metanfetamina anche la dittatura venezuelana di Maduro prosegue nella ormai leggendaria tradizione del narco comunismo, per riempirsi il borsello di dollari con il contrabbando di cocaina.
Il Venezuela ha una geografia privilegiata: un lungo confine incustodito con la Colombia, produttore numero uno di cocaina, e un litorale molto esteso. La pista che lega il traffico ai vertici del regime.
Narcostato. Narcodittatura. Lo si legge sui muri di Caracas, lo si ascolta dalla voce di analisti e politici d’opposizione. «C’è un Pablo Escobar al vertice dello Stato in Venezuela», ha attaccato il senatore Marco Rubio, estrema destra della Florida, riferendosi al potente Diosdado Cabello. Quanto c’è di vero nelle pesanti accuse sul vertice del potere chavista, che arrivano soprattutto dagli Stati Uniti? Molti indizi e alcuni testimoni di peso, finora, collegano al regime il traffico di ingenti quantità di polvere bianca verso l’Europa e gli Usa. Il Venezuela ha una geografia privilegiata: un lungo confine incustodito con la Colombia, produttore numero uno di cocaina, e un litorale molto esteso. Se poi politici e militari sono complici, garantendo il lasciapassare su porti e aeroporti, ecco che il gioco è fatto. C’è anche chi spiega l’escalation degli ultimi mesi con l’avanzare delle indagini. «Al vertice del Venezuela ci sono uomini i quali, alla caduta del regime, potrebbero finire i loro giorni in una prigione Usa. Resisteranno fino alla fine», ci spiegava nei giorni scorsi a Caracas un osservatore dall’interno del chavismo.
Dai primi indizi nel 2008, con Chávez ancora al potere e tre militari di alto rango indiziati per traffici illeciti con la guerriglia delle Farc, fino alle accuse odierne che arrivano al vicepresidente Tareck El Aissami e a Cabello, l’uomo che ha voluto la Costituente e conta almeno quanto Maduro. Nel mezzo due vicende che sembrano tratte da serie tv. L’arresto di due nipoti della moglie di Maduro, i narcosobrinos. Detenuti a New York, la sentenza per narcotraffico è attesa tra un mese. Prima ancora la scoperta di un carico di 1,2 tonnellate di coca su un aereo Air France a Parigi. Imbarcata come se nulla fosse a Caracas.
El Aissami è il vice di Maduro dallo scorso gennaio. La sua nomina ha suscitato vari interrogativi: perché la scelta è caduta su un personaggio così discusso? L’uomo, di origini siriane, era governatore dello Stato di Aragua quando il suo nome venne fatto da Rafael Isea, suo predecessore ed ex ministro delle Finanze. Fuggito negli Usa nel 2013, Isea raccontò che El Aissami era l’uomo di riferimento del più potente narcotrafficante del Paese, Walid Makled. Grazie a lui tonnellate di cocaina venivano imbarcate a Puerto Cabello in direzione Messico e Centroamerica, previo pagamento di ingenti percentuali al politico. La settimana scorsa, dopo essere stato incluso nella lista Trump dei 13 sanzionati del regime, El Aissami è stato colpito da congelamenti di beni «da centinaia di milioni di dollari», tra case a Miami e un jet privato, secondo il Tesoro Usa. Lui ha smentito. «Non ho nemmeno un conto. È un attacco dell’impero alla nostra rivoluzione. Come i due ragazzi di Maduro, un falso positivo creato dalla Dea».
Quanto hanno raccontato agli americani Efrain Campo e Francisco Flores, nemmeno trentenni, arrestati ad Haiti nel novembre 2015 mentre negoziavano la spedizione di 800 chili di cocaina? I due nipoti della first lady Cilia Flores, cresciuti da Maduro come figli, rischiano vent’anni di galera a testa dopo essere caduti in una trappola dell’antidroga Usa, che ha registrato mesi di negoziazioni sulla maxipartita. Già sull’aereo che li deportava negli Stati Uniti i due avevano confessato che la coca arrivava da ambienti vicini a Cabello, all’epoca presidente del Parlamento. Secondo 007 americani sarebbe lui il capo assoluto del cartello «de los Soles», un gruppo formato da militari, paramilitari e politici in grado di far transitare senza controlli la coca dalla Colombia e poi imbarcarla verso l’estero. Un’altra accusa circostanziata su Cabello è arrivata dal suo ex guardaspalle, Leamsy Salazar, un militare fuggito anche lui negli Stati Uniti e sotto protezione: ha raccontato di aver sentito in più occasioni Cabello dare ordini su spedizioni di cocaina, attraverso Cuba. Salazar è stato per anni anche al fianco di Chávez, era un uomo di assoluta fiducia del regime.
La vicenda dei due nipoti è ancora in divenire. Sapremo a breve cosa hanno raccontato per tentare di ridurre la loro pena, così come sono attese le dichiarazioni di Yazenky Lamas, un pilota venezuelano che la Colombia ha appena estradato negli Stati Uniti. Lamas ha pilotato un centinaio di voli della droga tra il Venezuela e i Caraibi. Guarda caso anche lui ha un legame diretto con la moglie di Maduro: era il suo pilota personale. Il governo di Caracas ha fatto di tutto per evitare che Lamas fosse spedito negli Usa, chiedendone l’estradizione in Venezuela. Com’era riuscito a fare con il boss Makled, anch’egli catturato in Colombia. Ma i rapporti tra i due Paesi oggi sono molto più tesi e il governo di Bogotá non ha avuto dubbi. Il pilota dirà tutto quello che sa alla Dea.
Ci risiamo, come nella Cuba dei Castro, come i cocaleros delle FARC colombiane, come la Nord Corea con le sue fabbriche di medicinali riconvertite in fabbriche di metanfetamina anche la dittatura venezuelana di Maduro prosegue nella ormai leggendaria tradizione del narco comunismo, per riempirsi il borsello di dollari con il contrabbando di cocaina.
Il Venezuela ha una geografia privilegiata: un lungo confine incustodito con la Colombia, produttore numero uno di cocaina, e un litorale molto esteso. La pista che lega il traffico ai vertici del regime.
Narcostato. Narcodittatura. Lo si legge sui muri di Caracas, lo si ascolta dalla voce di analisti e politici d’opposizione. «C’è un Pablo Escobar al vertice dello Stato in Venezuela», ha attaccato il senatore Marco Rubio, estrema destra della Florida, riferendosi al potente Diosdado Cabello. Quanto c’è di vero nelle pesanti accuse sul vertice del potere chavista, che arrivano soprattutto dagli Stati Uniti? Molti indizi e alcuni testimoni di peso, finora, collegano al regime il traffico di ingenti quantità di polvere bianca verso l’Europa e gli Usa. Il Venezuela ha una geografia privilegiata: un lungo confine incustodito con la Colombia, produttore numero uno di cocaina, e un litorale molto esteso. Se poi politici e militari sono complici, garantendo il lasciapassare su porti e aeroporti, ecco che il gioco è fatto. C’è anche chi spiega l’escalation degli ultimi mesi con l’avanzare delle indagini. «Al vertice del Venezuela ci sono uomini i quali, alla caduta del regime, potrebbero finire i loro giorni in una prigione Usa. Resisteranno fino alla fine», ci spiegava nei giorni scorsi a Caracas un osservatore dall’interno del chavismo.
Dai primi indizi nel 2008, con Chávez ancora al potere e tre militari di alto rango indiziati per traffici illeciti con la guerriglia delle Farc, fino alle accuse odierne che arrivano al vicepresidente Tareck El Aissami e a Cabello, l’uomo che ha voluto la Costituente e conta almeno quanto Maduro. Nel mezzo due vicende che sembrano tratte da serie tv. L’arresto di due nipoti della moglie di Maduro, i narcosobrinos. Detenuti a New York, la sentenza per narcotraffico è attesa tra un mese. Prima ancora la scoperta di un carico di 1,2 tonnellate di coca su un aereo Air France a Parigi. Imbarcata come se nulla fosse a Caracas.
El Aissami è il vice di Maduro dallo scorso gennaio. La sua nomina ha suscitato vari interrogativi: perché la scelta è caduta su un personaggio così discusso? L’uomo, di origini siriane, era governatore dello Stato di Aragua quando il suo nome venne fatto da Rafael Isea, suo predecessore ed ex ministro delle Finanze. Fuggito negli Usa nel 2013, Isea raccontò che El Aissami era l’uomo di riferimento del più potente narcotrafficante del Paese, Walid Makled. Grazie a lui tonnellate di cocaina venivano imbarcate a Puerto Cabello in direzione Messico e Centroamerica, previo pagamento di ingenti percentuali al politico. La settimana scorsa, dopo essere stato incluso nella lista Trump dei 13 sanzionati del regime, El Aissami è stato colpito da congelamenti di beni «da centinaia di milioni di dollari», tra case a Miami e un jet privato, secondo il Tesoro Usa. Lui ha smentito. «Non ho nemmeno un conto. È un attacco dell’impero alla nostra rivoluzione. Come i due ragazzi di Maduro, un falso positivo creato dalla Dea».
Quanto hanno raccontato agli americani Efrain Campo e Francisco Flores, nemmeno trentenni, arrestati ad Haiti nel novembre 2015 mentre negoziavano la spedizione di 800 chili di cocaina? I due nipoti della first lady Cilia Flores, cresciuti da Maduro come figli, rischiano vent’anni di galera a testa dopo essere caduti in una trappola dell’antidroga Usa, che ha registrato mesi di negoziazioni sulla maxipartita. Già sull’aereo che li deportava negli Stati Uniti i due avevano confessato che la coca arrivava da ambienti vicini a Cabello, all’epoca presidente del Parlamento. Secondo 007 americani sarebbe lui il capo assoluto del cartello «de los Soles», un gruppo formato da militari, paramilitari e politici in grado di far transitare senza controlli la coca dalla Colombia e poi imbarcarla verso l’estero. Un’altra accusa circostanziata su Cabello è arrivata dal suo ex guardaspalle, Leamsy Salazar, un militare fuggito anche lui negli Stati Uniti e sotto protezione: ha raccontato di aver sentito in più occasioni Cabello dare ordini su spedizioni di cocaina, attraverso Cuba. Salazar è stato per anni anche al fianco di Chávez, era un uomo di assoluta fiducia del regime.
La vicenda dei due nipoti è ancora in divenire. Sapremo a breve cosa hanno raccontato per tentare di ridurre la loro pena, così come sono attese le dichiarazioni di Yazenky Lamas, un pilota venezuelano che la Colombia ha appena estradato negli Stati Uniti. Lamas ha pilotato un centinaio di voli della droga tra il Venezuela e i Caraibi. Guarda caso anche lui ha un legame diretto con la moglie di Maduro: era il suo pilota personale. Il governo di Caracas ha fatto di tutto per evitare che Lamas fosse spedito negli Usa, chiedendone l’estradizione in Venezuela. Com’era riuscito a fare con il boss Makled, anch’egli catturato in Colombia. Ma i rapporti tra i due Paesi oggi sono molto più tesi e il governo di Bogotá non ha avuto dubbi. Il pilota dirà tutto quello che sa alla Dea.
6/8/2017
“Viviamo sotto la dittatura di un tiranno che affama e uccide il popolo per il potere”
Il leader dell’opposizione Ledezma, agli arresti domiciliari, parla attraverso la moglie Mitzya qui per modificare.
«Maduro è un tiranno, colpevole delle violenze in Venezuela, e vuole instaurare una dittatura cubana. Italia, Usa e Ue dovrebbero mobilitarsi con sanzioni contro chi viola i diritti umani, e il Vaticano esigere il rispetto degli accordi del novembre scorso». Il giorno dopo il ritorno del sindaco di Caracas Antonio Ledezma agli arresti domiciliari, sua moglie Mitzy si fa portavoce in esclusiva con «La Stampa» del pensiero del marito.
Come hanno motivato l’arresto della settimana scorsa?
«Questo regime non vuole sentire ragioni, è guidato solo dall’ambizione smisurata del potere. Perciò Antonio ha denunciato che in Venezuela il principio di separazione tra i poteri è stato cancellato da diversi anni. La dittatura guidata da Maduro controlla gli organi pubblici usandoli come schermi al servizio di una falsa rivoluzione. Così si spiega perché, eletto sindaco col voto più alto nella storia di Caracas, è stato incarcerato senza ragioni valide: gli argomenti usati contro di lui sono falsi. Era stato sequestrato nel suo ufficio il 19 febbraio 2015, senza mandato giudiziario, e lo hanno fatto di nuovo lo scorso lunedì, quando è stato prelevato a casa sua da più di 60 funzionari armati, che a mezzanotte hanno invaso lo stabile dove abitiamo. Come era stato prelevato senza ragioni né spiegazioni, così è stato riportato a casa questo venerdì 4 agosto».
Dove l’hanno tenuto e come l’hanno trattato durante l’arresto?
«È stato rinchiuso nel carcere militare di Ramo Verde, dove è arrivato ammanettato. Dopo essere stato perquisito, lo hanno rinchiuso in una cella di 12 metri quadrati. Soltanto un materasso, senza neanche il diritto di leggere la Bibbia. È rimasto così, isolato in quell’angolo, come Leopoldo López, che stava in una cella vicina. Si parlavano urlando. I maltrattamenti in galera sono stati psicologici, una forma di tortura mentale. Ciò che hanno fatto a Leopoldo è brutale. E’ stato maltrattato anche quando lo hanno prelevato da casa sua, a spintoni. Erano decine di funzionari, e lui ha resistito all’arresto perché non hanno mai presentato alcun ordine giudiziario».
Cosa pensa dell’Assemblea costituente e qual è la strategia del governo?
«Quell’Assemblea non è legittima. È parte di un colpo di Stato continuo, che ha perpetrato Maduro quando ha tolto le funzioni al Parlamento eletto dal popolo. Quattordici milioni di cittadini avevano votato il 6 dicembre 2015, e l’opposizione aveva ottenuto la maggioranza qualificata. La strategia del governo si basa sulla violazione dei principi costituzionali per imporre una legislazione “alla cubana”, e Maduro cerca di installarsi come un tiranno nello stesso stile dei “fratelli Castro”».
Quale strategia dovrebbe adottare l’opposizione?
«Continuare a lottare nelle piazze, mobilitando il popolo con lo scopo di esigere il voto anticipato, come promesso da Maduro nella Mesa de Dialogo del novembre dell’anno scorso, avallata dal Vaticano. In quella sede furono concordati quattro punti: 1) Liberare i prigionieri politici. Invece hanno riempito ancora di più le carceri: ci sono più di 600 prigionieri, mentre l’anno scorso, durante il dialogo, erano 72. Abbiamo più violenze e repressione, in meno di 110 giorni di protesta hanno assassinato 130 venezuelani. Ci sono più di 22 mila feriti e più di 4300 detenuti. 2) Restituire i poteri all’Assemblea nazionale. Invece l’hanno assalita lo scorso 5 luglio, picchiando anche diversi deputati e togliendo ad alcuni i passaporti. Non riconoscono l’istituzione più legittima su cui conta il Paese. 3) L’apertura di un corridoio umanitario, per far fronte a fame e malnutrizione che patisce la popolazione, dovute alla scarsità di cibo, e alla mortalità causata dalla carenza di medicine, materiale ed equipaggiamento medico. Ma non è stato fatto nulla. Vediamo, con grande indignazione, il paradosso che nel Paese più ricco del mondo grazie al petrolio la gente cerca cibo nelle discariche dell’immondizia. Fa molto male ammetterlo, ma è la verità. 4) Era stato concordato un calendario elettorale. Invece si sono inventati una Costituente fraudolenta per manipolare i prossimi processi. Temo che con questo meccanismo dittatoriale sarà difficile avere in Venezuela elezioni libere e trasparenti».
Cosa chiede all’Italia, agli Usa, alla Ue e alla comunità internazionale? Possono servire le sanzioni economiche?
«Più solidarietà, specie nelle sanzioni contro chi viola i diritti umani. Qui vengono perpetrati, senza dubbio, crimini di lesa umanità. Le sanzioni economiche devono colpire chi ha commesso reati di corruzione. Non devono essere interpretate come attacchi contro il Paese, ma come punizione per individui che approfittano dei fondi pubblici che amministrano. Hanno rubato i soldi che servivano per comprare cibo, medicinali, attrezzature elettriche».
Papa Francesco ha rifiutato di riconoscere l’Assemblea costituente. Il Vaticano può ancora fare una mediazione e come?
«Il Vaticano è un’autorità morale che non scade. Può condannare uno Stato fuorilegge, che usa le virtù della democrazia per appropriarsi del potere e attuare una tirannia militare. La Chiesa deve esigere che Maduro rispetti gli impegni presi nel novembre 2015: ad oggi, persevera nel peccato di prendersi gioco del Papa».
Considera Maduro responsabile delle vittime delle violenze, e come bisognerebbe trattare i colpevoli?
«Maduro è reo confesso, perché ha detto in pubblico: “Quello che non otterremo con i voti, lo otterremo con le pallottole”. Purtroppo questa frase si è materializzata, e hanno portato in strada i plotoni per massacrare il popolo che manifestava con un coraggio esemplare sotto lo sguardo del mondo intero. Hanno lottato per la libertà con bandiere e canti, mentre Maduro usa proiettili e bombe lacrimogene. Ricordiamoci che a Tunisi una sola vittima scatenò la Primavera araba. Qui ci sono state dozzine di vittime in poche settimane, e l’anno scorso sono morti 28 mila esseri umani, perché la criminalità sfrutta l’impunità offerta dal regime, che utilizza i suoi membri nelle bande armate dei colectivos. I responsabili della violenza non sfuggiranno al lungo braccio della giustizia, perché questi reati non vanno in prescrizione. In cielo li punirà Dio. E qui, sulla Terra, lo faranno i tribunali, portando avanti le denunce in corso».
“Viviamo sotto la dittatura di un tiranno che affama e uccide il popolo per il potere”
Il leader dell’opposizione Ledezma, agli arresti domiciliari, parla attraverso la moglie Mitzya qui per modificare.
«Maduro è un tiranno, colpevole delle violenze in Venezuela, e vuole instaurare una dittatura cubana. Italia, Usa e Ue dovrebbero mobilitarsi con sanzioni contro chi viola i diritti umani, e il Vaticano esigere il rispetto degli accordi del novembre scorso». Il giorno dopo il ritorno del sindaco di Caracas Antonio Ledezma agli arresti domiciliari, sua moglie Mitzy si fa portavoce in esclusiva con «La Stampa» del pensiero del marito.
Come hanno motivato l’arresto della settimana scorsa?
«Questo regime non vuole sentire ragioni, è guidato solo dall’ambizione smisurata del potere. Perciò Antonio ha denunciato che in Venezuela il principio di separazione tra i poteri è stato cancellato da diversi anni. La dittatura guidata da Maduro controlla gli organi pubblici usandoli come schermi al servizio di una falsa rivoluzione. Così si spiega perché, eletto sindaco col voto più alto nella storia di Caracas, è stato incarcerato senza ragioni valide: gli argomenti usati contro di lui sono falsi. Era stato sequestrato nel suo ufficio il 19 febbraio 2015, senza mandato giudiziario, e lo hanno fatto di nuovo lo scorso lunedì, quando è stato prelevato a casa sua da più di 60 funzionari armati, che a mezzanotte hanno invaso lo stabile dove abitiamo. Come era stato prelevato senza ragioni né spiegazioni, così è stato riportato a casa questo venerdì 4 agosto».
Dove l’hanno tenuto e come l’hanno trattato durante l’arresto?
«È stato rinchiuso nel carcere militare di Ramo Verde, dove è arrivato ammanettato. Dopo essere stato perquisito, lo hanno rinchiuso in una cella di 12 metri quadrati. Soltanto un materasso, senza neanche il diritto di leggere la Bibbia. È rimasto così, isolato in quell’angolo, come Leopoldo López, che stava in una cella vicina. Si parlavano urlando. I maltrattamenti in galera sono stati psicologici, una forma di tortura mentale. Ciò che hanno fatto a Leopoldo è brutale. E’ stato maltrattato anche quando lo hanno prelevato da casa sua, a spintoni. Erano decine di funzionari, e lui ha resistito all’arresto perché non hanno mai presentato alcun ordine giudiziario».
Cosa pensa dell’Assemblea costituente e qual è la strategia del governo?
«Quell’Assemblea non è legittima. È parte di un colpo di Stato continuo, che ha perpetrato Maduro quando ha tolto le funzioni al Parlamento eletto dal popolo. Quattordici milioni di cittadini avevano votato il 6 dicembre 2015, e l’opposizione aveva ottenuto la maggioranza qualificata. La strategia del governo si basa sulla violazione dei principi costituzionali per imporre una legislazione “alla cubana”, e Maduro cerca di installarsi come un tiranno nello stesso stile dei “fratelli Castro”».
Quale strategia dovrebbe adottare l’opposizione?
«Continuare a lottare nelle piazze, mobilitando il popolo con lo scopo di esigere il voto anticipato, come promesso da Maduro nella Mesa de Dialogo del novembre dell’anno scorso, avallata dal Vaticano. In quella sede furono concordati quattro punti: 1) Liberare i prigionieri politici. Invece hanno riempito ancora di più le carceri: ci sono più di 600 prigionieri, mentre l’anno scorso, durante il dialogo, erano 72. Abbiamo più violenze e repressione, in meno di 110 giorni di protesta hanno assassinato 130 venezuelani. Ci sono più di 22 mila feriti e più di 4300 detenuti. 2) Restituire i poteri all’Assemblea nazionale. Invece l’hanno assalita lo scorso 5 luglio, picchiando anche diversi deputati e togliendo ad alcuni i passaporti. Non riconoscono l’istituzione più legittima su cui conta il Paese. 3) L’apertura di un corridoio umanitario, per far fronte a fame e malnutrizione che patisce la popolazione, dovute alla scarsità di cibo, e alla mortalità causata dalla carenza di medicine, materiale ed equipaggiamento medico. Ma non è stato fatto nulla. Vediamo, con grande indignazione, il paradosso che nel Paese più ricco del mondo grazie al petrolio la gente cerca cibo nelle discariche dell’immondizia. Fa molto male ammetterlo, ma è la verità. 4) Era stato concordato un calendario elettorale. Invece si sono inventati una Costituente fraudolenta per manipolare i prossimi processi. Temo che con questo meccanismo dittatoriale sarà difficile avere in Venezuela elezioni libere e trasparenti».
Cosa chiede all’Italia, agli Usa, alla Ue e alla comunità internazionale? Possono servire le sanzioni economiche?
«Più solidarietà, specie nelle sanzioni contro chi viola i diritti umani. Qui vengono perpetrati, senza dubbio, crimini di lesa umanità. Le sanzioni economiche devono colpire chi ha commesso reati di corruzione. Non devono essere interpretate come attacchi contro il Paese, ma come punizione per individui che approfittano dei fondi pubblici che amministrano. Hanno rubato i soldi che servivano per comprare cibo, medicinali, attrezzature elettriche».
Papa Francesco ha rifiutato di riconoscere l’Assemblea costituente. Il Vaticano può ancora fare una mediazione e come?
«Il Vaticano è un’autorità morale che non scade. Può condannare uno Stato fuorilegge, che usa le virtù della democrazia per appropriarsi del potere e attuare una tirannia militare. La Chiesa deve esigere che Maduro rispetti gli impegni presi nel novembre 2015: ad oggi, persevera nel peccato di prendersi gioco del Papa».
Considera Maduro responsabile delle vittime delle violenze, e come bisognerebbe trattare i colpevoli?
«Maduro è reo confesso, perché ha detto in pubblico: “Quello che non otterremo con i voti, lo otterremo con le pallottole”. Purtroppo questa frase si è materializzata, e hanno portato in strada i plotoni per massacrare il popolo che manifestava con un coraggio esemplare sotto lo sguardo del mondo intero. Hanno lottato per la libertà con bandiere e canti, mentre Maduro usa proiettili e bombe lacrimogene. Ricordiamoci che a Tunisi una sola vittima scatenò la Primavera araba. Qui ci sono state dozzine di vittime in poche settimane, e l’anno scorso sono morti 28 mila esseri umani, perché la criminalità sfrutta l’impunità offerta dal regime, che utilizza i suoi membri nelle bande armate dei colectivos. I responsabili della violenza non sfuggiranno al lungo braccio della giustizia, perché questi reati non vanno in prescrizione. In cielo li punirà Dio. E qui, sulla Terra, lo faranno i tribunali, portando avanti le denunce in corso».
1 Agosto 2017
Maduro è un povero idiota sotto il controllo del governo cubano.
E' dagli anni di Chavez che seguo le vicende del Venezuela, e quello che sta succedendo oggi è la naturale conseguenza dell'influenza del regime cubano sullo sventurato Venezuela. Chavez nonostante fosse anche lui un aspirante dittatore in realtà non si spinse mai tentare di fare quello che Maduro sta facendo, forse non lo fece solo perché la malattia se lo portò via prima. Chavez, da buon aspirante dittatore non aveva di certo mai pensato di dover passare il potere a un suo successore, la sua infatti sarebbe dovuta essere nei suoi sogni la fotocopia della lunga dittatura di Fidel Castro, per cui quando la morte gli fu vicina scelse come suo successore il primo imbecille che gli capitò a tiro, un autista di autobus.
Maduro rappresenta il perfetto esempio di colui che mai dovrebbe governare un paese, è ignorante come una capra e brutale, aggrappato al potere come nessuno mai in Venezuela prima di lui, la sua idea è che ormai è il padrone del Venezuela, che può instaurare una spudorata dittatura eliminando il parlamento e imprigionando o mandando al manicomio chiunque non sia d'accordo con il suo onirico progetto. Ovviamente il suo progetto di instaurare una dittatura socialista è destinato a fallire nel sangue, semplicemente perché il suo piano prevede l'imposizione del regime dittatoriale alla popolazione senza tenere in conto che a Cuba Fidel Castro fu molto più furbo di lui nel 59 e la situazione storica era totalmente diversa, nonostante le migliaia di fucilazioni non dovette forzare molto la mano e aveva dalla sua parte gran parte della popolazione nella missione di liberarsi dal precedente dittatore, in seguito come sappiamo la sua dittatura divenne peggiore della precedente ma quando i cubani se ne resero conto era ormai troppo tardi, Castro fu facilitato nella presa del potere da vari fattori storici e lo fece nel posto giusto nel momento giusto.
Maduro invece è un perfetto idiota, pensa di farla franca distruggendo la struttura democratica del Venezuela e con un colpo di mano auto nominarsi dittatore a vita, senza tenere conto dei problemi irrisolvibili che questa sua follia gli presenterà davanti, il primo problema è che ha maggior parte del popolo venezuelano contro, un popolo abituato alla democrazia e con la formidabile arma democratica di internet nelle mani, ha in oltre negli ultimi anni creato una miscela esplosiva che ha distrutto l'economia del paese in maniera irreversibile, al prezzo del petrolio che è crollato per cause non dipendenti da lui ha aggiunto la proverbiale inefficienza del sistema economico socialista che ha devastato a suon di nazionalizzazioni il tessuto economico privato e quello dell'estrazione petrolifera, ha persino bruciato il serbatoio di elettori fedeli alla "rivoluzione" comprati a suon di camion di cibo e case popolari che Chavez gli aveva lasciato in eredità non riuscendo neppure a fornire il minimo per la sussistenza alle fasce sociali più povere del paese, l'inflazione del Venezuela ormai si avvia a uno stellare 2000%, il paese è praticamente finito, in ginocchio.
Maduro è certamente malato di mente, qualcosa nella sua testa deve essere andata storta, non c'è alcuna spiegazione logica per spiegare il suo comportamento autodistruttivo, se fosse stato più intelligente avrebbe mantenuto un profilo più basso evitando la folle svolta autoritaria per imporre al paese una dittatura pseudo socialista distruggendo la struttura democratica, avrebbe così potuto governare ancora per molto tempo, invece Maduro da personaggio brutale e superficiale quale è si è montato la testa credendo di essere il nuovo Fidel Castro o il nuovo Kim Jong-un dei poveri distruggendo se stesso e il Venezuela. Moltissimi stati del centro, sud America ed Europa non riconoscono le ultime votazioni venezuelane e la nascita della sua assemblea costituente e ovviamente neppure gli Stati Uniti che però sono l'ultima mano tesa che fino ad oggi ha salvato il Venezuela dalla tragedia finale, infatti sono gli Stati Uniti il principale acquirente del petrolio venezuelano e anche i primi che hanno comunicato che le sanzioni al regime di Maduro comprenderanno anche la riduzione drastica della quantità di petrolio acquistato. Come finirà questa bizzarra storia è facile prevederlo, Maduro probabilmente dovrà fuggire in Russia perché quell'eclettico di Putin gli darà protezione e il suo folle piano fallirà miseramente, in quel paese possiede una bella e comoda casa che ha acquistato l'anno scorso che lo aspetta. Queste cose lo so persino io che sono l'ultimo dei blogger sfigati su questo pianeta, possibile che Maduro sia così intelligente da avere un piano B? lo dubito, anche perché non c'è nessun piano B possibile nella situazione senza uscita in cui si è cacciato il regime, Maduro è solo un maledetto idiota che ha causato già circa 130 morti e purtroppo altri ne causerà prima di sparire dalla scena, telecomandato dal regime cubano che ormai sopravvive unicamente grazie al petrolio venezuelano, i cubani sanno bene che il Venezuela è finito, ma pur di ottenere gli ultimi barili di oro nero hanno convinto quell'imbecille di Maduro che diventare un rispettabile dittatore è facile come ballare la salsa. La fine della dittatura Venezuelana avrà certamente un impatto devastante anche sulla dittatura cubana, sarà molto interessante seguire ciò che succederà in Venezuela nelle prossime settimane.
Il Venezuela è ormai in guerra civile e per gettare benzina sul fuoco quell'imbecille del colalero Evo Morales invia in Venezuela in aiuto del dittatore Maduro 300 militari e molte casse di lacrimogeni. Morales si dimostra come sempre quello che è: un idiota, se non lo fosse i fumogeni se li terrebbe per se, visto che potrebbe avere bisogno a casa sua molto prima di quanto pensa.
5/7/2017
Venezuela, gruppi armati filogovernativi seminano il panico a Caracas. Sale a 90 bilancio vittime Almeno tre persone hanno riportato ferite di arma da fuoco durante incidenti provocato da questi gruppi armati, che circolano in motocicletta e con il viso coperto.
Nella zona di San Bernardino, un gruppo di manifestanti si e' rifugiato dentro ad un ospedale locale e i "colectivos" che li perseguivano hanno distrutto la facciata dello struttura sanitaria, lasciando vari feriti e tracce di colpi di arma da fuoco sui muri. Gruppi armati pro governativi - i cosiddetti "colectivos" - hanno seminato il caos e il terrore ieri in vari punti della capitale venezuelana, per impedire i blocchi stradali di protesta eretti da manifestanti contro il governo di Nicolas Maduro. Almeno tre persone hanno riportato ferite di arma da fuoco durante incidenti provocato da questi gruppi armati, che circolano in motocicletta e con il viso coperto. Nella zona di San Bernardino, un gruppo di manifestanti si e' rifugiato dentro ad un ospedale locale e i "colectivos" che li perseguivano hanno distrutto la facciata dello struttura sanitaria, lasciando vari feriti e tracce di colpi di arma da fuoco sui muri. Sui social network, numerosi video ripresi da vicini di zone come Montalban e El paraiso riproducono immagini simili: un gruppo di motociclisti occupa un angolo di strada, spara in aria e verso i palazzi, fa fuggire i manifestanti e poi va via, indisturbato. Il bilancio delle vittime sale a 90 morti A tre mesi dall'inizio delle proteste contro Nicolas Maduro in Venezuela, il bilancio delle vittime della violenza delle milizie al suo servizio è salito a 90 morti, ha denunciato la procuratrice generale Luisa Ortega. E' stato inoltre creato un tribunale militare speciale con l'incarico di seguire i casi degli attivisti -sono in totale 4.658 - accusati di omicidio, aggressione o danni. Il tribunale speciale è "un mistero", ha aggiunto Ortega, diventata in questi mesi, a sorpresa, l'esponente delle istituzioni critica di Maduro di maggior peso. La stessa Ortega è al centro di un caso giudiziario avviato ieri alla Corte suprema che potrebbe costarle l'incarico.
Tre mesi consecutivi di proteste in Venezuela. Non accenna a fermarsi l’ondata di manifestazioni nate in tutto il Paese contro il presidente Nicolas Maduro, che ha portato a 86 morti. Le proteste sono iniziate dopo il fallito tentativo da parte della Corte Suprema, controllata dal Capo di Stato, di togliere i poteri all’Assemblea Nazionale, controllata dall’opposizione. Una situazione che rischia di trascinare il Paese nella guerra civile.
Dopo la morte di tre manifestanti, avvenuta venerdì nello Stato nord occidentale di Lara, sabato 1 luglio oltre mille persone si sono radunate nella strada principale di Caracas, nell’est della capitale roccaforte dell’opposizione, per esprimere sostegno alla procuratrice generale, Luisa Ortega Díaz, divenuta una delle più agguerrite avversarie del successore di Hugo Chavez, che rischia di essere perseguita dalla Corte suprema di Giustizia. «Oggi torniamo in piazza per dimostrare che siamo un popolo pacifico che vuole impedire la costituente fraudolenta voluta da Maduro», ha scritto su Twitter il deputato Tomás Guanipa.
I cittadini hanno manifestato anche per appoggiare una serie di azioni che la procuratrice ha avviato contro la magistratura, accusata di aver violato l’ordine costituzionale e contro la Costituente voluta dal presidente. Con queste mosse Ortega Diaz ha ottenuto l’appoggio del popolo venezuelano e delle organizzazioni internazionali e, su Twitter, ha assicurato che il suo impegno è rivolto ai diritti umani e alle «libertà democratiche».
Il primo vicepresidente della Camera, l’oppositore Freddy Guevara, l’ha definita «un punto di riferimento» per quello che, a suo giudizio, dovrebbero fare i funzionari dello Stato che hanno appoggiato il chavismo e che ora «sono obbligati a fare un passo avanti». «Questo le è costato la persecuzione? Sì, ma le ha donato una vittoria molto più grande, la coscienza, il sostegno di un popolo e il rispetto della comunità internazionale», ha aggiunto parlando a Efe. La procuratrice infatti non solo ha mostrato il suo rifiuto alla Costituente ma ha anche criticato l’azione degli agenti della sicurezza dello Stato affermando che almeno 23 delle morti per le proteste sono da attribuire ai corpi di polizia e ai soldati che hanno sedato le manifestazioni.
Anche il difensore del popolo del Venzuela, Tarek William Saab, ha esortato i militari a «non praticare abusi» e a garantire il rispetto dei diritti umani durante e dopo gli arresti nelle proteste, dopo le denunce dei mesi scorsi. «È assolutamente vietato nella nostra legislazione qualsiasi atto di tortura, disumano, crudele o degradante dei diritti umani», ha scritto su Twitter. Nel dettaglio, è proibito «trascinare e colpire a calci i detenuti nel momento e dopo l’arresto». Saab si è detto preoccupato per i recenti avvenimenti in cui sono state violate le norme. Il riferimento è ai fatti di giovedì scorso quando decine di giovani sono stati arrestati dalla polizia nazionale bolivariana (Pnb) a Caracas, al termine di una protesta indetta dall’opposizione. Una ventina di persone è stata caricata su un camion dentro cui sarebbero stati fatti esplodere lacrimogeni, secondo quanto denunciato dall’opposizione.
«Hanno preso 20, 30 persone – racconta un testimone - Le hanno portate su un camion senza targa. Dove hanno portato questi studenti, dove si trovano? Sono scomparsi e hanno rubato tutte le loro cose, le carte di credito. Una persona stava soffocando per i gas lacrimogeni».
Dal canto suo, il presidente venezuelano Nicolas Maduro ha decorato l’ex comandante generale della Guardia nazionale bolivariana (Gnb, la polizia militarizzata), Antonio Benavides Torres, imputato dalla Procura per la presunta violazione dei diritti umani durante le proteste. L’accusa è di «gravi e sistematiche violazione commesse durante la repressione delle manifestazioni». Nel frattempo, resta ancora tutta da chiarire la vicenda delle presunte bombe lanciate da un elicottero della polizia sulla corte costituzionale. Il pilota che si è auto accusato del gesto è introvabile.
Venezuela, gruppi armati filogovernativi seminano il panico a Caracas. Sale a 90 bilancio vittime Almeno tre persone hanno riportato ferite di arma da fuoco durante incidenti provocato da questi gruppi armati, che circolano in motocicletta e con il viso coperto.
Nella zona di San Bernardino, un gruppo di manifestanti si e' rifugiato dentro ad un ospedale locale e i "colectivos" che li perseguivano hanno distrutto la facciata dello struttura sanitaria, lasciando vari feriti e tracce di colpi di arma da fuoco sui muri. Gruppi armati pro governativi - i cosiddetti "colectivos" - hanno seminato il caos e il terrore ieri in vari punti della capitale venezuelana, per impedire i blocchi stradali di protesta eretti da manifestanti contro il governo di Nicolas Maduro. Almeno tre persone hanno riportato ferite di arma da fuoco durante incidenti provocato da questi gruppi armati, che circolano in motocicletta e con il viso coperto. Nella zona di San Bernardino, un gruppo di manifestanti si e' rifugiato dentro ad un ospedale locale e i "colectivos" che li perseguivano hanno distrutto la facciata dello struttura sanitaria, lasciando vari feriti e tracce di colpi di arma da fuoco sui muri. Sui social network, numerosi video ripresi da vicini di zone come Montalban e El paraiso riproducono immagini simili: un gruppo di motociclisti occupa un angolo di strada, spara in aria e verso i palazzi, fa fuggire i manifestanti e poi va via, indisturbato. Il bilancio delle vittime sale a 90 morti A tre mesi dall'inizio delle proteste contro Nicolas Maduro in Venezuela, il bilancio delle vittime della violenza delle milizie al suo servizio è salito a 90 morti, ha denunciato la procuratrice generale Luisa Ortega. E' stato inoltre creato un tribunale militare speciale con l'incarico di seguire i casi degli attivisti -sono in totale 4.658 - accusati di omicidio, aggressione o danni. Il tribunale speciale è "un mistero", ha aggiunto Ortega, diventata in questi mesi, a sorpresa, l'esponente delle istituzioni critica di Maduro di maggior peso. La stessa Ortega è al centro di un caso giudiziario avviato ieri alla Corte suprema che potrebbe costarle l'incarico.
Tre mesi consecutivi di proteste in Venezuela. Non accenna a fermarsi l’ondata di manifestazioni nate in tutto il Paese contro il presidente Nicolas Maduro, che ha portato a 86 morti. Le proteste sono iniziate dopo il fallito tentativo da parte della Corte Suprema, controllata dal Capo di Stato, di togliere i poteri all’Assemblea Nazionale, controllata dall’opposizione. Una situazione che rischia di trascinare il Paese nella guerra civile.
Dopo la morte di tre manifestanti, avvenuta venerdì nello Stato nord occidentale di Lara, sabato 1 luglio oltre mille persone si sono radunate nella strada principale di Caracas, nell’est della capitale roccaforte dell’opposizione, per esprimere sostegno alla procuratrice generale, Luisa Ortega Díaz, divenuta una delle più agguerrite avversarie del successore di Hugo Chavez, che rischia di essere perseguita dalla Corte suprema di Giustizia. «Oggi torniamo in piazza per dimostrare che siamo un popolo pacifico che vuole impedire la costituente fraudolenta voluta da Maduro», ha scritto su Twitter il deputato Tomás Guanipa.
I cittadini hanno manifestato anche per appoggiare una serie di azioni che la procuratrice ha avviato contro la magistratura, accusata di aver violato l’ordine costituzionale e contro la Costituente voluta dal presidente. Con queste mosse Ortega Diaz ha ottenuto l’appoggio del popolo venezuelano e delle organizzazioni internazionali e, su Twitter, ha assicurato che il suo impegno è rivolto ai diritti umani e alle «libertà democratiche».
Il primo vicepresidente della Camera, l’oppositore Freddy Guevara, l’ha definita «un punto di riferimento» per quello che, a suo giudizio, dovrebbero fare i funzionari dello Stato che hanno appoggiato il chavismo e che ora «sono obbligati a fare un passo avanti». «Questo le è costato la persecuzione? Sì, ma le ha donato una vittoria molto più grande, la coscienza, il sostegno di un popolo e il rispetto della comunità internazionale», ha aggiunto parlando a Efe. La procuratrice infatti non solo ha mostrato il suo rifiuto alla Costituente ma ha anche criticato l’azione degli agenti della sicurezza dello Stato affermando che almeno 23 delle morti per le proteste sono da attribuire ai corpi di polizia e ai soldati che hanno sedato le manifestazioni.
Anche il difensore del popolo del Venzuela, Tarek William Saab, ha esortato i militari a «non praticare abusi» e a garantire il rispetto dei diritti umani durante e dopo gli arresti nelle proteste, dopo le denunce dei mesi scorsi. «È assolutamente vietato nella nostra legislazione qualsiasi atto di tortura, disumano, crudele o degradante dei diritti umani», ha scritto su Twitter. Nel dettaglio, è proibito «trascinare e colpire a calci i detenuti nel momento e dopo l’arresto». Saab si è detto preoccupato per i recenti avvenimenti in cui sono state violate le norme. Il riferimento è ai fatti di giovedì scorso quando decine di giovani sono stati arrestati dalla polizia nazionale bolivariana (Pnb) a Caracas, al termine di una protesta indetta dall’opposizione. Una ventina di persone è stata caricata su un camion dentro cui sarebbero stati fatti esplodere lacrimogeni, secondo quanto denunciato dall’opposizione.
«Hanno preso 20, 30 persone – racconta un testimone - Le hanno portate su un camion senza targa. Dove hanno portato questi studenti, dove si trovano? Sono scomparsi e hanno rubato tutte le loro cose, le carte di credito. Una persona stava soffocando per i gas lacrimogeni».
Dal canto suo, il presidente venezuelano Nicolas Maduro ha decorato l’ex comandante generale della Guardia nazionale bolivariana (Gnb, la polizia militarizzata), Antonio Benavides Torres, imputato dalla Procura per la presunta violazione dei diritti umani durante le proteste. L’accusa è di «gravi e sistematiche violazione commesse durante la repressione delle manifestazioni». Nel frattempo, resta ancora tutta da chiarire la vicenda delle presunte bombe lanciate da un elicottero della polizia sulla corte costituzionale. Il pilota che si è auto accusato del gesto è introvabile.
'articolo 350 della Costituzione venezuelana - Molti residenti nel centro di Caracas hanno visto e fotografato l'elicottero, che esibiva su uno dei lati una bandiera con lo slogan "Libertà 350", alludendo all'articolo della Costituzione venezuelana che autorizza la rivolta contro autorità antidemocratiche.
L'autore dell'attacco e "l'appoggio" dei governi stranieri - Maduro ha fatto sapere che il responsabile dell'attacco è un agente della Brigata di azioni speciali (Bae) della Polizia scientifica, Oscar Perez, che, secondo il presidente venezuelano, sarebbe da collegare con Miguel Rodriguez Torres, ex ministro degli Interni e della Giustizia di Hugo Chavez, "che è in contatto con la Cia".
Il governo venezuelano ha denunciato che l'attacco lanciato da un elicottero è stato un "atto terrorista" che fa parte di una "offensiva insurrezionale della destra estremista", con l'appoggio di governo stranieri.
In una breve dichiarazione trasmessa a reti unificate, il ministro per la Comunicazione, Ernesto Villegas, ha reso noto che Perez è attivamente ricercato dalle forze di sicurezza, nonché sotto inchiesta per i suoi rapporti con la Cia e l'ambasciata americana a Caracas.
Dispiegamento militare nel centro di Caracas - Immediatamente dopo l'attacco nel centro di Caracas è stato disposto un forte spiegamento militare: intorno a Palacio Miraflores, sede della presidenza, carri armati leggeri e posti di blocco militari impediscono il traffico.
Il manifesto di Oscar Perez - Oscar Perez ha pubblicato un manifesto su Instagram nel quale chiede le dimissioni del presidente Nicolas Maduro e chiama il popolo venezuelano a unirsi con le forze armate contro il governo.
Il manifesto, letto da Perez a viso scoperto, con quattro altri agenti armati in formazione e mascherati dietro di lui, è firmato da "una alleanza di funzionari militari, poliziotti e civili, alla ricerca di un equilibrio e contro questo governo transitorio e criminale" che sottolinea "non appartenere a nessuna tendenza politica o di partito: siamo nazionalisti, patrioti ed istituzionalisti".
L'autore dell'attacco e "l'appoggio" dei governi stranieri - Maduro ha fatto sapere che il responsabile dell'attacco è un agente della Brigata di azioni speciali (Bae) della Polizia scientifica, Oscar Perez, che, secondo il presidente venezuelano, sarebbe da collegare con Miguel Rodriguez Torres, ex ministro degli Interni e della Giustizia di Hugo Chavez, "che è in contatto con la Cia".
Il governo venezuelano ha denunciato che l'attacco lanciato da un elicottero è stato un "atto terrorista" che fa parte di una "offensiva insurrezionale della destra estremista", con l'appoggio di governo stranieri.
In una breve dichiarazione trasmessa a reti unificate, il ministro per la Comunicazione, Ernesto Villegas, ha reso noto che Perez è attivamente ricercato dalle forze di sicurezza, nonché sotto inchiesta per i suoi rapporti con la Cia e l'ambasciata americana a Caracas.
Dispiegamento militare nel centro di Caracas - Immediatamente dopo l'attacco nel centro di Caracas è stato disposto un forte spiegamento militare: intorno a Palacio Miraflores, sede della presidenza, carri armati leggeri e posti di blocco militari impediscono il traffico.
Il manifesto di Oscar Perez - Oscar Perez ha pubblicato un manifesto su Instagram nel quale chiede le dimissioni del presidente Nicolas Maduro e chiama il popolo venezuelano a unirsi con le forze armate contro il governo.
Il manifesto, letto da Perez a viso scoperto, con quattro altri agenti armati in formazione e mascherati dietro di lui, è firmato da "una alleanza di funzionari militari, poliziotti e civili, alla ricerca di un equilibrio e contro questo governo transitorio e criminale" che sottolinea "non appartenere a nessuna tendenza politica o di partito: siamo nazionalisti, patrioti ed istituzionalisti".
8/6/2017
2017 Cuba, la dittatura del dittatore morto.
Ogni volta che torno da Cuba o prima di partire devo sopportare le solite domande e le solite affermazioni da bar di chi non sa assolutamente nulla di Cuba. Quasi tutti mi chiedono se adesso che Fidel è morto e i rapporti con gli Stati Uniti si stanno normalizzando Cuba è cambiata, altri senza esserci mai stati addirittura senza alcun motivo logico affermano con certezza che Cuba è ormai diventata quasi un paese normale dopo la visita di Obama. Evidentemente chi fa queste domande e fa queste affermazioni non ha capito quale è il grande problema di Cuba e pensa che i problemi di Cuba derivino dall’embargo dei cattivi americani senza cuore, la risposta che do comunque è sempre la stessa, no, non è cambiato nulla e nulla potrà cambiare finché a Cuba non ci sarà democrazia e libero mercato.
In realtà non è la verità, qualcosa è cambiato, ma in peggio, chi era povero è rimasto povero, molti di coloro che erano relativamente più ricchi adesso lo sono molto di più, il mercato nero e il turismo hanno migliorato l’economia delle città, pur di non far collassare il paese il regime ha dovuto chiudere tutti e due gli occhi lasciando crescere liberamente una economia illegale diffusa e ha dovuto permettere una serie di lavori privati, rompendo un tabù che solo fino a qualche anno addietro sembrava intoccabile, ma senza regole e un serio sistema fiscale il dislivello economico tra i cubani sta raggiungendo livelli preoccupanti, adesso esistono cubani che in un solo giorno guadagnano quanto un loro connazionale meno fortunato non potrà mettere da parte neppure dopo una vita intera di lavoro, ma Cuba è divisa in due mondi diversi: le città dove turismo, mercato nero e contrabbando creano una economia che permette a molti una vita decente e le campagne e i piccoli centri che sono in totale miseria. Lontano dalle città, ma anche a soli pochi chilometri di distanza la vita è una misera attesa della morte in un contesto di totale degrado e miseria, quasi nessuno soffre la fame grazie all’allevamento e all’agricoltura, ma molti vivono con molto meno di cinquanta centesimi al giorno e solo pochi fortunati superano i cinquanta centesimi, il salario di un cubano va da meno di dieci cuc al mese a circa venticinque-trenta nel caso di poliziotti o dipendenti di imprese straniere, ma nei campi ci sono cubani che vivono con sei otto cuc al mese o meno. Vaste aree del paese non sono mai state raggiunte dalla rete elettrica e sono raggiunte solo saltuariamente da missioni di medici, in parole povere le stessi problemi che spinsero i cubani a ribellarsi al dittatore Batista, ricchezza nelle città in mano a pochi e miseria nelle campagne dopo sessanta anni di rivoluzione sono un problema ancora irrisolto se non addirittura peggiorato nonostante i roboanti proclami del regime cubano, mi chiedo cosa ha fatto la rivoluzione di davvero utile, me lo chiedo anche durante le rappresentazioni culturali di danza o teatrali o degli inutili e volgari “modellage”(sfilate di modelle quasi sempre minorenni che avvengono negli hotel), grande vanto della cultura del socialismo cubano, me lo chiedo quando alla fine delle rappresentazioni vedo rampanti turisti fare a gomitate per annotare sul loro telefono cellulare i numeri telefonici di giovanissime attrici, ballerine e modelle.
Nonostante gli enormi sacrifici che il governo cubano ha sempre chiesto ai suoi cittadini adesso che è morto Fidel Castro nessuno a Cuba ha le idee davvero chiare su chi comanda, prima c’erano i fidelisti quando Fidel Castro era vivo, poi i fidelisti sono stati spazzati via dai raulisti, poi i raulisti sono stati sopraffatti dai militari che adesso pare siano loro a comandare, ma c’è anche una guerra di potere in atto tra i figli e i nipoti di Fidel e Raul Castro, il livello superiore del potere a Cuba, che sono in competizione tra loro ma anche con i militari, chi ne emergerà vincitore è ancora un mistero, ma questo non sembra preoccupare i cubani che ormai da decenni hanno delegato il potere a un’entità superiore sulla quale sono abituati a non avere nessuna voce in capitolo.
In realtà il potere a Cuba è nelle mani dei militari già da molto tempo, anche se prima era solo potere economico, visto che tutte le aziende statali sono da sempre state dirette da militari dell’esercito, della marina e dell’aviazione, fu un regalino fatto loro da Fidel Castro per assicurarsi il loro appoggio. Per adesso nipoti e figli di Fidel e Raul mantengono un profilo basso, ma sono loro i veri padroni delle grosse imprese “statali” che si occupano di turismo e sono soci di alcuni locali notturni molto conosciuti, è facile sapere quali sono questi locali semplicemente perché tutti sanno quali sono e perché non rispettano l’orario di chiusura imposto a tutti gli altri locali della capitale. A Cuba chiunque voglia investire su alberghi o qualsiasi altra struttura o attività per il turismo deve sedersi al tavolo con questi signori e prepararsi a pagare sostanziose mazzette se vuole avere qualche possibilità di successo.
Se Fidel Castro era un folle sanguinario e un tiranno assoluto, i suoi familiari adesso non se la cavano male come squallidi gangster, compresa la figlia di Raul Castro, Mariela, che con la sua risata a 34 denti è più falsa di un biglietto da 35 cuc, anche lei naturalmente è in corsa per il potere.
Alcuni alti ufficiali e loro familiari a cui la rivoluzione ha dato in dote alla faccia del “comunismo” le abitazioni più sontuose nel quartiere di Siboney e nelle migliori zone della città adesso affittano quei preziosi frutti della rivoluzione che al tempo vennero requisiti ai ricchi, si tratta di enormi ville ben tenute, con piscina e parco che vengono affittate a cifre che vanno dai 200 ai 1000 cuc al giorno perlopiù ai ricchi turisti russi, cinesi o arabi, i proprietari ovviamente non pagano un centesimo di tasse, chi oserebbe mai investigare o chiedere denaro a un militare di alto rango o alla sua famiglia? Cuba è così, le domande si fermano con un gesto, indice e medio uniti e un paio di colpetti su una spalla, significa militare e militare significa un potere oscuro, insondabile e senza un nome specifico.
Sembra che prima di morire Fidel abbia inserito un pilota automatico mal funzionante, senza di lui la nave sembra non avere una rotta ben precisa, di certo nessuna nave può procedere con un comandante morto e allora dietro l’anziano fratello Raul, in teoria al comando ma che nei fatti non lo è mai stato ecco spuntare una giovane leva, il vicepresidente Miguel Diaz-Canel Bermudez, un uomo dall'aspetto inquietante con la sua capigliatura alla Richard Gere che veste spesso giacche di qualche misura troppo grandi e pantaloni troppo lunghi che lo fanno apparire un come giocatore di football americano in pensione che non si rassegna, chi lo conosce bene assicura che è uno dei più corrotti politici che mai si siano visti a Cuba, il che bisogna riconoscergli è un record non da poco da queste parti.
Diaz-Canel è solo un cinquantenne e non è una cima, ma da buon corrotto ha già scalato le tappe del potere all'interno del partito comunista cubano alla velocità della luce, poco conosciuto a molti cubani dovrà comunque vedersela con i militari e con la famiglia Castro che naturalmente è sempre temuta e rispettata. Probabilmente Canel verrà spazzato via senza battere ciglio un giorno o continuerà ad usato come manichino al servizio di chi conta davvero. Semplicemente il potere di Fidel Castro è stato frazionato in vari settori dopo la sua morte, tutti vogliono una fetta della torta e tutti sanno che devono stare al loro posto per ottenerla, fare notare all'esterno lotte di potere significherebbe mettere in discussione la purezza della “rivoluzione”, quindi tutti d’amore e d’accordo, le coltellate solo alle spalle, in silenzio. Per il resto tutto è come sempre, il paese è tragicamente bloccato da un sistema politico ed economico perfettamente studiato per mantenere il controllo totale della popolazione, un sistema crudele e ingiusto che continua ad esistere togliendo ogni possibilità di sviluppo, tutto deve passare dallo stato del tutto inefficiente e quindi dai militari, le importazioni e la vendita delle merci, così gli scaffali dei negozi sono pressoché vuoti e le poche merci di scadente qualità hanno prezzi altissimi e il mercato nero di qualsiasi cosa rubata nei magazzini statali fiorisce dappertutto, in tutte le città di Cuba esistono appartamenti farmacia, ferramenta negozi di abbigliamento ecc ecc , dove si vendono le merci rubate nei magazzini statali, ma a prezzi più bassi naturalmente, in oltre difronte molti magazzini statali dei signori distribuiscono dei numeri di telefono, basta chiamarli e chiedere cosa serve e dare l’indirizzo, la consegna è a domicilio, comprese vasche da bagno, frigoriferi o altre merci voluminose, alla faccia dei continui inventari che avvengono nei negozi statali per evitare i furti. La prostituzione si è spostata nei cosiddetti bar oltre che nelle discoteche e nelle strade e sia di giorno che di notte un piccolo esercito di donne di tutte le età è a caccia di turisti e in generale un po tutti a Cuba devono inventarsi ogni giorno qualcosa per tirare avanti. Non c’è molto altro da dire della Cuba di oggi, questo è rimasto della dittatura di Fidel Castro, né più né meno di quello che era facilmente ipotizzabile: i suoi parenti stretti che considerano Cuba cosa loro e un regime composto da anziani signori e moltissimi militari e le loro famiglie che non hanno nessuna intenzione di lasciare privilegi e potere e che probabilmente continueranno con la solita solfa della rivoluzione eterna finché riusciranno a tirare avanti, finché la morte non porterà via anche loro e le loro famiglie. Tutte le discussioni in seno all'assemblea del potere popolare e nel partito comunista che dovrebbero rappresentare la democrazia del sistema cubano sono solo chiacchiere che non possono mettere in nessun modo in discussione la “rivoluzione” né il sistema economico socialista e men che meno proporre la nascita di nuovi partiti politici oltre il sacro partito comunista di Cuba, le lunghe noiose inutili discussioni seguite da votazioni per alzata di mano vergognosamente sempre plebiscitarie servono solo ad avallare decisioni già prese dall'alto, è solo una tragica farsa, è come se ogni votazione contenesse una sola singola domanda: vuoi continuare ad essere un rivoluzionario o vuoi passare dalla parte dei vermi traditori e finire immediatamente e per sempre la tua carriera politica e magari farti qualche annetto di galera?
Se sono d’accordo con l’embargo a Cuba? Si, lo sono eccome, ma ci vorrebbe davvero un embargo, non solo delle ridicole restrizioni finanziarie e commerciali come quelle attuali, il regime cubano andrebbe stritolato senza pietà, è facile fare i comunisti con i soldi dei turisti e in generale dei paesi capitalisti che ti stanno intorno, anche perché con l’attuale sistema cubano l’eliminazione delle restrizioni finanziarie e commerciali andrebbe solo e unicamente a vantaggio del regime mentre non cambierebbe nulla per i cubani, ma anzi porterebbe certamente un peggioramento della repressione e l’allontanamento della possibilità che un giorno Cuba possa diventare libera e davvero democratica. Cuba cambierà in senso democratico solo se sarà costretta a farlo da un catastrofico crollo economico, aiutando il regime fortificandolo economicamente questo non succederà mai.
Cuba sembra diventata un film di fantascienza, una specie di Truman show da dove però è impossibile fuggire, dove radio, tv e carta stampata continuano a trasmettere una ipnotica rassicurante propaganda disegnando lo scarabocchio di una realtà che non esiste e che non è neppure mai esistita, lontana dalla realtà penosamente vissuta dai cubani, una prigione le cui pareti sono la povertà e l’ignoranza dei propri diritti e del concetto stesso di libertà. La società cubana si sta sgretolando come le case dell’Avana vecchia, non esiste più la morale a Cuba, al suo posto c’è adesso la priorità di sopravvivere. Riuscire a mantenere la dittatura di un dittatore morto sarebbe impossibile da qualsiasi parte ma non a Cuba, dove non sembra esistere nessuna via di uscita, dove tutto sembra congelato al tempo del giovane Fidel Castro che combatte sulla Sierra Maestra e nonostante l’evidenza dei fatti, la miseria, la fame, la corruzione, la prostituzione di massa e i magazzini vuoti il socialismo viene ancora proposto come modello economico perfetto, una specie di orizzonte da raggiungere a suon di sacrifici, un orizzonte che quando sembra ormai vicino sparisce ogni volta che sembra conquistato, come quando dopo molti chilometri sotto il sole ti arrendi e realizzi che è davvero finita la carta igienica in tutta la città (cosa che capita spesso anche alla Habana). Nessun accenno di autocritica, è sempre colpa dei cattivi nemici di Cuba se niente va come dovrebbe, la storia a Cuba non insegna, il comunismo è stato abbandonato persino dall’ex Unione Sovietica che fu l'ispiratrice di Fidel Castro per costruire la sua dittatura perfetta perché semplicemente non funzionava, ma la storia semplicemente non insegna a Cuba perché a Cuba il tempo è immobile, non c’è altra storia che la “rivoluzione”, da proseguire persino se questo significa accompagnare le proprie figlie e mogli a prostituirsi, costi quel che costi.
Spero sempre in una Cuba democratica, libera e prospera, anche se guardandomi attorno tra tanta ignoranza, miseria e devastazione fisica e morale a volte penso che il danno fatto da Fidel Castro è forse ormai irreversibile, Cuba è scesa così tanto negli inferi della sua follia che non vedo via di uscita, vedo solo un paese ormai irreparabilmente perduto, totalmente in ginocchio. Forse Cuba è ormai solo un monito, un tragico esempio di cosa succede quando si cade nella trappola della “rivoluzione eterna”, quando si pensa di sistemare tutto imbracciando le armi, imponendo un’ideologia con la presunzione di annullare ogni libertà di pensiero diverso da quello proprio considerato “rivoluzionario”. Che sia stata l’ideologia comunista a rovinare Cuba poco importa, anche un’ideologia fascista avrebbe fatto lo stesso identico danno, le dittature hanno un solo colore: il grigio e portano solo miseria e dolore e storicamente le dittature comuniste crollano solo quando sono allo stremo, quando l’economia arriva a toccare il fondo e lasciano cicatrici che durano decenni. Quello che colpisce di Cuba è dopo sessanta anni dalla rivoluzione la mancanza evidente di evoluzione della società in una qualsiasi direzione diversa da quella imposta dal regime che si concretizzi in richieste di libertà e democrazia o di semplici cambiamenti sul piano economico, silenzio assoluto dalla società civile, i delegati dell'assemblea del potere popolare cubana sono solo marionette al servizio del potere e della “rivoluzione”, lamentarsi in privato dello stato delle cose è lo sport nazionale dei cubani, molti cubani ritengono che il loro governo è una dittatura e vorrebbero vivere in democrazia e in un sistema economico libero dal controllo statale, ma in fin dei conti nessuno ha il coraggio di fare qualcosa per cambiare davvero le cose, il regime cubano si regge sulla paura, paura della punizione per essere accusati di essere vermi antirivoluzionari, paura del carcere, ma anche paura di cambiare, e poi perché cambiare? in fin dei conti il governo lascia mano libera a contrabbando e mercato nero e con la corruzione generalizzata si può ottenere facilmente qualsiasi cosa, a Cuba alla fine nessuno muore di fame e la prostituzione è quasi un vanto che ha fatto di Cuba una delle principali mete del turismo sessuale, come disse fiero Fidel Castro in una intervista, si è vero che c’è prostituzione a Cuba, ma le prostitute cubane hanno la laurea. Chissà, forse Fidel Castro non era un tiranno né un genio, è stato solo un uomo molto fortunato, forse quando ha realizzato con che razza di popolo mite aveva a che fare ha solo approfittato della situazione, dopo la cacciata del dittatore Batista ha dimenticato presto le molte promesse di libere elezioni e le rassicurazioni di non essere un comunista che si possono trovare in molti video dell’epoca, sono stati i cubani stessi a spingerlo a diventare un tiranno con la loro tendenza a sottomettersi in cambio di una manciata di sogni irrealizzabili e ora pagano il prezzo della loro ingenuità e della loro presunzione e forse è giusto che sia così. I popoli che cadono nella trappola delle “rivoluzioni” hanno sempre delle responsabilità ed è inevitabile che paghino il loro errore e pagano sempre, perché ogni rivoluzione ha come prima vittima proprio il popolo che la promuove, la storia insegna che è sempre andata così, ogni rivoluzione è anche un processo autodistruttivo e a questo neppure Cuba si sottrae, come l’evidenza della diaspora di milioni di cubani in fuga dalla “rivoluzione” e il disastro economico e sociale dimostrano. Imporre un partito unico, un’idea unica e un sistema economico unicamente socialista abbandonando l’economia globalizzata considerata “capitalista” isolandosi economicamente e culturalmente, tagliare tutti i ponti e ostinarsi a fingere per oltre mezzo secolo che tutto va bene nonostante l’evidenza dell’immane disastro è il suicidio di un popolo e i morti difficilmente si risvegliano. A Cuba il regime ha terrore che la popolazione possa avere troppo denaro in mano, il denaro significa libertà in molti sensi, per questo consente ai suoi cittadini di avere solo il necessario, non per motivi ideologici, per mantenere il principio socialista del tutti uguali economicamente, ma semplicemente perché sanno che un uomo con denaro è un uomo pericoloso, può viaggiare, può accedere alla cultura, può corrompere, prima o poi chiederà libertà, un uomo nella miseria e nell'ignoranza invece è molto meglio, più facile da manipolare, non ha fronzoli per la testa e deve passare i suoi giorni a sbattersi per sopravvivere, basta renderlo povero e poi convincerlo che può vivere solo grazie al socialismo, senza il quale finirebbe sbranato dal feroce capitalismo, fai il lavaggio del cervello a un uomo sin da quando è un bambino come fanno a Cuba nelle scuole, rendilo dipendente da un sistema sociale che si basa su paura, punizioni, illusioni e un po di cibo e hai ottenuto il perfetto “rivoluzionario”, l’uomo nuovo che qualsiasi dittatore ha sempre sognato, devi solo allevarlo come una bestia.
In questi giorni il regime che solo qualche anno fa è stato costretto dalla situazione economica al limite del disastro totale a permettere alcuni lavori non statali sta studiando una legge contro l’arricchimento finanziario, “l'accumulo” di ricchezza, sarebbe a dire che i cubani eluderanno la nuova legge non depositando il denaro in banca e con altri trucchetti nasconderanno i loro ricavi, evidentemente i cervelloni del regime cubano hanno intuito che incredibilmente chi lavora in proprio guadagna del denaro e magari ne mette anche da parte e questo non va bene, il risparmio non è una cosa virtuosa secondo il regime cubano, loro invece lo chiamano “accumulare ricchezza” ed è un reato. Come dire che si puoi lavorare in proprio, ma non puoi arricchirti anche se, senza troppi giri di parole hai investito tutto quello che avevi proprio per arricchirti, il problema è che essendo il salario cubano una miseria se hai un ristorante vendi anche solo due piatti di riso con pollo o due drink al giorno già tecnicamente sei più ricco del tuo vicino che vive di stipendio, chissà se queste ridicole accuse verranno rivolte anche ai figli e i nipoti di Fidel Castro e suo fratello Raul, visto che le loro discoteche sono sempre piene fino alle sei del mattino.
Finchè Fidel Castro era vivo a Cuba c’era la dittatura, adesso che è morto è rimasta solo l’eco della sua tetra follia che si espira ancora a ogni angolo dell’isola, solo il tempo certamente un giorno riuscirà a fare dimenticare tanto dolore, per adesso non illudetevi, a Cuba non è cambiato nulla.
2017 Cuba, la dittatura del dittatore morto.
Ogni volta che torno da Cuba o prima di partire devo sopportare le solite domande e le solite affermazioni da bar di chi non sa assolutamente nulla di Cuba. Quasi tutti mi chiedono se adesso che Fidel è morto e i rapporti con gli Stati Uniti si stanno normalizzando Cuba è cambiata, altri senza esserci mai stati addirittura senza alcun motivo logico affermano con certezza che Cuba è ormai diventata quasi un paese normale dopo la visita di Obama. Evidentemente chi fa queste domande e fa queste affermazioni non ha capito quale è il grande problema di Cuba e pensa che i problemi di Cuba derivino dall’embargo dei cattivi americani senza cuore, la risposta che do comunque è sempre la stessa, no, non è cambiato nulla e nulla potrà cambiare finché a Cuba non ci sarà democrazia e libero mercato.
In realtà non è la verità, qualcosa è cambiato, ma in peggio, chi era povero è rimasto povero, molti di coloro che erano relativamente più ricchi adesso lo sono molto di più, il mercato nero e il turismo hanno migliorato l’economia delle città, pur di non far collassare il paese il regime ha dovuto chiudere tutti e due gli occhi lasciando crescere liberamente una economia illegale diffusa e ha dovuto permettere una serie di lavori privati, rompendo un tabù che solo fino a qualche anno addietro sembrava intoccabile, ma senza regole e un serio sistema fiscale il dislivello economico tra i cubani sta raggiungendo livelli preoccupanti, adesso esistono cubani che in un solo giorno guadagnano quanto un loro connazionale meno fortunato non potrà mettere da parte neppure dopo una vita intera di lavoro, ma Cuba è divisa in due mondi diversi: le città dove turismo, mercato nero e contrabbando creano una economia che permette a molti una vita decente e le campagne e i piccoli centri che sono in totale miseria. Lontano dalle città, ma anche a soli pochi chilometri di distanza la vita è una misera attesa della morte in un contesto di totale degrado e miseria, quasi nessuno soffre la fame grazie all’allevamento e all’agricoltura, ma molti vivono con molto meno di cinquanta centesimi al giorno e solo pochi fortunati superano i cinquanta centesimi, il salario di un cubano va da meno di dieci cuc al mese a circa venticinque-trenta nel caso di poliziotti o dipendenti di imprese straniere, ma nei campi ci sono cubani che vivono con sei otto cuc al mese o meno. Vaste aree del paese non sono mai state raggiunte dalla rete elettrica e sono raggiunte solo saltuariamente da missioni di medici, in parole povere le stessi problemi che spinsero i cubani a ribellarsi al dittatore Batista, ricchezza nelle città in mano a pochi e miseria nelle campagne dopo sessanta anni di rivoluzione sono un problema ancora irrisolto se non addirittura peggiorato nonostante i roboanti proclami del regime cubano, mi chiedo cosa ha fatto la rivoluzione di davvero utile, me lo chiedo anche durante le rappresentazioni culturali di danza o teatrali o degli inutili e volgari “modellage”(sfilate di modelle quasi sempre minorenni che avvengono negli hotel), grande vanto della cultura del socialismo cubano, me lo chiedo quando alla fine delle rappresentazioni vedo rampanti turisti fare a gomitate per annotare sul loro telefono cellulare i numeri telefonici di giovanissime attrici, ballerine e modelle.
Nonostante gli enormi sacrifici che il governo cubano ha sempre chiesto ai suoi cittadini adesso che è morto Fidel Castro nessuno a Cuba ha le idee davvero chiare su chi comanda, prima c’erano i fidelisti quando Fidel Castro era vivo, poi i fidelisti sono stati spazzati via dai raulisti, poi i raulisti sono stati sopraffatti dai militari che adesso pare siano loro a comandare, ma c’è anche una guerra di potere in atto tra i figli e i nipoti di Fidel e Raul Castro, il livello superiore del potere a Cuba, che sono in competizione tra loro ma anche con i militari, chi ne emergerà vincitore è ancora un mistero, ma questo non sembra preoccupare i cubani che ormai da decenni hanno delegato il potere a un’entità superiore sulla quale sono abituati a non avere nessuna voce in capitolo.
In realtà il potere a Cuba è nelle mani dei militari già da molto tempo, anche se prima era solo potere economico, visto che tutte le aziende statali sono da sempre state dirette da militari dell’esercito, della marina e dell’aviazione, fu un regalino fatto loro da Fidel Castro per assicurarsi il loro appoggio. Per adesso nipoti e figli di Fidel e Raul mantengono un profilo basso, ma sono loro i veri padroni delle grosse imprese “statali” che si occupano di turismo e sono soci di alcuni locali notturni molto conosciuti, è facile sapere quali sono questi locali semplicemente perché tutti sanno quali sono e perché non rispettano l’orario di chiusura imposto a tutti gli altri locali della capitale. A Cuba chiunque voglia investire su alberghi o qualsiasi altra struttura o attività per il turismo deve sedersi al tavolo con questi signori e prepararsi a pagare sostanziose mazzette se vuole avere qualche possibilità di successo.
Se Fidel Castro era un folle sanguinario e un tiranno assoluto, i suoi familiari adesso non se la cavano male come squallidi gangster, compresa la figlia di Raul Castro, Mariela, che con la sua risata a 34 denti è più falsa di un biglietto da 35 cuc, anche lei naturalmente è in corsa per il potere.
Alcuni alti ufficiali e loro familiari a cui la rivoluzione ha dato in dote alla faccia del “comunismo” le abitazioni più sontuose nel quartiere di Siboney e nelle migliori zone della città adesso affittano quei preziosi frutti della rivoluzione che al tempo vennero requisiti ai ricchi, si tratta di enormi ville ben tenute, con piscina e parco che vengono affittate a cifre che vanno dai 200 ai 1000 cuc al giorno perlopiù ai ricchi turisti russi, cinesi o arabi, i proprietari ovviamente non pagano un centesimo di tasse, chi oserebbe mai investigare o chiedere denaro a un militare di alto rango o alla sua famiglia? Cuba è così, le domande si fermano con un gesto, indice e medio uniti e un paio di colpetti su una spalla, significa militare e militare significa un potere oscuro, insondabile e senza un nome specifico.
Sembra che prima di morire Fidel abbia inserito un pilota automatico mal funzionante, senza di lui la nave sembra non avere una rotta ben precisa, di certo nessuna nave può procedere con un comandante morto e allora dietro l’anziano fratello Raul, in teoria al comando ma che nei fatti non lo è mai stato ecco spuntare una giovane leva, il vicepresidente Miguel Diaz-Canel Bermudez, un uomo dall'aspetto inquietante con la sua capigliatura alla Richard Gere che veste spesso giacche di qualche misura troppo grandi e pantaloni troppo lunghi che lo fanno apparire un come giocatore di football americano in pensione che non si rassegna, chi lo conosce bene assicura che è uno dei più corrotti politici che mai si siano visti a Cuba, il che bisogna riconoscergli è un record non da poco da queste parti.
Diaz-Canel è solo un cinquantenne e non è una cima, ma da buon corrotto ha già scalato le tappe del potere all'interno del partito comunista cubano alla velocità della luce, poco conosciuto a molti cubani dovrà comunque vedersela con i militari e con la famiglia Castro che naturalmente è sempre temuta e rispettata. Probabilmente Canel verrà spazzato via senza battere ciglio un giorno o continuerà ad usato come manichino al servizio di chi conta davvero. Semplicemente il potere di Fidel Castro è stato frazionato in vari settori dopo la sua morte, tutti vogliono una fetta della torta e tutti sanno che devono stare al loro posto per ottenerla, fare notare all'esterno lotte di potere significherebbe mettere in discussione la purezza della “rivoluzione”, quindi tutti d’amore e d’accordo, le coltellate solo alle spalle, in silenzio. Per il resto tutto è come sempre, il paese è tragicamente bloccato da un sistema politico ed economico perfettamente studiato per mantenere il controllo totale della popolazione, un sistema crudele e ingiusto che continua ad esistere togliendo ogni possibilità di sviluppo, tutto deve passare dallo stato del tutto inefficiente e quindi dai militari, le importazioni e la vendita delle merci, così gli scaffali dei negozi sono pressoché vuoti e le poche merci di scadente qualità hanno prezzi altissimi e il mercato nero di qualsiasi cosa rubata nei magazzini statali fiorisce dappertutto, in tutte le città di Cuba esistono appartamenti farmacia, ferramenta negozi di abbigliamento ecc ecc , dove si vendono le merci rubate nei magazzini statali, ma a prezzi più bassi naturalmente, in oltre difronte molti magazzini statali dei signori distribuiscono dei numeri di telefono, basta chiamarli e chiedere cosa serve e dare l’indirizzo, la consegna è a domicilio, comprese vasche da bagno, frigoriferi o altre merci voluminose, alla faccia dei continui inventari che avvengono nei negozi statali per evitare i furti. La prostituzione si è spostata nei cosiddetti bar oltre che nelle discoteche e nelle strade e sia di giorno che di notte un piccolo esercito di donne di tutte le età è a caccia di turisti e in generale un po tutti a Cuba devono inventarsi ogni giorno qualcosa per tirare avanti. Non c’è molto altro da dire della Cuba di oggi, questo è rimasto della dittatura di Fidel Castro, né più né meno di quello che era facilmente ipotizzabile: i suoi parenti stretti che considerano Cuba cosa loro e un regime composto da anziani signori e moltissimi militari e le loro famiglie che non hanno nessuna intenzione di lasciare privilegi e potere e che probabilmente continueranno con la solita solfa della rivoluzione eterna finché riusciranno a tirare avanti, finché la morte non porterà via anche loro e le loro famiglie. Tutte le discussioni in seno all'assemblea del potere popolare e nel partito comunista che dovrebbero rappresentare la democrazia del sistema cubano sono solo chiacchiere che non possono mettere in nessun modo in discussione la “rivoluzione” né il sistema economico socialista e men che meno proporre la nascita di nuovi partiti politici oltre il sacro partito comunista di Cuba, le lunghe noiose inutili discussioni seguite da votazioni per alzata di mano vergognosamente sempre plebiscitarie servono solo ad avallare decisioni già prese dall'alto, è solo una tragica farsa, è come se ogni votazione contenesse una sola singola domanda: vuoi continuare ad essere un rivoluzionario o vuoi passare dalla parte dei vermi traditori e finire immediatamente e per sempre la tua carriera politica e magari farti qualche annetto di galera?
Se sono d’accordo con l’embargo a Cuba? Si, lo sono eccome, ma ci vorrebbe davvero un embargo, non solo delle ridicole restrizioni finanziarie e commerciali come quelle attuali, il regime cubano andrebbe stritolato senza pietà, è facile fare i comunisti con i soldi dei turisti e in generale dei paesi capitalisti che ti stanno intorno, anche perché con l’attuale sistema cubano l’eliminazione delle restrizioni finanziarie e commerciali andrebbe solo e unicamente a vantaggio del regime mentre non cambierebbe nulla per i cubani, ma anzi porterebbe certamente un peggioramento della repressione e l’allontanamento della possibilità che un giorno Cuba possa diventare libera e davvero democratica. Cuba cambierà in senso democratico solo se sarà costretta a farlo da un catastrofico crollo economico, aiutando il regime fortificandolo economicamente questo non succederà mai.
Cuba sembra diventata un film di fantascienza, una specie di Truman show da dove però è impossibile fuggire, dove radio, tv e carta stampata continuano a trasmettere una ipnotica rassicurante propaganda disegnando lo scarabocchio di una realtà che non esiste e che non è neppure mai esistita, lontana dalla realtà penosamente vissuta dai cubani, una prigione le cui pareti sono la povertà e l’ignoranza dei propri diritti e del concetto stesso di libertà. La società cubana si sta sgretolando come le case dell’Avana vecchia, non esiste più la morale a Cuba, al suo posto c’è adesso la priorità di sopravvivere. Riuscire a mantenere la dittatura di un dittatore morto sarebbe impossibile da qualsiasi parte ma non a Cuba, dove non sembra esistere nessuna via di uscita, dove tutto sembra congelato al tempo del giovane Fidel Castro che combatte sulla Sierra Maestra e nonostante l’evidenza dei fatti, la miseria, la fame, la corruzione, la prostituzione di massa e i magazzini vuoti il socialismo viene ancora proposto come modello economico perfetto, una specie di orizzonte da raggiungere a suon di sacrifici, un orizzonte che quando sembra ormai vicino sparisce ogni volta che sembra conquistato, come quando dopo molti chilometri sotto il sole ti arrendi e realizzi che è davvero finita la carta igienica in tutta la città (cosa che capita spesso anche alla Habana). Nessun accenno di autocritica, è sempre colpa dei cattivi nemici di Cuba se niente va come dovrebbe, la storia a Cuba non insegna, il comunismo è stato abbandonato persino dall’ex Unione Sovietica che fu l'ispiratrice di Fidel Castro per costruire la sua dittatura perfetta perché semplicemente non funzionava, ma la storia semplicemente non insegna a Cuba perché a Cuba il tempo è immobile, non c’è altra storia che la “rivoluzione”, da proseguire persino se questo significa accompagnare le proprie figlie e mogli a prostituirsi, costi quel che costi.
Spero sempre in una Cuba democratica, libera e prospera, anche se guardandomi attorno tra tanta ignoranza, miseria e devastazione fisica e morale a volte penso che il danno fatto da Fidel Castro è forse ormai irreversibile, Cuba è scesa così tanto negli inferi della sua follia che non vedo via di uscita, vedo solo un paese ormai irreparabilmente perduto, totalmente in ginocchio. Forse Cuba è ormai solo un monito, un tragico esempio di cosa succede quando si cade nella trappola della “rivoluzione eterna”, quando si pensa di sistemare tutto imbracciando le armi, imponendo un’ideologia con la presunzione di annullare ogni libertà di pensiero diverso da quello proprio considerato “rivoluzionario”. Che sia stata l’ideologia comunista a rovinare Cuba poco importa, anche un’ideologia fascista avrebbe fatto lo stesso identico danno, le dittature hanno un solo colore: il grigio e portano solo miseria e dolore e storicamente le dittature comuniste crollano solo quando sono allo stremo, quando l’economia arriva a toccare il fondo e lasciano cicatrici che durano decenni. Quello che colpisce di Cuba è dopo sessanta anni dalla rivoluzione la mancanza evidente di evoluzione della società in una qualsiasi direzione diversa da quella imposta dal regime che si concretizzi in richieste di libertà e democrazia o di semplici cambiamenti sul piano economico, silenzio assoluto dalla società civile, i delegati dell'assemblea del potere popolare cubana sono solo marionette al servizio del potere e della “rivoluzione”, lamentarsi in privato dello stato delle cose è lo sport nazionale dei cubani, molti cubani ritengono che il loro governo è una dittatura e vorrebbero vivere in democrazia e in un sistema economico libero dal controllo statale, ma in fin dei conti nessuno ha il coraggio di fare qualcosa per cambiare davvero le cose, il regime cubano si regge sulla paura, paura della punizione per essere accusati di essere vermi antirivoluzionari, paura del carcere, ma anche paura di cambiare, e poi perché cambiare? in fin dei conti il governo lascia mano libera a contrabbando e mercato nero e con la corruzione generalizzata si può ottenere facilmente qualsiasi cosa, a Cuba alla fine nessuno muore di fame e la prostituzione è quasi un vanto che ha fatto di Cuba una delle principali mete del turismo sessuale, come disse fiero Fidel Castro in una intervista, si è vero che c’è prostituzione a Cuba, ma le prostitute cubane hanno la laurea. Chissà, forse Fidel Castro non era un tiranno né un genio, è stato solo un uomo molto fortunato, forse quando ha realizzato con che razza di popolo mite aveva a che fare ha solo approfittato della situazione, dopo la cacciata del dittatore Batista ha dimenticato presto le molte promesse di libere elezioni e le rassicurazioni di non essere un comunista che si possono trovare in molti video dell’epoca, sono stati i cubani stessi a spingerlo a diventare un tiranno con la loro tendenza a sottomettersi in cambio di una manciata di sogni irrealizzabili e ora pagano il prezzo della loro ingenuità e della loro presunzione e forse è giusto che sia così. I popoli che cadono nella trappola delle “rivoluzioni” hanno sempre delle responsabilità ed è inevitabile che paghino il loro errore e pagano sempre, perché ogni rivoluzione ha come prima vittima proprio il popolo che la promuove, la storia insegna che è sempre andata così, ogni rivoluzione è anche un processo autodistruttivo e a questo neppure Cuba si sottrae, come l’evidenza della diaspora di milioni di cubani in fuga dalla “rivoluzione” e il disastro economico e sociale dimostrano. Imporre un partito unico, un’idea unica e un sistema economico unicamente socialista abbandonando l’economia globalizzata considerata “capitalista” isolandosi economicamente e culturalmente, tagliare tutti i ponti e ostinarsi a fingere per oltre mezzo secolo che tutto va bene nonostante l’evidenza dell’immane disastro è il suicidio di un popolo e i morti difficilmente si risvegliano. A Cuba il regime ha terrore che la popolazione possa avere troppo denaro in mano, il denaro significa libertà in molti sensi, per questo consente ai suoi cittadini di avere solo il necessario, non per motivi ideologici, per mantenere il principio socialista del tutti uguali economicamente, ma semplicemente perché sanno che un uomo con denaro è un uomo pericoloso, può viaggiare, può accedere alla cultura, può corrompere, prima o poi chiederà libertà, un uomo nella miseria e nell'ignoranza invece è molto meglio, più facile da manipolare, non ha fronzoli per la testa e deve passare i suoi giorni a sbattersi per sopravvivere, basta renderlo povero e poi convincerlo che può vivere solo grazie al socialismo, senza il quale finirebbe sbranato dal feroce capitalismo, fai il lavaggio del cervello a un uomo sin da quando è un bambino come fanno a Cuba nelle scuole, rendilo dipendente da un sistema sociale che si basa su paura, punizioni, illusioni e un po di cibo e hai ottenuto il perfetto “rivoluzionario”, l’uomo nuovo che qualsiasi dittatore ha sempre sognato, devi solo allevarlo come una bestia.
In questi giorni il regime che solo qualche anno fa è stato costretto dalla situazione economica al limite del disastro totale a permettere alcuni lavori non statali sta studiando una legge contro l’arricchimento finanziario, “l'accumulo” di ricchezza, sarebbe a dire che i cubani eluderanno la nuova legge non depositando il denaro in banca e con altri trucchetti nasconderanno i loro ricavi, evidentemente i cervelloni del regime cubano hanno intuito che incredibilmente chi lavora in proprio guadagna del denaro e magari ne mette anche da parte e questo non va bene, il risparmio non è una cosa virtuosa secondo il regime cubano, loro invece lo chiamano “accumulare ricchezza” ed è un reato. Come dire che si puoi lavorare in proprio, ma non puoi arricchirti anche se, senza troppi giri di parole hai investito tutto quello che avevi proprio per arricchirti, il problema è che essendo il salario cubano una miseria se hai un ristorante vendi anche solo due piatti di riso con pollo o due drink al giorno già tecnicamente sei più ricco del tuo vicino che vive di stipendio, chissà se queste ridicole accuse verranno rivolte anche ai figli e i nipoti di Fidel Castro e suo fratello Raul, visto che le loro discoteche sono sempre piene fino alle sei del mattino.
Finchè Fidel Castro era vivo a Cuba c’era la dittatura, adesso che è morto è rimasta solo l’eco della sua tetra follia che si espira ancora a ogni angolo dell’isola, solo il tempo certamente un giorno riuscirà a fare dimenticare tanto dolore, per adesso non illudetevi, a Cuba non è cambiato nulla.
29/4/2017
Se crolla la dittatura venezuelana crolla anche quella cubana.
Verso l’ora del tramonto, la piazza Altamira è illuminata solo dai fuochi di sbarramento accesi dai ragazzi della protesta contro il governo chavista. Bottiglie molotov in mano, passamontagna calati sulla faccia, hanno appena salutato l’ultima vittima della repressione, lo studente ventenne Juan Pernalete, ucciso da una bomba lacrimogena che lo ha colpito al petto. La polizia ha bloccato le strade, ma dopo i trenta morti dell’ultimo mese, stasera almeno lascia fare. È l’immagine di un Venezuela arrivato al bivio, tra l’incubo di una guerra civile che già si intravede, la perpetuazione del chavismo in una dittatura militare, o una soluzione politica di compromesso che però nessuno sembra in grado di immaginare.
L’accelerazione è cominciata a fine marzo, quando la Corte suprema legata al regime ha tentato di esautorare l’Asamblea Nacional, il parlamento dove l’opposizione ha una maggioranza di due terzi. Dicono che l’abbia fatto per trasferire al presidente Maduro i poteri necessari a garantire i prestiti chiesti alla Russia, indispensabili per evitare il default dello stato sommerso dai debiti. Quella sentenza maldestra è stata denunciata persino dalla procuratrice generale Luisa Ortega Diaz, ed è stata mezzo revocata poche ore dopo, ma per l’opposizione è diventata l’occasione della svolta. Da allora in poi è scesa in piazza tutti i giorni, con manifestazioni che puntano a costringere il governo ad accettare nuove elezioni. Sicura che Maduro le perderebbe, perché i sondaggi più generosi non gli danno oltre il 20% dei consensi. Proprio per questo il regime ha risposto con la repressione, e potrebbe continuarla o inasprirla, fino a cancellare le presidenziali che in teoria dovrebbero tenersi l’anno prossimo.
Fin dal golpe fallito del 1992, il chavismo si era giustificato con l’obiettivo di combattere corruzione e povertà, risollevando la gente dimenticata dall’élite che lasciava cadere solo le briciole della ricchezza prodotta dal petrolio, le altre risorse naturali come l’oro, e il turismo. Quando nel 2006 ero venuto a seguire le elezioni vinte da Chavez contro Rosales, nelle «favelas» di Caracas questa logica reggeva ancora, grazie al boom del greggio che consentiva di finanziare l’assistenzialismo, la corruzione, e pure la sopravvivenza del castrismo a Cuba, anche se nel frattempo la struttura produttiva del Venezuela veniva lentamente smantellata. Col prezzo del petrolio crollato da oltre 100 dollari al barile a meno di 30, però, l’illusione è finita. Oggi un ingegnere, se va bene, guadagna cento dollari al mese, e se ha figli fatica a garantire loro il pane. Ammesso che lo trovi, perché persino i generi alimentari di base vengono importati dal Messico o dai paesi vicini, e si trovano quando arrivano. Al supermercato si fanno i turni, nel senso che puoi andare a fare la spesa solo nei giorni in cui il numero finale della tua tessera sociale corrisponde con quello autorizzato a mettersi in fila. L’inflazione era al 150%, ma alcuni la stimano oltre l’800%. Un dollaro vale circa 10 bolivares al cambio ufficiale, ma oltre 4.000 a quello nero. Nel frattempo la carenza di risorse e medicine ha fatto tornare anche malattie debellate, come la malaria: dei 400.000 casi registrati in Sudamerica nel 2016, 240.000 erano in Venezuela.
Inutile dire che l’attività economica è precipitata: le stesse autorità locali ammettono che nel giro degli ultimi due anni il numero delle piccole e medie imprese è diminuito da 750.000 a circa 250.000. Il paese resta tra i primi sette produttori di greggio al mondo, primo in termini di riserve ancora da sfruttare, ma fatica a vendere pure quello. Nei giorni scorsi la compagnia petrolifera Pdvsa ha ceduto ai russi di Rosneft il 49,9% della sua sussidiaria americana Citgo, come collaterale per un prestito di Mosca di cui Caracas ha bisogno per evitare il default. E anche se l’operazione riuscisse, diversi analisti prevedono che a settembre il Venezuela si troverà di nuovo sull’orlo del fallimento, senza però avere più questa risorsa da cedere allo scopo di evitarlo.
Per cercare di conservare un po’ di consenso, il governo aveva lanciato il piano dei Clap, cioè i comitati locali di assistenza, che al prezzo politico di 10.000 bolivares, un paio di dollari, distribuiscono ai poveri buste di generi alimentari per la sopravvivenza. A patto che partecipino a tutte le marce indette dal regime e facciano i bravi. Solo che l’obiettivo era raggiungere almeno 8 milioni di persone, cioè 8 milioni di voti in vista delle prossime elezioni, ma la distribuzione si è fermata a circa la metà.
Questa miseria sta alimentando la violenza criminale, al momento ancora più grave di quella politica. Ogni giorno in Venezuela muoiono circa 80 persone uccise dalla delinquenza, e Caracas è ormai la città più pericolosa del continente. A ciò si aggiungono i colectivos, cioè i gruppi paramilitari che difendono il regime sparando contro gli oppositori. Li riconosci per la strada, quando sfrecciano sopra moto di alta cilindrata senza la targa. Sono armati, e ormai non vengono utilizzati solo per reprimere le manifestazioni degli oppositori, ma anche per tenere sotto controllo le «favelas», dove il consenso per il chavismo sta svanendo e cresce la voglia di riversarsi sulla capitale per far esplodere il malcontento.
Tutto questo c’è dietro alle proteste, che ieri hanno marciato su Ramo Verde, il carcere dove sono rinchiusi i detenuti politici, come i leader dell’opposizione Leopoldo Lopez e Gilber Caro. Altri, come l’ex sindaco di Caracas Antonio Ledezma, sono agli arresti domiciliari, accusati di aver complottato contro lo Stato o preso fondi pubblici, spesso senza portarli neppure in tribunale. Henrique Capriles, avversario di Maduro nelle presidenziali del 2013, è invece libero ma interdetto dai pubblici uffici. Giovedì, partecipando alla manifestazione di Altamira per ricordare Juan Pernalete, ha denunciato: «Maduro è un genocida, chiediamo le elezioni anticipate».
Nel frattempo l’Asamblea Nacional, riunita fuori dalla sua sede dove non può più entrare, ha approvato un documento in cui afferma che dopo la repressione violenta il governo non è più legittimato a guidare il Venezuela, chiude la porta alla mediazione tentata a fine anno dal Vaticano, e chiede di andare subito al voto. Il bivio, che potrebbe portare il paese alla guerra civile. Maduro, infatti, sa che perderebbe le elezioni vere e non intende cedere. L’esercito finora è rimasto con i chavisti, anche se il consenso tra i ranghi scricchiola, ma se decidesse di cambiare posizione, come spera l’opposizione, si rischierebbe lo scontro diretto con i colectivos armati. I manifestanti invece non hanno molto, oltre alle molotov, e se questo li rende moralmente superiori, li espone alla repressione.
Il Parlamento Europeo e la responsabile Ue degli Esteri Mogherini hanno chiesto le elezioni, come Roma, che però deve preoccuparsi anche dei circa 150.000 italiani e oltre un milione di oriundi che vivono nel Paese. Il presidente Trump giovedì ha detto che «il Venezuela è un disastro», ma Washington è prudente perché teme che le sue critiche rafforzino Maduro, oppure accelerino una crisi che esploderebbe alle sue porte con migliaia di rifugiati. Il regime spera di fiaccare l’opposizione, però sul piano economico ha le spalle al muro, e l’anno prossimo comunque dovrebbe tenere le presidenziali. Se un Venezuela così arriverà all’anno prossimo.
Se crolla la dittatura venezuelana crolla anche quella cubana.
Verso l’ora del tramonto, la piazza Altamira è illuminata solo dai fuochi di sbarramento accesi dai ragazzi della protesta contro il governo chavista. Bottiglie molotov in mano, passamontagna calati sulla faccia, hanno appena salutato l’ultima vittima della repressione, lo studente ventenne Juan Pernalete, ucciso da una bomba lacrimogena che lo ha colpito al petto. La polizia ha bloccato le strade, ma dopo i trenta morti dell’ultimo mese, stasera almeno lascia fare. È l’immagine di un Venezuela arrivato al bivio, tra l’incubo di una guerra civile che già si intravede, la perpetuazione del chavismo in una dittatura militare, o una soluzione politica di compromesso che però nessuno sembra in grado di immaginare.
L’accelerazione è cominciata a fine marzo, quando la Corte suprema legata al regime ha tentato di esautorare l’Asamblea Nacional, il parlamento dove l’opposizione ha una maggioranza di due terzi. Dicono che l’abbia fatto per trasferire al presidente Maduro i poteri necessari a garantire i prestiti chiesti alla Russia, indispensabili per evitare il default dello stato sommerso dai debiti. Quella sentenza maldestra è stata denunciata persino dalla procuratrice generale Luisa Ortega Diaz, ed è stata mezzo revocata poche ore dopo, ma per l’opposizione è diventata l’occasione della svolta. Da allora in poi è scesa in piazza tutti i giorni, con manifestazioni che puntano a costringere il governo ad accettare nuove elezioni. Sicura che Maduro le perderebbe, perché i sondaggi più generosi non gli danno oltre il 20% dei consensi. Proprio per questo il regime ha risposto con la repressione, e potrebbe continuarla o inasprirla, fino a cancellare le presidenziali che in teoria dovrebbero tenersi l’anno prossimo.
Fin dal golpe fallito del 1992, il chavismo si era giustificato con l’obiettivo di combattere corruzione e povertà, risollevando la gente dimenticata dall’élite che lasciava cadere solo le briciole della ricchezza prodotta dal petrolio, le altre risorse naturali come l’oro, e il turismo. Quando nel 2006 ero venuto a seguire le elezioni vinte da Chavez contro Rosales, nelle «favelas» di Caracas questa logica reggeva ancora, grazie al boom del greggio che consentiva di finanziare l’assistenzialismo, la corruzione, e pure la sopravvivenza del castrismo a Cuba, anche se nel frattempo la struttura produttiva del Venezuela veniva lentamente smantellata. Col prezzo del petrolio crollato da oltre 100 dollari al barile a meno di 30, però, l’illusione è finita. Oggi un ingegnere, se va bene, guadagna cento dollari al mese, e se ha figli fatica a garantire loro il pane. Ammesso che lo trovi, perché persino i generi alimentari di base vengono importati dal Messico o dai paesi vicini, e si trovano quando arrivano. Al supermercato si fanno i turni, nel senso che puoi andare a fare la spesa solo nei giorni in cui il numero finale della tua tessera sociale corrisponde con quello autorizzato a mettersi in fila. L’inflazione era al 150%, ma alcuni la stimano oltre l’800%. Un dollaro vale circa 10 bolivares al cambio ufficiale, ma oltre 4.000 a quello nero. Nel frattempo la carenza di risorse e medicine ha fatto tornare anche malattie debellate, come la malaria: dei 400.000 casi registrati in Sudamerica nel 2016, 240.000 erano in Venezuela.
Inutile dire che l’attività economica è precipitata: le stesse autorità locali ammettono che nel giro degli ultimi due anni il numero delle piccole e medie imprese è diminuito da 750.000 a circa 250.000. Il paese resta tra i primi sette produttori di greggio al mondo, primo in termini di riserve ancora da sfruttare, ma fatica a vendere pure quello. Nei giorni scorsi la compagnia petrolifera Pdvsa ha ceduto ai russi di Rosneft il 49,9% della sua sussidiaria americana Citgo, come collaterale per un prestito di Mosca di cui Caracas ha bisogno per evitare il default. E anche se l’operazione riuscisse, diversi analisti prevedono che a settembre il Venezuela si troverà di nuovo sull’orlo del fallimento, senza però avere più questa risorsa da cedere allo scopo di evitarlo.
Per cercare di conservare un po’ di consenso, il governo aveva lanciato il piano dei Clap, cioè i comitati locali di assistenza, che al prezzo politico di 10.000 bolivares, un paio di dollari, distribuiscono ai poveri buste di generi alimentari per la sopravvivenza. A patto che partecipino a tutte le marce indette dal regime e facciano i bravi. Solo che l’obiettivo era raggiungere almeno 8 milioni di persone, cioè 8 milioni di voti in vista delle prossime elezioni, ma la distribuzione si è fermata a circa la metà.
Questa miseria sta alimentando la violenza criminale, al momento ancora più grave di quella politica. Ogni giorno in Venezuela muoiono circa 80 persone uccise dalla delinquenza, e Caracas è ormai la città più pericolosa del continente. A ciò si aggiungono i colectivos, cioè i gruppi paramilitari che difendono il regime sparando contro gli oppositori. Li riconosci per la strada, quando sfrecciano sopra moto di alta cilindrata senza la targa. Sono armati, e ormai non vengono utilizzati solo per reprimere le manifestazioni degli oppositori, ma anche per tenere sotto controllo le «favelas», dove il consenso per il chavismo sta svanendo e cresce la voglia di riversarsi sulla capitale per far esplodere il malcontento.
Tutto questo c’è dietro alle proteste, che ieri hanno marciato su Ramo Verde, il carcere dove sono rinchiusi i detenuti politici, come i leader dell’opposizione Leopoldo Lopez e Gilber Caro. Altri, come l’ex sindaco di Caracas Antonio Ledezma, sono agli arresti domiciliari, accusati di aver complottato contro lo Stato o preso fondi pubblici, spesso senza portarli neppure in tribunale. Henrique Capriles, avversario di Maduro nelle presidenziali del 2013, è invece libero ma interdetto dai pubblici uffici. Giovedì, partecipando alla manifestazione di Altamira per ricordare Juan Pernalete, ha denunciato: «Maduro è un genocida, chiediamo le elezioni anticipate».
Nel frattempo l’Asamblea Nacional, riunita fuori dalla sua sede dove non può più entrare, ha approvato un documento in cui afferma che dopo la repressione violenta il governo non è più legittimato a guidare il Venezuela, chiude la porta alla mediazione tentata a fine anno dal Vaticano, e chiede di andare subito al voto. Il bivio, che potrebbe portare il paese alla guerra civile. Maduro, infatti, sa che perderebbe le elezioni vere e non intende cedere. L’esercito finora è rimasto con i chavisti, anche se il consenso tra i ranghi scricchiola, ma se decidesse di cambiare posizione, come spera l’opposizione, si rischierebbe lo scontro diretto con i colectivos armati. I manifestanti invece non hanno molto, oltre alle molotov, e se questo li rende moralmente superiori, li espone alla repressione.
Il Parlamento Europeo e la responsabile Ue degli Esteri Mogherini hanno chiesto le elezioni, come Roma, che però deve preoccuparsi anche dei circa 150.000 italiani e oltre un milione di oriundi che vivono nel Paese. Il presidente Trump giovedì ha detto che «il Venezuela è un disastro», ma Washington è prudente perché teme che le sue critiche rafforzino Maduro, oppure accelerino una crisi che esploderebbe alle sue porte con migliaia di rifugiati. Il regime spera di fiaccare l’opposizione, però sul piano economico ha le spalle al muro, e l’anno prossimo comunque dovrebbe tenere le presidenziali. Se un Venezuela così arriverà all’anno prossimo.
1/4/2017
Il nipote di Che Guevara a Milano: “Oggi mio zio sarebbe contro il governo cubano”
«Non pensava che la rivoluzione sarebbe servita a far stare i dirigenti per 56 anni sulla poltrona»
Un «simbolo di ribellione, iconoclastia, irriverenza e anticonformismo»: il mito di Ernesto “Che” Guevara sopravvive nel tempo anche grazie a queste caratteristiche, secondo suo nipote Martín Guevara, figlio del fratello minore del “Che”, Juan Martín Guevara. L’occasione per incontrarlo, a Milano, ce la dà il MIC – Museo interattivo del cinema, che ha organizzato il Festival “Talenti sudamericani” (fino al 2 aprile), rassegna dedicata a come i personaggi simbolo della cultura del Sud America sono stati raccontati dalla settima arte. Qui non poteva certo mancare il mito per antonomasia del Novecento, raccontato dal capolavoro di Walter Salles, “I diari della motocicletta” (2004), basato sui diari che il giovanissimo Ernesto Guevara scrisse nei primi anni ’50, durante l’attraversamento dell’America del Sud in motocicletta, insieme all’amico Alberto Granado.
Fu proprio quel viaggio a far maturare nel giovane Ernesto, allora studente di medicina e non ancora “Che”, il desiderio di voler fare qualcosa contro le ingiustizie, di cui era stato testimone, attraversando Argentina, Chile e Perù. Fu anche grazie a quell’esperienza che Ernesto sarebbe poi diventato il simbolo della rivoluzione cubana. Suo nipote Martín, nato in Argentina, cresciuto a Cuba e ora scrittore, giornalista e blogger in Spagna, ha raccontato in un bel libro del 2013 “A la sombra de un mito” (“Sotto l’ombra di un mito”), ancora inedito in Italia, le difficoltà vissute da giovane nel relazionarsi con uno zio così “ingombrante”, non nascondendo gli aspetti critici del castrismo. Un atteggiamento critico che tuttora mantiene, e che non gli impedisce, però, di avere una profonda ammirazione per gli ideali che il “Che” ancora oggi rappresenta: «Se mio zio avesse oggi 39 anni, l’età che aveva quando fu assassinato sarebbe contro il governo, perché non pensava che la rivoluzione sarebbe servita a far stare i dirigenti seduti su una poltrona per 56 anni», spiega a La Stampa. E oggi guarderebbe con sospetto anche «l’oligarchia in Argentina», «la corruzione spagnola» e l’Europa in generale, dove «i valori del dopoguerra si stanno smantellando, solo per la ricchezza della classe alta, mentre la classe media e operaia è in difficoltà e c’è sempre più spazio per un atteggiamento degradante, discriminatorio, verso persone che hanno bisogno, provenienti da altri continenti». Neanche il recentemente riavvicinamento tra Cuba e Stati Uniti sarebbe apprezzato, perché «per una nazione in cui la gente fino a pochi anni fa veniva punita anche solo se indossava i jeans, questo è una sorta di tradimento degli ideali della rivoluzione».
Non possiamo sapere se davvero Ernesto Guevara sarebbe stato davvero così critico verso il mondo di oggi. Quel che è certo, invece, è che a 50 anni esatti dalla sua morte il suo mito continua a vivere. «E si evolve, adattandosi anche a causa che non erano le sue – sottolinea Martín Guevara -: oggi anche chi fuma marijuana o chi promuove le nozze tra omosessuali considera Che Guevara il suo paladino. E va bene così, perché lui rappresenta un ideale di ribellione e anticonformismo». Ma, soprattutto, «è un uomo coerente con se stesso – conclude -. L’ideologia cambia, ma questa è la cosa meno importante. La gente ammira Spartaco perché si ribellò, non importa cosa Spartaco pensasse. Chi ama il “Che”, lo fa per lo stesso motivo».
Fu proprio quel viaggio a far maturare nel giovane Ernesto, allora studente di medicina e non ancora “Che”, il desiderio di voler fare qualcosa contro le ingiustizie, di cui era stato testimone, attraversando Argentina, Chile e Perù. Fu anche grazie a quell’esperienza che Ernesto sarebbe poi diventato il simbolo della rivoluzione cubana. Suo nipote Martín, nato in Argentina, cresciuto a Cuba e ora scrittore, giornalista e blogger in Spagna, ha raccontato in un bel libro del 2013 “A la sombra de un mito” (“Sotto l’ombra di un mito”), ancora inedito in Italia, le difficoltà vissute da giovane nel relazionarsi con uno zio così “ingombrante”, non nascondendo gli aspetti critici del castrismo. Un atteggiamento critico che tuttora mantiene, e che non gli impedisce, però, di avere una profonda ammirazione per gli ideali che il “Che” ancora oggi rappresenta: «Se mio zio avesse oggi 39 anni, l’età che aveva quando fu assassinato sarebbe contro il governo, perché non pensava che la rivoluzione sarebbe servita a far stare i dirigenti seduti su una poltrona per 56 anni», spiega a La Stampa. E oggi guarderebbe con sospetto anche «l’oligarchia in Argentina», «la corruzione spagnola» e l’Europa in generale, dove «i valori del dopoguerra si stanno smantellando, solo per la ricchezza della classe alta, mentre la classe media e operaia è in difficoltà e c’è sempre più spazio per un atteggiamento degradante, discriminatorio, verso persone che hanno bisogno, provenienti da altri continenti». Neanche il recentemente riavvicinamento tra Cuba e Stati Uniti sarebbe apprezzato, perché «per una nazione in cui la gente fino a pochi anni fa veniva punita anche solo se indossava i jeans, questo è una sorta di tradimento degli ideali della rivoluzione».
Non possiamo sapere se davvero Ernesto Guevara sarebbe stato davvero così critico verso il mondo di oggi. Quel che è certo, invece, è che a 50 anni esatti dalla sua morte il suo mito continua a vivere. «E si evolve, adattandosi anche a causa che non erano le sue – sottolinea Martín Guevara -: oggi anche chi fuma marijuana o chi promuove le nozze tra omosessuali considera Che Guevara il suo paladino. E va bene così, perché lui rappresenta un ideale di ribellione e anticonformismo». Ma, soprattutto, «è un uomo coerente con se stesso – conclude -. L’ideologia cambia, ma questa è la cosa meno importante. La gente ammira Spartaco perché si ribellò, non importa cosa Spartaco pensasse. Chi ama il “Che”, lo fa per lo stesso motivo».
6/2/2017
I punk cubani che si infettavano con l'HIV come forma di dissenso estremo
I punk cubani che si infettavano con l'HIV come forma di dissenso estremo
Il socialismo standardizza i suoi cittadini, e in un paese socialista i punk non possono che attirare l'attenzione. Ma i Frikis, una comunità punk cubana nata a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta che voleva ricordare i cugini anglosassoni per stile e gusti musicali, avevano qualcosa in più: erano considerati veri e propri reietti della società.
A quel tempo il governo di Castro cercava di mantenere il controllo con la forza, e vagabondi ed emarginati erano tra i bersagli prediletti della polizia. Questo valeva soprattutto nel caso dei Frikis, presi di mira per il loro aspetto diverso, il rifiuto delle norme sociali e il perenne girovagare in quartieri abbandonati. Venivano molestati, arrestati, incarcerati e messi ai lavori forzati. In quella particolare situazione, la risposta dei Frikis a tali soprusi sfociò in una forma di protesta estrema: alcuni membri del gruppo decisero volontariamente di diventare sieropositivi iniettandosi il sangue infetto dei compagni già malati.
Quello che oggi sembra un gesto incomprensibile fu in realtà la conseguenza ultima di un allineamento di fattori. L'URSS aveva sostenuto per molti anni l'economia cubana, ma quando alla fine degli anni Ottanta il colosso sovietico si dissolse, anche le casse per il sostegno dei compagni socialisti oltreoceano si prosciugarono e Cuba si ritrovò a dover lottare da sola. Per usare un eufemismo coniato da Fidel Castro stesso, gli anni a seguire furono un "periodo speciale in tempo di pace" caratterizzato da carenze alimentari, idriche ed energetiche talmente gravi condurre a politiche di razionamento che avrebbero alterato fisicamente il popolo cubano per i decenni a seguire.
Erano gli stessi anni in cui il dilagare incontrollato dell'AIDS era diventato una vera e propria crisi sanitaria globale, e i governi erano al lavoro per limitarne la diffusione. L'approccio cubano fu controverso perché, oltre sottoporre la popolazione adulta sessualmente attiva a test piuttosto invasivi, prevedeva la messa in quarantena di chiunque avesse contratto l'HIV all'interno di appositi sanatori. Tali politiche sanitarie divennero l'ancora di salvezza per alcuni membri dei Frikis, che vi scorsero un'opportunità per fuggire dalle morse di una società che voleva farli scomparire.
Niurka Fuentes è la vedova di un Friki, Papo La Bala (o Papo Il Proiettile). Come mi ha detto lei stessa, Papo "sapeva che se si fosse auto-infettato sarebbe stato mandato in un sanatorio. Sapeva che lì avrebbe incontrato altre persone come lui, che la polizia l'avrebbe finalmente lasciato in pace e che avrebbe potuto vivere indisturbato."
Così, invece che continuare a vivere per strada, in quartieri dove sarebbero stati esposti a molestie e persecuzioni, i Frikis capirono che nei sanatori avrebbero trovato protezione, cibo, riparo e medicinali a sufficienza. E dopo essere realmente finiti lì si resero conto che avrebbero potuto trasformare i sanatori in un paradiso per punk.
"Da ogni casa arrivava musica heavy metal e rock 'n' roll," dice Yoandra Cardoso, una Friki di lunga data che vive ancora nel terreno di un ex sanatorio. "All'inizio, quando il sanatorio aveva appena aperto i battenti, eravamo tutti Frikis… eravamo qui, tutti insieme."
Quando nel 1989 i militari cedettero il controllo dei sanatori al Ministero della Sanità, ai pazienti fu permesso di ascoltare e fare musica, vestirsi come volevano e socializzare con altre persone anche all'esterno delle strutture. Si trattava di una sistemazione di gran lunga migliore di quanto un cubano medio potesse permettersi, figurarsi un membro dei Frikis. "Là dentro ci siamo creati il nostro mondo," riassume Fuentes.
Il sanatorio di Pinar del Rio, dove sia Fuentes che Cardoso furono ricoverati all'inizio degli anni Novanta, è stato smantellato nel 2006. Attualmente, tutti i sanatori dell'isola sono stati chiusi, tranne quello di Santiago de Las Vegas, che opera però come clinica diurna. Sebbene molti dei pazienti ricoverati siano ormai deceduti—dei compagni di Cardoso, solo tre sono ancora vivi—i sopravvissuti hanno accesso a farmaci antiretrovirali prodotti sull'isola stessa e distribuiti attraverso il servizio sanitario cubano, che vanta tuttora uno dei tassi di sieropositivi più bassi del mondo e che lo scorso anno ha eradicato la trasmissione del virus da madre a figlio (anche se la percentuale di contagi negli ultimi dieci anni è aumentata).
Storicamente, la cultura punk-rock è stata usata da chi si trovava ai margini della società per esprimere il proprio dissenso—e in una paese come la Cuba di Fidel Castro, che fu a suo modo l'isola del dissenso per antonomasia, i Frikis trovarono uno strumento di ribellione tanto estremo quanto ancora oggi scioccante.
A quel tempo il governo di Castro cercava di mantenere il controllo con la forza, e vagabondi ed emarginati erano tra i bersagli prediletti della polizia. Questo valeva soprattutto nel caso dei Frikis, presi di mira per il loro aspetto diverso, il rifiuto delle norme sociali e il perenne girovagare in quartieri abbandonati. Venivano molestati, arrestati, incarcerati e messi ai lavori forzati. In quella particolare situazione, la risposta dei Frikis a tali soprusi sfociò in una forma di protesta estrema: alcuni membri del gruppo decisero volontariamente di diventare sieropositivi iniettandosi il sangue infetto dei compagni già malati.
Quello che oggi sembra un gesto incomprensibile fu in realtà la conseguenza ultima di un allineamento di fattori. L'URSS aveva sostenuto per molti anni l'economia cubana, ma quando alla fine degli anni Ottanta il colosso sovietico si dissolse, anche le casse per il sostegno dei compagni socialisti oltreoceano si prosciugarono e Cuba si ritrovò a dover lottare da sola. Per usare un eufemismo coniato da Fidel Castro stesso, gli anni a seguire furono un "periodo speciale in tempo di pace" caratterizzato da carenze alimentari, idriche ed energetiche talmente gravi condurre a politiche di razionamento che avrebbero alterato fisicamente il popolo cubano per i decenni a seguire.
Erano gli stessi anni in cui il dilagare incontrollato dell'AIDS era diventato una vera e propria crisi sanitaria globale, e i governi erano al lavoro per limitarne la diffusione. L'approccio cubano fu controverso perché, oltre sottoporre la popolazione adulta sessualmente attiva a test piuttosto invasivi, prevedeva la messa in quarantena di chiunque avesse contratto l'HIV all'interno di appositi sanatori. Tali politiche sanitarie divennero l'ancora di salvezza per alcuni membri dei Frikis, che vi scorsero un'opportunità per fuggire dalle morse di una società che voleva farli scomparire.
Niurka Fuentes è la vedova di un Friki, Papo La Bala (o Papo Il Proiettile). Come mi ha detto lei stessa, Papo "sapeva che se si fosse auto-infettato sarebbe stato mandato in un sanatorio. Sapeva che lì avrebbe incontrato altre persone come lui, che la polizia l'avrebbe finalmente lasciato in pace e che avrebbe potuto vivere indisturbato."
Così, invece che continuare a vivere per strada, in quartieri dove sarebbero stati esposti a molestie e persecuzioni, i Frikis capirono che nei sanatori avrebbero trovato protezione, cibo, riparo e medicinali a sufficienza. E dopo essere realmente finiti lì si resero conto che avrebbero potuto trasformare i sanatori in un paradiso per punk.
"Da ogni casa arrivava musica heavy metal e rock 'n' roll," dice Yoandra Cardoso, una Friki di lunga data che vive ancora nel terreno di un ex sanatorio. "All'inizio, quando il sanatorio aveva appena aperto i battenti, eravamo tutti Frikis… eravamo qui, tutti insieme."
Quando nel 1989 i militari cedettero il controllo dei sanatori al Ministero della Sanità, ai pazienti fu permesso di ascoltare e fare musica, vestirsi come volevano e socializzare con altre persone anche all'esterno delle strutture. Si trattava di una sistemazione di gran lunga migliore di quanto un cubano medio potesse permettersi, figurarsi un membro dei Frikis. "Là dentro ci siamo creati il nostro mondo," riassume Fuentes.
Il sanatorio di Pinar del Rio, dove sia Fuentes che Cardoso furono ricoverati all'inizio degli anni Novanta, è stato smantellato nel 2006. Attualmente, tutti i sanatori dell'isola sono stati chiusi, tranne quello di Santiago de Las Vegas, che opera però come clinica diurna. Sebbene molti dei pazienti ricoverati siano ormai deceduti—dei compagni di Cardoso, solo tre sono ancora vivi—i sopravvissuti hanno accesso a farmaci antiretrovirali prodotti sull'isola stessa e distribuiti attraverso il servizio sanitario cubano, che vanta tuttora uno dei tassi di sieropositivi più bassi del mondo e che lo scorso anno ha eradicato la trasmissione del virus da madre a figlio (anche se la percentuale di contagi negli ultimi dieci anni è aumentata).
Storicamente, la cultura punk-rock è stata usata da chi si trovava ai margini della società per esprimere il proprio dissenso—e in una paese come la Cuba di Fidel Castro, che fu a suo modo l'isola del dissenso per antonomasia, i Frikis trovarono uno strumento di ribellione tanto estremo quanto ancora oggi scioccante.
7 Gennaio 2017
Tessere per razionare il cibo. Il Venezuela muore di fame
Il presidente Maduro lancia il "Carnet de la Patria". Nome pomposo per limitare l'acquisto di pane e acqua.
Si chiama pomposamente «Carnet de la Patria» l'ultima pensata di Nicolas Maduro, il presidente più odiato della storia del Venezuela che oggi l'80% dei suoi compatrioti manderebbe volentieri a casa (questo dicono tutti i sondaggi) se solo fosse consentito loro di votare il referendum costituzionale che da oltre un anno chiede l'opposizione.
Naturalmente non c'è nulla di patriottico nella «Patente della Patria» - questa la traduzione in italiano - descritta dal delfino di Chávez in diretta tv a reti unificate come «strumento risolutivo» per «organizzare meglio il potere popolare della gloriosa rivoluzione bolivariana!».
In realtà Maduro vuole limitare l'acquisto di cibi e beni diventati oramai introvabili sugli scaffali di PDVAL e MERCAL, i supermercati a prezzi controllati, gli unici dove l'80% della popolazione, che guadagna l'equivalente di 30 euro al mese, oggi può comprare qualcosa per campare a Caracas.
Tecnologia a parte un codice QR a barre bidimensionale di ultimissima generazione le funzioni del «Carnet de la Patria» sono esattamente le stesse della carta annonaria di mussoliniana memoria introdotta durante l'ultima guerra e della «libreta cubana» inventata dalla dittatura castrista per «sostenere la rivoluzione»: razionare pane, latte, carne, uova e qualsiasi genere di prima, seconda o terza necessità.
La tessera di Maduro sarà distribuita tra il 20 ed il 22 gennaio prossimi ai 15 milioni di venezuelani ovvero la metà della popolazione del paese sudamericano - che oggi morirebbero letteralmente di fame senza i miseri sussidi concessi dallo stato socialista bolivariano, un tempo il più ricco dell'America latina, oggi ridotto sul lastrico da 18 anni di assurde politiche chaviste.
Del resto l'obiettivo dichiarato del regime - che controllando tutti i poteri dello stato e non riconoscendo il Parlamento dove l'opposizione ha la maggioranza, è de facto una dittatura mascherata - è condizionare ogni aspetto della vita dei suoi concittadini.
E così, dopo avere nazionalizzato ed espropriato centinaia di aziende che prima producevano ed oggi sono sull'orlo del fallimento, dopo avere epurato i tecnici migliori della statale del petrolio PDVSA sostituendoli con supporter del regime privi di qualsiasi professionalità, dopo avere fissato il prezzo di ogni bene compreso quello della sua moneta che oggi non vale più nulla, dopo avere chiuso i confini con la vicina Colombia ed incarcerato centinaia di dissidenti politici, e con un'inflazione che quest'anno arriverà al 1700%, cosa di meglio se non un'ipertecnologica «Patente» per risolvere «patriotticamente» tutti i problemi?
In molti si chiedono se Maduro sia matto, incapace o corrotto visto che in 45 mesi alla presidenza ha già cambiato 90 ministri, l'economia del Venezuela è in caduta libera (-10% il PIL nel 2016), ha due nipoti da oltre un anno in carcere a New York per avere tentato di introdurre negli USA la «modica quantità» di 800 Kg di cocaina purissima, ha reso Caracas la città più violenta del pianeta e l'altroieri, ha scelto come suo vice Tareck El Aissami, accusato dalla DEA di narcotraffico, unico chavista odiato più di lui in patria.
Dopo l'ordine di togliere dalla circolazione in 72 ore i biglietti di maggior taglio, da 100 bolivares decisione poi rinviata ma che aveva quasi causato una rivolta popolare prima di Natale, con centinaia di negozi saccheggiati e 5 morti dopo la creazione del ministero del potere popolare addetto alla Felicità del pueblo ed avere messo generali a distribuire ogni cosa consumabile a cominciare dalla carta igienica, ai venezuelani che non possono fuggire all'estero non rimane allora che l'ironia.
Ed ecco così che la «Patente della Patria» di Maduro è già stata ribattezzata a Caracas il «carnet dell'anoressia forzata», la «libreta del pane ed acqua» e - sbertucciando il più celebre slogan del Che la tessera «hasta el hambre siempre!». Della vittoria, nelle folli politiche economiche di Maduro, non c'è infatti nessuna traccia.
4 Dicembre 2016
La vendetta della meccanica
Come tutto a Cuba persino la Jeep che trasportava le ceneri del dittatore alla sepoltura è in pessime condizioni e si guasta, a Santiago nei pressi del Cuartel Moncada si spegne il motore e deve essere spinta a mano dai soldati della scorta.
La vendetta della meccanica
Come tutto a Cuba persino la Jeep che trasportava le ceneri del dittatore alla sepoltura è in pessime condizioni e si guasta, a Santiago nei pressi del Cuartel Moncada si spegne il motore e deve essere spinta a mano dai soldati della scorta.
4 Dicembre 2016
Fidel Castro abbandona Cuba nel suo stile
E così, come qualsiasi essere umano anche per Fidel Castro è giunta la fine, ma anche in questa occasione Fidel non ha tradito se stesso, ha avuto tutto il tempo per organizzare la sua dipartita.
Fidel Castro ha deciso di sparire da Cuba alla sua maniera, nessuna notizia su come sia morto, dove e chi gli stava al capezzale nelle ultime ore. Nessun corpo da esporre in una camera ardente, quasi come se si fosse volatilizzato, persino le sue ceneri non sono state esposte in Plaza de la Revolución e al loro posto solo una fotografia e dei fiori ad aspettare i cubani dopo ore di attesa in una interminabile fila.
Il fratello Raul ha comunicato che le volontà di Fidel Castro sono state precise, mai a Cuba dovrà essere eretto un monumento in suo ricordo o il suo nome utilizzato per indicare strade o piazze. Si potrebbe dire che ogniuno fa delle sue ceneri e del suo ricordo quello che desidera, ma nel caso di Fidel Castro non si può ignorare è stato fedele al suo carattere e al bizzarro rapporto che ha sempre avuto con il popolo cubano, lo ha sempre trattato come il nulla, era il comandante en jefe a Cuba, era il Dio in terra, poteva disporre della vita di chiunque come desiderava, aveva la grande responsabilità di aver ordinato la fucilazione di migliaia di uomini e di aver inutilmente mandato il suo esercito a morire in Africa e in centro America in varie guerre e guerriglie, aveva ridotto alla miseria e inflitto sofferenze enormi al suo popolo, eppure quando era ammalato come nel 2006 non faceva trapelare nulla delle sue condizioni, per molti mesi spariva dalla scena senza degnarsi di comunicare al popolo di cui era padrone assoluto se mai sarebbe tornato a governare, scompariva e basta, come se quel popolo non avesse nessun diritto di conoscere le sorti del comandante en jefe a cui tra l'altro molti erano anche fedeli.
Per la sua morte Fidel ha fatto tutto quello che poteva per sparire lasciando il suo popolo devastato dopo oltre cinquanta anni di ostinata "rivoluzione" imposta da lui in mano al nulla, a un suo fratello vecchio di 85 anni, a un vicepresidente che pochi conoscono e ai figli suoi e del fratello che sono i nuovi padroni dell'economia dell'isola, ha vissuto la sua vita nel cuore di Cuba che è la Havana e ha deciso di allontanarsene il più possibile facendosi seppellire a Santiago de Cuba, dal lato opposto dell'isola, e poi perchè? Per finire accanto alle ossa di Ernesto Cheguevara che tutti sanno mandò lui a morire in Bolivia per toglierselo di mezzo e di José Martì, un eroe cubano rivoluzionario, ma di un'altra rivoluzione, una rivoluzione dell'800 che non aveva niente da spartire con lui nè con il socialismo reale nè con il regime castrista che è l'esatto contrario dei principi di libertà per cui quest'ultimo aveva lottato. In parole povere ha continuato a mentire, esattamente alla sua maniera, ha fatto il suo ultimo show, Fidel Castro fino alla fine.
Fidel Castro abbandona Cuba nel suo stile
E così, come qualsiasi essere umano anche per Fidel Castro è giunta la fine, ma anche in questa occasione Fidel non ha tradito se stesso, ha avuto tutto il tempo per organizzare la sua dipartita.
Fidel Castro ha deciso di sparire da Cuba alla sua maniera, nessuna notizia su come sia morto, dove e chi gli stava al capezzale nelle ultime ore. Nessun corpo da esporre in una camera ardente, quasi come se si fosse volatilizzato, persino le sue ceneri non sono state esposte in Plaza de la Revolución e al loro posto solo una fotografia e dei fiori ad aspettare i cubani dopo ore di attesa in una interminabile fila.
Il fratello Raul ha comunicato che le volontà di Fidel Castro sono state precise, mai a Cuba dovrà essere eretto un monumento in suo ricordo o il suo nome utilizzato per indicare strade o piazze. Si potrebbe dire che ogniuno fa delle sue ceneri e del suo ricordo quello che desidera, ma nel caso di Fidel Castro non si può ignorare è stato fedele al suo carattere e al bizzarro rapporto che ha sempre avuto con il popolo cubano, lo ha sempre trattato come il nulla, era il comandante en jefe a Cuba, era il Dio in terra, poteva disporre della vita di chiunque come desiderava, aveva la grande responsabilità di aver ordinato la fucilazione di migliaia di uomini e di aver inutilmente mandato il suo esercito a morire in Africa e in centro America in varie guerre e guerriglie, aveva ridotto alla miseria e inflitto sofferenze enormi al suo popolo, eppure quando era ammalato come nel 2006 non faceva trapelare nulla delle sue condizioni, per molti mesi spariva dalla scena senza degnarsi di comunicare al popolo di cui era padrone assoluto se mai sarebbe tornato a governare, scompariva e basta, come se quel popolo non avesse nessun diritto di conoscere le sorti del comandante en jefe a cui tra l'altro molti erano anche fedeli.
Per la sua morte Fidel ha fatto tutto quello che poteva per sparire lasciando il suo popolo devastato dopo oltre cinquanta anni di ostinata "rivoluzione" imposta da lui in mano al nulla, a un suo fratello vecchio di 85 anni, a un vicepresidente che pochi conoscono e ai figli suoi e del fratello che sono i nuovi padroni dell'economia dell'isola, ha vissuto la sua vita nel cuore di Cuba che è la Havana e ha deciso di allontanarsene il più possibile facendosi seppellire a Santiago de Cuba, dal lato opposto dell'isola, e poi perchè? Per finire accanto alle ossa di Ernesto Cheguevara che tutti sanno mandò lui a morire in Bolivia per toglierselo di mezzo e di José Martì, un eroe cubano rivoluzionario, ma di un'altra rivoluzione, una rivoluzione dell'800 che non aveva niente da spartire con lui nè con il socialismo reale nè con il regime castrista che è l'esatto contrario dei principi di libertà per cui quest'ultimo aveva lottato. In parole povere ha continuato a mentire, esattamente alla sua maniera, ha fatto il suo ultimo show, Fidel Castro fino alla fine.
25 Novembre 2016
Fidel Castro è morto
Alla fine il tempo lo ha spazzato via, muore il più spietato e feroce dittatore psicopatico di tutti i tempi, colui che nel 1962 avrebbe voluto distruggere l'umanità intera scatenando una guerra nucleare, colui che ha ucciso migliaia di cubani e ne ha costretto milioni all'esilio, anche a costo di fuggire con le zattere via mare, quel mare che ha inghiottito migliaia di esseri umani in fuga dalla sua follia, colui che ha costretto i cubani a prostituirsi per sopravvivere alla miseria, colui che spinto da un odio cieco verso il popolo cubano ne ha distrutto l'economia e la morale. E' morto colui che ha diffuso il suo messaggio di odio a generazioni di suoi seguaci nel mondo. Muore il tiranno peggiore di questo secolo, alla fine il tempo non ha avuto pietà di lui. La sua unica fortuna è che l'inferno non esiste.
GAESA
La Cuba di oggi , nata dalla rivoluzione, si può raccontare con una sola sigla: GAESA. Sta per Grupo de Administracion Empresarial SA, ed è la società che gestisce un gruppo di aziende che producono metà dei ricavi dello stato cubano, incluso il 40 per cento delle entrate del turismo e le importazioni. GAESA possiede tutti gli Hotel del paese, la maggior parte dei grandi negozi, le società che affittano auto e le agenzie che regolano le importazioni. GAESA sta costruendo un nuovo grande polo turistico sul vecchio porto dell'Avana e una nuova zona free trade a ovest della capitale. Insomma, si parla della parte più redditizia delle attività economiche dell'isola . Chiunque vuole fare business in Cuba deve passare per Gaesa.
E chi possiede GAESA? Il generale Luis Alberto Rodriguez, che altri non è che il genero di Raul Castro, Comandante in Capo dell'esercito cubano, dal 2008 Presidente del Consiglio dei Ministri , ma soprattutto figura chiave che negli anni ha lavorato accanto a Fidel nei ruoli più delicati, intestandosi anche le decisioni più discutibili. Raul è oggi insomma il perno del potere dell'Isola Caraibica.
Benvenuti a Cuba. Fidel è morto, e intorno alla sua persona salirà ora la solita onda di romanticismo rivoluzionario, celebrazioni geopolitiche, e nostalgia degli anni Sessanta.
Ma la cruda verità, che la sua morte ci aiuterà nei prossimi anni a mettere a fuoco, è che la rivoluzione cubana ha seguito nel suo destino quello di ogni altro stato comunista del secolo scorso - diventando a tutti gli effetti un regime oligarchico, a base ideologica, fondato sull'intreccio fra appartenenza politica e denaro, controllato dai militari e composto da un pugno di famiglie di cui la prima famiglia innanzitutto. Come la Russia, come la Cina, come tutti I paesi del blocco socialista, prima del muro, ma anche dopo il muro.
Regimi dove non solo la rivoluzione non ha portato uguaglianza, ma è al contrario servita negli anni a legittimare il privilegio dei pochi contro la povertà dei tanti. Con l'uso spregiudicato della retorica per giustificare violazioni dei diritti individuali, dei diritti umani, e della libertà di parola. Il numero esatto delle vittime del regime di Castro non si saprà mai. La Revolucion è sempre stata imbattibile nel coprire con una perfetta macchina di glorificazione tutte le buche, I difetti, e le colpe di sé stessa.
Il mistero, tra i tanti, che Fidel porta con sé nella tomba, è se il Leader Maximo nei suoi ultimi anni abbia capito questo stato di cose. Il suo destino personale infatti è quello di essere in qualche modo sopravvissuto a sé stesso, di aver vissuto troppo a lungo per non avere qualche dubbio sulla sua Gloria. Ai fini della storia infatti, Fidel è morto nel 1990 , quando il muro di Berlino crolla trascinando con sé il destino di tutti gli stati rivoluzionari del mondo, incluso quello dell'Isola.
Proprio in quegli anni '90, per riempire il vuoto politico ma soprattutto economico lasciato dalla fine dell'Unione Sovietica, comincia la fase ultima della Revolucion, il "periodo speciale", come viene ribattezzato, che arriva fino ai nostri giorni.
Raul, allora Ministro della Difesa, invia ufficiali di alto rango in giro per il mondo per negoziare nuovi aiuti economici (telefonia, operazioni in aree free- tax , forniture di petrolio, in cui il Venezuela di Chavez avrà un ruolo fondamentale) e per formarsi essi stessi come manager. GAESA, che nasce come il dipartimento delle industrie militari, è il pilastro intorno a cui si aggregano le nuove attività. Raul aggiunge sempre più risorse: vi porta dentro CIMEX, che è allora il più ampio consorzio commerciale, e Habanaguanex, società che raccoglie hotel, ristoranti e proprietà immobiliari, soprattutto nella vecchia Avana. Gaesa prende anche un servizio aereo interno, operato con aerei ex sovietici, e attrazioni turistiche e ovviamente le industrie bandiera di Cuba come lo zucchero e i sigari.
La Cuba degli ultimi anni di Castro e quella dei primi anni si somigliano ormai ben poco. Mentre il grande vecchio continua con I suoi discorsi e I suoi ricordi, le sue uscite spiazzanti, il lutto per l'11 settembre Americano, e il riconoscimento della Chiesa cattolica, nel paese reale dell'autunno del patriarca la famiglia Castro emerge come principale azionista dello stato, al centro di una fitta rete di rapporti internazionali, e di una rete di famiglie di militari che costituiscono il ceppo della nuova oligarchia, che poi dialogherà con Obama, il Vaticano e porterà , per realismo, e per sopravvivenza, il paese verso le aperture che si sono viste recentemente.
I segni della ricchezza di queste famiglie non sfuggono a nessuno. Come denunciano I dissidenti interni, e come persino si fa sfuggire il quotidiano dell'avana " El Heraldo de la Habana", quotidiano del partito comunista racconta di una crociera su yacht nel Mediterraneo da parte del più giovane figlio di Fidel, Antonio. L'articolo ovviamente magnifica le doti di ambasciatore del giovane Castro, che infatti ha anche il titolo di "Global Ambassador of the World Baseball Softball Confederation."
Per il futuro politico di Cuba si lavora invece sul figlio di Raul Alejandro Castro Espin, colonnello del ministero degli interni, dentro cui operano anche le direzioni delle due agenzie di Intelligence interna. A Panama, all'incontro fra Obama e Raul, c'era Castro Espin, e sempre lui, ha accompagnato il padre Raul nella sua visita al Vaticano l'anno scorso.
Questa è oggi la Cuba di cui ci occuperemo nei prossimi mesi. Dopo la morte di Fidel Castro l'Avana dovrà uscire dal passato e trovare il suo nuovo posto in un mondo in cui il comunismo (e presto anche del Capitalismo diremo lo stesso), appartiene a un altro secolo. Esattamente come le grandi imprese di cui Fidel è stato protagonista. Meglio prenderne atto e salutare con un estremo atto di realismo, il vecchio combattente.
Hasta la Victoria, Fidel. Peccato che non sia mai davvero stata raggiunta.
La Cuba di oggi , nata dalla rivoluzione, si può raccontare con una sola sigla: GAESA. Sta per Grupo de Administracion Empresarial SA, ed è la società che gestisce un gruppo di aziende che producono metà dei ricavi dello stato cubano, incluso il 40 per cento delle entrate del turismo e le importazioni. GAESA possiede tutti gli Hotel del paese, la maggior parte dei grandi negozi, le società che affittano auto e le agenzie che regolano le importazioni. GAESA sta costruendo un nuovo grande polo turistico sul vecchio porto dell'Avana e una nuova zona free trade a ovest della capitale. Insomma, si parla della parte più redditizia delle attività economiche dell'isola . Chiunque vuole fare business in Cuba deve passare per Gaesa.
E chi possiede GAESA? Il generale Luis Alberto Rodriguez, che altri non è che il genero di Raul Castro, Comandante in Capo dell'esercito cubano, dal 2008 Presidente del Consiglio dei Ministri , ma soprattutto figura chiave che negli anni ha lavorato accanto a Fidel nei ruoli più delicati, intestandosi anche le decisioni più discutibili. Raul è oggi insomma il perno del potere dell'Isola Caraibica.
Benvenuti a Cuba. Fidel è morto, e intorno alla sua persona salirà ora la solita onda di romanticismo rivoluzionario, celebrazioni geopolitiche, e nostalgia degli anni Sessanta.
Ma la cruda verità, che la sua morte ci aiuterà nei prossimi anni a mettere a fuoco, è che la rivoluzione cubana ha seguito nel suo destino quello di ogni altro stato comunista del secolo scorso - diventando a tutti gli effetti un regime oligarchico, a base ideologica, fondato sull'intreccio fra appartenenza politica e denaro, controllato dai militari e composto da un pugno di famiglie di cui la prima famiglia innanzitutto. Come la Russia, come la Cina, come tutti I paesi del blocco socialista, prima del muro, ma anche dopo il muro.
Regimi dove non solo la rivoluzione non ha portato uguaglianza, ma è al contrario servita negli anni a legittimare il privilegio dei pochi contro la povertà dei tanti. Con l'uso spregiudicato della retorica per giustificare violazioni dei diritti individuali, dei diritti umani, e della libertà di parola. Il numero esatto delle vittime del regime di Castro non si saprà mai. La Revolucion è sempre stata imbattibile nel coprire con una perfetta macchina di glorificazione tutte le buche, I difetti, e le colpe di sé stessa.
Il mistero, tra i tanti, che Fidel porta con sé nella tomba, è se il Leader Maximo nei suoi ultimi anni abbia capito questo stato di cose. Il suo destino personale infatti è quello di essere in qualche modo sopravvissuto a sé stesso, di aver vissuto troppo a lungo per non avere qualche dubbio sulla sua Gloria. Ai fini della storia infatti, Fidel è morto nel 1990 , quando il muro di Berlino crolla trascinando con sé il destino di tutti gli stati rivoluzionari del mondo, incluso quello dell'Isola.
Proprio in quegli anni '90, per riempire il vuoto politico ma soprattutto economico lasciato dalla fine dell'Unione Sovietica, comincia la fase ultima della Revolucion, il "periodo speciale", come viene ribattezzato, che arriva fino ai nostri giorni.
Raul, allora Ministro della Difesa, invia ufficiali di alto rango in giro per il mondo per negoziare nuovi aiuti economici (telefonia, operazioni in aree free- tax , forniture di petrolio, in cui il Venezuela di Chavez avrà un ruolo fondamentale) e per formarsi essi stessi come manager. GAESA, che nasce come il dipartimento delle industrie militari, è il pilastro intorno a cui si aggregano le nuove attività. Raul aggiunge sempre più risorse: vi porta dentro CIMEX, che è allora il più ampio consorzio commerciale, e Habanaguanex, società che raccoglie hotel, ristoranti e proprietà immobiliari, soprattutto nella vecchia Avana. Gaesa prende anche un servizio aereo interno, operato con aerei ex sovietici, e attrazioni turistiche e ovviamente le industrie bandiera di Cuba come lo zucchero e i sigari.
La Cuba degli ultimi anni di Castro e quella dei primi anni si somigliano ormai ben poco. Mentre il grande vecchio continua con I suoi discorsi e I suoi ricordi, le sue uscite spiazzanti, il lutto per l'11 settembre Americano, e il riconoscimento della Chiesa cattolica, nel paese reale dell'autunno del patriarca la famiglia Castro emerge come principale azionista dello stato, al centro di una fitta rete di rapporti internazionali, e di una rete di famiglie di militari che costituiscono il ceppo della nuova oligarchia, che poi dialogherà con Obama, il Vaticano e porterà , per realismo, e per sopravvivenza, il paese verso le aperture che si sono viste recentemente.
I segni della ricchezza di queste famiglie non sfuggono a nessuno. Come denunciano I dissidenti interni, e come persino si fa sfuggire il quotidiano dell'avana " El Heraldo de la Habana", quotidiano del partito comunista racconta di una crociera su yacht nel Mediterraneo da parte del più giovane figlio di Fidel, Antonio. L'articolo ovviamente magnifica le doti di ambasciatore del giovane Castro, che infatti ha anche il titolo di "Global Ambassador of the World Baseball Softball Confederation."
Per il futuro politico di Cuba si lavora invece sul figlio di Raul Alejandro Castro Espin, colonnello del ministero degli interni, dentro cui operano anche le direzioni delle due agenzie di Intelligence interna. A Panama, all'incontro fra Obama e Raul, c'era Castro Espin, e sempre lui, ha accompagnato il padre Raul nella sua visita al Vaticano l'anno scorso.
Questa è oggi la Cuba di cui ci occuperemo nei prossimi mesi. Dopo la morte di Fidel Castro l'Avana dovrà uscire dal passato e trovare il suo nuovo posto in un mondo in cui il comunismo (e presto anche del Capitalismo diremo lo stesso), appartiene a un altro secolo. Esattamente come le grandi imprese di cui Fidel è stato protagonista. Meglio prenderne atto e salutare con un estremo atto di realismo, il vecchio combattente.
Hasta la Victoria, Fidel. Peccato che non sia mai davvero stata raggiunta.
Alejandro, l’erede dei Castro che fa già affari con gli Usa
Il figlio di Raúl presidente ombra. È al vertice della gerarchia dell’isola
L’appuntamento per cena era al Club Habana di Flores, dove negli Anni 20 c’era il prestigioso Biltmore Yacht & Country Club. Alejandro Castro si era presentato a bordo di una vera jeep d’epoca della Seconda guerra mondiale, guidandola lui di persona. L’occasione era l’incontro con un gruppo di imprenditori canadesi, americani e spagnoli, che stavano progettando un grande complesso turistico sulla costa tra L’Avana e Varadero. Per farlo approvare, però, era indispensabile il via libera di Alejandro.
Questo episodio avvenuto nel settembre scorso, che «La Stampa» è in grado di rivelare grazie a una persona presente a quella cena, conferma le voci di corridoio secondo cui il figlio di Raúl è sempre più importante nella gerarchia di Cuba, e molti cominciano a vederlo come il vero erede del padre e dello zio Fidel. Il successore designato resta il vicepresidente Miguel Diaz-Canel, e magari se Raúl si ritirerà l’anno prossimo, come promesso, la guida formale del Paese toccherà davvero a lui. Tutti però sanno che se Alejandro non diventerà presidente, per non dare l’impressione di una successione monarchica all’interno della famiglia, di sicuro dietro le quinte sarà lui a comandare.
La cena di settembre era stata organizzata da un imprenditore americano, capofila di un hedge fund degli Stati Uniti interessato ad investire nell’isola. La legge però vieta ancora queste operazioni dirette, e quindi l’imprenditore si era rivolto ad amici canadesi e alla famiglia dei banchieri spagnoli Botín. Il progetto era enorme: hotel di lusso, campi da golf, marina e mall, con tutti i servizi annessi. Canadesi e spagnoli ci avrebbero messo la faccia, gli americani i soldi. Siccome a Cuba nel campo del turismo nulla si muove senza l’approvazione dei militari, il gruppo di investitori aveva puntato più in alto possibile. Alejandro aveva accettato l’invito, presentandosi e bordo della sua jeep. Aveva conversato amabilmente della sua passione per le auto, lo sport e le donne, senza lasciarsi sfuggire neppure una parola sulla politica. Quindi aveva salutato sorridente, lasciando i commensali ottimisti sulle prospettive del loro progetto.
Ora torna tutto in alto mare, non tanto per la morte di Fidel, quanto per l’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca. Quello che resta fuori dubbio, però, è l’influenza di Alejandro su questo genere di progetti, e in generale sul futuro di Cuba.
L’unico figlio maschio di Raúl e Vilma Espin è nato a L’Avana 51 anni fa, ha una laurea in ingegneria presa all’Instituto Superior Politecnico José Antonio Echeverria, e un master in relazioni internazionali. Appena finiti gli studi era entrato nelle forze armate, seguendo le orme del padre ministro della Difesa. Raúl però faceva sul serio, e lo aveva spedito a farsi le ossa con la missione rivoluzionaria in Angola, dove a causa di un incidente aveva perso la vista da un occhio. Da qui il soprannome «El tuerto», cioè «Il guercio», con cui i dissidenti amano insultarlo. Dopo l’Angola si era trasferito al ministero dell’Interno, crescendo nei ranghi dell’intelligence fino al grado di colonnello, in attesa di promozione a generale. Alex, come lo chiamano gli amici americani, sembrava destinato a una carriera tranquilla all’ombra del padre. La malattia di Fidel, però, ha cambiato tutto. Da quando ha preso il potere, Raúl ha cominciato a coinvolgere sempre di più il figlio negli affari di Stato. Con il consenso di Fidel, che secondo Norberto Fuentes aveva un rapporto col nipote «simile a quello che Vito Corleone aveva con Michael nel Padrino». Nel 2015, quando Raúl aveva incontrato il presidente americano Obama a Panama, al suo fianco c’era Alejandro. Stesso discorso quando a maggio era andato a Roma per vedere Papa Francesco. L’accordo del 17 dicembre, che aveva ristabilito le relazioni tra Washington e L’Avana, aveva incluso anche uno scambio di prigionieri, tra cui tre spie cubane venerate come eroi in patria. Al loro ritorno, ad accoglierli sotto la scaletta dell’aereo c’era Alejandro.
Tutti questi avvistamenti non solo hanno alzato il profilo del figlio di Raúl, ma hanno fatto supporre che abbia avuto un ruolo centrale nell’accordo con gli Usa, nonostante avesse scritto un severo libro contro l’imperialismo americano intitolato «El imperio del terror». Infatti era lui a gestire i progetti per gli investimenti comuni, come quello discusso nella cena di settembre. Ora con Trump cambia tutto, ma il soldato Alejandro è pronto anche a fare il duro, se il nuovo capo della Casa Bianca tornerà ad offrirgli l’embargo come scusa per usare il pugno di ferro.
L’appuntamento per cena era al Club Habana di Flores, dove negli Anni 20 c’era il prestigioso Biltmore Yacht & Country Club. Alejandro Castro si era presentato a bordo di una vera jeep d’epoca della Seconda guerra mondiale, guidandola lui di persona. L’occasione era l’incontro con un gruppo di imprenditori canadesi, americani e spagnoli, che stavano progettando un grande complesso turistico sulla costa tra L’Avana e Varadero. Per farlo approvare, però, era indispensabile il via libera di Alejandro.
Questo episodio avvenuto nel settembre scorso, che «La Stampa» è in grado di rivelare grazie a una persona presente a quella cena, conferma le voci di corridoio secondo cui il figlio di Raúl è sempre più importante nella gerarchia di Cuba, e molti cominciano a vederlo come il vero erede del padre e dello zio Fidel. Il successore designato resta il vicepresidente Miguel Diaz-Canel, e magari se Raúl si ritirerà l’anno prossimo, come promesso, la guida formale del Paese toccherà davvero a lui. Tutti però sanno che se Alejandro non diventerà presidente, per non dare l’impressione di una successione monarchica all’interno della famiglia, di sicuro dietro le quinte sarà lui a comandare.
La cena di settembre era stata organizzata da un imprenditore americano, capofila di un hedge fund degli Stati Uniti interessato ad investire nell’isola. La legge però vieta ancora queste operazioni dirette, e quindi l’imprenditore si era rivolto ad amici canadesi e alla famiglia dei banchieri spagnoli Botín. Il progetto era enorme: hotel di lusso, campi da golf, marina e mall, con tutti i servizi annessi. Canadesi e spagnoli ci avrebbero messo la faccia, gli americani i soldi. Siccome a Cuba nel campo del turismo nulla si muove senza l’approvazione dei militari, il gruppo di investitori aveva puntato più in alto possibile. Alejandro aveva accettato l’invito, presentandosi e bordo della sua jeep. Aveva conversato amabilmente della sua passione per le auto, lo sport e le donne, senza lasciarsi sfuggire neppure una parola sulla politica. Quindi aveva salutato sorridente, lasciando i commensali ottimisti sulle prospettive del loro progetto.
Ora torna tutto in alto mare, non tanto per la morte di Fidel, quanto per l’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca. Quello che resta fuori dubbio, però, è l’influenza di Alejandro su questo genere di progetti, e in generale sul futuro di Cuba.
L’unico figlio maschio di Raúl e Vilma Espin è nato a L’Avana 51 anni fa, ha una laurea in ingegneria presa all’Instituto Superior Politecnico José Antonio Echeverria, e un master in relazioni internazionali. Appena finiti gli studi era entrato nelle forze armate, seguendo le orme del padre ministro della Difesa. Raúl però faceva sul serio, e lo aveva spedito a farsi le ossa con la missione rivoluzionaria in Angola, dove a causa di un incidente aveva perso la vista da un occhio. Da qui il soprannome «El tuerto», cioè «Il guercio», con cui i dissidenti amano insultarlo. Dopo l’Angola si era trasferito al ministero dell’Interno, crescendo nei ranghi dell’intelligence fino al grado di colonnello, in attesa di promozione a generale. Alex, come lo chiamano gli amici americani, sembrava destinato a una carriera tranquilla all’ombra del padre. La malattia di Fidel, però, ha cambiato tutto. Da quando ha preso il potere, Raúl ha cominciato a coinvolgere sempre di più il figlio negli affari di Stato. Con il consenso di Fidel, che secondo Norberto Fuentes aveva un rapporto col nipote «simile a quello che Vito Corleone aveva con Michael nel Padrino». Nel 2015, quando Raúl aveva incontrato il presidente americano Obama a Panama, al suo fianco c’era Alejandro. Stesso discorso quando a maggio era andato a Roma per vedere Papa Francesco. L’accordo del 17 dicembre, che aveva ristabilito le relazioni tra Washington e L’Avana, aveva incluso anche uno scambio di prigionieri, tra cui tre spie cubane venerate come eroi in patria. Al loro ritorno, ad accoglierli sotto la scaletta dell’aereo c’era Alejandro.
Tutti questi avvistamenti non solo hanno alzato il profilo del figlio di Raúl, ma hanno fatto supporre che abbia avuto un ruolo centrale nell’accordo con gli Usa, nonostante avesse scritto un severo libro contro l’imperialismo americano intitolato «El imperio del terror». Infatti era lui a gestire i progetti per gli investimenti comuni, come quello discusso nella cena di settembre. Ora con Trump cambia tutto, ma il soldato Alejandro è pronto anche a fare il duro, se il nuovo capo della Casa Bianca tornerà ad offrirgli l’embargo come scusa per usare il pugno di ferro.
Chi guiderà Cuba dopo Castro?
Miguel Diaz-Canel Bermudez Antonio Castro
Raul Castro terminerà il suo mandato nel febbraio 2018. Ma cosa succederà dopo, alla luce della morte di Fidel? Raul da quasi quattro anni sta costruendo il futuro di Cuba, riporta il Messaggero, da quando ha nominato vicepresidente del Consiglio di Stato, il massimo organo di governo, Miguel Diaz-Canel Bermudez a cui ha affidato non solo il dicastero alla Scienza, educazione, sport e cultura, ma anche la "responsabilità di continuare a costruire il progetto socialista".
Ingegnere elettronico di 56 anni, Diaz-Canel proprio per la sua età non ha conosciuto la rivoluzione ma in trent'anni ha scalato i gradini del potere e ora è considerato l'uomo che traghetterà Cuba nell'era post-castrista. Amato dalla gente, "perché sa ascoltare" ed è una persona estremamente alla mano" ha costruito la sua carriera lontano dai riflettori. Non si è mai fatto tentare dal miele del potere, "non è un ambizioso né un improvvisato", ha detto di lui Raul Castro nell'annunciarne la nomina.
Ora la sua sfida potrebbe essere ostacolata non tanto dai generali e dalla casta militare, bensì dall'ultimo discendente della stirpe: Antonio Castro,settimo dei nove figli di Fidel, nato nel '69 dal matrimonio del Lider Maximo con Dalia Soto del Valle, medico ortopedico, noto soprattutto per la sua passione per il golf e dal profilo politico quasi inesistente.
Ingegnere elettronico di 56 anni, Diaz-Canel proprio per la sua età non ha conosciuto la rivoluzione ma in trent'anni ha scalato i gradini del potere e ora è considerato l'uomo che traghetterà Cuba nell'era post-castrista. Amato dalla gente, "perché sa ascoltare" ed è una persona estremamente alla mano" ha costruito la sua carriera lontano dai riflettori. Non si è mai fatto tentare dal miele del potere, "non è un ambizioso né un improvvisato", ha detto di lui Raul Castro nell'annunciarne la nomina.
Ora la sua sfida potrebbe essere ostacolata non tanto dai generali e dalla casta militare, bensì dall'ultimo discendente della stirpe: Antonio Castro,settimo dei nove figli di Fidel, nato nel '69 dal matrimonio del Lider Maximo con Dalia Soto del Valle, medico ortopedico, noto soprattutto per la sua passione per il golf e dal profilo politico quasi inesistente.
23/8/2016
Comunismo venezuelano 2016
Comunismo venezuelano 2016
LA PRIMA immagine è un ragazzino di dieci anni in bicicletta. Ha una busta di plastica con due sacchetti dentro. Si ferma: "Vuoi un chilo di riso? 4.500 bolivar", dice alzando la busta. Il prezzo è dieci volte quello stampato sul pacchetto e lui, il piccolo Andrés con i capelli chiari a caschetto e l'aria sbarazzina, è uno dei tantissimi bachaqueros che popolano Caracas.
Bachaco in Venezuela è una grossa formica, e oggi, in questa infinita carestia, è diventato il termine per definire quelli che si dedicano al mercato nero dei prodotti - l'85 per cento di quelli di prima necessità - che non si trovano. Sonia, una maestra elementare, 35 anni, ci spiega che negli ultimi sei mesi centinaia di ragazzini hanno abbandonato la scuola per dedicarsi, insieme alle madri, al mercato nero. "A scuola - dice - svenivano dalla fame perché a cena avevano mangiato una banana, e non avevano fatto colazione, e siccome in molti istituti pubblici di Caracas ormai non funzionano più nemmeno le mense, per loro è diventato inutile venire in classe: molto meglio vendere prodotti introvabili ai ricchi". Il mercato nero è organizzato per piccoli clan, cinque, dieci persone. C'è chi fa la fila nei supermercati, spesso d'accordo con qualche impiegato che, via whatsapp, li avvisa quando arriva qualcosa, e con i soldati che vigilano gli ingressi, e che grazie a qualche regalo, gli lasciano portar via molto di più di quello che sarebbe permesso. Poi c'è chi distribuisce. In questo modo l'inflazione è schizzata al 700 per cento. Era al 70 sei mesi fa. Zucchero, riso, olio, pasta e la ricercatissima farina di mais, quella con cui si fa l'arepa, un panino a forma di disco volante, che qui è un piatto nazionale, si trovano solo dai bachequeros. Ma anche pannolini, dentifricio, sapone, shampoo e carta igienica. Alcuni adesso li portano direttamente a casa. Si ordina sul cellulare e si paga con un trasferimento bancario. Basta averci il denaro.
Maria, una biologa con due figlie minorenni che vive a Rosales, un quartiere di classe media di Caracas, dice che da alcuni mesi spende il triplo di quello che guadagnano lei e suo marito, un insegnante, soltanto per comprare da mangiare. Uno stipendio medio non supera i 35 mila bolivar (35 dollari) e per la spesa ce ne vogliono più di 200mila, se va bene. Maria dice che loro stanno usando i risparmi e hanno iniziato a rinunciare a molte cose. Per primo alla carne e al pollo. Non comprano un vestito, né un giocattolo per le bambine che, da tempo, non hanno più la paghetta e escono di casa solo per andare a scuola. Hanno rinunciato all'assicurazione medica e licenziato la ragazza che veniva ad aiutare nelle faccende di casa. Oggi, che è sabato, Maria è in fila, insieme a centinaia di altre donne nel cortile di una scuola di Rosales. Distribuiscono i "clap", delle buste con viveri a prezzi controllati. E' un'idea del generale Wladimir Padrino, capo delle Forze armate, nominato da Maduro superboss per affrontare l'emergenza dell'approvvigionamento alimentare. Per entrare devi essere nella lista, edificio per edificio, famiglia per famiglia. Tutto militarizzato. Nella busta di plastica scura ci sono un litro di succo d'arancia, un litro di latte (altrimenti introvabile) e due etti di burro. L'attesa può durare cinque o sei ore ma alla fine riesci a comprare anche un po' di pesce e verdura. Insieme a Maria c'è Eguys, 70 anni, pensionata, che oltre al frigorifero vuoto ha un problema molto più grave. Non trova medicine, soprattutto quelle per la pressione.
A "Come a casa", un ristorante di Altamira, altro quartiere di classe media ormai devastata, ristampano il menù due volte al mese per correggere i prezzi e cancellare piatti che non possono più cucinare. Aprono solo all'ora di pranzo. Dopo il tramonto a Caracas scatta un coprifuoco volontario. Nessuno s'avventura a uscire di casa. Colpa anche della criminalità: 28mila morti violente nel 2015. Ma soprattutto della mancanza di soldi da spendere.
Sei mesi fa - dice Sandra - non ero contenta se a casa non avevo la dispensa piena. Oggi per esserlo mi basta un piatto di yuca cotta". Qui la chiamano la dieta Maduro e, da una parte e dall'altra della barricata politica, con molto cinismo, ci scherzano anche. "Che altro volete la carne fa male meglio non mangiarla, lo dice anche l'Organizzazione mondiale della Sanità ", ha scritto un sito web dei chavisti al governo. E così, mentre la gente dimagrisce a vista d'occhio, nasce anche la dieta perfetta imposta a tutto il Paese dal presidente. Non c'è olio, quindi niente grassi. Non c'è zucchero, quindi non si rischia il diabete. Non c'è farina, quindi pochi carboidrati. Non c'è burro, quindi niente ciccia sulle cosce. Sono carissime anche le verdura e la frutta ma si trovano. Sandra, 45 anni, vive con il compagno, Carlos, in un ex ostello occupato a Quinta Crespo, un quartiere povero ma abbastanza centrale di Caracas. Hanno due stanze, lontane una dall'altra. In tutto poco più di 10 metri quadrati. In una c'è il letto attaccato ai fornelli e al frigo. Nell'altra il bagno e il magazzino. Sandra è cuoca ma adesso è in malattia, l'hanno operata alla ovaie, e non ha idea se ritroverà il suo posto quando finirà la convalescenza. Carlos fa il parcheggiatore. Anni fa aveva un lavoro fisso. Motorista in Parlamento. Poi lo cacciarono, in una delle tante purghe di Hugo Chávez fra gli impiegati pubblici, perché firmò contro il caudillo. "D'altra parte non avevo scelta - dice -, lavoravo per un deputato dell'opposizione che mi avrebbe licenziato se non avessi firmato".
E qui, in un Paese sempre più sotto il controllo delle Forze armate, dei servizi di sicurezza e dei reparti speciali, c'è l'altra faccia dell'emergenza: la gente ha paura. Patrizia dirige a Caracas una clinica privata. I suoi genitori erano italiani e lei è una delle decine di migliaia di oriundi che vivono in Venezuela. "Negli ospedali - racconta - manca tutto, dagli antibiotici alle garze. Spesso è inutile ricoverare i feriti gravi perché non puoi curarli ma solo lasciarli morire". Non funzionano, per mancanza di ricambi, le attrezzature per fare le analisi. "Fare una mammografia e perfino un esame del sangue - aggiunge Patrizia - è diventato un incubo". I medici chiedono ai pazienti di comprare loro, se lo trovano, quel che serve. "Succede - spiega Patrizia - con i parti. Non c'è ossitocina, la sostanza che aiuta a dilatare l'utero, e se non la trova di contrabbando la famiglia della partoriente, bisogna fare senza ". Ma mancano anche i sieri fisiologici, le cure per i tumori e per il diabete, le pillole per il Parkinson, perfino gli antidepressivi e naturalmente gli antidolorifici.
Sono in crescita esponenziale i casi di morte dei neonati. In Venezuela erano lo 0,02% nel 2012 e sono diventati oltre il 2% ma è un dato dell'anno scorso. Negli ultimi sei mesi sarebbero ancora raddoppiati. E la situazione è molto più grave lontano dalla capitale, dove sono morti neonati nelle incubatrici per i black out della luce. Dieci giorni fa il Paese s'è commosso per la morte della prima miss Mondo venezuelana, anno 1955, Susana Dujim. Aveva 79 anni e ha avuto un ictus dopo essere rimasta per settimane senza le pillole per controllare la pressione che non riusciva più a trovare. Ma sulla catastrofe sanitaria c'è la censura del governo che si rifiuta di riconoscere la crisi umanitaria e di chiedere aiuto agli organismi internazionali per rifornire il Paese dei farmaci necessari. "Prima l'indipendenza e la sovranità socialista - dice Maduro - , qui non entra nessuno, non abbiamo bisogno di aiuti".
Se n'è andato Luis, in Florida, a pulire piscine. Se n'è andata Daniela, in Scozia. Se n'è andato Angel, in Spagna. Se n'è andata anche Claudia in Cile. Chi ci riesce mette in salvo i propri cari. Due milioni e mezzo di persone sono emigrate dall'inizio, ormai quasi vent'anni fa, dell'avventura chavista. Ma mentre prima partiva la borghesia ricca, ora fa le valigie anche la classe media bassa. La diaspora si espande. E qui non si parla d'altro che di come andarsene e di quelli che si preparano a andarsene. I "no show" sui biglietti di ritorno per i voli negli Stati Uniti sfiorano il 70 percento.
Luigi, 40 anni, un altro italiano, imprenditore con una fabbrica tessile e cento operai: "Ho ridotto la produzione del 60% negli ultimi sei mesi, cancellato tutti i contratti con l'indotto, se continua così a dicembre fallisco. La metà della mia famiglia, fra figli, fratelli, nipoti e cugini, ha già lasciato il Venezuela". D'altra parte questo è un Paese che si sta fermando e come un'auto spenta in salita caracolla all'indietro.
Dice Alfredo, un chirurgo: "Siamo tornati a lavorare in sala operatoria come negli anni Quaranta del secolo scorso. Ai miei assistenti dico di guardare Mash, il film di Altman sull'ospedale da campo in Corea, per imparare qualcosa". Non ci sono più aziende straniere. Una delle ultime, l'americana Kimberly Clark, che produceva fazzoletti, pannolini e tovaglie di carta, ha chiuso la settimana scorsa ed è stata nazionalizzata. L'aeroporto di Maiquetía è mezzo deserto. Hanno cancellato Caracas dalle loro rotte compagnie come la Lufthansa, l'Alitalia, Air Canada, e molte di quelle statunitensi. L'ultima, questa settimana, a sospendere i voli è stata Latam, la più importante tra le sudamericane. Una conseguenza dei debiti miliardari del governo venezuelano, che per anni ha costretto le compagnie aeree a vendere biglietti calmierati con la promessa, non mantenuta, che le avrebbe risarcite. Un'altra delle politiche populiste di Chávez in voga quando il petrolio oltre i cento dollari al barile metteva il turbo alla festa. Oggi il bilancio statale non basta a coprire neppure la metà delle importazioni necessarie a sfamare il Paese.
Cambiare le gomme all'auto costa una fortuna e guai se si rompe un condizionatore. E' sparita anche la chirurgia estetica, croce e delizia delle venezuelane. "Ma l'incubo di questa lunga notte - dice l'economista Tamara Herrera - è appena cominciato". La situazione politica è ormai allo scontro aperto. L'opposizione, che ha stravinto le elezioni parlamentari a dicembre, vuole un referendum per abrogare Maduro che, invece, usa tutti i suoi poteri per allontanare il giudizio finale. Ora ha firmato un decreto grazie al quale può costringere gli impiegati pubblici a lavorare nei campi per combattere la crisi alimentare.
Bachaco in Venezuela è una grossa formica, e oggi, in questa infinita carestia, è diventato il termine per definire quelli che si dedicano al mercato nero dei prodotti - l'85 per cento di quelli di prima necessità - che non si trovano. Sonia, una maestra elementare, 35 anni, ci spiega che negli ultimi sei mesi centinaia di ragazzini hanno abbandonato la scuola per dedicarsi, insieme alle madri, al mercato nero. "A scuola - dice - svenivano dalla fame perché a cena avevano mangiato una banana, e non avevano fatto colazione, e siccome in molti istituti pubblici di Caracas ormai non funzionano più nemmeno le mense, per loro è diventato inutile venire in classe: molto meglio vendere prodotti introvabili ai ricchi". Il mercato nero è organizzato per piccoli clan, cinque, dieci persone. C'è chi fa la fila nei supermercati, spesso d'accordo con qualche impiegato che, via whatsapp, li avvisa quando arriva qualcosa, e con i soldati che vigilano gli ingressi, e che grazie a qualche regalo, gli lasciano portar via molto di più di quello che sarebbe permesso. Poi c'è chi distribuisce. In questo modo l'inflazione è schizzata al 700 per cento. Era al 70 sei mesi fa. Zucchero, riso, olio, pasta e la ricercatissima farina di mais, quella con cui si fa l'arepa, un panino a forma di disco volante, che qui è un piatto nazionale, si trovano solo dai bachequeros. Ma anche pannolini, dentifricio, sapone, shampoo e carta igienica. Alcuni adesso li portano direttamente a casa. Si ordina sul cellulare e si paga con un trasferimento bancario. Basta averci il denaro.
Maria, una biologa con due figlie minorenni che vive a Rosales, un quartiere di classe media di Caracas, dice che da alcuni mesi spende il triplo di quello che guadagnano lei e suo marito, un insegnante, soltanto per comprare da mangiare. Uno stipendio medio non supera i 35 mila bolivar (35 dollari) e per la spesa ce ne vogliono più di 200mila, se va bene. Maria dice che loro stanno usando i risparmi e hanno iniziato a rinunciare a molte cose. Per primo alla carne e al pollo. Non comprano un vestito, né un giocattolo per le bambine che, da tempo, non hanno più la paghetta e escono di casa solo per andare a scuola. Hanno rinunciato all'assicurazione medica e licenziato la ragazza che veniva ad aiutare nelle faccende di casa. Oggi, che è sabato, Maria è in fila, insieme a centinaia di altre donne nel cortile di una scuola di Rosales. Distribuiscono i "clap", delle buste con viveri a prezzi controllati. E' un'idea del generale Wladimir Padrino, capo delle Forze armate, nominato da Maduro superboss per affrontare l'emergenza dell'approvvigionamento alimentare. Per entrare devi essere nella lista, edificio per edificio, famiglia per famiglia. Tutto militarizzato. Nella busta di plastica scura ci sono un litro di succo d'arancia, un litro di latte (altrimenti introvabile) e due etti di burro. L'attesa può durare cinque o sei ore ma alla fine riesci a comprare anche un po' di pesce e verdura. Insieme a Maria c'è Eguys, 70 anni, pensionata, che oltre al frigorifero vuoto ha un problema molto più grave. Non trova medicine, soprattutto quelle per la pressione.
A "Come a casa", un ristorante di Altamira, altro quartiere di classe media ormai devastata, ristampano il menù due volte al mese per correggere i prezzi e cancellare piatti che non possono più cucinare. Aprono solo all'ora di pranzo. Dopo il tramonto a Caracas scatta un coprifuoco volontario. Nessuno s'avventura a uscire di casa. Colpa anche della criminalità: 28mila morti violente nel 2015. Ma soprattutto della mancanza di soldi da spendere.
Sei mesi fa - dice Sandra - non ero contenta se a casa non avevo la dispensa piena. Oggi per esserlo mi basta un piatto di yuca cotta". Qui la chiamano la dieta Maduro e, da una parte e dall'altra della barricata politica, con molto cinismo, ci scherzano anche. "Che altro volete la carne fa male meglio non mangiarla, lo dice anche l'Organizzazione mondiale della Sanità ", ha scritto un sito web dei chavisti al governo. E così, mentre la gente dimagrisce a vista d'occhio, nasce anche la dieta perfetta imposta a tutto il Paese dal presidente. Non c'è olio, quindi niente grassi. Non c'è zucchero, quindi non si rischia il diabete. Non c'è farina, quindi pochi carboidrati. Non c'è burro, quindi niente ciccia sulle cosce. Sono carissime anche le verdura e la frutta ma si trovano. Sandra, 45 anni, vive con il compagno, Carlos, in un ex ostello occupato a Quinta Crespo, un quartiere povero ma abbastanza centrale di Caracas. Hanno due stanze, lontane una dall'altra. In tutto poco più di 10 metri quadrati. In una c'è il letto attaccato ai fornelli e al frigo. Nell'altra il bagno e il magazzino. Sandra è cuoca ma adesso è in malattia, l'hanno operata alla ovaie, e non ha idea se ritroverà il suo posto quando finirà la convalescenza. Carlos fa il parcheggiatore. Anni fa aveva un lavoro fisso. Motorista in Parlamento. Poi lo cacciarono, in una delle tante purghe di Hugo Chávez fra gli impiegati pubblici, perché firmò contro il caudillo. "D'altra parte non avevo scelta - dice -, lavoravo per un deputato dell'opposizione che mi avrebbe licenziato se non avessi firmato".
E qui, in un Paese sempre più sotto il controllo delle Forze armate, dei servizi di sicurezza e dei reparti speciali, c'è l'altra faccia dell'emergenza: la gente ha paura. Patrizia dirige a Caracas una clinica privata. I suoi genitori erano italiani e lei è una delle decine di migliaia di oriundi che vivono in Venezuela. "Negli ospedali - racconta - manca tutto, dagli antibiotici alle garze. Spesso è inutile ricoverare i feriti gravi perché non puoi curarli ma solo lasciarli morire". Non funzionano, per mancanza di ricambi, le attrezzature per fare le analisi. "Fare una mammografia e perfino un esame del sangue - aggiunge Patrizia - è diventato un incubo". I medici chiedono ai pazienti di comprare loro, se lo trovano, quel che serve. "Succede - spiega Patrizia - con i parti. Non c'è ossitocina, la sostanza che aiuta a dilatare l'utero, e se non la trova di contrabbando la famiglia della partoriente, bisogna fare senza ". Ma mancano anche i sieri fisiologici, le cure per i tumori e per il diabete, le pillole per il Parkinson, perfino gli antidepressivi e naturalmente gli antidolorifici.
Sono in crescita esponenziale i casi di morte dei neonati. In Venezuela erano lo 0,02% nel 2012 e sono diventati oltre il 2% ma è un dato dell'anno scorso. Negli ultimi sei mesi sarebbero ancora raddoppiati. E la situazione è molto più grave lontano dalla capitale, dove sono morti neonati nelle incubatrici per i black out della luce. Dieci giorni fa il Paese s'è commosso per la morte della prima miss Mondo venezuelana, anno 1955, Susana Dujim. Aveva 79 anni e ha avuto un ictus dopo essere rimasta per settimane senza le pillole per controllare la pressione che non riusciva più a trovare. Ma sulla catastrofe sanitaria c'è la censura del governo che si rifiuta di riconoscere la crisi umanitaria e di chiedere aiuto agli organismi internazionali per rifornire il Paese dei farmaci necessari. "Prima l'indipendenza e la sovranità socialista - dice Maduro - , qui non entra nessuno, non abbiamo bisogno di aiuti".
Se n'è andato Luis, in Florida, a pulire piscine. Se n'è andata Daniela, in Scozia. Se n'è andato Angel, in Spagna. Se n'è andata anche Claudia in Cile. Chi ci riesce mette in salvo i propri cari. Due milioni e mezzo di persone sono emigrate dall'inizio, ormai quasi vent'anni fa, dell'avventura chavista. Ma mentre prima partiva la borghesia ricca, ora fa le valigie anche la classe media bassa. La diaspora si espande. E qui non si parla d'altro che di come andarsene e di quelli che si preparano a andarsene. I "no show" sui biglietti di ritorno per i voli negli Stati Uniti sfiorano il 70 percento.
Luigi, 40 anni, un altro italiano, imprenditore con una fabbrica tessile e cento operai: "Ho ridotto la produzione del 60% negli ultimi sei mesi, cancellato tutti i contratti con l'indotto, se continua così a dicembre fallisco. La metà della mia famiglia, fra figli, fratelli, nipoti e cugini, ha già lasciato il Venezuela". D'altra parte questo è un Paese che si sta fermando e come un'auto spenta in salita caracolla all'indietro.
Dice Alfredo, un chirurgo: "Siamo tornati a lavorare in sala operatoria come negli anni Quaranta del secolo scorso. Ai miei assistenti dico di guardare Mash, il film di Altman sull'ospedale da campo in Corea, per imparare qualcosa". Non ci sono più aziende straniere. Una delle ultime, l'americana Kimberly Clark, che produceva fazzoletti, pannolini e tovaglie di carta, ha chiuso la settimana scorsa ed è stata nazionalizzata. L'aeroporto di Maiquetía è mezzo deserto. Hanno cancellato Caracas dalle loro rotte compagnie come la Lufthansa, l'Alitalia, Air Canada, e molte di quelle statunitensi. L'ultima, questa settimana, a sospendere i voli è stata Latam, la più importante tra le sudamericane. Una conseguenza dei debiti miliardari del governo venezuelano, che per anni ha costretto le compagnie aeree a vendere biglietti calmierati con la promessa, non mantenuta, che le avrebbe risarcite. Un'altra delle politiche populiste di Chávez in voga quando il petrolio oltre i cento dollari al barile metteva il turbo alla festa. Oggi il bilancio statale non basta a coprire neppure la metà delle importazioni necessarie a sfamare il Paese.
Cambiare le gomme all'auto costa una fortuna e guai se si rompe un condizionatore. E' sparita anche la chirurgia estetica, croce e delizia delle venezuelane. "Ma l'incubo di questa lunga notte - dice l'economista Tamara Herrera - è appena cominciato". La situazione politica è ormai allo scontro aperto. L'opposizione, che ha stravinto le elezioni parlamentari a dicembre, vuole un referendum per abrogare Maduro che, invece, usa tutti i suoi poteri per allontanare il giudizio finale. Ora ha firmato un decreto grazie al quale può costringere gli impiegati pubblici a lavorare nei campi per combattere la crisi alimentare.
16 Giugno 2016
Cosa è Cuba
Cosa è Cuba, che posto è, come è la gente la abita, come è i suo sistema sociale, politico ed economico? Si potrebbe cominciare a fare una passeggiata per l'Havana e lasciarsi andare alle sensazioni. La sensazione più chiara è che l'intera capitale di Cuba è come un enorme cimitero monumentale, le case, tranne qualche edificio del governo o restaurato da stranieri sposati con cubani sono pressoché tutte vecchie e malandate, molte pericolanti o comunque in condizioni di incredibile trascuratezza e vengono abitate finché letteralmente non crollano i solai, esattamente come delle tombe che devono sfidare il tempo senza alcuna manutenzione perché anche i parenti dei defunti sono anche loro defunti da tempo.
Dai racconti di chi la rivoluzione l'ha vissuta risulta evidente che quando Fidel Castro prese il potere, una massa di poveri e meno poveri si avventò sulla Havana e su su tutte le città di Cuba e in nome della rivoluzione saccheggiando e rubando tutto il possibile dalle sontuose residenze di coloro considerati i ricchi da colpire, la capitale era splendida a quel tempo , era una città con un numero incredibile di sontuose ville e di edifici di grande prestigio, con delle infrastrutture possenti e ben realizzate, tanto che ancora oggi a Cuba gran parte dell'impianto elettrico cittadino e le ampie strade e marciapiedi sono quelli del tempo della rivoluzione, come ancora viene usato il vecchio sistema fognario e idraulico, naturalmente tutto viene continuamente rattoppato, ma d'altro canto anche le auto che girano per Cuba sono quasi tutte del tempo precedente alla rivoluzione e solo in parte degli anni 70, grazie alle donazioni dell'ex Unione Sovietica. La sensazione è che la rivoluzione è sopravvissuta fino ad oggi perché si è impadronita città ed infrastrutture ben costruite senza badare a spese e pensate per durare nel tempo, ma dal punto di vista economico non è neppure riuscita a mantenere quello di cui si è impadronita, i cubani non hanno toccato un chiodo della maggior parte degli edifici e direi oggetto dal 1959 e non lo hanno fatto neppure nel periodo di vacche grasse, quando l'Unione Sovietica si occupava di riempire gli scaffali dei magazzini statali cubani e a Cuba non mancava nulla. La gente di cuba com'è? Povera, di una povertà atavica che ne ha modellato la morale e i modi, tanto povera che l'impressione è che non cambierà mai, come se su questo pianeta fosse questo il ruolo che si è ritagliata, imprigionata in un sistema politico ed economico che definire una una farsa è già fargli una gentilezza. A Cuba sembra che giochino tutti, è tutto un gioco a fare la dittatura, dal poliziotto che fa il duro per strada alle riunioni di rendiconto che tutti i bravi cittadini devono fare nel quartiere e il CDR che dovrebbe vigilare su tutti, con mille e più collettivi che si occupano di qualsiasi cosa, e tutti devono sempre fare la fila per qualsiasi cosa, per prendere il bus stracarico o per comprare il gelato o il pane, a Cuba è tutta una fila. Il regime castrista ha creato una rete capillare di organismi statali che si occupano almeno in teoria di qualsiasi aspetto della vita dei cubani, ma nella realtà non funziona quasi nulla, ma tanto che importa è tutto un gioco. E poi ci sono i grandi misteriosi edifici dei servizi segreti, dove non si vede mai entrare o uscire nessuno e che non si sa bene cosa spiino. L'etere è pieno di stazioni radio tutte ovviamente statali e tutte molto retrò, con pochi annunci commerciali fatti in stile anni 70 a volte con tanto di effetto eco e molta musica latina, il tutto annaffiato da martellante propaganda politica che a Cuba non manca mai in nessun aspetto della vita sociale. Di tanto in tanto di notte qualche “collettivo” o qualche DJ ribelle mette qualche brano decente, ma poi si torna alla musica latina e alla propaganda politica. E poi c'è la super star delle radio cubane, la più folle e assurda di tutte: Radio Reloj, una radio che trasmette senza sosta notizie ma soprattutto feroce propaganda politica, grazie a una serie di poveracci che si danno il cambio giorno e notte costretti a leggere velocemente notizie scritte per essere lette in un minuto con il tic tac dell'orologio in sottofondo, cercando di farle finire in coincidenza con lo scoccare del segnale orario di ogni singolo minuto. Dall'anno scorso c'è internet wifi anche per i cubani, censurata e al modico prezzo di due cuc l'ora, in un paese dove gli stipendi non superano i venticinque cuc al mese, ma tanto è tutto un gioco, come il fatto che una bottiglia d'acqua o una birra in lattina scadente costano un cuc anche al supermercato mentre in un paese normale costano 30 centesimi, per fortuna i cubani hanno capito come navigare in massa usando solo una scheda da due cuc mettendo assieme un accrocco composto da due semplici router wifi o con un software chiamato connettify. Peccato che la maggior parte dei cubani usino internet semplicemente per usare Facebook o fare video chiamate con i parenti emigrati. Alla maggior parte dei cubani non importa niente dei dissidenti e di usare internet per capire il mondo esterno e capire in che razza di pasticcio immane si sono cacciati affidandosi a una dittatura socialista, sono più attratti dal reguetton, dalle telenovelas e dalle serie TV che dal finire accusati di spionaggio e di attentare alla solidità dello splendido partito comunista di Cuba. Obama ha visitato Cuba e a reazione del governo è stata di chiudersi ancora di più in affermazioni che non lasciano nessuna speranza di cambiamento in tempi brevi, Raul Castro è stato chiaro in più occasioni dichiarando che Cuba ha un partito unico perfetto e la demenziale democrazia che frammenta il potere è solo un sistema che la borghesia vorrebbe imporre a Cuba per distruggerla. Bene, ci si può credere o no che Cuba è un paese libero e che i cubani sono felici di portare avanti la rivoluzione, io non ci credo, per me Cuba è solo una polveriera pronta a saltare, un mix micidiale di ignoranza, degrado morale, dittatura e corruzione, con gran parte delle nuove generazioni ormai lontanissime dalla rivoluzione che reagiscono al momento con una sorta di anarchia e disobbedienza civile, sempre più vicine a chiedere la libertà e che per adesso che nessuno li ascolta in un certo senso se la prendono da soli quella libertà, con atteggiamenti in parte dovuti all'ignoranza, in parte al fatto che quelle nuove generazioni sono assolutamente prive di ideali, basta andare in una discoteca o ad un concerto per capire cosa intendo. La libertà dall'infinita, inutile e incomprensibile guerra contro il mondo intero e il sistema economico capitalista che è poi lo stesso che tramite il turismo, il commercio estero e le rimesse in denaro dai parenti emigrati mantiene in vita il regime castrista e tutti i cubani, sebbene al limite della dignità umana. Lo stesso mondo che tutti a Cuba, anche i bambini hanno ormai capito è la grande mammella da cui attingere, per sopravvivere al sistema economico totalmente fallimentare e ridicolo imposto dalla dittatura. Per molti cubani i turisti sono come alieni di un altro pianeta dove tutti sono enormemente ricchi, arrivano su grandi e moderne astronavi all'aeroporto, hanno addosso una quantità di denaro inaudita per i loro canoni, in un giorno un turista a Cuba può spendere molte volte il salario di un anno intero di un cittadino cubano, sono alieni rilassati e felici. Per molti turisti i cubani sono invece degli strani esseri inferiori di uno strano pianeta che si ostinano a vivere nella miseria continuando ad adottare un sistema economico e sociale che ha sempre e solo funzionato nella teoria facendo di quella miseria economica e morale la loro attrazione turistica, si, miseria anche morale perché una fetta del turismo che si reca a Cuba è turismo sessuale e ad accompagnare a prostituirsi le donne cubane ormai sono fidanzati e mariti, come se fosse una cosa normale. Il turista non comprende come i cubani possano essere arrivati al punto di vendere il proprio corpo arrivando al punto di farne una loro caratteristica attrazione turistica pur di non ribellarsi alla dittatura che li ha ridotti alla fame e alla privazione della libertà.
Ma il cubano è fatto così, preferisce fuggire da Cuba ed emigrare che fare qualcosa per cambiare le cose nel proprio paese, per i cubani, anche per quelli più apertamente critici verso la dittatura il chiedere democrazia e un cambio del sistema economico è un tabù troppo grande da superare, è ormai mezzo secolo che chi osa sfidare o semplicemente criticare il potere dei fratelli Castro finisce in galera o viene additato come verme traditore, tutti lo sanno e pochi hanno il coraggio di sfidare il regime, quelli che lo fanno sono emarginati, spesso incarcerati, in questo momento sono circa 110 i prigionieri politici nelle galere cubane e il regime della loro esistenza non fa molta propaganda, per cui spesso dissidenti che hanno passato decenni in galera patendo torture e umiliazioni sono praticamente sconosciuti per i cubani, mentre sono conosciuti all'estero dove le notizie circolano liberamente grazie a una rete di dissidenti che vivono dentro e fuori Cuba. Questa è Cuba, le spiagge e le aragoste sono solo per i turisti. Ma forse per questo è affascinante Cuba, una strana società dove vale una sola regola: sopravvivere a tutti i costi, rubare, truffare, fare contrabbando, prostituirsi, rubare al governo tutto il possibile, qualsiasi cosa pur di riuscire a vivere, a Cuba tutte le metafore e le battute da bar sul comunismo si realizzano tragicamente, escluso che i comunisti mangiano i bambini tutto il resto è tragicamente vero, si, il comunismo è una cosa terrificante, la democrazia è compromesso e non è perfetto come sistema sociale, ma il comunismo semplificando si può definire semplicemente come miseria nera, ignoranza e totale mancanza di libertà e questi ingredienti a Cuba ci sono indubbiamente tutti, esattamente come è sempre stato in qualsiasi posto su questo pianeta dove si è provato ad adottare i sistema comunista. A Cuba la fine dell'incubo sembra non arrivare mai, neppure adesso che l'Unione Sovietica che la manteneva non esiste più, neppure dopo che i paesi dell'est Europa hanno abbandonato il comunismo e questo a causa della tenacia del regime castrista a mantenere il potere e soprattutto di quel turismo che porta denaro, quel denaro che è la medicina e nello stesso tempo il veleno per i cubani, perché alimenta direttamente il regime dittatoriale, prolungando la loro agonia all'infinito. Le case della Havana si stanno lentamente sgretolando, forse solo quando non ne sarà rimasta solo che polvere tutto finirà. Cuba è sprofondata così tanto nel contorto e oscuro sistema che ha imposto la famiglia Castro che uscirne non sarà facile, il rischio è che se la conversione ad un sistema economico, fiscale e politico non verrà effettuata nei tempi e nei modi giusti Cuba potrebbe diventare un posto simile a molti paesi dell'area Caraibica o del centro America, con una disparità sociale sempre più grande e una criminalità sempre più feroce che renderebbe la vita impossibile. Cuba adesso si trova in una situazione di stallo, cambiare significa correre dei rischi che fanno paura, non cambiare significa morire come nazione, ma il comunismo castrista e la sua “rivoluzione” non danno spazio a compromessi, non esiste la possibilità di rinnegare le basi fondamentali della dottrina adottata per quasi sessanta anni in maniera del tutto indolore, passare da un'economia disastrata e quasi inesistente ad un regime economico dignitoso e non statale ma libero non è cosa semplice, e poi ci sono i cubani, come reagirebbero? Dopo tre generazioni di dittatura saprebbero gestire la libertà e una libera economia? Saprebbero formare una classe politica capace di governare l'isola nella difficile transizione o se fossero liberi di decidere chi li governa dopo pochi anni finirebbero per rimpiangere la dittatura? Certo è che il conto che i cubani dovranno pagare per uscire dall'inferno dove si sono cacciati sarà salato e più tempo ancora continueranno a vivere senza avere il coraggio di alzare lo sguardo e chiedere libertà accettando i rischi che questo comporta più sarà salato. La più grande sconfitta del popolo cubano è stata aver vinto la rivoluzione, la loro unica futura via d'uscita sarà ammettere che affidarsi a Fidel Castro è stata la più grande idiozia che mai un intero popolo abbia potuto fare, perché Fidel Castro ha impedito lo sviluppo della nazione cubana, congelando il paese nel tempo, rendendo la rivoluzione eterna e imponendo la non reversibilità del sistema comunista, di fatto condannando Cuba a restare tagliata fuori dal mondo, dall'economia e dalla possibilità di sviluppare una democrazia.
Cosa è Cuba
Cosa è Cuba, che posto è, come è la gente la abita, come è i suo sistema sociale, politico ed economico? Si potrebbe cominciare a fare una passeggiata per l'Havana e lasciarsi andare alle sensazioni. La sensazione più chiara è che l'intera capitale di Cuba è come un enorme cimitero monumentale, le case, tranne qualche edificio del governo o restaurato da stranieri sposati con cubani sono pressoché tutte vecchie e malandate, molte pericolanti o comunque in condizioni di incredibile trascuratezza e vengono abitate finché letteralmente non crollano i solai, esattamente come delle tombe che devono sfidare il tempo senza alcuna manutenzione perché anche i parenti dei defunti sono anche loro defunti da tempo.
Dai racconti di chi la rivoluzione l'ha vissuta risulta evidente che quando Fidel Castro prese il potere, una massa di poveri e meno poveri si avventò sulla Havana e su su tutte le città di Cuba e in nome della rivoluzione saccheggiando e rubando tutto il possibile dalle sontuose residenze di coloro considerati i ricchi da colpire, la capitale era splendida a quel tempo , era una città con un numero incredibile di sontuose ville e di edifici di grande prestigio, con delle infrastrutture possenti e ben realizzate, tanto che ancora oggi a Cuba gran parte dell'impianto elettrico cittadino e le ampie strade e marciapiedi sono quelli del tempo della rivoluzione, come ancora viene usato il vecchio sistema fognario e idraulico, naturalmente tutto viene continuamente rattoppato, ma d'altro canto anche le auto che girano per Cuba sono quasi tutte del tempo precedente alla rivoluzione e solo in parte degli anni 70, grazie alle donazioni dell'ex Unione Sovietica. La sensazione è che la rivoluzione è sopravvissuta fino ad oggi perché si è impadronita città ed infrastrutture ben costruite senza badare a spese e pensate per durare nel tempo, ma dal punto di vista economico non è neppure riuscita a mantenere quello di cui si è impadronita, i cubani non hanno toccato un chiodo della maggior parte degli edifici e direi oggetto dal 1959 e non lo hanno fatto neppure nel periodo di vacche grasse, quando l'Unione Sovietica si occupava di riempire gli scaffali dei magazzini statali cubani e a Cuba non mancava nulla. La gente di cuba com'è? Povera, di una povertà atavica che ne ha modellato la morale e i modi, tanto povera che l'impressione è che non cambierà mai, come se su questo pianeta fosse questo il ruolo che si è ritagliata, imprigionata in un sistema politico ed economico che definire una una farsa è già fargli una gentilezza. A Cuba sembra che giochino tutti, è tutto un gioco a fare la dittatura, dal poliziotto che fa il duro per strada alle riunioni di rendiconto che tutti i bravi cittadini devono fare nel quartiere e il CDR che dovrebbe vigilare su tutti, con mille e più collettivi che si occupano di qualsiasi cosa, e tutti devono sempre fare la fila per qualsiasi cosa, per prendere il bus stracarico o per comprare il gelato o il pane, a Cuba è tutta una fila. Il regime castrista ha creato una rete capillare di organismi statali che si occupano almeno in teoria di qualsiasi aspetto della vita dei cubani, ma nella realtà non funziona quasi nulla, ma tanto che importa è tutto un gioco. E poi ci sono i grandi misteriosi edifici dei servizi segreti, dove non si vede mai entrare o uscire nessuno e che non si sa bene cosa spiino. L'etere è pieno di stazioni radio tutte ovviamente statali e tutte molto retrò, con pochi annunci commerciali fatti in stile anni 70 a volte con tanto di effetto eco e molta musica latina, il tutto annaffiato da martellante propaganda politica che a Cuba non manca mai in nessun aspetto della vita sociale. Di tanto in tanto di notte qualche “collettivo” o qualche DJ ribelle mette qualche brano decente, ma poi si torna alla musica latina e alla propaganda politica. E poi c'è la super star delle radio cubane, la più folle e assurda di tutte: Radio Reloj, una radio che trasmette senza sosta notizie ma soprattutto feroce propaganda politica, grazie a una serie di poveracci che si danno il cambio giorno e notte costretti a leggere velocemente notizie scritte per essere lette in un minuto con il tic tac dell'orologio in sottofondo, cercando di farle finire in coincidenza con lo scoccare del segnale orario di ogni singolo minuto. Dall'anno scorso c'è internet wifi anche per i cubani, censurata e al modico prezzo di due cuc l'ora, in un paese dove gli stipendi non superano i venticinque cuc al mese, ma tanto è tutto un gioco, come il fatto che una bottiglia d'acqua o una birra in lattina scadente costano un cuc anche al supermercato mentre in un paese normale costano 30 centesimi, per fortuna i cubani hanno capito come navigare in massa usando solo una scheda da due cuc mettendo assieme un accrocco composto da due semplici router wifi o con un software chiamato connettify. Peccato che la maggior parte dei cubani usino internet semplicemente per usare Facebook o fare video chiamate con i parenti emigrati. Alla maggior parte dei cubani non importa niente dei dissidenti e di usare internet per capire il mondo esterno e capire in che razza di pasticcio immane si sono cacciati affidandosi a una dittatura socialista, sono più attratti dal reguetton, dalle telenovelas e dalle serie TV che dal finire accusati di spionaggio e di attentare alla solidità dello splendido partito comunista di Cuba. Obama ha visitato Cuba e a reazione del governo è stata di chiudersi ancora di più in affermazioni che non lasciano nessuna speranza di cambiamento in tempi brevi, Raul Castro è stato chiaro in più occasioni dichiarando che Cuba ha un partito unico perfetto e la demenziale democrazia che frammenta il potere è solo un sistema che la borghesia vorrebbe imporre a Cuba per distruggerla. Bene, ci si può credere o no che Cuba è un paese libero e che i cubani sono felici di portare avanti la rivoluzione, io non ci credo, per me Cuba è solo una polveriera pronta a saltare, un mix micidiale di ignoranza, degrado morale, dittatura e corruzione, con gran parte delle nuove generazioni ormai lontanissime dalla rivoluzione che reagiscono al momento con una sorta di anarchia e disobbedienza civile, sempre più vicine a chiedere la libertà e che per adesso che nessuno li ascolta in un certo senso se la prendono da soli quella libertà, con atteggiamenti in parte dovuti all'ignoranza, in parte al fatto che quelle nuove generazioni sono assolutamente prive di ideali, basta andare in una discoteca o ad un concerto per capire cosa intendo. La libertà dall'infinita, inutile e incomprensibile guerra contro il mondo intero e il sistema economico capitalista che è poi lo stesso che tramite il turismo, il commercio estero e le rimesse in denaro dai parenti emigrati mantiene in vita il regime castrista e tutti i cubani, sebbene al limite della dignità umana. Lo stesso mondo che tutti a Cuba, anche i bambini hanno ormai capito è la grande mammella da cui attingere, per sopravvivere al sistema economico totalmente fallimentare e ridicolo imposto dalla dittatura. Per molti cubani i turisti sono come alieni di un altro pianeta dove tutti sono enormemente ricchi, arrivano su grandi e moderne astronavi all'aeroporto, hanno addosso una quantità di denaro inaudita per i loro canoni, in un giorno un turista a Cuba può spendere molte volte il salario di un anno intero di un cittadino cubano, sono alieni rilassati e felici. Per molti turisti i cubani sono invece degli strani esseri inferiori di uno strano pianeta che si ostinano a vivere nella miseria continuando ad adottare un sistema economico e sociale che ha sempre e solo funzionato nella teoria facendo di quella miseria economica e morale la loro attrazione turistica, si, miseria anche morale perché una fetta del turismo che si reca a Cuba è turismo sessuale e ad accompagnare a prostituirsi le donne cubane ormai sono fidanzati e mariti, come se fosse una cosa normale. Il turista non comprende come i cubani possano essere arrivati al punto di vendere il proprio corpo arrivando al punto di farne una loro caratteristica attrazione turistica pur di non ribellarsi alla dittatura che li ha ridotti alla fame e alla privazione della libertà.
Ma il cubano è fatto così, preferisce fuggire da Cuba ed emigrare che fare qualcosa per cambiare le cose nel proprio paese, per i cubani, anche per quelli più apertamente critici verso la dittatura il chiedere democrazia e un cambio del sistema economico è un tabù troppo grande da superare, è ormai mezzo secolo che chi osa sfidare o semplicemente criticare il potere dei fratelli Castro finisce in galera o viene additato come verme traditore, tutti lo sanno e pochi hanno il coraggio di sfidare il regime, quelli che lo fanno sono emarginati, spesso incarcerati, in questo momento sono circa 110 i prigionieri politici nelle galere cubane e il regime della loro esistenza non fa molta propaganda, per cui spesso dissidenti che hanno passato decenni in galera patendo torture e umiliazioni sono praticamente sconosciuti per i cubani, mentre sono conosciuti all'estero dove le notizie circolano liberamente grazie a una rete di dissidenti che vivono dentro e fuori Cuba. Questa è Cuba, le spiagge e le aragoste sono solo per i turisti. Ma forse per questo è affascinante Cuba, una strana società dove vale una sola regola: sopravvivere a tutti i costi, rubare, truffare, fare contrabbando, prostituirsi, rubare al governo tutto il possibile, qualsiasi cosa pur di riuscire a vivere, a Cuba tutte le metafore e le battute da bar sul comunismo si realizzano tragicamente, escluso che i comunisti mangiano i bambini tutto il resto è tragicamente vero, si, il comunismo è una cosa terrificante, la democrazia è compromesso e non è perfetto come sistema sociale, ma il comunismo semplificando si può definire semplicemente come miseria nera, ignoranza e totale mancanza di libertà e questi ingredienti a Cuba ci sono indubbiamente tutti, esattamente come è sempre stato in qualsiasi posto su questo pianeta dove si è provato ad adottare i sistema comunista. A Cuba la fine dell'incubo sembra non arrivare mai, neppure adesso che l'Unione Sovietica che la manteneva non esiste più, neppure dopo che i paesi dell'est Europa hanno abbandonato il comunismo e questo a causa della tenacia del regime castrista a mantenere il potere e soprattutto di quel turismo che porta denaro, quel denaro che è la medicina e nello stesso tempo il veleno per i cubani, perché alimenta direttamente il regime dittatoriale, prolungando la loro agonia all'infinito. Le case della Havana si stanno lentamente sgretolando, forse solo quando non ne sarà rimasta solo che polvere tutto finirà. Cuba è sprofondata così tanto nel contorto e oscuro sistema che ha imposto la famiglia Castro che uscirne non sarà facile, il rischio è che se la conversione ad un sistema economico, fiscale e politico non verrà effettuata nei tempi e nei modi giusti Cuba potrebbe diventare un posto simile a molti paesi dell'area Caraibica o del centro America, con una disparità sociale sempre più grande e una criminalità sempre più feroce che renderebbe la vita impossibile. Cuba adesso si trova in una situazione di stallo, cambiare significa correre dei rischi che fanno paura, non cambiare significa morire come nazione, ma il comunismo castrista e la sua “rivoluzione” non danno spazio a compromessi, non esiste la possibilità di rinnegare le basi fondamentali della dottrina adottata per quasi sessanta anni in maniera del tutto indolore, passare da un'economia disastrata e quasi inesistente ad un regime economico dignitoso e non statale ma libero non è cosa semplice, e poi ci sono i cubani, come reagirebbero? Dopo tre generazioni di dittatura saprebbero gestire la libertà e una libera economia? Saprebbero formare una classe politica capace di governare l'isola nella difficile transizione o se fossero liberi di decidere chi li governa dopo pochi anni finirebbero per rimpiangere la dittatura? Certo è che il conto che i cubani dovranno pagare per uscire dall'inferno dove si sono cacciati sarà salato e più tempo ancora continueranno a vivere senza avere il coraggio di alzare lo sguardo e chiedere libertà accettando i rischi che questo comporta più sarà salato. La più grande sconfitta del popolo cubano è stata aver vinto la rivoluzione, la loro unica futura via d'uscita sarà ammettere che affidarsi a Fidel Castro è stata la più grande idiozia che mai un intero popolo abbia potuto fare, perché Fidel Castro ha impedito lo sviluppo della nazione cubana, congelando il paese nel tempo, rendendo la rivoluzione eterna e imponendo la non reversibilità del sistema comunista, di fatto condannando Cuba a restare tagliata fuori dal mondo, dall'economia e dalla possibilità di sviluppare una democrazia.
17 Maggio 2016
La triste fine del Venezuela, Maduro ormai disperato si inventa fantomatici interventi militari contro il suo regime e chiede poteri speciali schierando i militari per sedare le rivolte del popolo affamato, ormai oltre il 70% dei venezuelani lo vorrebbe immediatamente destituito. Centinaia di morti negli ospedali per mancanza di acqua, elettricità e farmaci. Anche i militari costretti a rubare gli animali nelle fattorie per procurarsi il cibo. Mentre Cuba cerca l'aiuto degli Stati Uniti, il Venezuela sprofonda nel caos. Ultime drammatiche ore per la dittatura di Maduro, un uomo incapace, brutale e privo di carisma che ha condotto il paese sul baratro della guerra civile.
La triste fine del Venezuela, Maduro ormai disperato si inventa fantomatici interventi militari contro il suo regime e chiede poteri speciali schierando i militari per sedare le rivolte del popolo affamato, ormai oltre il 70% dei venezuelani lo vorrebbe immediatamente destituito. Centinaia di morti negli ospedali per mancanza di acqua, elettricità e farmaci. Anche i militari costretti a rubare gli animali nelle fattorie per procurarsi il cibo. Mentre Cuba cerca l'aiuto degli Stati Uniti, il Venezuela sprofonda nel caos. Ultime drammatiche ore per la dittatura di Maduro, un uomo incapace, brutale e privo di carisma che ha condotto il paese sul baratro della guerra civile.
Il Venezuela ha raggiunto, se non superato, il punto di non ritorno? Di fronte ai suoi critici, sempre più numerosi e aggressivi, il governo di Caracas non è disposto a cedere neanche di un millimetro. Il 15 maggio il vicepresidente Aristobulo Isturi ha assicurato che non sarebbe stato indetto alcun referendum sulla possibile destituzione del presidente Nicolás Maduro.
I responsabili dell’opposizione “hanno cominciato troppo tardi, in modo scorretto e commettendo dei brogli”, ha aggiunto Isturi alludendo alla situazione di Dilma Rousseff in Brasile. Rieletta nell’ottobre 2014, Rousseff è stata di recente sospesa dall’esercizio delle sue funzioni per sei mesi nel quadro di una procedura di destituzione e sostituita dal suo vicepresidente Michel Temer.
Attaccato da ogni parte, anche da alcuni esponenti del suo Partito socialista unificato del Venezuela, Maduro moltiplica le affermazioni minacciose nei confronti di chi ha osato sfidare la sua autorità.
Mancano il cibo e i medicinali
Nel frattempo oltre alla proroga dello “stato di emergenza economico” – in nome del quale sono state estese per decreto il 16 maggio le sue prerogative in materia di sicurezza – e all’annuncio di esercitazioni militari previste nel fine settimana per “rispondere alle intimidazioni straniere”, il presidente ha minacciato di sequestrare le fabbriche che hanno interrotto la produzione e di far arrestare i loro proprietari.
Anche se dotato delle più grandi riserve di petrolio del mondo, il paese, gestito in modo inefficiente, è sull’orlo del crollo secondo i servizi segreti statunitensi. Di fatto l’anno scorso la crescita economica è scesa del 5,7 per cento e il tasso di inflazione ufficiale ha superato il 180 per cento.
Il margine di manovra del presidente Maduro si sta riducendo
Inoltre la mancanza di beni di prima necessità si fa sempre più evidente. Alla popolazione manca il cibo e gli ospedali sono senza medicinali, ormai disponibili solo sul mercato nero. In mancanza di cure adeguate i malati e i neonati rischiano di morire, osserva The New York Times.
Sempre convinto dei benefici della “rivoluzione bolivariana”, Maduro sta vivendo i suoi ultimi giorni da capo dello stato? Adesso che l’opposizione controlla l’assemblea nazionale grazie alla vittoria alle elezioni politiche di dicembre e con l’amplificarsi delle proteste, il suo margine di manovra si sta riducendo. Un recente sondaggio afferma che il 70 per cento dei venezuelani vorrebbe che il presidente si dimettesse quest’anno.
Arnaldo Esté del quotidiano di opposizione El Nacional ne è convinto: in questa situazione di “caos” il presidente è destinato a essere destituito “nel 2016 o nel 2017. In ogni caso ci sarà un cambiamento”. Un cambiamento che non sarà certo sufficiente, ma che potrebbe aprire la strada a una maggiore coesione nazionale e a un risanamento dello stato.
I responsabili dell’opposizione “hanno cominciato troppo tardi, in modo scorretto e commettendo dei brogli”, ha aggiunto Isturi alludendo alla situazione di Dilma Rousseff in Brasile. Rieletta nell’ottobre 2014, Rousseff è stata di recente sospesa dall’esercizio delle sue funzioni per sei mesi nel quadro di una procedura di destituzione e sostituita dal suo vicepresidente Michel Temer.
Attaccato da ogni parte, anche da alcuni esponenti del suo Partito socialista unificato del Venezuela, Maduro moltiplica le affermazioni minacciose nei confronti di chi ha osato sfidare la sua autorità.
Mancano il cibo e i medicinali
Nel frattempo oltre alla proroga dello “stato di emergenza economico” – in nome del quale sono state estese per decreto il 16 maggio le sue prerogative in materia di sicurezza – e all’annuncio di esercitazioni militari previste nel fine settimana per “rispondere alle intimidazioni straniere”, il presidente ha minacciato di sequestrare le fabbriche che hanno interrotto la produzione e di far arrestare i loro proprietari.
Anche se dotato delle più grandi riserve di petrolio del mondo, il paese, gestito in modo inefficiente, è sull’orlo del crollo secondo i servizi segreti statunitensi. Di fatto l’anno scorso la crescita economica è scesa del 5,7 per cento e il tasso di inflazione ufficiale ha superato il 180 per cento.
Il margine di manovra del presidente Maduro si sta riducendo
Inoltre la mancanza di beni di prima necessità si fa sempre più evidente. Alla popolazione manca il cibo e gli ospedali sono senza medicinali, ormai disponibili solo sul mercato nero. In mancanza di cure adeguate i malati e i neonati rischiano di morire, osserva The New York Times.
Sempre convinto dei benefici della “rivoluzione bolivariana”, Maduro sta vivendo i suoi ultimi giorni da capo dello stato? Adesso che l’opposizione controlla l’assemblea nazionale grazie alla vittoria alle elezioni politiche di dicembre e con l’amplificarsi delle proteste, il suo margine di manovra si sta riducendo. Un recente sondaggio afferma che il 70 per cento dei venezuelani vorrebbe che il presidente si dimettesse quest’anno.
Arnaldo Esté del quotidiano di opposizione El Nacional ne è convinto: in questa situazione di “caos” il presidente è destinato a essere destituito “nel 2016 o nel 2017. In ogni caso ci sarà un cambiamento”. Un cambiamento che non sarà certo sufficiente, ma che potrebbe aprire la strada a una maggiore coesione nazionale e a un risanamento dello stato.
21 Marzo 2016
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Un viaggio simbolo per suggellare la fine della guerra fredda nei Caraibi. Bene! Tutti esultano, esultiamo anche noi. Teniamo solo presente che quando si conclude una guerra, ‘calda’ o ‘fredda’ che sia, ci sono inevitabilmente vincitori e vinti. La guerra fredda, nata dal confronto ideologico tra Stati Uniti e Unione Sovietica, terminò negli anni novanta del secolo scorso con la completa disfatta di Mosca e con la disgregazione dell’impero sovietico. Lo storico americano Francis Fukuyama coniò per l’occasione la famosa formula ‘Fine della Storia‘, riferita alla generale accettazione della democrazia liberale e dell’economia di mercato.
La fine della guerra fredda ‘caraibica’ vede, invece, come vincitore assoluto Raúl Castro, che si sta dimostrando statista molto più fine e temibile dell’irruente fratello maggiore Fidel.
Raúl, in effetti, ha ottenuto tutto ciò che voleva, senza cedere nulla: legittimazione internazionale, promesse di investimenti, libertà di repressione, la fine ‘de facto’ dell’embargo (in attesa che arrivi quella ‘formale’ da parte del Congresso americano). Senza minimante modificare l’assetto repressivo dello Stato cubano, senza nulla concedere sul piano delle libertà politiche e civili e senza impegni per quanto riguarda il rispetto dei diritti dell’uomo. Cuba era ed è una dittatura, era ed è un regime oppressivo. Nel solo mese di gennaio 2016 ci sono stati 1.400 arresti politici. ‘Arresti’ perché questa è la nuova strategia della repressione: non condanne a lunghe pene detentive, ma fermi di Polizia ripetuti, intimidatori, non di rado violenti, per evitare l’attenzione della Comunità internazionale.
Castro ha persino ottenuto che la visita di Obama avvenga prima della VII Congresso del Partito Comunista Cubano, previsto dal 16 al 19 aprile, per imporvi la propria linea di continuità rivoluzionaria e dinastica vantando l’appoggio dell’illustre ospite americano. Bel paradosso, bella conseguenza della politica di Obama!
Il Presidente americano, specularmente, ha concesso tutto. Anche se il Governo cubano gli permetterà, durante la sua permanenza nell’Isola Grande, di ‘parlare’ di diritti dell’uomo e di incontrare qualche ‘selezionato’ rappresentante della dissidenza (stracolma come è noto di infiltrati della Seguridad), il Presidente americano non riuscirà minimamente a scalfire la pesante corazza che protegge il regime e la famiglia Castro. Né potrà cambiare la situazione la liberazione strumentale di qualche prigioniero politico, regali che Castro si riserva in genere di offrire ai suoi ospiti più importanti.
Gli Stati Uniti -perché non riconoscerlo?- hanno perso lo storico (questo sì) confronto con la Cuba castrista. Risultati ottenuti da Obama ? Affari in vista per la casta militare al potere, illusione democratica per le speranzose folle plaudenti che lo acclameranno sul Malecón e riapertura della spiagge cubane ai turisti americani, che torneranno a ubriacarsi di mojitos in compagnia di jineteras e jineteros autoctoni. Il turismo sessuale ha belle prospettive d’avvenire davanti a sé.
A consacrazione di tutto questo, Obama annuncia dunque il suo trionfale viaggio a Cuba. Dopo aver perso l’anima, ora il Presidente americano perde anche la faccia. Che bisogno c’è, in effetti, di andare a omaggiare il tiranno cubano nella sua tana? Obama -si dice- vuole guadagnarsi un posto nella storia in quel piccolo angolo di paradiso. Ma un posto nella storia Obama lo ha già ampiamente conquistato: quello di peggiore Presidente degli Stati Uniti d’America! Lo dicono gli stessi americani in recenti sondaggi, lo dice l’esilio cubano della Florida che deplora unanimemente il viaggio di Obama.
Un viaggio che consoliderà il regime, non lo indebolirà, come forse qualcuno spera. Un viaggio che renderà parole vuote e prive di senso i valori di democrazia, libertà e difesa dei diritti dell’uomo che gli Stati Uniti e l’Europa hanno sempre affermato di voler promuovere. Un viaggio che metterà definitivamente nell’angolo la dissidenza interna cubana, un viaggio che umilierà gli Stati Uniti d’America. Obama non è un ‘buon’ Presidente. Non può essere ‘buono’ un Presidente che fa affari con un tiranno senza ottenerne alcuna contropartita politica. Perché in Birmania le pressioni ‘occidentali’, Europa e Stati Uniti, hanno in pratica costretto la giunta militare a farsi da parte, dopo significative riforme costituzionali e politiche? Perché questo non avviene a Cuba? Ma Obama lo sa chi è Raul Castro, avrà letto qualche libro di Reinaldo Arenas, Guillermo Cabrera Infante, Zoé Valdés? La politica non è fatta solo di business, investimenti, strette di mano e photo opportunity. E’ fatta anche di ideali, valori, principi, speranze. Trattando con Cuba, Obama sembra se ne sia dimenticato.
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La fine della guerra fredda ‘caraibica’ vede, invece, come vincitore assoluto Raúl Castro, che si sta dimostrando statista molto più fine e temibile dell’irruente fratello maggiore Fidel.
Raúl, in effetti, ha ottenuto tutto ciò che voleva, senza cedere nulla: legittimazione internazionale, promesse di investimenti, libertà di repressione, la fine ‘de facto’ dell’embargo (in attesa che arrivi quella ‘formale’ da parte del Congresso americano). Senza minimante modificare l’assetto repressivo dello Stato cubano, senza nulla concedere sul piano delle libertà politiche e civili e senza impegni per quanto riguarda il rispetto dei diritti dell’uomo. Cuba era ed è una dittatura, era ed è un regime oppressivo. Nel solo mese di gennaio 2016 ci sono stati 1.400 arresti politici. ‘Arresti’ perché questa è la nuova strategia della repressione: non condanne a lunghe pene detentive, ma fermi di Polizia ripetuti, intimidatori, non di rado violenti, per evitare l’attenzione della Comunità internazionale.
Castro ha persino ottenuto che la visita di Obama avvenga prima della VII Congresso del Partito Comunista Cubano, previsto dal 16 al 19 aprile, per imporvi la propria linea di continuità rivoluzionaria e dinastica vantando l’appoggio dell’illustre ospite americano. Bel paradosso, bella conseguenza della politica di Obama!
Il Presidente americano, specularmente, ha concesso tutto. Anche se il Governo cubano gli permetterà, durante la sua permanenza nell’Isola Grande, di ‘parlare’ di diritti dell’uomo e di incontrare qualche ‘selezionato’ rappresentante della dissidenza (stracolma come è noto di infiltrati della Seguridad), il Presidente americano non riuscirà minimamente a scalfire la pesante corazza che protegge il regime e la famiglia Castro. Né potrà cambiare la situazione la liberazione strumentale di qualche prigioniero politico, regali che Castro si riserva in genere di offrire ai suoi ospiti più importanti.
Gli Stati Uniti -perché non riconoscerlo?- hanno perso lo storico (questo sì) confronto con la Cuba castrista. Risultati ottenuti da Obama ? Affari in vista per la casta militare al potere, illusione democratica per le speranzose folle plaudenti che lo acclameranno sul Malecón e riapertura della spiagge cubane ai turisti americani, che torneranno a ubriacarsi di mojitos in compagnia di jineteras e jineteros autoctoni. Il turismo sessuale ha belle prospettive d’avvenire davanti a sé.
A consacrazione di tutto questo, Obama annuncia dunque il suo trionfale viaggio a Cuba. Dopo aver perso l’anima, ora il Presidente americano perde anche la faccia. Che bisogno c’è, in effetti, di andare a omaggiare il tiranno cubano nella sua tana? Obama -si dice- vuole guadagnarsi un posto nella storia in quel piccolo angolo di paradiso. Ma un posto nella storia Obama lo ha già ampiamente conquistato: quello di peggiore Presidente degli Stati Uniti d’America! Lo dicono gli stessi americani in recenti sondaggi, lo dice l’esilio cubano della Florida che deplora unanimemente il viaggio di Obama.
Un viaggio che consoliderà il regime, non lo indebolirà, come forse qualcuno spera. Un viaggio che renderà parole vuote e prive di senso i valori di democrazia, libertà e difesa dei diritti dell’uomo che gli Stati Uniti e l’Europa hanno sempre affermato di voler promuovere. Un viaggio che metterà definitivamente nell’angolo la dissidenza interna cubana, un viaggio che umilierà gli Stati Uniti d’America. Obama non è un ‘buon’ Presidente. Non può essere ‘buono’ un Presidente che fa affari con un tiranno senza ottenerne alcuna contropartita politica. Perché in Birmania le pressioni ‘occidentali’, Europa e Stati Uniti, hanno in pratica costretto la giunta militare a farsi da parte, dopo significative riforme costituzionali e politiche? Perché questo non avviene a Cuba? Ma Obama lo sa chi è Raul Castro, avrà letto qualche libro di Reinaldo Arenas, Guillermo Cabrera Infante, Zoé Valdés? La politica non è fatta solo di business, investimenti, strette di mano e photo opportunity. E’ fatta anche di ideali, valori, principi, speranze. Trattando con Cuba, Obama sembra se ne sia dimenticato.
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16/12/2015
Cuba e lo choc del post-chavismo
Cuba e lo choc del post-chavismo
Lo “choc sovietico” negli anni novanta, lo “choc venezuelano” ora.
Lo sguardo che Cuba rivolgeva a Mosca, vista come unico approdo possibile per aggirare l’embargo, dopo la rovinosa caduta dell’Unione Sovietica, venne reindirizzato verso la Caracas di Hugo Chávez. Una virata che ha portato l’economia dell’isola a dipendere dal sistema venezuelano, il 40% degli scambi commerciali complessivi con l’estero è con la Repubblica Bolivariana di Venezuela, mentre negli anni ’90 i traffici con il partner sovietico di fermavano al 28,2%.
È il petrolio a segnare una differenza così netta: Cuba importa principalmente greggio estratto nei pozzi venezuelani, le petroliere trasferiscono verso l’isola 90 mila barili giornalieri secondo El Nacional, portale informativo di Caracas, in parte raffinato negli impianti di Cienfuegos, nel centro-sud dell’isola. Nei rapporti economici tra i due paesi, insieme ai barili di petrolio e ai prodotti derivati, vanno computati anche i servizi professionali. Sono circa 30 mila i medici, tecnici e paramedici cubani trasferitisi in Venezuela nell’ambito del programma “Barrio Adentro”, avviato 12 anni fa dal governo venezuelano. Dossier indipendenti segnalati su blog della dissidenza cubana riportano alcuni dati della missione sanitaria: il governo di L’Avana riceverebbe da Caracas tra i 16 e i 18 mila dollari mensili per ogni medico impiegato nel programma, al professionista sarebbe riconosciuto un compenso di 230 dollari al mese, con ulteriori 200 dollari circa depositati mensilmente su un conto cubano e ancora 50 dollari consegnati alla famiglia residente nell’isola. Il denaro depositato sul conto cubano rimarrebbe “bloccato”, durante l’esercizio della missione, per essere utilizzato solo al rientro in patria.
Una misura che va oltre la connotazione retributiva del versamento, apparendo piuttosto un espediente vagamente ricattatorio, i risultati, tuttavia, sono discutibili visto che parte dell'”esercito” di medici e infermieri ha “disertato”, riparando nella vicina Colombia per richiedere alle autorità locali il visto per gli Stati Uniti.
“Qué pasaría si gana la derecha?” (cosa succederebbe – al programma sanitario, ndr- se vincesse la destra?) è la domanda allarmata che ancora campeggia sul sito web istituzionale del governo venezuelano.
Il popolo ha risposto: ha trionfato, come noto, la Mesa de Unidad Democrática, gli oppositori al chavismo reinterpretato da Nicolás Maduro. Un risultato elettorale con riflessi sullaPlaza de la Revolución di L’Avana.
“Dare nuovo impulso alla Rivoluzione bolivariana” si legge sul sito del Granma, organo del partito comunista cubano, intanto Cuba già spinge verso nuove cooperazioni economiche, il paese caraibico lo scorso 12 dicembre ha raggiunto una storica Intesa per la ristrutturazione del debito estero. Quattordici paesi creditori membri del club di Parigi, tra essi l’Italia, hanno firmato l’accordo con Cuba che prevede il pagamento in 18 anni degli arretrati, a fronte della cancellazione progressiva degli interessi. L’Italia, quarto creditore con uno stock del debito pari a 507 milioni di dollari, si impegna – con gli altri principali creditori (Francia, Giappone e Spagna) – a convertire parte degli arretrati dovuti in progetti di sviluppo sull’isola.
La normalizzazione è avviata: si invoca lo spirito rivoluzionario mentre il paese si apre al mercato dei capitali e alla finanza internazionale.
Lo sguardo che Cuba rivolgeva a Mosca, vista come unico approdo possibile per aggirare l’embargo, dopo la rovinosa caduta dell’Unione Sovietica, venne reindirizzato verso la Caracas di Hugo Chávez. Una virata che ha portato l’economia dell’isola a dipendere dal sistema venezuelano, il 40% degli scambi commerciali complessivi con l’estero è con la Repubblica Bolivariana di Venezuela, mentre negli anni ’90 i traffici con il partner sovietico di fermavano al 28,2%.
È il petrolio a segnare una differenza così netta: Cuba importa principalmente greggio estratto nei pozzi venezuelani, le petroliere trasferiscono verso l’isola 90 mila barili giornalieri secondo El Nacional, portale informativo di Caracas, in parte raffinato negli impianti di Cienfuegos, nel centro-sud dell’isola. Nei rapporti economici tra i due paesi, insieme ai barili di petrolio e ai prodotti derivati, vanno computati anche i servizi professionali. Sono circa 30 mila i medici, tecnici e paramedici cubani trasferitisi in Venezuela nell’ambito del programma “Barrio Adentro”, avviato 12 anni fa dal governo venezuelano. Dossier indipendenti segnalati su blog della dissidenza cubana riportano alcuni dati della missione sanitaria: il governo di L’Avana riceverebbe da Caracas tra i 16 e i 18 mila dollari mensili per ogni medico impiegato nel programma, al professionista sarebbe riconosciuto un compenso di 230 dollari al mese, con ulteriori 200 dollari circa depositati mensilmente su un conto cubano e ancora 50 dollari consegnati alla famiglia residente nell’isola. Il denaro depositato sul conto cubano rimarrebbe “bloccato”, durante l’esercizio della missione, per essere utilizzato solo al rientro in patria.
Una misura che va oltre la connotazione retributiva del versamento, apparendo piuttosto un espediente vagamente ricattatorio, i risultati, tuttavia, sono discutibili visto che parte dell'”esercito” di medici e infermieri ha “disertato”, riparando nella vicina Colombia per richiedere alle autorità locali il visto per gli Stati Uniti.
“Qué pasaría si gana la derecha?” (cosa succederebbe – al programma sanitario, ndr- se vincesse la destra?) è la domanda allarmata che ancora campeggia sul sito web istituzionale del governo venezuelano.
Il popolo ha risposto: ha trionfato, come noto, la Mesa de Unidad Democrática, gli oppositori al chavismo reinterpretato da Nicolás Maduro. Un risultato elettorale con riflessi sullaPlaza de la Revolución di L’Avana.
“Dare nuovo impulso alla Rivoluzione bolivariana” si legge sul sito del Granma, organo del partito comunista cubano, intanto Cuba già spinge verso nuove cooperazioni economiche, il paese caraibico lo scorso 12 dicembre ha raggiunto una storica Intesa per la ristrutturazione del debito estero. Quattordici paesi creditori membri del club di Parigi, tra essi l’Italia, hanno firmato l’accordo con Cuba che prevede il pagamento in 18 anni degli arretrati, a fronte della cancellazione progressiva degli interessi. L’Italia, quarto creditore con uno stock del debito pari a 507 milioni di dollari, si impegna – con gli altri principali creditori (Francia, Giappone e Spagna) – a convertire parte degli arretrati dovuti in progetti di sviluppo sull’isola.
La normalizzazione è avviata: si invoca lo spirito rivoluzionario mentre il paese si apre al mercato dei capitali e alla finanza internazionale.
7/12/2015
Fine del Petrolio a prezzo politico per Cuba, i venezuelani voltano le spalle al socialismo.
L’opposizione antichavista vince le elezioni in Venezuela, Maduro sconfitto
Gli avversari conquistano 99 seggi su 167. Per il presidente sconfitta senza precedenti
Grande trionfo dell’opposizione in Venezuela, che ottiene la maggioranza assoluta mentre il chavismo soffre una sconfitta gravissima, oltre le peggiori previsioni. Secondi i dati diffusi dalla presidente della Corte elettorale Tibisay Lucena, dopo cinque ore lunghissime ore di attesa dalla chiusura dei seggi, la coalizione oppositrice ha conquistato 99 seggi, mentre al governo ne sono aggiudicati 46, quando mancano ancora 22 seggi da definire.
Se la tendenza venisse confermata anche con i seggi mancanti, l’opposizione potrebbe arrivare ai due terzi del Parlamento, lo scenario migliore perché gli permetterebbe di definire i giudici del tribunale elettorale, impostare grandi riforme e, addirittura, di modificare la Costituzione.
Nella nottata i portavoce della Mesa de Unidad parlavano di una quota di 113 seggi, un traguardo possibile considerando i dati mancanti. «Hanno diffuso – ha detto Chao Torrealba – un primo stitico bollettino, ma ci mancano ancora molti seggi. Il voto si è imposto democraticamente rispetto ad un governo che non è democratico. Grazie a chi ci ha accompagnato in questi anni e grazie a chi ci ha votato per la prima volta».
Menzione obbligata ai tantissimi delusi del chavismo, dai barrios popolari alla classe media che soffre la gravissima crisi economica, le code per trovare prodotti alimentari di fronte ad una scarsezza mai vista, l’iper inflazione al 200%, la criminalità dilagante. Per il chavismo questo può essere l’inizio della fine. A poco meno di tre anni dalla morte di Hugo Chavez, i venezuelani sembrano voler seppellire un sistema che dura da 17 anni e che ha ormai esaurito la sua spinta sociale iniziale per attorcigliarsi in un vortice di cattiva amministrazione, corruzione, controllo totale e totalitario di tutti i poteri e gli organismi dello Stato.
Il presidente Nicolas Maduro ha parlato a reti unificate subito dopo la diffusione dei risultati, ribadendo la teoria della “guerra economica” che il suo governo starebbe soffrendo rispetto agli interessi del capitalismo internazionale. Con un tono di voce molto più sommesso del solito, Maduro ha ricordato il caso di Salvador Allende e del golpe in Cile prendendolo ad esempio di un complotto non meglio specificato; l’ultimo tentativo per spiegare una sconfitta innegabile e inappellabile.
Il chavismo conserva il potere esecutivo, il mandato di Maduro scade fra tre anni, e ha ancora il controllo pieno sulla magistratura, ma con un’opposizione così forte in Parlamento la coabitazione fra i due blocchi sarà particolarmente difficile. Il Venezuela si apre ad una nuova fase e sarà strategica la posizione dei militari. Per questo dall’opposizione è stato rivolto un appello alle Forze Armate.
«Ringraziamo profondamente i nostri militari per la garanzia che hanno dato a questo voto e speriamo di poter contare su di loro per questa nuova fase politica del nostro paese. Il futuro – ha detto Torrealba - ci appartiene a tutti, il Venezuela è di tutti». A Caracas e in altre città del paese ci sono stati festeggiamenti e caroselli d’auto. Mai l’opposizione era arrivata a tanto ed ora si aprono nuove possibilità, tra cui l’ipotesi di chiedere nel 2016 referendum revocatorio per far cadere lo stesso Maduro. Uno scenario che pareva impossibile solo un anno fa e che ora, complice la disastrata gestione dell’economia da parte del governo, potrebbe delinearsi come la via per far crollare definitivamente la lunga esperienza bolivariana.
Fine del Petrolio a prezzo politico per Cuba, i venezuelani voltano le spalle al socialismo.
L’opposizione antichavista vince le elezioni in Venezuela, Maduro sconfitto
Gli avversari conquistano 99 seggi su 167. Per il presidente sconfitta senza precedenti
Grande trionfo dell’opposizione in Venezuela, che ottiene la maggioranza assoluta mentre il chavismo soffre una sconfitta gravissima, oltre le peggiori previsioni. Secondi i dati diffusi dalla presidente della Corte elettorale Tibisay Lucena, dopo cinque ore lunghissime ore di attesa dalla chiusura dei seggi, la coalizione oppositrice ha conquistato 99 seggi, mentre al governo ne sono aggiudicati 46, quando mancano ancora 22 seggi da definire.
Se la tendenza venisse confermata anche con i seggi mancanti, l’opposizione potrebbe arrivare ai due terzi del Parlamento, lo scenario migliore perché gli permetterebbe di definire i giudici del tribunale elettorale, impostare grandi riforme e, addirittura, di modificare la Costituzione.
Nella nottata i portavoce della Mesa de Unidad parlavano di una quota di 113 seggi, un traguardo possibile considerando i dati mancanti. «Hanno diffuso – ha detto Chao Torrealba – un primo stitico bollettino, ma ci mancano ancora molti seggi. Il voto si è imposto democraticamente rispetto ad un governo che non è democratico. Grazie a chi ci ha accompagnato in questi anni e grazie a chi ci ha votato per la prima volta».
Menzione obbligata ai tantissimi delusi del chavismo, dai barrios popolari alla classe media che soffre la gravissima crisi economica, le code per trovare prodotti alimentari di fronte ad una scarsezza mai vista, l’iper inflazione al 200%, la criminalità dilagante. Per il chavismo questo può essere l’inizio della fine. A poco meno di tre anni dalla morte di Hugo Chavez, i venezuelani sembrano voler seppellire un sistema che dura da 17 anni e che ha ormai esaurito la sua spinta sociale iniziale per attorcigliarsi in un vortice di cattiva amministrazione, corruzione, controllo totale e totalitario di tutti i poteri e gli organismi dello Stato.
Il presidente Nicolas Maduro ha parlato a reti unificate subito dopo la diffusione dei risultati, ribadendo la teoria della “guerra economica” che il suo governo starebbe soffrendo rispetto agli interessi del capitalismo internazionale. Con un tono di voce molto più sommesso del solito, Maduro ha ricordato il caso di Salvador Allende e del golpe in Cile prendendolo ad esempio di un complotto non meglio specificato; l’ultimo tentativo per spiegare una sconfitta innegabile e inappellabile.
Il chavismo conserva il potere esecutivo, il mandato di Maduro scade fra tre anni, e ha ancora il controllo pieno sulla magistratura, ma con un’opposizione così forte in Parlamento la coabitazione fra i due blocchi sarà particolarmente difficile. Il Venezuela si apre ad una nuova fase e sarà strategica la posizione dei militari. Per questo dall’opposizione è stato rivolto un appello alle Forze Armate.
«Ringraziamo profondamente i nostri militari per la garanzia che hanno dato a questo voto e speriamo di poter contare su di loro per questa nuova fase politica del nostro paese. Il futuro – ha detto Torrealba - ci appartiene a tutti, il Venezuela è di tutti». A Caracas e in altre città del paese ci sono stati festeggiamenti e caroselli d’auto. Mai l’opposizione era arrivata a tanto ed ora si aprono nuove possibilità, tra cui l’ipotesi di chiedere nel 2016 referendum revocatorio per far cadere lo stesso Maduro. Uno scenario che pareva impossibile solo un anno fa e che ora, complice la disastrata gestione dell’economia da parte del governo, potrebbe delinearsi come la via per far crollare definitivamente la lunga esperienza bolivariana.
Internet a Cuba nel 2015
Cuba non è mai la stessa, l'Avana è il suo cuore ed è un esperimento sociale perpetuo, da qualche mese la novità più evidente è internet, il governo cubano ha deciso di avviare quello che qui viene definito dal alcuni un esperimento, il prezzo della targhetta per la connessione a internet è stato abbassato a due cuc cioè a poco meno di due euro per un'ora di connessione, un prezzo ancora alto per i cubani, ma sufficienti nella complessa economia sotterranea a creare uno spettacolo che solo qualche anno fa era impensabile: letteralmente centinaia di cubani armati per lo più di smartphone ma anche di computer portatili accampati praticamente tutto il giorno e fino a notte fonda attorno le antenne wifi poste agli angoli di alcune strade dell'Avana e attorno gli hotel che offrono la connessione, che anche se è censurata e spesso lenta permette di accedere a internet. Solo un anno fa il prezzo della connessione wifi era offerta solo dagli hotel e i prezzi variavano da quattro a ben quattordici cuc per un'ora, un prezzo che rendeva la connessione un sogno permesso solo ai turisti, (negli hotel della catena Melia il costo per connettersi per chi non è ospite dell'hotel è ancora oggi di 10 cuc per un'ora di internet). E così dal mattino alla notte centinaia di cubani per lo più con alle orecchie gli auricolari si connettono in video conferenza con i parenti che vivono fuori dal paese, i cubani hanno fatto presto a imparare ad usare i telefoni regalati loro dai parenti che vivono all'estero o comprati con grande sacrificio al mercato nero, ed è comune vedere delle nonne con le cuffiette alle orecchie che tramite l'applicazione IMO che è la più usata a Cuba comunicano facendo le smorfie in video conferenza con i nipotini che vivono all'estero. Ma due cuc sono comunque tanti a Cuba, così in realtà non tutti pagano quella cifra, nei pressi di ogni antenna wifi sono fiorite molte micro imprese, se si scansiona le connessioni wifi si scopre che spesso insieme al segnale ufficiale della compagnia telefonica ci sono uno o più segnali per lo più denominati Connettify-(e un nome), si tratta di un software che serve a condividere la connessione in modo che con una sola scheda da due cuc in realtà si collegano a internet decine di utenti, di solito chi gestisce queste reti si mostra con un computer portatile ben in vista usato solo per ripetere il segnale wifi, basta avvicinarsi dare un cuc al ragazzo che staziona vicino al computer e quando avrà raggiunto un numero sufficiente di clienti questi vengono forniti della password per accedere al segnale ripetuto e viene attivata la connessione di una sola scheda Etecsa da due cuc. Alcuni usano il nome della connessione ripetuta per pubblicizzare la tariffa di connessione, si va da un cuc l'ora a meno se il numero di clienti è alto, alcune di queste reti non vendono ad estranei la connessione ma vengono usate da gruppi di amici per risparmiare. Molti si chiedono se questo modo di condividere la connessione verrà contrastato dal governo o se addirittura l'esperimento del wifi verrà interrotto e le antenne rimosse, ma per il momento è grazie a questo espediente che i cubani si collegano al mondo esterno, una novità che è diventata una febbre che ha contagiato i cubani, dai giovani a molti anziani moltissimi passano ore a navigare in internet. Chi offre la connessione a prezzo scontato con il software Connettify in questo momento sta guadagnando cifre di tutto rispetto, facendo un veloce calcolo in base al numero e al continuo ricambio di utenti collegati di certo può incassare cifre di centinaia di cuc al giorno, significa che con un computer portatile un software che si scarica da internet gratis ci sono cubani che incassano in un giorno in poche ore il corrispettivo di vari mesi di stipendio statale, come sempre a Cuba si possono fare discreti guadagni ma sempre e solo in maniera illegale. In prossimità delle antenne wifi è anche possibile aquistare schede per la connessione a tre cuc in un mercato nero dovuto al fatto che spesso per giorni la compagnia telefonica ne è sprovvista. Il governo cubano con la mossa del wifi ha dato comunque un segnale di apertura, fino a pochi anni fa le comunicazioni telefoniche con l'estero erano registrate e ascoltate da centinaia di addetti alla sicurezza e la privacy era pari a zero, adesso con internet questo genere di controllo viene mantenuto anche se con difficoltà, alcuni sistemi voip in chiaro e quelli criptati rendono più difficile ascoltare le conversazioni e persino la censura di alcuni siti internet dell'opposizione possono essere consultati aggirando il firewall statale con sistemi vpn ma alcune applicazioni come la più usata a Cuba IMO sono ascoltate e registrate in appositi server. Se l'incasso relativo alla vendita della connessione wifi supererà quello che la compagnia statale incassava con le normali telefonate tra Cuba e l'estero molto probabilmente internet avrà un grande sviluppo e magari verrà implementato il numero di antenne wifi. Per adesso la rete wifi è al limite della sua capacità, spesso i router wifi hanno centinaia utenti collegati nello stesso momento e non sono capaci di assegnare ip a tutti gli utenti, o la connessione cade, a volte sono i software Connettify a bloccare l'assegnazione da parte dei router di nuovi ip e succede per assurdo che per navigare bisogna pagare il gestore del Connettify perché con la scheda da due cuc non si riesce a navigare collegandosi direttamente al router di stato.
Al momento internet arriva agli hotel con una connessione a cavo coassiale da 14 mbit e nelle scuole e negli uffici statali che ne sono forniti con una velocità di 2 mbit. Questo in teoria, in pratica le velocità di connessione sono molto più basse a causa dell'enorme traffico e della mala gestione della rete. Quella di non fornire la comune connessione dsl nelle case dei cubani è solo una scelta del regime, esiste già la dsl a Cuba ma viene usata solo dagli uffici statali quindi le centrali telefoniche sono già fornite della tecnologia che potrebbe fornire a tutti i cittadini cubani una connessione a basso costo.
Per il resto non ci sono grosse novità, il regime cubano vieta l'importazione dall'estero e la vendita di mercanzia ai privati e i negozi statali sono come sempre tristi e con poca e scadente merce venduta spesso a peso d'oro in un contesto di totale degrado e mancanza di igiene, i negozi di abbigliamento considerati migliori non sono altro che posti dove finisce il peggio della merce invenduta in Europa che dopo essere stati venduta al governo cubano viene rivenduta a prezzi altissimi, avere un ristorante o una pizzeria privati significa lottare giorno dopo giorno per procurare la materia prima, a meno che non si faccia cucina tradizionale a base del solito maiale, riso, fagioli neri pollo e tuberi locali.
L'informatica è l'onda da cavalcare a Cuba, anche se procurare i ricambi per computer non è sempre facile, esistono un paio di siti internet cubani molto seguiti che sono dei mercatini dove trovare anche materiale informatico che entra nell'isola quasi tutto dentro le valigie di turisti e parenti in visita, imprese che offrono grafica e stampa, riparatori di telefoni cellulari e computer fioriscono di continuo e sembrano avere successo. All'ingresso di un supermercato della capitale è possibile essere avvicinati da un signore che sussurrando come se stesse vendendo droga propone memorie Micro SD. Un vecchio computer portatile anche in cattive condizioni che in Europa verrebbe messo da parte perché obsoleto a Cuba vale oltre 150 cuc e qualsiasi componente informatico anche di infima qualità vale molto più del suo valore reale a Cuba. All'Avana sono ormai decine le reti wifi che anche se non collegate a internet permettono tramite dei server di condividere o ricevere in streaming grandi quantità di film e musica o registrazioni di trasmissioni satellitari, due di queste reti interconnesse tra loro riescono tramite ripetitori installati a casa di alcuni utenti di coprire gran parte della Havana. I guadagni per chi gestisce queste reti sono enormi, ogni utente pur di poter utilizzare il proprio computer è disposto a pagare cifre enormi per Cuba, dai 20 fino ai 50 cuc al mese per avere il servizio, e molti di loro rivendono i file scaricati in rivoli infiniti di memorie USB, basta considerare che una piccola rete di un solo quartiere dell'Avana può avere anche un migliaio di utenti paganti, basta fare due conti per capire il giro di denaro che ruota attorno alle reti wifi. Qualche gestore di reti di ospedali e scuole con grande rischio ha anche prelevato la connessione internet e la condivide con pochi selezionati utenti, riuscendo in qualche caso ad eludere la censura e il controllo dei server proxy di stato. Molti film che finiscono nelle reti intranet provengono dagli amministratori di rete degli hotel che approfittano della loro posizione privilegiata scaricando i film da internet per poi venderli, questo è spesso il motivo per cui la navigazione da alcuni hotel risulta rallentata, la banda indirizzata ai router wifi viene limitata per privilegiare il download di grossi file a monte delle reti. In pratica oggi a Cuba sul tema internet avviene ciò che avviene in qualsiasi altra attività statale, i lavoratori rubano ma invece di rubare benzina, cibo o materiale rubano hardware e soprattutto terabit di dati che rivendono al mercato nero. Alcuni accedono alle chat di internet anche utilizzando un trucco che consiste nel collegarsi con una scheda telefonica estera e un software per Android chiamato You Freedom, questo permette di navigare anche se a bassissima velocità ma senza fare attivare il contatore dei dati in rooming semplicemente utilizzando solo i dns, e le richieste dns non sono contate come dati sulle reti telefoniche. In questo modo non si può navigare liberamente in internet e anche se la velocità di navigazione è bassissima si possono usare senza limiti le chat per esempio di Facebook o Wathsapp. Le reti chiuse e non collegate a internet usate per vedere film e ascoltare musica sono difficili da trovare se ben configurate e con ovviamente l'ssid nascosto e su canali wifi non standard, e non sono considerate un atto illegale grave, quando viene scoperto un utente dalle autorità gli viene fatta una carta di avvertenza, ciò avviene anche se recidivo, solo alla terza infrazione si rischia il carcere per cui i cubani non hanno timore di utilizzarle, in oltre ogni utente pagante di queste reti non ha idea di come è composta tecnicamente la rete a cui si appoggia, non conosce l'ubicazione dei punti di accesso wifi e non può se rintracciato dalle autorità aiutarli ad eliminare l'intera rete. Altro discorso è se un amministratore di rete statale ruba con un sistema wifi internet dal suo posto di lavoro per immettere la connessione in una rete esterna, in quel caso il carcere è sicuro se scoperti. A Cuba i molti informatici in grado di mettere su una rete wifi danno filo da torcere alle autorità che sono quasi disarmate contro questa nuova forma di ribellione sociale anche perché chi ha le competenze tecniche per combattere questo tipo di illegalità spesso non ha nessuna intenzione di eliminare quello che in realtà a Cuba è ormai considerato un grande passo avanti per la società dal quale ormai non è possibile fare a meno e dal quale non si torna indietro. Cuba ha fame di internet, ha fame di musica, immagini e notizie del mondo esterno e soprattutto di comunicare con l'estero, non c'è modo di fermare questa necessità e nessuna censura potrà mai porre fine all'applicazione delle nuove tecnologie, ogni giorno entra a Cuba ogni sorta di materiale informatico nelle valigie dei turisti che poi finisce nel mercato nero che si somma al materiale informatico sottratto nelle aziende statali. La Cuba reale è sempre più lontana dalla propaganda di regime, le nuove generazioni sopportano come una croce la miseria e la dittatura ma non rinunciano alle nuove tecnologie che implicano per forza di cose di infrangere le regole e le leggi imposte da burocrati che potrebbero essere i nonni dei giovani cubani e che non hanno neppure le idee chiare su cosa sia internet, chi ha un computer vuole utilizzarlo per scoprire il mondo e per farlo ci sono due vie visto il costo proibitivo della connessione a internet e la impossibilità di averla a casa propria, lo statico “Pachette” una memoria USB che contiene vari programmi televisivi di televisioni estere e film che viene distribuito a Cuba in forma massiva e che viene regolarmente aggiornato, pagare un prezzo alto per connettersi a internet ed avere una connessione lenta e per poco tempo che non permette di scaricare o godersi un film in streamning oppure agganciarsi via wifi a un server di una delle tanti reti intranet che contiene una vastissima selezione di file multimediali. Già adesso sulla rete wifi governativa applicazioni voip e di altro genere che in teoria non dovrebbero funzionare funzionano invece perfettamente come anche i sistemi di crittografia permettono di inviare e ricevere qualsiasi informazione con la massima privacy, persino un protocollo di connessione vpn funziona perfettamente a Cuba scavalcando qualsiasi tipo di censura e controllo per cui la paranoia del regime di controllare tutto e tutti appare per quella che è: solo una inutile paranoia al tempo di internet, retaggio del tempo passato e di spy story in bianco e nero, se qualcuno ha davvero necessità di nascondere qualcosa lo potrebbe fare comunque eludendo qualsiasi controllo o censura.
Per quanto riguarda l'economia generale in Cuba questa è legata come sempre al turismo, se per assurdo si interrompesse il flusso di turisti l'economia cubana crollerebbe nel giro di poche settimane, ma il flusso di denaro del turismo non è ben distribuito nell'isola, le città più battute dai turisti soprattutto nord europei sono letteralmente avvelenate dal denaro, esistono cittadine dove ogni porta è una casa da affittare o un ristorante e dove i prezzi sono altissimi e dove i cubani sembrano aver perso il senso della misura, questo comporta vari rischi per il turista, oltre a quello di pagare uno sproposito per cibo e affitto di casa c'è il serio problema che le amministrazioni cittadine hanno dato a chiunque la licenza per aprire ristoranti il che comporta seri rischi per la salute, i ristoratori spesso vendono pesce e aragoste in cattive condizioni, utilizzano comuni frigoriferi e vendono pesce acquistato al mercato nero in pessimo stato di conservazione. La corruzione dove arriva il turismo è a tutti i livelli intollerabile, i chioschi sulle spiagge anche se statali ignorano i listini dei prezzi e senza nessuno che li controlli vendono per fare degli esempi sigarette da 60 centesimi a 3 cuc, panini a 3-5 cuc e affittano le sedie sdraio al doppio del prezzo che si paga nel resto dell'isola, e i soldi incassati finiscono direttamente nelle tasche dei gestori e in quelli delle autorità che chiudono un occhio. I centri privi di interesse storico o semplicemente non riportati sulle guide turistiche e non battute dai tour operator sono tagliati fuori dal gioco, non girano soldi e si vive ancora come cento anni fa. Il sistema socialista cubano è in una fase di evoluzione e cambiamento, sebbene la capillare struttura del governo sia ancora ufficialmente funzionante e i vari “collettivi” si diano un gran da fare in tutti i campi a causa della corruzione e della deriva delle nuove generazioni persino i CDR non sono più attivi come in passato, alle riunioni e alle feste organizzate dai comitati di controllo della rivoluzione sono sempre meno i presenti, è ormai chiaro che la vecchia struttura statale è anacronistica nella Cuba di oggi, non regge il peso della realtà sociale ed economica. Anche i più convinti comunisti a Cuba sono ormai coscienti che i tempi sono cambiati e che è necessario cambiare ed adattare il sistema ai tempi moderni, anche a costo di toccare dogmi in passato considerati sacri del socialismo cubano. Come mi ha spiegato un cubano che conosce bene come funzionano le cose nel suo paese il vero potere adesso è nelle mani dei gestori delle imprese statali, che distribuiscono cibo e merci varie, questi gestori che spesso sono militari si piegano volentieri alla corruzione delle imprese straniere fornitrici e immettono merce di infima qualità nel mercato cubano in cambio di cospicue mazzette, nei migliori negozi di abbigliamento a Cuba finisce venduta a prezzi altissimi niente altro che la merce invenduta, difettosa e fuori mercato dei paesi “capitalisti”. Anche il cibo venduto dai negozi statali è il peggio della produzione mondiale e se c'è qualcosa di buono in vendita è a prezzi inaccessibili ai cittadini cubani e viene aquistato per o più dai turisti.
Non bisogna comunque mai dimenticare che il socialismo Cubano non ha mai funzionato, Cuba non è mai stata in grado di mantenere se stessa, da quando l'ex Unione Sovietica è crollata è solo grazie al turismo che la macchina della dittatura ha potuto continuare a resistere, il socialismo a Cuba è stato ed è imposto a Cuba da un dittatore che si chiama Fidel Castro che non potendo applicare nessun altro sistema economico che quello socialista per mantenere il potere ha indotto il popolo cubano su una strada senza uscita, se non quella di tornare prima o poi ad un sistema democratico di libertà di ogni singolo cittadino di decidere della propria vita, è solo questione di tempo, quanto tempo sarà necessario è difficile da dirsi, ma di certo la transizione verso la libertà è iniziata a Cuba, con piccoli incerti passi ma è iniziata. Il sistema economico Cubano è talmente assurdo e fallimentare che pensare che possa essere gradito ai cubani è un insulto all'intelligenza degli stessi cubani. Se non sarà un crollo economico a fare crollare la dittatura sarà il popolo che lentamente farà virare l'economia del paese verso un sistema capitalista, forse sarà internet a dare una accelerazione al processo di cambiamento. L'embargo verso Cuba non è mai stato abbastanza ferreo ed in realtà non ha mai prodotto gravi danni al regime cubano, il turismo ha annullato l'effetto dell'embargo insieme al petrolio Venezuelano, a questo punto con gli Stati Uniti che stanno gradualmente eliminando le ultime restrizioni finanziarie non resta che un'alternativa a Cuba, visto che i cubani per loro indole anche se sono bravissimi a lamentarsi non sono capaci di ribellarsi in massa, possono semplicemente trascinarsi fuori dal baratro in cui li ha cacciati Fidel Castro dandosi da fare in tutti i modi per far funzionare meglio il sistema economico alternativo a quello ufficiale che già in realtà esiste, ignorando regole e leggi (cosa che già fanno) finché non moriranno i fratelli Castro e gran parte dei pezzi grossi del governo che sono ormai in età avanzata. Il futuro è davanti, sta ai cubani decidere se vogliono continuare ad essere schiavi di un regime e vivere come barboni la loro misera esistenza dal primo all'ultimo giorno della loro vita o essere parte della storia anche loro. L'equazione è banale, la miseria a Cuba è l'inevitabile conseguenza del sistema socialista, come diceva Winston Churchill con una frase che trovo divertente, anche se l'argomento non lo è per nulla: “il capitalismo è una ingiusta ripartizione della ricchezza, il comunismo è una giusta distribuzione della miseria”. Il socialismo cubano non è crollato come in quasi tutti gli altri sventurati paesi che lo hanno sperimentato non perché abbia mai funzionato ma semplicemente perché imposto con la forza, fosse stato per i cubani se avessero potuto scegliere tutto sarebbe finito negli anni novanta, nel periodo speciale, quando la gente per campare si cibava di qualsiasi cosa compresi i gatti dei vicini di casa e molto altro altro cibo che mai si sarebbe sognato di dover mangiare, quello fu l'unico momento che la gente scese in strada, era il 1994 e la gente si riversò sul Malecon della capitale, ma fu tutto inutile, la rivolta venne sedata, i manganelli e la prigione a Cuba hanno sempre fatto paura.
Cuba non è mai la stessa, l'Avana è il suo cuore ed è un esperimento sociale perpetuo, da qualche mese la novità più evidente è internet, il governo cubano ha deciso di avviare quello che qui viene definito dal alcuni un esperimento, il prezzo della targhetta per la connessione a internet è stato abbassato a due cuc cioè a poco meno di due euro per un'ora di connessione, un prezzo ancora alto per i cubani, ma sufficienti nella complessa economia sotterranea a creare uno spettacolo che solo qualche anno fa era impensabile: letteralmente centinaia di cubani armati per lo più di smartphone ma anche di computer portatili accampati praticamente tutto il giorno e fino a notte fonda attorno le antenne wifi poste agli angoli di alcune strade dell'Avana e attorno gli hotel che offrono la connessione, che anche se è censurata e spesso lenta permette di accedere a internet. Solo un anno fa il prezzo della connessione wifi era offerta solo dagli hotel e i prezzi variavano da quattro a ben quattordici cuc per un'ora, un prezzo che rendeva la connessione un sogno permesso solo ai turisti, (negli hotel della catena Melia il costo per connettersi per chi non è ospite dell'hotel è ancora oggi di 10 cuc per un'ora di internet). E così dal mattino alla notte centinaia di cubani per lo più con alle orecchie gli auricolari si connettono in video conferenza con i parenti che vivono fuori dal paese, i cubani hanno fatto presto a imparare ad usare i telefoni regalati loro dai parenti che vivono all'estero o comprati con grande sacrificio al mercato nero, ed è comune vedere delle nonne con le cuffiette alle orecchie che tramite l'applicazione IMO che è la più usata a Cuba comunicano facendo le smorfie in video conferenza con i nipotini che vivono all'estero. Ma due cuc sono comunque tanti a Cuba, così in realtà non tutti pagano quella cifra, nei pressi di ogni antenna wifi sono fiorite molte micro imprese, se si scansiona le connessioni wifi si scopre che spesso insieme al segnale ufficiale della compagnia telefonica ci sono uno o più segnali per lo più denominati Connettify-(e un nome), si tratta di un software che serve a condividere la connessione in modo che con una sola scheda da due cuc in realtà si collegano a internet decine di utenti, di solito chi gestisce queste reti si mostra con un computer portatile ben in vista usato solo per ripetere il segnale wifi, basta avvicinarsi dare un cuc al ragazzo che staziona vicino al computer e quando avrà raggiunto un numero sufficiente di clienti questi vengono forniti della password per accedere al segnale ripetuto e viene attivata la connessione di una sola scheda Etecsa da due cuc. Alcuni usano il nome della connessione ripetuta per pubblicizzare la tariffa di connessione, si va da un cuc l'ora a meno se il numero di clienti è alto, alcune di queste reti non vendono ad estranei la connessione ma vengono usate da gruppi di amici per risparmiare. Molti si chiedono se questo modo di condividere la connessione verrà contrastato dal governo o se addirittura l'esperimento del wifi verrà interrotto e le antenne rimosse, ma per il momento è grazie a questo espediente che i cubani si collegano al mondo esterno, una novità che è diventata una febbre che ha contagiato i cubani, dai giovani a molti anziani moltissimi passano ore a navigare in internet. Chi offre la connessione a prezzo scontato con il software Connettify in questo momento sta guadagnando cifre di tutto rispetto, facendo un veloce calcolo in base al numero e al continuo ricambio di utenti collegati di certo può incassare cifre di centinaia di cuc al giorno, significa che con un computer portatile un software che si scarica da internet gratis ci sono cubani che incassano in un giorno in poche ore il corrispettivo di vari mesi di stipendio statale, come sempre a Cuba si possono fare discreti guadagni ma sempre e solo in maniera illegale. In prossimità delle antenne wifi è anche possibile aquistare schede per la connessione a tre cuc in un mercato nero dovuto al fatto che spesso per giorni la compagnia telefonica ne è sprovvista. Il governo cubano con la mossa del wifi ha dato comunque un segnale di apertura, fino a pochi anni fa le comunicazioni telefoniche con l'estero erano registrate e ascoltate da centinaia di addetti alla sicurezza e la privacy era pari a zero, adesso con internet questo genere di controllo viene mantenuto anche se con difficoltà, alcuni sistemi voip in chiaro e quelli criptati rendono più difficile ascoltare le conversazioni e persino la censura di alcuni siti internet dell'opposizione possono essere consultati aggirando il firewall statale con sistemi vpn ma alcune applicazioni come la più usata a Cuba IMO sono ascoltate e registrate in appositi server. Se l'incasso relativo alla vendita della connessione wifi supererà quello che la compagnia statale incassava con le normali telefonate tra Cuba e l'estero molto probabilmente internet avrà un grande sviluppo e magari verrà implementato il numero di antenne wifi. Per adesso la rete wifi è al limite della sua capacità, spesso i router wifi hanno centinaia utenti collegati nello stesso momento e non sono capaci di assegnare ip a tutti gli utenti, o la connessione cade, a volte sono i software Connettify a bloccare l'assegnazione da parte dei router di nuovi ip e succede per assurdo che per navigare bisogna pagare il gestore del Connettify perché con la scheda da due cuc non si riesce a navigare collegandosi direttamente al router di stato.
Al momento internet arriva agli hotel con una connessione a cavo coassiale da 14 mbit e nelle scuole e negli uffici statali che ne sono forniti con una velocità di 2 mbit. Questo in teoria, in pratica le velocità di connessione sono molto più basse a causa dell'enorme traffico e della mala gestione della rete. Quella di non fornire la comune connessione dsl nelle case dei cubani è solo una scelta del regime, esiste già la dsl a Cuba ma viene usata solo dagli uffici statali quindi le centrali telefoniche sono già fornite della tecnologia che potrebbe fornire a tutti i cittadini cubani una connessione a basso costo.
Per il resto non ci sono grosse novità, il regime cubano vieta l'importazione dall'estero e la vendita di mercanzia ai privati e i negozi statali sono come sempre tristi e con poca e scadente merce venduta spesso a peso d'oro in un contesto di totale degrado e mancanza di igiene, i negozi di abbigliamento considerati migliori non sono altro che posti dove finisce il peggio della merce invenduta in Europa che dopo essere stati venduta al governo cubano viene rivenduta a prezzi altissimi, avere un ristorante o una pizzeria privati significa lottare giorno dopo giorno per procurare la materia prima, a meno che non si faccia cucina tradizionale a base del solito maiale, riso, fagioli neri pollo e tuberi locali.
L'informatica è l'onda da cavalcare a Cuba, anche se procurare i ricambi per computer non è sempre facile, esistono un paio di siti internet cubani molto seguiti che sono dei mercatini dove trovare anche materiale informatico che entra nell'isola quasi tutto dentro le valigie di turisti e parenti in visita, imprese che offrono grafica e stampa, riparatori di telefoni cellulari e computer fioriscono di continuo e sembrano avere successo. All'ingresso di un supermercato della capitale è possibile essere avvicinati da un signore che sussurrando come se stesse vendendo droga propone memorie Micro SD. Un vecchio computer portatile anche in cattive condizioni che in Europa verrebbe messo da parte perché obsoleto a Cuba vale oltre 150 cuc e qualsiasi componente informatico anche di infima qualità vale molto più del suo valore reale a Cuba. All'Avana sono ormai decine le reti wifi che anche se non collegate a internet permettono tramite dei server di condividere o ricevere in streaming grandi quantità di film e musica o registrazioni di trasmissioni satellitari, due di queste reti interconnesse tra loro riescono tramite ripetitori installati a casa di alcuni utenti di coprire gran parte della Havana. I guadagni per chi gestisce queste reti sono enormi, ogni utente pur di poter utilizzare il proprio computer è disposto a pagare cifre enormi per Cuba, dai 20 fino ai 50 cuc al mese per avere il servizio, e molti di loro rivendono i file scaricati in rivoli infiniti di memorie USB, basta considerare che una piccola rete di un solo quartiere dell'Avana può avere anche un migliaio di utenti paganti, basta fare due conti per capire il giro di denaro che ruota attorno alle reti wifi. Qualche gestore di reti di ospedali e scuole con grande rischio ha anche prelevato la connessione internet e la condivide con pochi selezionati utenti, riuscendo in qualche caso ad eludere la censura e il controllo dei server proxy di stato. Molti film che finiscono nelle reti intranet provengono dagli amministratori di rete degli hotel che approfittano della loro posizione privilegiata scaricando i film da internet per poi venderli, questo è spesso il motivo per cui la navigazione da alcuni hotel risulta rallentata, la banda indirizzata ai router wifi viene limitata per privilegiare il download di grossi file a monte delle reti. In pratica oggi a Cuba sul tema internet avviene ciò che avviene in qualsiasi altra attività statale, i lavoratori rubano ma invece di rubare benzina, cibo o materiale rubano hardware e soprattutto terabit di dati che rivendono al mercato nero. Alcuni accedono alle chat di internet anche utilizzando un trucco che consiste nel collegarsi con una scheda telefonica estera e un software per Android chiamato You Freedom, questo permette di navigare anche se a bassissima velocità ma senza fare attivare il contatore dei dati in rooming semplicemente utilizzando solo i dns, e le richieste dns non sono contate come dati sulle reti telefoniche. In questo modo non si può navigare liberamente in internet e anche se la velocità di navigazione è bassissima si possono usare senza limiti le chat per esempio di Facebook o Wathsapp. Le reti chiuse e non collegate a internet usate per vedere film e ascoltare musica sono difficili da trovare se ben configurate e con ovviamente l'ssid nascosto e su canali wifi non standard, e non sono considerate un atto illegale grave, quando viene scoperto un utente dalle autorità gli viene fatta una carta di avvertenza, ciò avviene anche se recidivo, solo alla terza infrazione si rischia il carcere per cui i cubani non hanno timore di utilizzarle, in oltre ogni utente pagante di queste reti non ha idea di come è composta tecnicamente la rete a cui si appoggia, non conosce l'ubicazione dei punti di accesso wifi e non può se rintracciato dalle autorità aiutarli ad eliminare l'intera rete. Altro discorso è se un amministratore di rete statale ruba con un sistema wifi internet dal suo posto di lavoro per immettere la connessione in una rete esterna, in quel caso il carcere è sicuro se scoperti. A Cuba i molti informatici in grado di mettere su una rete wifi danno filo da torcere alle autorità che sono quasi disarmate contro questa nuova forma di ribellione sociale anche perché chi ha le competenze tecniche per combattere questo tipo di illegalità spesso non ha nessuna intenzione di eliminare quello che in realtà a Cuba è ormai considerato un grande passo avanti per la società dal quale ormai non è possibile fare a meno e dal quale non si torna indietro. Cuba ha fame di internet, ha fame di musica, immagini e notizie del mondo esterno e soprattutto di comunicare con l'estero, non c'è modo di fermare questa necessità e nessuna censura potrà mai porre fine all'applicazione delle nuove tecnologie, ogni giorno entra a Cuba ogni sorta di materiale informatico nelle valigie dei turisti che poi finisce nel mercato nero che si somma al materiale informatico sottratto nelle aziende statali. La Cuba reale è sempre più lontana dalla propaganda di regime, le nuove generazioni sopportano come una croce la miseria e la dittatura ma non rinunciano alle nuove tecnologie che implicano per forza di cose di infrangere le regole e le leggi imposte da burocrati che potrebbero essere i nonni dei giovani cubani e che non hanno neppure le idee chiare su cosa sia internet, chi ha un computer vuole utilizzarlo per scoprire il mondo e per farlo ci sono due vie visto il costo proibitivo della connessione a internet e la impossibilità di averla a casa propria, lo statico “Pachette” una memoria USB che contiene vari programmi televisivi di televisioni estere e film che viene distribuito a Cuba in forma massiva e che viene regolarmente aggiornato, pagare un prezzo alto per connettersi a internet ed avere una connessione lenta e per poco tempo che non permette di scaricare o godersi un film in streamning oppure agganciarsi via wifi a un server di una delle tanti reti intranet che contiene una vastissima selezione di file multimediali. Già adesso sulla rete wifi governativa applicazioni voip e di altro genere che in teoria non dovrebbero funzionare funzionano invece perfettamente come anche i sistemi di crittografia permettono di inviare e ricevere qualsiasi informazione con la massima privacy, persino un protocollo di connessione vpn funziona perfettamente a Cuba scavalcando qualsiasi tipo di censura e controllo per cui la paranoia del regime di controllare tutto e tutti appare per quella che è: solo una inutile paranoia al tempo di internet, retaggio del tempo passato e di spy story in bianco e nero, se qualcuno ha davvero necessità di nascondere qualcosa lo potrebbe fare comunque eludendo qualsiasi controllo o censura.
Per quanto riguarda l'economia generale in Cuba questa è legata come sempre al turismo, se per assurdo si interrompesse il flusso di turisti l'economia cubana crollerebbe nel giro di poche settimane, ma il flusso di denaro del turismo non è ben distribuito nell'isola, le città più battute dai turisti soprattutto nord europei sono letteralmente avvelenate dal denaro, esistono cittadine dove ogni porta è una casa da affittare o un ristorante e dove i prezzi sono altissimi e dove i cubani sembrano aver perso il senso della misura, questo comporta vari rischi per il turista, oltre a quello di pagare uno sproposito per cibo e affitto di casa c'è il serio problema che le amministrazioni cittadine hanno dato a chiunque la licenza per aprire ristoranti il che comporta seri rischi per la salute, i ristoratori spesso vendono pesce e aragoste in cattive condizioni, utilizzano comuni frigoriferi e vendono pesce acquistato al mercato nero in pessimo stato di conservazione. La corruzione dove arriva il turismo è a tutti i livelli intollerabile, i chioschi sulle spiagge anche se statali ignorano i listini dei prezzi e senza nessuno che li controlli vendono per fare degli esempi sigarette da 60 centesimi a 3 cuc, panini a 3-5 cuc e affittano le sedie sdraio al doppio del prezzo che si paga nel resto dell'isola, e i soldi incassati finiscono direttamente nelle tasche dei gestori e in quelli delle autorità che chiudono un occhio. I centri privi di interesse storico o semplicemente non riportati sulle guide turistiche e non battute dai tour operator sono tagliati fuori dal gioco, non girano soldi e si vive ancora come cento anni fa. Il sistema socialista cubano è in una fase di evoluzione e cambiamento, sebbene la capillare struttura del governo sia ancora ufficialmente funzionante e i vari “collettivi” si diano un gran da fare in tutti i campi a causa della corruzione e della deriva delle nuove generazioni persino i CDR non sono più attivi come in passato, alle riunioni e alle feste organizzate dai comitati di controllo della rivoluzione sono sempre meno i presenti, è ormai chiaro che la vecchia struttura statale è anacronistica nella Cuba di oggi, non regge il peso della realtà sociale ed economica. Anche i più convinti comunisti a Cuba sono ormai coscienti che i tempi sono cambiati e che è necessario cambiare ed adattare il sistema ai tempi moderni, anche a costo di toccare dogmi in passato considerati sacri del socialismo cubano. Come mi ha spiegato un cubano che conosce bene come funzionano le cose nel suo paese il vero potere adesso è nelle mani dei gestori delle imprese statali, che distribuiscono cibo e merci varie, questi gestori che spesso sono militari si piegano volentieri alla corruzione delle imprese straniere fornitrici e immettono merce di infima qualità nel mercato cubano in cambio di cospicue mazzette, nei migliori negozi di abbigliamento a Cuba finisce venduta a prezzi altissimi niente altro che la merce invenduta, difettosa e fuori mercato dei paesi “capitalisti”. Anche il cibo venduto dai negozi statali è il peggio della produzione mondiale e se c'è qualcosa di buono in vendita è a prezzi inaccessibili ai cittadini cubani e viene aquistato per o più dai turisti.
Non bisogna comunque mai dimenticare che il socialismo Cubano non ha mai funzionato, Cuba non è mai stata in grado di mantenere se stessa, da quando l'ex Unione Sovietica è crollata è solo grazie al turismo che la macchina della dittatura ha potuto continuare a resistere, il socialismo a Cuba è stato ed è imposto a Cuba da un dittatore che si chiama Fidel Castro che non potendo applicare nessun altro sistema economico che quello socialista per mantenere il potere ha indotto il popolo cubano su una strada senza uscita, se non quella di tornare prima o poi ad un sistema democratico di libertà di ogni singolo cittadino di decidere della propria vita, è solo questione di tempo, quanto tempo sarà necessario è difficile da dirsi, ma di certo la transizione verso la libertà è iniziata a Cuba, con piccoli incerti passi ma è iniziata. Il sistema economico Cubano è talmente assurdo e fallimentare che pensare che possa essere gradito ai cubani è un insulto all'intelligenza degli stessi cubani. Se non sarà un crollo economico a fare crollare la dittatura sarà il popolo che lentamente farà virare l'economia del paese verso un sistema capitalista, forse sarà internet a dare una accelerazione al processo di cambiamento. L'embargo verso Cuba non è mai stato abbastanza ferreo ed in realtà non ha mai prodotto gravi danni al regime cubano, il turismo ha annullato l'effetto dell'embargo insieme al petrolio Venezuelano, a questo punto con gli Stati Uniti che stanno gradualmente eliminando le ultime restrizioni finanziarie non resta che un'alternativa a Cuba, visto che i cubani per loro indole anche se sono bravissimi a lamentarsi non sono capaci di ribellarsi in massa, possono semplicemente trascinarsi fuori dal baratro in cui li ha cacciati Fidel Castro dandosi da fare in tutti i modi per far funzionare meglio il sistema economico alternativo a quello ufficiale che già in realtà esiste, ignorando regole e leggi (cosa che già fanno) finché non moriranno i fratelli Castro e gran parte dei pezzi grossi del governo che sono ormai in età avanzata. Il futuro è davanti, sta ai cubani decidere se vogliono continuare ad essere schiavi di un regime e vivere come barboni la loro misera esistenza dal primo all'ultimo giorno della loro vita o essere parte della storia anche loro. L'equazione è banale, la miseria a Cuba è l'inevitabile conseguenza del sistema socialista, come diceva Winston Churchill con una frase che trovo divertente, anche se l'argomento non lo è per nulla: “il capitalismo è una ingiusta ripartizione della ricchezza, il comunismo è una giusta distribuzione della miseria”. Il socialismo cubano non è crollato come in quasi tutti gli altri sventurati paesi che lo hanno sperimentato non perché abbia mai funzionato ma semplicemente perché imposto con la forza, fosse stato per i cubani se avessero potuto scegliere tutto sarebbe finito negli anni novanta, nel periodo speciale, quando la gente per campare si cibava di qualsiasi cosa compresi i gatti dei vicini di casa e molto altro altro cibo che mai si sarebbe sognato di dover mangiare, quello fu l'unico momento che la gente scese in strada, era il 1994 e la gente si riversò sul Malecon della capitale, ma fu tutto inutile, la rivolta venne sedata, i manganelli e la prigione a Cuba hanno sempre fatto paura.
14 Agosto 2015
Dopo 54 anni gli Stati Uniti issano nuovamente la bandiera a Cuba, da bambino ricordo un'altra bandiera americana che fece storia, oggi mi sembra di rivivere quell'emozione lontana, era il 1969 e si trattava della bandiera a stelle e strisce che venne piantata sulla Luna. Cuba non è sulla Luna ma dopo decenni di viaggi a Cuba sinceramente non ero sicuro che avrei mai visto una bandiera a stelle e strisce sul Malecon della Habana. Bene la bandiera adesso c'è, dopo essere stata issata è rimasta quasi immobile a causa della mancanza di vento, come sfiancata dalla stanchezza dello sforzo titanico di essere arrivata sin lì. Ma una bandiera è solo una bandiera tutto lo sforzo diplomatico fatto dal governo cubano e da quello statunitense non sono nulla rispetto al cammino che è appena iniziato, sarà dura e potrebbe anche durare molti anni ancora il lento processo di cambiamento a Cuba.
Schematizzando per sommi capi ciò che ancora dovrà succedere direi che aspettarsi una esplosione di denaro e libertà a Cuba è solo sognare, il cambiamento comporta da parte del governo castrista molte rinunce, quindi niente dissidenti in galera e niente repressione, niente anti americanismo e poi la fondamentale questione: come dovrebbero fare i cubani senza l'embargo a fare nascere una economia se tutto è in mano allo stato e l'import privato non è permesso? Fidel Castro a prescindere dal suo stato mentale ormai devastato dall'età non ha perso l'occasione neppure in questo delicato momento di rispolverare un suo vecchio cavallo da battaglia, ha già detto che gli USA dovranno pagare milioni di dollari come risarcimento per gli anni passati sotto embargo, come se gli USA per assurdo dovessero pagare una penale perché Fidel Castro ha deciso di escludersi dal sistema capitalista per chiudersi a riccio nella miseria imponendo ai cubani un arcaico sistema economico che a prescindere da qualsiasi embargo economico è totalmente fallimentare sotto tutti i punti di vista. Obama ha tanta buona volontà ma deve dare conto al congresso della sua nazione che non darà a Cuba nulla in cambio di nulla. Al momento nonostante la palese resa del sistema socialista cubano il suo apparato di controllo e governo è pressoché intatto per cui l'avvicinamento agli Stati Uniti e alla nascita di un sistema economico sostenibile e razionale sarà possibile solo a patto che il governo cubano farà una serie di inversioni a U su alcuni fondamentali argomenti che purtroppo coincidono giusto con mezzo secolo di feroce propaganda anti-capitalista, modificando pesantemente le leggi e la stessa costituzione poiché sono queste all'origine della catastrofe economica e della mancanza di libertà che vivono i cubani. Perché l'allentamento delle sanzioni USA e l'eventuale fine totale di ogni forma di limitazione commerciale e finanziaria non farà altro che mettere a nudo realtà cubana e i reali motivi di tanta miseria a Cuba e cioè che è quasi forma di attività di importazione da parte di privati dall'estero e di commercio privato sono regolate da leggi studiate scientificamente per favorire il governo cubano e non i cittadini. Ma visto che come la storia ha insegnato, quasi nessuno nel governo cubano ha mai disdegnato il profumo dei dollari degli odiati capitalisti, probabilmente il cambiamento di cuba si velocizzerà quando finalmente gli attempati signori che abitano le lussuose ville del quartiere di Siboney all' Habana capiranno che conviene soprattutto alle loro tasche un sistema economico capitalista. Io personalmente spero nella proverbiale corruttibilità del partito comunista cubano, forse sarà questa a salvare Cuba questa volta.
Dopo 54 anni gli Stati Uniti issano nuovamente la bandiera a Cuba, da bambino ricordo un'altra bandiera americana che fece storia, oggi mi sembra di rivivere quell'emozione lontana, era il 1969 e si trattava della bandiera a stelle e strisce che venne piantata sulla Luna. Cuba non è sulla Luna ma dopo decenni di viaggi a Cuba sinceramente non ero sicuro che avrei mai visto una bandiera a stelle e strisce sul Malecon della Habana. Bene la bandiera adesso c'è, dopo essere stata issata è rimasta quasi immobile a causa della mancanza di vento, come sfiancata dalla stanchezza dello sforzo titanico di essere arrivata sin lì. Ma una bandiera è solo una bandiera tutto lo sforzo diplomatico fatto dal governo cubano e da quello statunitense non sono nulla rispetto al cammino che è appena iniziato, sarà dura e potrebbe anche durare molti anni ancora il lento processo di cambiamento a Cuba.
Schematizzando per sommi capi ciò che ancora dovrà succedere direi che aspettarsi una esplosione di denaro e libertà a Cuba è solo sognare, il cambiamento comporta da parte del governo castrista molte rinunce, quindi niente dissidenti in galera e niente repressione, niente anti americanismo e poi la fondamentale questione: come dovrebbero fare i cubani senza l'embargo a fare nascere una economia se tutto è in mano allo stato e l'import privato non è permesso? Fidel Castro a prescindere dal suo stato mentale ormai devastato dall'età non ha perso l'occasione neppure in questo delicato momento di rispolverare un suo vecchio cavallo da battaglia, ha già detto che gli USA dovranno pagare milioni di dollari come risarcimento per gli anni passati sotto embargo, come se gli USA per assurdo dovessero pagare una penale perché Fidel Castro ha deciso di escludersi dal sistema capitalista per chiudersi a riccio nella miseria imponendo ai cubani un arcaico sistema economico che a prescindere da qualsiasi embargo economico è totalmente fallimentare sotto tutti i punti di vista. Obama ha tanta buona volontà ma deve dare conto al congresso della sua nazione che non darà a Cuba nulla in cambio di nulla. Al momento nonostante la palese resa del sistema socialista cubano il suo apparato di controllo e governo è pressoché intatto per cui l'avvicinamento agli Stati Uniti e alla nascita di un sistema economico sostenibile e razionale sarà possibile solo a patto che il governo cubano farà una serie di inversioni a U su alcuni fondamentali argomenti che purtroppo coincidono giusto con mezzo secolo di feroce propaganda anti-capitalista, modificando pesantemente le leggi e la stessa costituzione poiché sono queste all'origine della catastrofe economica e della mancanza di libertà che vivono i cubani. Perché l'allentamento delle sanzioni USA e l'eventuale fine totale di ogni forma di limitazione commerciale e finanziaria non farà altro che mettere a nudo realtà cubana e i reali motivi di tanta miseria a Cuba e cioè che è quasi forma di attività di importazione da parte di privati dall'estero e di commercio privato sono regolate da leggi studiate scientificamente per favorire il governo cubano e non i cittadini. Ma visto che come la storia ha insegnato, quasi nessuno nel governo cubano ha mai disdegnato il profumo dei dollari degli odiati capitalisti, probabilmente il cambiamento di cuba si velocizzerà quando finalmente gli attempati signori che abitano le lussuose ville del quartiere di Siboney all' Habana capiranno che conviene soprattutto alle loro tasche un sistema economico capitalista. Io personalmente spero nella proverbiale corruttibilità del partito comunista cubano, forse sarà questa a salvare Cuba questa volta.
6/5/2015
UN EX BODYGUARD RIVELA LA DOPPIA VITA DEL LIDER MAXIMO: “UN CORROTTO CHE DIRIGEVA IL TRAFFICO DI COCAINA COME UN PADRINO” - SUL FRATELLO RAÚL: "HA PROBLEMI CON L’ALCOL" In un libro gli innumerevoli e indicibili segreti dell’uomo che ha più segnato la storia di Cuba: dai nove figli avuti da cinque partner diverse alla repressione degli oppositori: emergono tutte le facce del “monarca” Castro - Genio della guerra in Nicaragua e in Angola, autocrate paranoico a casa, maestro di spionaggio, diplomatico machiavellico, e complice di trafficanti di droga....
UN EX BODYGUARD RIVELA LA DOPPIA VITA DEL LIDER MAXIMO: “UN CORROTTO CHE DIRIGEVA IL TRAFFICO DI COCAINA COME UN PADRINO” - SUL FRATELLO RAÚL: "HA PROBLEMI CON L’ALCOL" In un libro gli innumerevoli e indicibili segreti dell’uomo che ha più segnato la storia di Cuba: dai nove figli avuti da cinque partner diverse alla repressione degli oppositori: emergono tutte le facce del “monarca” Castro - Genio della guerra in Nicaragua e in Angola, autocrate paranoico a casa, maestro di spionaggio, diplomatico machiavellico, e complice di trafficanti di droga....
Ha trascorso 17 anni a fianco di Fidel Castro come
una delle sue guardie del corpo. Ha adorato quell'uomo più della sua
famiglia. Prima della disillusione. Prima di scoprire che «il lider
maximo era corrotto ed era direttamente coinvolto nel traffico di
droga». A scriverlo è Juan Reinaldo Sanchez, 66 anni, nel libro “La
doppia vita di Fidel Castro", in uscita il 12 maggio: un libro in cui si
annuncia la rivelazione di innumerevoli segreti dell'uomo che più ha
segnato la storia di Cuba. Sanchez
racconta di come Castro abbia diretto operazioni di traffico di cocaina
«come un vero padrino», riferendosi in particolare a una vicenda
avvenuta nel 1988 che ha cambiato totalmente la sua visione dell'uomo
che aveva sempre adorato. L'episodio riguarda una conversazione avvenuta
tra Castro e il suo fedele il ministro dell'Interno ed ex capo della
sicurezza, José Abrantes, in un ufficio con sede a L'Avana. Nonostante
il diktat fosse quello di non registrare i dialoghi, quel giorno
Sanchez racconta che «un po' per curiosità, un po' per ammazzare il
tempo» aveva deciso di nascondere un microfono accesso in un
controsoffitto. Ma quello che doveva essere un semplice divertimento si
trasformò in un vero e proprio choc: secondo il libro di Sanchez, la
conversazione verteva su un trafficante di droga che voleva trascorrere
una vacanza nel suo Paese natale. Una settimana in tutto. Abrantes
avrebbe chiesto a Castro il permesso di portare temporaneamente il
trafficante a visitare la spiaggia di lusso di Santa María del Mar,
situata a est di L'Avana, con i suoi genitori.
«Il trafficante avrebbe pagato 75 mila dollari che sarebbero finiti esclusivamente nelle tasche di Castro – scrive Sanchez - La preoccupazione più grande per lui era garantire il silenzio dei genitori dell'uomo. La soluzione arrivò presto da Abrantes, che si sarebbe occupato personalmente di far credere ai parenti che il figlio fosse un agente dell'intelligence cubana infiltrato negli Stati Uniti. Il ministro, inoltre, aggiunse che l'uomo avrebbe rischiato la vita se loro non avessero mantenuto il segreto sulle loro vacanze.
Fidel a quel punto esclamò soltanto: “Molto bene”. È stato come se il cielo mi fosse caduto addosso. Mi sono reso conto che l'uomo per cui avevo tanto sacrificato la mia vita, il Líder che ho adorato come un dio e che contava più della mia famiglia era coinvolto nel traffico di cocaina a tal punto che stava dirigendo operazioni illegali come un vero padrino».
Sanchez continua raccontando di come il traffico di cocaina sia cresciuto in America Latina in concomitanza con la chiusura dei rubinetti da parte di Mosca. «Quando gli Stati Uniti iniziarono a nutrire sospetti sul traffico di droga a Cuba – scrive l'ex guardia del corpo - Castro ha dichiarato pubblicamente che avrebbe condotto un'indagine onesta. Durante l'inchiesta, Abrantes e il generale cubano Arnaldo Ochoa furono arrestati.
Quest'ultimo fu condannato a morte a seguito di un processo che è stato censurato da Castro prima che fosse trasmesso da una televisione cubana». Oltre alla presunta censura, Castro avrebbe anche dato istruzioni al presidente della corte, ai pubblici ministeri e ai giurati circa le decisioni da prendere.
«Al termine del procedimento, Abrantes è stato condannato a 25 anni di carcere per negligenza, abuso d'ufficio e uso improprio di risorse finanziarie e militari. Morì per un “sospetto” attacco di cuore nel 1991 mentre Ochoa è stato ucciso per tradimento in una esecuzione che io e altri uomini di Castro siamo stati costretti a guardare in video. È stato l'episodio più doloroso della mia carriera».
Ma Sanchez racconta anche la sua incarcerazione e le torture che ha dovuto subire nel 1994 dopo aver tentato di abbandonare il lavoro a seguito di quanto aveva scoperto. Negli anni in carcere ha perso più di 30 chili, riuscendo a fuggire dalla sua piccola cella di isolamento nel 2008: con una barca si è diretto in Messico e, dopo aver attraversato il confine con gli States, si è stabilito a Miami.
Nel libro si parla anche del fratello Raúl Castro e della sua caduta nel vortice dell'alcolismo per la preoccupazione di essere ucciso. «“Se quello che ti preoccupa è che quello che è successo a Abrantes accada anche a te, lascia che ti dica che Abrantes non era mio fratello!” ha risposto Fidel – continua Sanchez nel libro - “Tu e io siamo stati uniti sin da quando eravamo bambini, nel bene e nel male. Quindi, no, non è il destino di Abrantes quello che ti spetta a meno che... tu non persista con questo comportamento deplorevole».
“La doppia vita di Fidel Castro” scritto da Sanchez e da Axel Gylden, «affronta anche il rapporto con la famiglia - si legge nella descrizione del volume – e i nove figli avuti da cinque partner diverse e promette di rivelare innumerevoli segreti di Stato e le molte facce del monarca cubana: leader genio della guerra in Nicaragua e in Angola, autocrate paranoico a casa, maestro di spionaggio, diplomatico machiavellico, e complice di trafficanti di droga. Questa straordinaria testimonianza ci porta a riesaminare tutto quello che pensavamo di sapere sulla storia cubana e su Fidel Castro».
«Il trafficante avrebbe pagato 75 mila dollari che sarebbero finiti esclusivamente nelle tasche di Castro – scrive Sanchez - La preoccupazione più grande per lui era garantire il silenzio dei genitori dell'uomo. La soluzione arrivò presto da Abrantes, che si sarebbe occupato personalmente di far credere ai parenti che il figlio fosse un agente dell'intelligence cubana infiltrato negli Stati Uniti. Il ministro, inoltre, aggiunse che l'uomo avrebbe rischiato la vita se loro non avessero mantenuto il segreto sulle loro vacanze.
Fidel a quel punto esclamò soltanto: “Molto bene”. È stato come se il cielo mi fosse caduto addosso. Mi sono reso conto che l'uomo per cui avevo tanto sacrificato la mia vita, il Líder che ho adorato come un dio e che contava più della mia famiglia era coinvolto nel traffico di cocaina a tal punto che stava dirigendo operazioni illegali come un vero padrino».
Sanchez continua raccontando di come il traffico di cocaina sia cresciuto in America Latina in concomitanza con la chiusura dei rubinetti da parte di Mosca. «Quando gli Stati Uniti iniziarono a nutrire sospetti sul traffico di droga a Cuba – scrive l'ex guardia del corpo - Castro ha dichiarato pubblicamente che avrebbe condotto un'indagine onesta. Durante l'inchiesta, Abrantes e il generale cubano Arnaldo Ochoa furono arrestati.
Quest'ultimo fu condannato a morte a seguito di un processo che è stato censurato da Castro prima che fosse trasmesso da una televisione cubana». Oltre alla presunta censura, Castro avrebbe anche dato istruzioni al presidente della corte, ai pubblici ministeri e ai giurati circa le decisioni da prendere.
«Al termine del procedimento, Abrantes è stato condannato a 25 anni di carcere per negligenza, abuso d'ufficio e uso improprio di risorse finanziarie e militari. Morì per un “sospetto” attacco di cuore nel 1991 mentre Ochoa è stato ucciso per tradimento in una esecuzione che io e altri uomini di Castro siamo stati costretti a guardare in video. È stato l'episodio più doloroso della mia carriera».
Ma Sanchez racconta anche la sua incarcerazione e le torture che ha dovuto subire nel 1994 dopo aver tentato di abbandonare il lavoro a seguito di quanto aveva scoperto. Negli anni in carcere ha perso più di 30 chili, riuscendo a fuggire dalla sua piccola cella di isolamento nel 2008: con una barca si è diretto in Messico e, dopo aver attraversato il confine con gli States, si è stabilito a Miami.
Nel libro si parla anche del fratello Raúl Castro e della sua caduta nel vortice dell'alcolismo per la preoccupazione di essere ucciso. «“Se quello che ti preoccupa è che quello che è successo a Abrantes accada anche a te, lascia che ti dica che Abrantes non era mio fratello!” ha risposto Fidel – continua Sanchez nel libro - “Tu e io siamo stati uniti sin da quando eravamo bambini, nel bene e nel male. Quindi, no, non è il destino di Abrantes quello che ti spetta a meno che... tu non persista con questo comportamento deplorevole».
“La doppia vita di Fidel Castro” scritto da Sanchez e da Axel Gylden, «affronta anche il rapporto con la famiglia - si legge nella descrizione del volume – e i nove figli avuti da cinque partner diverse e promette di rivelare innumerevoli segreti di Stato e le molte facce del monarca cubana: leader genio della guerra in Nicaragua e in Angola, autocrate paranoico a casa, maestro di spionaggio, diplomatico machiavellico, e complice di trafficanti di droga. Questa straordinaria testimonianza ci porta a riesaminare tutto quello che pensavamo di sapere sulla storia cubana e su Fidel Castro».
11/4/2015
L'errore dell'amministrazione USA di porgere la mano alla dittatura castrista è palese, Raul Castro nel giorno dell'incontro con Obama ordina che un manipolo di picchiatori tra cui agenti della sicurezza di stato vengono caricati su un volo della Cubana de Aviacion per essere portati a Panama e fa pestare a sangue i dissidenti cubani presenti. C'è solo una spiegazione per un comportamento così irrazionale e vile, il governo cubano sta solo fingendo di voler cambiare, e finché sarà in vita un solo membro della famiglia Castro nulla cambierà a Cuba.
L'errore dell'amministrazione USA di porgere la mano alla dittatura castrista è palese, Raul Castro nel giorno dell'incontro con Obama ordina che un manipolo di picchiatori tra cui agenti della sicurezza di stato vengono caricati su un volo della Cubana de Aviacion per essere portati a Panama e fa pestare a sangue i dissidenti cubani presenti. C'è solo una spiegazione per un comportamento così irrazionale e vile, il governo cubano sta solo fingendo di voler cambiare, e finché sarà in vita un solo membro della famiglia Castro nulla cambierà a Cuba.
News
15/3/2015
Cuba 2015
A Cuba probabilmente non ci sarà mai una sollevazione popolare, è passato troppo tempo dalla presa di potere di Fidel Castro, dopo mezzo secolo di regime castrista la popolazione ormai accetta l'attuale situazione considerandola normale, in oltre, parte della popolazione che non possedeva nulla e non aveva accesso ad educazione e sistema sanitario già da prima della rivoluzione considera ancora il regime castrista un fatto positivo nonostante tutto. Il cittadino cubano è abituato a non avere mai avuto la responsabilità di partecipare al governo del paese, come non è abituato a vivere delle sue forze per cui un eventuale cambio di sistema economico lo intimorisce, una parte dei cubani si accontentano di sopravvivere e non hanno pretese di libertà o di arricchimento semplicemente sopravvivono alle spalle dello stato per quel poco di aiuto che gli da e vivendo di espedienti mentre la vita nelle campagne è la stessa che secoli fa, l'agricoltura e l'allevamento di bestiame per uso proprio e per la vendita permettono per molti una vita relativamente accettabile anche se esistono ancora a Cuba vaste aree rurali prive di energia elettrica e difficili da raggiungere. Naturalmente questo vale in generale ma nella capitale e nei grossi centri sono molti i cubani che ormai si possono considerare ricchi, questi non sono in genere interessati alla politica del paese e non criticano il regime socialista, essi infatti si stanno arricchendo proprio grazie alla bizzarra situazione che il regime crea, proprietari di ristoranti di case da affittare ai turisti, di migliaia di Taxi privati e la prostituzione alimentano una economia sotterranea che migliora lo stato economico generale della società e questo grazie alla diffusa corruzione di chi dovrebbe effettuare i controlli e al sistema fiscale primordiale che permette arricchimenti rapidi con investimenti relativamente piccoli per lo più fatti con denaro proveniente da soci europei o tramite le rimesse dei parenti che vivono all'estero. Questa situazione ha causato in Cuba differenze sociali abissali tra poveri e ricchi, la maggioranza dei cubani deve lottare giorno per giorno semplicemente per cibarsi dignitosamente e non può permettersi i beni venduti in CUC mentre chi ha avuto possibilità di accedere al sistema imprenditoriale e semi-illegale che il regime tollera ha un livello di ricchezza inimmaginabile per il resto della popolazione. Il sistema Cuba si mantiene come da molti anni in precario equilibrio ma presenta al momento una sua stabilità, il lunghissimo periodo di regime repressivo e povertà ha generato nella popolazione uno sfiancamento generale che ha avuto come effetto quello di aver reso i cittadini dipendenti dall'oppressore, per una coincidenza di fattori storici il cubano medio si disinteressa a un eventuale cambio di sistema politico ed economico per paura di perdere il poco che l'attuale sistema gli assicura, non ultima la sicurezza sociale data dalla gran quantità di poliziotti e la durezza delle pene per chi delinque, il cubano comunque in una discussione anche se non ha nulla da nascondere in rari casi si pone sullo stesso piano con un poliziotto, la normalità è una totale sottomissione all'autorità che spesso si comporta in maniera brutale, essere trascinati in una caserma resta a Cuba un incubo che potrebbe avere serie conseguenze se non si porta il dovuto rispetto ai membri dei vari corpi di polizia.
Anche se esistono delle mafie minori a Cuba che si occupano della gestione dei locali notturni, dello spaccio di droga, soprattutto cocaina, e anche se esiste una microcriminalità urbana l'isola di Castro resta nell'area dei Caraibi uno dei posti più sicuri. A Cuba i servizi segreti interni anche se non più come in passato sono ancora abbastanza efficienti, pochi riescono a farla franca alla lunga, il ministero dell'interno a Cuba sa tutto di tutti, si può finire in galera o espulsi dell'isola se si è stranieri con qualsiasi accusa, se non si è amico degli amici naturalmente e non si corrompe chi di dovere. Per molti stranieri che ci vivono e sanno come muoversi Cuba è infatti il paese delle meraviglie dove si può fare di tutto, paradossalmente con più tranquillità che in una paese democratico dove è più difficile corrompere le autorità.
Non bisogna però credere che a Cuba non esistano bande armate capaci di imprese criminali notevoli magari riuscendo a farla franca, nell'isola dei Castro infatti, anche se non sempre riportate nei notiziari o su Granma sono avvenute alcune rapine in banca e assalti di furgoni portavalori, esiste quindi anche una criminalità estremamente audace fornita di armi automatiche probabilmente rubate dai depositi statali o vendute da militari corrotti.
A Cuba esiste una forza dissidente e dei movimenti politici che sebbene in qualche modo tollerati sono considerati illegali, ma non rappresentano una forza capace di sovvertire il governo e neppure di imporsi pacificamente, non hanno accesso ai mezzi di comunicazione di massa interni del paese per fare conoscere le loro idee al resto della popolazione e la loro forza dissidente è intelligentemente trattata dal governo cubano con una strategia di tolleranza ma con continue punizioni come la negazione di fare carriera o di avere diritto ad espatriare per studiare all'estero, con arresti che negli ultimi anni si sono fatti sempre frequenti ma più brevi e nel contempo rilasci dalle carceri di dissidenti storici. In qualche modo il governo cubano da qualche anno a questa parte considera i dissidenti come qualcosa di inevitabile e da trattare con la dovuta cautela, questa strategia funziona perfettamente, a Cuba i dissidenti più famosi conosciuti all'estero e che in alcuni casi hanno scontato decine di anni di carcere per reati di opinione sono del tutto sconosciuti dalla gran parte della popolazione, in qualche caso sono considerati delinquenti comuni o furbi cittadini che si fingono dissidenti per essere pagati dalla CIA o dalla dissidenza cubana residente in Florida e questo perché i cittadini cubani sono sistematicamente bombardati dalla propaganda interna del paese per mezzo di radio, televisione e carta stampata che diffonde false notizie, secondo il regime cubano a Cuba non esiste una vera dissidenza o cittadini che desiderano vivere in un paese democratico ma solo spie e terroristi pagati dagli USA per far cadere il governo. Il governo cubano ha certamente al suo interno una notevole intelligenza in grado di gestire la difficile situazione, tenendo sotto controllo il dissenso pur di non cambiare la attuale situazione politica e i privilegi e il potere della famiglia Castro e dei membri del governo seguendo una ideologia ormai svuotata di ogni significato nel mondo attuale e persino nella società cubana di oggi. Comunque se fino agli anni novanta la gente a Cuba aveva paura criticare il governo e persino di pronunciare il nome di Fidel Castro se non che per elogiarlo, per timore di essere denunciati magari dal vicino di casa come avveniva in unione sovietica, oggi molti cubani in privato ma anche in strada criticano aspramente il regime castrista anche in animate discussioni assumendosene il rischio e alla radio è possibile ascoltare tra il tripudio di elogi alla rivoluzione anche qualche critica indiretta al governo, critica che si riferisce in genere a problemi sociali o dei diritti traditi dei lavoratori dello stato, piccole cose rispetto a quello che in realtà succede a Cuba, tutte notizie filtrate dalla censura naturalmente ma sintomo di una stanchezza ormai generale allo sfacelo della società. Ieri radio Reloj ha dato voce a un cubano che fa notare che i tanti parcheggiatori abusivi della Havana a volte chiedono il corrispettivo della paga di un intero giorno di lavoro. Nella realtà i crimini commessi a Cuba e i problemi sociali non sono solo quelli riportati ma sono molti e alcuni gravissimi, ma di essi non c'è traccia sui media di stato.
Le nuove aperture di Obama al momento non hanno avuto nessun effetto sulla popolazione, economicamente il governo non ha fatto nessuna nuova concessione e a parte lo scambio di prigionieri per spionaggio tra USA e Cuba e la visita di alcune delegazioni governative statunitensi non ci sono evidenze di alcun cambiamento da parte della sempre martellante propaganda del regime, alla radio, sul giornale di regime Granma e alla televisione le condanne contro gli odiati capitalisti statunitensi e l'embargo economico e finanziario proseguono con il ritmo di sempre e le trasmissioni radio della dissidenza cubana che dal sud della Florida trasmette per Cuba in onde corte vengono come sempre disturbate da stazioni Jammer, una odiosa pratica risalente al tempo della guerra fredda. Nulla sembra essere cambiato e non c'è neppure stata la desiderata invasione di turisti nord americani, i cubani sono scettici sugli effetti dell'avvicinamento agli USA, sanno bene quanto sono lontane le posizioni dei due paesi e quanto sleale è il loro governo quando per i propri interessi finge di trattare con gli odiati nemici di sempre, in oltre vale sempre la regola che il governo cubano ha bisogno della scusa della guerra economica permanente con gli USA per giustificare il disastro economico interno al paese.
Le aperture economiche concesse dal regime che hanno permesso in questi anni il fiorire di locali notturni, ristoranti e piccole attività artigianali sono in realtà il minimo necessario che il governo di Castro poteva concedere per evitare la catastrofe economica, ma nulla di risolutivo perché comunque il sistema economico cubano è un caos di regole e restrizioni con molte falle dovute all'inettitudine dei ministeri che si occupano dell'economia e alla diffusa corruzione a tutti i livelli nei funzionari di governo, tutto questo in un tessuto economico devastato che non da nessun aiuto al cubano medio che non ha nulla mentre permette la nascita di nuovi ricchi.
Bisogna anche comprendere che il governo cubano non ha nessun interesse a che il benessere che inevitabilmente porterebbe ribellione all'autorità si diffonda a tutta la popolazione, e tollera l'inevitabile enorme concentrazione di denaro nelle mani di pochi e un'economia di sopravvivenza per tutti gli altri. L'importazione delle merci dall'estero a Cuba passa solo dalle mani del governo che applica dazi enormi che fanno levitare i costi anche delle poche merci di scarsa qualità che vengono vendute a costi inaccessibili per la maggior parte dei cubani, l'importazione diretta delle merci da parte dei privati è vietata perché significherebbe la chiave di svolta per fare partire l'economia in modo incontrollabile, tutta la distribuzione resta statale, così beni che in altre parti del mondo sono alla portata di tutti a cuba sono un sogno per molti, nei supermercati beni di normale uso in una casa sono carissimi, costano mezzo salario medio di un cubano detergenti e cibo di scadente qualità, un paio di scarpe anche 4-5 salari, le automobili anche se ormai dei catorci vecchi di 60 anni ma preziose per farci dei Taxi nel folle mercato cubano dell'usato possono costare come un'abitazione, tra i 20 e i 50 mila CUC, se poi parliamo di auto nuove importate dal governo a causa delle imposte applicate all'importazione al momento si arriva alla follia che una comune utilitaria nuova di pacco importata dal governo può arrivare a costare il corrispettivo di oltre centomila euro, come fanno i cubani a vivere? Unicamente dandosi da fare in tutti i modi, grazie al denaro proveniente dal turismo, al denaro che ricevono dai parenti all'estero, prostituendosi, ma anche rubando tutto quello che possono allo stato, dal carburante che rivendono al mercato nero alla carne alle attrezzature, al cemento, gli alcolici, tutto ciò che può essere rivenduto viene rubato sul posto di lavoro, tutti sanno che è così e lo considerano una cosa normale, accettabile moralmente, visto che tutti sanno che soprattutto nelle città sarebbe impossibile vivere con il solo misero stipendio pagato dallo stato.
Nella capitale si può notare una stranezza che dimostra che sono ormai molti i cubani che non vivono di solo stipendio statale e non perché sono tutti imprenditori, alcuni locali del governo pensati per i turisti e dove si paga in CUC in realtà sono frequentati quasi unicamente da cubani che pagano conti di decine di CUC, cioè l'intero salario di un mese di lavoro per pagare qualche birra e una portata, denaro che in teoria non dovrebbero poter spendere in una sola uscita serale, se si chiede a un cubano come fanno la risposta è sempre la stessa: rubano sul posto di lavoro o fanno parte della nuova categoria di ricchi che lavorando legalmente o illegalmente con il turismo e si trovano a un livello economico che si potrebbe considerare una sorta di borghesia nel panorama economico cubano, ma molto distaccata dalla classe inferiore, alla quale appartengono coloro che non possono neppure sognare di sedersi a quei tavoli. Al di sopra di questa classe di classe sociale a Cuba ci sono i ricchi quelli veri, con amicizie o parentele importanti che li rendono immuni a qualsiasi controllo, con case da sogno e conti in banche estere a molti zeri che li rendono in grado di corrompere chi di dovere, molte proprietà intestate a prestanome e che viaggiano spesso all'estero dove fanno anche studiare i figli, ma questi difficilmente si mescolano alla gente che frequenta i locali di quel tipo, tengono un basso profilo.
Per capire a che livello la corruzione a Cuba è radicata basta sfogliare le pagine della sua storia recente, negli ultimi 20 anni praticamente tutti i più importanti ministri del regime che avrebbero dovuto rappresentare il ricambio generazionale al consiglio di stato e che alle tavole rotonde in TV sembravano i comunisti più duri e puri sono stati allontanati dalla vita politica o arrestati per corruzione, mentre il popolo era alla fame loro si mettevano in tasca milioni di dollari.
Per quanto riguarda la fedeltà alla “rivoluzione” dei politici cubani un episodio emblematico resta nella bizzarra storia del regime cubano: un gruppo ministri ed esponenti di spicco del partito comunista sono stati cacciati in blocco perché quando nel 2007 Fidel Castro era in gravi condizioni di salute e sembrava che stesse per morire vennero spiati dai servizi segreti a festeggiare la morte del loro capo in una villa bevendo e ballando, un episodio incredibile che fa capire cosa si cela nel cuore di un regime apparentemente solido e devoto ai suoi simboli.
Per capire meglio il carattere del cubano e perché non si ribella alle ingiustizie perché ormai abituato da generazioni basta notare la sorprendente differenza tra i cittadini europei e americani e di quasi tutto il mondo libero e quelli cubani, dalle nostre parti la gente si lancia in piazza per i propri diritti, bastano pochi euro in meno in busta paga, una busta paga già molte centinaia di volte più elevata di quella dei cubani o un disaccordo sindacale per scatenare uno sciopero, a Cuba no, a Cuba si è sotto il limite della sussistenza da decenni e invece di prendersela con il governo o pretendere un salario dignitoso la gente si è adattata a sopravvivere pagando sulla propria pelle la miseria senza battere ciglio, arrivando a commettere ogni tipo di illegalità per procurasi denaro pur di non compromettersi in richieste che li porterebbero ad andare contro al regime, perché il regime castrista a Cuba è considerata una temuta entità superiore con la quale è impossibile comunicare e a cui si può solo obbedire se non si vuole essere puniti pagandone tutte le conseguenza come l'emarginazione sociale o peggio rischiare di essere processato, chiedere un salario dignitoso è uno dei tabù che i lavoratori cubani e i loro rappresentanti non osano toccare, naturalmente il regime cubano sostiene che non può aumentare gli stipendi semplicemente perché non ha il denaro per farlo.
Il salario di un cubano varia tra il corrispettivo di meno di 9 euro e circa 30 euro e vale per tutti coloro che lavorano per lo stato in teoria, mentre i benefit per chi sta al governo sono enormi, villa in zona residenziale con prato ben curato e automobile con autista, stipendio con qualche zero in più rispetto ai comuni lavoratori statali, accesso gratuito alle più lussuose installazioni turistiche per amici e parenti, cibo e tutto il necessario a una vita comoda e molti altri, i cubani chiamano questa categoria di cittadini privilegiati semplicemente “i comunisti”.
Le pensioni di norma sono di circa 4-5 euro al mese o poco più, anche se pare che una nuova legge dovrebbe aumentarle di qualche euro, sembrano cifre da battuta comica ma sono la triste realtà, con una pensione del genere a Cuba non si comprano neppure due litri di latte al supermercato o un detersivo e anche in moneta nazionale non si va molto lontano e la libretta che permette al cubano di acquistare beni di prima necessità a basso prezzo nelle botteghe di stato dà solo il minimo per sopravvivere, i molti mendicanti che si incontrano per strada sono la prova che il sistema pensionistico cubano è assolutamente inadeguato ad assicurare una vita dignitosa.
Nonostante questa dissonante situazione che ha in realtà ben poco di socialista Cuba resta il centro il ideologico principale del socialismo centroamericano e internazionale grazie alla sua formidabile propaganda diffusa per i sognatori di tutto il mondo con ogni mezzo, 24 ore al giorno e a sentire alla radio quella propaganda baldanzosa fatta con voci che spesso ricordano i commentatori del nostro vecchio istituto Luce ai tempi del fascismo non se ne parla nemmeno di fare autocritica.
Il crollo economico e politico del Venezuela di Maduro che aiuta Cuba sin dai tempi di Chavez con forniture di petrolio potrebbe dare una accelerazione a un cambio di rotta, ma la nascita di una economia sommersa come sta accadendo da alcuni anni e gli ingressi economici dovuti al turismo potrebbero allungare l'agonia dell'isola per lungo tempo anziché essere un fattore positivo, perché non fanno altro che mantenere vivo il potere castrista lasciando comunque la gran parte della popolazione nella miseria e nella totale mancanza di libertà. In questa ottica ogni tentativo dell'amministrazione Obama di aiutare Cuba ad uscire dalla miseria ed avvicinarsi alla libertà al momento risulta vano, la questione di dare al popolo voce nel governo e far nascere una democrazia a Cuba resta un sogno lontano, ogni cosa è sempre e comunque controllata da una cupola di potere politica economica e ideologica considerata a Cuba al di sopra di ogni cambiamento, incapace di qualsiasi cambiamento. I mezzi di comunicazione a Cuba assicurano che non verrà mai abbandonato l'attuale sistema socialista anche se venissero tolte tutte le restrizioni economiche imposte dagli Stati Uniti, ma questo è solo un messaggio della macchina della propaganda castrista privo di senso, nella realtà Cuba si trova nella attuale situazione proprio per il medievale sistema economico e politico che persevera ad applicare e non a causa di fattori esterni oltre che per un motivo molto semplice, mantenere ignoranza e povertà a Cuba è indispensabile per evitare che il popolo alzi la testa contro la dittatura. Quella del sistema socialista puro e perpetuo è però solo teoria e semplice propaganda, nella realtà il regime cubano pur di sopravvivere alla profonda crisi economica negli ultimi anni ha accettato di rompere molti tabù che erano la base stessa del suo socialismo, ha accettato il concetto di proprietà privata, ha accettato quindi la compravendita di case, ha accettato che chi vuole emigrare lo può fare liberamente, ha accettato che esistano cubani ricchissimi consentendo il lavoro privato e quindi eliminando la vecchia accusa di “arricchimento” che era il terrore dei cubani che facevano denaro con il turismo alcuni anni fa, di fatto accettando che esistano le classi sociali, ha in questi anni snaturato e negato le basi stesse del socialismo reale che professa a gran voce confermando che in realtà la sua natura è quella di una semplice dittatura che solo finché ha potuto ha applicato le regole del socialismo, abbandonandole senza problemi quando necessario per perpetuarsi, mantenendo però il diritto di arrestare e punire chiunque chieda democrazia.
Ma l'economia cubana è ormai talmente legata a un esile filo che è difficile pensare che possa reggere in eterno perennemente sull'orlo del baratro, anche un errore di valutazione del governo potrebbe causare la caduta del regime, soprattutto adesso che la morte di Fidel Castro è inevitabilmente vicina. Tra poco tempo dovrebbe essere eliminata la doppia moneta e sarà interessante osservare cosa succederà, il CUC dovrebbe sparire e si dovrebbe usare solo il peso cubano, questo rischioso cambiamento potrebbe essere relativamente indolore e non cambiare sostanzialmente nulla, ma potrebbe anche provocare un danno irreparabile agli ingressi monetari provenienti dal turismo che sono una voce di importanza vitale a Cuba, i turisti che saranno costretti a cambiare la loro valuta in moneta nazionale che al contrario del CUC il cui valore è attualmente assimilato a quello del dollaro vale molto poco, potrebbero essere più inclini a limitare le loro spese quando si renderanno conto che nella stessa città e persino nella stessa strada è possibile pagare un conto salato in un ristorante per turisti pur potendo mangiare con pochissima spesa nei posti dove vanno i cubani stessi e si renderanno meglio conto di questa evidenza perché per lo più quando esisteva la doppia moneta per lo più non cambiavano in moneta nazionale ed erano quindi fuori dal circuito del peso cubano. L'uso del CUC fino ad oggi ha permesso di fare sborsare al turista il corrispettivo di un mese intero di salario di un cubano per pagare una sola portata al ristorante per fare un esempio. Eliminando il CUC ci sarà la necessità di una mole enorme di moneta cartacea in circolazione, il ché potrebbe già essere un fattore destabilizzante dell'economia provocando inflazione in una situazione delicata come quella cubana, di certo il turista dopo pochi giorni di vacanza, sebbene entreranno in circolazione biglietti di grosso taglio si ritroverà una montagna di banconote e monete in tasca dopo averle cambiate per le spese giornaliere, per chi è abituato ad usare euro o dollari in casa propria è molto più facile spendere il CUC che ha un valore simile alla moneta a cui è abituato che pagare i conti dei ristorati, per i trasporti e la casa in affitto in centinaia, migliaia o decine di migliaia di pesos. I cubani come sempre sono succubi delle decisioni del loro governo e apprendono delle decisioni prese solo quando vengono loro comunicate, in strada la gente discute della novità dell'eliminazione del CUC e degli effetti che questo potrebbe avere, ma nessuno sembra avere le idee chiare su quello che potrebbe succedere e le ipotesi che fanno sono le più fantasiose. Solo il tempo dirà come si metteranno le cose e visto che stiamo parlando di un paese che gestisce le questioni economiche con una approssimazione sbalorditiva nulla vieta che possa succedere di tutto, compresa una marcia indietro che lasci il CUC al suo posto.
A prescindere dalla varie ipotesi che si possono fare riguardo la fine del regime castrista al momento l'unica evidenza è che ha accettato di buon grado l'avvicinamento proposto da Obama semplicemente perché va tutto a suo favore e pare non imporre niente di sostanziale in cambio. Sebbene in Europa con leggerezza i media si sono affrettati a gran voce ad annunciare la fine dell'embargo verso Cuba facendo intendere un rapido cambiamento della realtà cubana in verità si tratta solo di accordi del tutto marginali e che non coinvolgono direttamente i cittadini cubani se non accompagnati da un cambio radicale del governo cubano, le leggi e la stessa costituzione cubana andrebbero riformate e la dittatura rimossa per pensare che eliminare sanzioni e limitazioni finanziarie possano andare nella direzione di rendere la vita a cuba migliore. Il sogno di una Cuba libera dove internet non sia censurata e abbia un costo alla portata di tutti ma soprattutto dove tutti possano avere il denaro per acquistare un computer va purtroppo per adesso messo da parte, semmai è molto più probabile che Obama con le sue decisioni rafforzi solo il regime cubano e il controllo che ha sui suoi cittadini. Non bisogna però ignorare anche che l'avvicinamento tra i due paesi nasconde anche delle insidie notevoli che potrebbero anche fare saltare il tavolo dei negoziati, il regime cubano infatti se si aprissero delle normali relazioni tra i due governi dovrebbe accettare oltre che i vantaggi economici anche l'altro lato della medaglia che nasconde delle brutte sorprese, negli stati uniti sono oltre centomila i cubani incarcerati che se le relazioni diplomatiche con Cuba si stabilizzassero dovrebbero essere deportati dagli USA nelle carceri cubane, si tratta di un numero enorme di prigionieri che porterebbero il sistema carcerario cubano al collasso, questo gran numero di cubani incarcerati negli USA è dovuto perfida decisione di Fidel Castro che negli anni 80 aprendo le sue galere inviò in regalo negli Stati Uniti migliaia di criminali comuni che evidentemente hanno ripreso a delinquere nella terra che li ha accolti, dal canto suo Cuba dovrebbe consegnare agli Stati Uniti alcuni criminali statunitensi che sono al momento protetti dal regime castrista, trattati come eroi dell'anticapitalismo e che vivono in piena libertà sull'isola, c'è poi la questione delle proprietà di cittadini statunitensi che durante la rivoluzione vennero requisite e che dovrebbero essere restituite ai legittimi proprietari o ai loro eredi. Da questo si evince che in realtà la stabilizzazione delle relazioni tra i due paesi passa da una serie molto lunga di compromessi e ostacoli insormontabili finché la dittatura della famiglia Castro regnerà a Cuba, il regime cubano infatti non ha alcuna intenzione di restituire nulla a nessuno anche perché gran parte dei terreni, degli edifici civili ma soprattutto governativi a Cuba andrebbero restituiti ai legittimi proprietari e questo è realisticamente impossibile che accada. Quindi la stabilizzazione dei rapporti in realtà non potrà mai essere completa e leale e andrà solo a favore del regime cubano che accetterà solo quello che gli farà comodo offrendo poco o nulla in cambio, non so se Obama ha ben chiaro questo semplice concetto, o lui e i suoi consiglieri sono caduti nella trappola della propaganda castrista credendo persino loro alla menzogna che Cuba è alla miseria a causa dell'embargo oppure sono in vena di fare regali. Finché il regime cubano terrà in mano a monte l'economia di Cuba impedendone lo sviluppo è assolutamente inutile e controproducente eliminare le sanzioni, è talmente irrazionale e arcaico il sistema politico ed economico cubano oltre che scientificamente studiato per mantenere la povertà che solo la fine del castrismo e la nascita di una democrazia potrebbe cambiare Cuba e anche così sarà necessaria almeno una generazione per stabilizzare economicamente il paese che adesso si trova in ginocchio e per recuperare la moralità e la civiltà della società cubana devastata dalla miseria e dalla mancanza della cultura della libertà per troppo lungo tempo.
Allo stato attuale non esiste quasi nessuna speranza di un vero cambiamento a Cuba in senso democratico, solo un crollo dell'economia che immobilizzi il regime e i pochi servizi offerti ai cittadini potrebbe costringere il governo cubano a riformarsi in maniera radicale attraverso una rivolta interna al regime stesso o i cittadini cubani a sollevarsi contro il castrismo, ma con il denaro proveniente dall'estero tramite il turismo, l'eliminazione delle restrizioni finanziarie da parte degli Stati Uniti e l'economia sotterranea tollerata dal regime Cuba potrebbe restare condannata ad una lunga e penosa agonia.
Molti cubani in oltre hanno ripreso a fuggire da Cuba in direzione degli USA via mare con ogni mezzo negli ultimi mesi perché come già annunciato da alcuni senatori statunitensi uno degli effetti della normalizzazione dei rapporti diplomatici tra i due paesi dovrebbe essere quella di eliminare la leggere federale statunitense che permette ai fuggitivi cubani che riescono a raggiungere le coste della Florida di ottenere la cittadinanza come profughi.
Fidel Castro ha vinto la sua battaglia personale per il potere ammantandola da rivoluzione e patriottismo, ma è giunto alla fine dei suoi giorni lasciando il suo paese devastato sotto tutti gli aspetti, con un consiglio di stato composto par la maggioranza da anziani incapaci di avviare riforme, adesso toccherà alle prossime generazioni trovare una via di uscita non solo dalla crisi economica ma soprattutto dalla mancanza di democrazia e libertà che ha fato scendere parte del popolo cubano a un livello vergognoso di degrado morale e umano. Non ho nulla contro i cubani che rispetto e comprendo che pur di sopravvivere chiunque si sarebbe adattato come hanno fatto loro, ma la realtà è questa purtroppo, per molti cubani dignità e morale sono ormai solo un vecchio ricordo.
Sarà un processo complesso e doloroso perché a Cuba un cambio in direzione della democrazia dovrebbe essere fatto con molta cautela e a passi ben ponderati, sono molti i dissidenti agguerriti ma probabilmente pochi quelli che hanno reali capacità di governo in grado di riorganizzare il paese dal disastro in cui si trova, temo che il rischio di una transizione troppo rapida porterebbe caos politico e sociale che potrebbe scatenare violenza e instabilità, vista la situazione si dovrebbe praticamente cancellare l'intera costituzione e il codice penale per nulla adatti a una democrazia, l'unica via di uscita potrebbe essere l'adozione con le dovute modifiche della costituzione e del codice penale di un paese con una antica tradizione di democrazia per abbreviare i tempi di una stabilizzazione dopo la cancellazione della dittatura come hanno fatto in passato altre nazioni nella stessa situazione. Questa è l'eredità lasciata ai cubani dall'uomo a cui si sono affidati dandogli carta bianca senza riuscire mai a farsi ascoltare quando sarebbe stato necessario, l'alternativa per i cubani sarebbe restare un una irrazionale macchina del tempo ferma agli anni 50 fatta di ricordi e miseria, ghettizzati in un sistema sociale e politico arcaico e suicida sempre più ingiusto dove per sopravvivere si è costretti a prostituirsi in tutti i sensi e a comportarsi esattamente all'inverso degli ideali che professa. Sfruttando la capillare rete di stazioni radio e TV del regime sogno un giorno per Cuba una campagna elettorale vera, con deputati che spieghino bene le loro idee al popolo e facciano capire che la scelta deve avvenire tra una rosa di possibilità ma senza lasciare fuori dal governo nessuna delle diverse voci, che questa volta non si dovrebbe votare per un leader ma per la democrazia e che se vogliono continuare a votare per un sistema socialista possono e devono farlo ma non per tornare in una dittatura.
Il popolo cubano non è solo corruzione e degrado, il popolo cubano ha anche grandi potenzialità capacità di inventiva e senso del sociale, non tutti i cubani sono disposti a cedere a compromessi, non mi rassegnerò mai a cedere all'idea che è normale che a Cuba anche nelle cittadine più remote un tassista dopo aver chiesto l'indirizzo dove andare cominci a proporre al turista prostitute anche minorenni o sigari rubati alle fabbriche di stato o che quasi tutti i bar e le discoteche delle città siano in realtà niente altro che posti dove ogni notte migliaia di ragazze aspettano i turisti per prostituirsi o per essere portate via in qualsiasi posto lontano da quell'inferno.
E spero che mezzo secolo di dittatura sia per i cubani una tremenda lezione che porti Cuba a diventare la migliore democrazia dei Caraibi, un'area dove purtroppo come per una maledizione lasciata dalla dominazione spagnola non tutti i paesi considerati democratici brillano in realtà in democrazia.
La rivoluzione a Cuba ormai è rimasta solo su Radio Reloj, nel mondo reale è finita, ha solo gettato un popolo nella miseria più nera e nella corruzione e come era prevedibile è durata solo il tempo della vita di Fidel Castro.
Sebbene per molti cubani quella di Fidel Castro sia sempre stata una dittatura come tante altre che non ha mai avuto nessun nesso con il comunismo o il socialismo e che ha solo fatto del male al paese, per chi non la pensa così faccio notare che comunque non sarebbe razionale definire ancora rivoluzione socialista un sistema sociale ed economico che sopravvive ormai da decenni come un parassita unicamente grazie al resto del mondo considerato il nemico capitalista ma da cui attinge a piene mani sostentamento. Un sistema economico dove per vivere i cittadini devono pensare ogni giorno come e cosa rubare allo stato che in teoria li dovrebbe fornire di tutto e che invece è incapace di farlo, dove le ragazze in massa si spostano in città dalle campagne a caccia di turisti molto spesso con il beneplacito delle famiglie è solo un sistema che è già fallito da troppo tempo.
A Cuba per secoli la prostituzione è stata una piaga sociale, tanto che ormai Cuba è considerata nel mondo la più classica meta del turismo sessuale, come se la prostituzione facesse parte integrante della “cubania”, del carattere stesso del popolo cubano, iniziarono gli invasori spagnoli e poi tra una tirannia e l'altra i cubani sono stati costretti a perpetuare questa triste tradizione, adesso è una dittatura di stampo socialista a costringere i cubani a vendere il loro corpo pur di non ammettere di aver fallito.
Persino la definizione di mondo capitalista che tanto piace alla propaganda castrista oggi non ha più senso, il resto del mondo è ormai semplicemente il resto del mondo, non esiste più la contrapposizione tra comunisti e capitalisti, quella guerra è finita da un pezzo e siamo nel 2015, non nel 1959, adesso tutte le società lottano semplicemente per sopravvivere adottando i sistemi economici e politici che ritengono più efficienti a prescindere dalle ideologie.
In ultima analisi a Cuba con la fine fisica di Fidel Castro vicina la situazione è di incertezza e attesa, molti ristoranti e caffè privati funzionano bene, ma non per tutte le attività commerciali il successo è scontato, molti locali notturni aprono e vengono chiusi dal governo nel giro di pochi mesi, di solito per aver evaso le tasse, per risse o più spesso per droga, per l'esattezza cocaina, droga che sembra aver ormai invaso la capitale e le principali città dell'isola, sebbene tollerate anche la presenza di troppe prostitute può essere causa di chiusura immediata di un locale notturno. C'è incertezza sulle regole e sulle nuove leggi, per adesso comunque si paga circa il 10% di imposte sulle attività private, ma manca un sistema valido per verificare gli incassi, non esistono i registratori di cassa e quindi gli scontrini per i clienti e il pagamento delle tasse dipende dalle ricevute che restano al commerciante, un sistema senza testa né coda che sembra fatto apposta per chi vuole fare il furbo.
La gente non sa cosa succede dentro le stanze del potere del regime e sa che da un giorno all'altro tutto può cambiare, le leggi non vengono discusse pubblicamente, vengono create e cancellate senza alcun preavviso, investire a Cuba anche se potrebbe essere una mossa geniale in questo momento potrebbe quindi essere anche un grosso errore, bisogna assumersene il rischio a occhi chiusi, non sono pochi gli imprenditori stranieri che hanno investito a Cuba e hanno perso tutto, qualcuno è stato anche cacciato dall'isola.
Investire a Cuba per uno straniero è costoso ed è difficile avviare una nuova attività e non solo per la burocrazia e la difficoltà ad ottenere la residenza, ma anche perché procurare la materia prima per un ristorante che non venda cibo tipico cubano o una semplice pizzeria è difficilissimo, molti ingredienti alimentari a Cuba semplicemente non esistono e quei pochi che sono in vendita sono costosi e di pessima qualità. Per investire a Cuba bisogna esserne davvero innamorati, al momento è il posto meno adatto per avviare una attività commerciale.
A Cuba la gente parla della imminente invasione turistica e della fantastica ricchezza che dovrebbero portare gli americani quando arriveranno nei nuovi porti turistici in costruzione, ma tutti concordano che il governo deve adattarsi, deve cambiare ancora e molto per permettere davvero un netto miglioramento dell'economia, non basta fare proclami, ci vogliono i fatti, un diportista nautico non verrà mai a Cuba o non ci tornerà se avrà la sensazione di essere arrivato in un grande penitenziario e cielo aperto dove all'arrivo e all'uscita del paese viene fotografato alla dogana come un criminale dopo che gli avranno perquisito la barca, dove tutto gli costa molto più caro di qualsiasi altra isola dei Caraibi e dove non trova neppure il minimo necessario per la manutenzione della sua barca, se Cuba vuole competere nel ricco mercato del turismo nautico con il resto delle isole dei Caraibi i burocrati dell'isola il governo deve smetterla di pensare che il ricco capitalista è un pollo da spennare che è affetto da una sorta di idiozia cronica per cui gode a regalare il suo denaro, altre isole dei Caraibi come Martinica, la Repubblica Dominicana, Antigua, Porto Rico e altre sono fornite di grandi strutture cantieristiche e portuali che offrono prezzi molto bassi e sono meta di decine di migliaia di barche tutto l'anno, ma da quelle parti sono i privati a gestire tutto con efficienza. Lo stato cubano dovrebbe mollare le redini dell'economia ai privati per il bene del paese, soprattutto permettere di importare le merci ai privati dall'estero, l'unico suo ruolo possibile dovrebbe essere di controllore come fanno i governi del resto delle società civili, sarebbe interessante vedere se i vari e agguerriti corpi di polizia cubani riuscirebbero a gestire una democrazia invece che una dittatura.
In un mondo così diverso da quello che negli anni 50 ha permesso a Fidel Castro di prendere il potere non si può più fare affidamento sulla pazienza dei cubani, il fondo del barile è stato ormai raschiato, mantenere il popolo alla fame e contemporaneamente costruire con l'aiuto dei capitali dei cinesi, dei brasiliani o di chiunque altro fiuti la possibilità di fare affari d'oro a Cuba porti turistici, mega hotel e campi da golf per un turismo di élite non risolleverà il paese ma lo renderà sempre più ingiusto all'occhio di chi non ha nulla e non deve avere nulla proprio perché dovrebbe essere anticapitalista.
Raul Castro ha dovuto imboccare una strada senza ritorno, ha cominciato a fare i primi timidi passi verso la privatizzazione delle attività commerciali ma deve fare molto di più o qualcun altro dovrà farlo al suo posto, indietro non si torna, il tempo scorre in una sola direzione in questo universo, il socialismo cubano anche se ufficialmente è intatto nella instancabile propaganda di regime è in realtà ferito a morte, avvelenato dalla stessa medicina che lo dovrebbe salvare, il denaro, e la logica e la natura umana completeranno l'opera.
Non c'è via d'uscita, il governo cubano ha solo due possibilità, sparire del tutto o adattarsi al nuovo corso della storia modificandosi radicalmente, se il regime pur di non perdere potere e privilegi continuerà con le mezze concessioni e le mezze riforme fatte male come sta facendo da qualche tempo e non aprirà le porte del commercio diretto tra i suoi cittadini e il resto del mondo avviando un processo democratico ed economico che porti gli stipendi dei lavoratori cubani a livelli adeguati alla realtà del costo della vita tra pochi anni Cuba si trasformerà nell'amplificazione estrema di ciò che è già adesso, una società mostruosa, colma di ingiustizie e classi sociali sempre più divise da abissi di povertà, diventerà per assurdo solo la triste grottesca caricatura di tutti i difetti del capitalismo selvaggio.
Cuba si trasformerebbe nel primo crudele esperimento sociale di cosa succede ad ostinarsi ad applicare fino all'estremo delle conseguenze la dottrina comunista in un sistema aperto al mondo esterno dal quale trae sussistenza e i peggiori difetti, comunismo che continuerebbe ad esistere in solo chiave folcloristica e dove si mescolerebbero fiumi di denaro e povertà estrema, quindi classi sociali enormemente lontane, la società cubana virerebbe inevitabilmente in una pericolosa direzione e ci sarebbero sempre meno socialisti in buona fede alimentati a pane e ideologia e sempre più cittadini intolleranti alla dottrina comunista che vedranno come l'unica vera irrazionale limitazione alla loro libertà personale ed economica in un mondo che è cambiato, la morte della “rivoluzione” così avverrebbe dopo una penosa agonia, semplicemente per anzianità.
Completato il suo ciclo la rivoluzione ricreerebbe i presupposti di una nuova rivoluzione che la spazzi via.
Oggi è successo un piccolo miracolo a Cuba, oggi nella circoscrizione 111 nel barrio di Santa Amalia in Arroyo Naranjo all'Avana alle elezioni per nominare il delegato all'assemblea del potere popolare la gente ha vinto la paura e ha votato come rappresentante un noto oppositore al governo, Yuniel Francisco López O’Farril di 26 anni, tutti nel suo quartiere sapevano che era un oppositore al governo e lo hanno votato in massa, una piccola cosa ma dal grande significato, i cubani sono stanchi di vivere nell'incomprensibile rivoluzione infinita che hanno ricevuto come sacro dogma sin dalla nascita. Cuba anche se alla sua maniera sta cambiando, sta facendo i primi passi verso la libertà, farà errori e cadrà nel difficile cammino che ha intrapreso ma si rialzerà e proseguirà, tra pochi anni sarà inevitabilmente un paese diverso.
28/01/2015
Torna Fidel Castro: "Non ho fiducia negli Usa", ma appoggia Raul nel disgelo
Nonostante la distensione tra Cuba e Usa, "non ho fiducia nella politica degli Stati Uniti e non ho scambiato una parola con loro": a dirlo in una lettera è Fidel Castro, il quale sottolinea però come ciò non implichi "un rifiuto ad una soluzione pacifica dei conflitti". E suo fratello, il presidente Raul, "ha fatto passi pertinenti" sulla base delle sue "prerogative e facoltà". Lo scritto è stato pubblicato sul quotidiano del partito e letto in tv.
Fidel, 88 anni, che da tempo non dava più notizie di sé (tanto da essere stato dato per morto un paio di settimane fa da un giornale dall'opposizione stampato negli Usa) ha dunque usato parole dure nei confronti di Washington, senza però sconfessare la posizione del fratello sul fronte dei rapporti con il "nemico".
L'ex "lider maximo" ha colto l'occasione del 70° anniversario del suo ingresso nella Federazione studentesca universitaria per rendere nota una lettera - pubblicata sul quotidiano del partito comunista cubano, Granma, e letta dalla tv locale - nella quale precisa alcuni punti dopo la svolta nei rapporti Usa-Cuba annunciata il 17 dicembre da Barack Obama e Raul Castro e a seguito dei colloqui bilaterali all'Avana della scorsa settimana.
"Difenderemo sempre la cooperazione e l'amicizia con tutti i popoli del mondo, tra questi i nostri avversari politici", afferma, ricordando inoltre che "ogni soluzione pacifica e negoziata tra gli Usa e i popoli dell'America Latina che non implichi la forza, o l'impiego della forza, deve essere affrontato - aggiunge Fidel - con i principi e le normative internazionali".
Nella lettera, l'ex presidente si rivolge agli studenti con un "Cari compagni". Poi ricorda che "fin dal 2006, per ragioni di salute incompatibili con il tempo e gli sforzi necessari per il dovere ho rinunciato ai miei incarichi". Nel lungo testo, Fidel segnala inoltre l'influenza che hanno avuto in lui negli anni in cui era studente "Marx e Lenin, altro genio dell'azione rivoluzionaria".
Cuba 2015
A Cuba probabilmente non ci sarà mai una sollevazione popolare, è passato troppo tempo dalla presa di potere di Fidel Castro, dopo mezzo secolo di regime castrista la popolazione ormai accetta l'attuale situazione considerandola normale, in oltre, parte della popolazione che non possedeva nulla e non aveva accesso ad educazione e sistema sanitario già da prima della rivoluzione considera ancora il regime castrista un fatto positivo nonostante tutto. Il cittadino cubano è abituato a non avere mai avuto la responsabilità di partecipare al governo del paese, come non è abituato a vivere delle sue forze per cui un eventuale cambio di sistema economico lo intimorisce, una parte dei cubani si accontentano di sopravvivere e non hanno pretese di libertà o di arricchimento semplicemente sopravvivono alle spalle dello stato per quel poco di aiuto che gli da e vivendo di espedienti mentre la vita nelle campagne è la stessa che secoli fa, l'agricoltura e l'allevamento di bestiame per uso proprio e per la vendita permettono per molti una vita relativamente accettabile anche se esistono ancora a Cuba vaste aree rurali prive di energia elettrica e difficili da raggiungere. Naturalmente questo vale in generale ma nella capitale e nei grossi centri sono molti i cubani che ormai si possono considerare ricchi, questi non sono in genere interessati alla politica del paese e non criticano il regime socialista, essi infatti si stanno arricchendo proprio grazie alla bizzarra situazione che il regime crea, proprietari di ristoranti di case da affittare ai turisti, di migliaia di Taxi privati e la prostituzione alimentano una economia sotterranea che migliora lo stato economico generale della società e questo grazie alla diffusa corruzione di chi dovrebbe effettuare i controlli e al sistema fiscale primordiale che permette arricchimenti rapidi con investimenti relativamente piccoli per lo più fatti con denaro proveniente da soci europei o tramite le rimesse dei parenti che vivono all'estero. Questa situazione ha causato in Cuba differenze sociali abissali tra poveri e ricchi, la maggioranza dei cubani deve lottare giorno per giorno semplicemente per cibarsi dignitosamente e non può permettersi i beni venduti in CUC mentre chi ha avuto possibilità di accedere al sistema imprenditoriale e semi-illegale che il regime tollera ha un livello di ricchezza inimmaginabile per il resto della popolazione. Il sistema Cuba si mantiene come da molti anni in precario equilibrio ma presenta al momento una sua stabilità, il lunghissimo periodo di regime repressivo e povertà ha generato nella popolazione uno sfiancamento generale che ha avuto come effetto quello di aver reso i cittadini dipendenti dall'oppressore, per una coincidenza di fattori storici il cubano medio si disinteressa a un eventuale cambio di sistema politico ed economico per paura di perdere il poco che l'attuale sistema gli assicura, non ultima la sicurezza sociale data dalla gran quantità di poliziotti e la durezza delle pene per chi delinque, il cubano comunque in una discussione anche se non ha nulla da nascondere in rari casi si pone sullo stesso piano con un poliziotto, la normalità è una totale sottomissione all'autorità che spesso si comporta in maniera brutale, essere trascinati in una caserma resta a Cuba un incubo che potrebbe avere serie conseguenze se non si porta il dovuto rispetto ai membri dei vari corpi di polizia.
Anche se esistono delle mafie minori a Cuba che si occupano della gestione dei locali notturni, dello spaccio di droga, soprattutto cocaina, e anche se esiste una microcriminalità urbana l'isola di Castro resta nell'area dei Caraibi uno dei posti più sicuri. A Cuba i servizi segreti interni anche se non più come in passato sono ancora abbastanza efficienti, pochi riescono a farla franca alla lunga, il ministero dell'interno a Cuba sa tutto di tutti, si può finire in galera o espulsi dell'isola se si è stranieri con qualsiasi accusa, se non si è amico degli amici naturalmente e non si corrompe chi di dovere. Per molti stranieri che ci vivono e sanno come muoversi Cuba è infatti il paese delle meraviglie dove si può fare di tutto, paradossalmente con più tranquillità che in una paese democratico dove è più difficile corrompere le autorità.
Non bisogna però credere che a Cuba non esistano bande armate capaci di imprese criminali notevoli magari riuscendo a farla franca, nell'isola dei Castro infatti, anche se non sempre riportate nei notiziari o su Granma sono avvenute alcune rapine in banca e assalti di furgoni portavalori, esiste quindi anche una criminalità estremamente audace fornita di armi automatiche probabilmente rubate dai depositi statali o vendute da militari corrotti.
A Cuba esiste una forza dissidente e dei movimenti politici che sebbene in qualche modo tollerati sono considerati illegali, ma non rappresentano una forza capace di sovvertire il governo e neppure di imporsi pacificamente, non hanno accesso ai mezzi di comunicazione di massa interni del paese per fare conoscere le loro idee al resto della popolazione e la loro forza dissidente è intelligentemente trattata dal governo cubano con una strategia di tolleranza ma con continue punizioni come la negazione di fare carriera o di avere diritto ad espatriare per studiare all'estero, con arresti che negli ultimi anni si sono fatti sempre frequenti ma più brevi e nel contempo rilasci dalle carceri di dissidenti storici. In qualche modo il governo cubano da qualche anno a questa parte considera i dissidenti come qualcosa di inevitabile e da trattare con la dovuta cautela, questa strategia funziona perfettamente, a Cuba i dissidenti più famosi conosciuti all'estero e che in alcuni casi hanno scontato decine di anni di carcere per reati di opinione sono del tutto sconosciuti dalla gran parte della popolazione, in qualche caso sono considerati delinquenti comuni o furbi cittadini che si fingono dissidenti per essere pagati dalla CIA o dalla dissidenza cubana residente in Florida e questo perché i cittadini cubani sono sistematicamente bombardati dalla propaganda interna del paese per mezzo di radio, televisione e carta stampata che diffonde false notizie, secondo il regime cubano a Cuba non esiste una vera dissidenza o cittadini che desiderano vivere in un paese democratico ma solo spie e terroristi pagati dagli USA per far cadere il governo. Il governo cubano ha certamente al suo interno una notevole intelligenza in grado di gestire la difficile situazione, tenendo sotto controllo il dissenso pur di non cambiare la attuale situazione politica e i privilegi e il potere della famiglia Castro e dei membri del governo seguendo una ideologia ormai svuotata di ogni significato nel mondo attuale e persino nella società cubana di oggi. Comunque se fino agli anni novanta la gente a Cuba aveva paura criticare il governo e persino di pronunciare il nome di Fidel Castro se non che per elogiarlo, per timore di essere denunciati magari dal vicino di casa come avveniva in unione sovietica, oggi molti cubani in privato ma anche in strada criticano aspramente il regime castrista anche in animate discussioni assumendosene il rischio e alla radio è possibile ascoltare tra il tripudio di elogi alla rivoluzione anche qualche critica indiretta al governo, critica che si riferisce in genere a problemi sociali o dei diritti traditi dei lavoratori dello stato, piccole cose rispetto a quello che in realtà succede a Cuba, tutte notizie filtrate dalla censura naturalmente ma sintomo di una stanchezza ormai generale allo sfacelo della società. Ieri radio Reloj ha dato voce a un cubano che fa notare che i tanti parcheggiatori abusivi della Havana a volte chiedono il corrispettivo della paga di un intero giorno di lavoro. Nella realtà i crimini commessi a Cuba e i problemi sociali non sono solo quelli riportati ma sono molti e alcuni gravissimi, ma di essi non c'è traccia sui media di stato.
Le nuove aperture di Obama al momento non hanno avuto nessun effetto sulla popolazione, economicamente il governo non ha fatto nessuna nuova concessione e a parte lo scambio di prigionieri per spionaggio tra USA e Cuba e la visita di alcune delegazioni governative statunitensi non ci sono evidenze di alcun cambiamento da parte della sempre martellante propaganda del regime, alla radio, sul giornale di regime Granma e alla televisione le condanne contro gli odiati capitalisti statunitensi e l'embargo economico e finanziario proseguono con il ritmo di sempre e le trasmissioni radio della dissidenza cubana che dal sud della Florida trasmette per Cuba in onde corte vengono come sempre disturbate da stazioni Jammer, una odiosa pratica risalente al tempo della guerra fredda. Nulla sembra essere cambiato e non c'è neppure stata la desiderata invasione di turisti nord americani, i cubani sono scettici sugli effetti dell'avvicinamento agli USA, sanno bene quanto sono lontane le posizioni dei due paesi e quanto sleale è il loro governo quando per i propri interessi finge di trattare con gli odiati nemici di sempre, in oltre vale sempre la regola che il governo cubano ha bisogno della scusa della guerra economica permanente con gli USA per giustificare il disastro economico interno al paese.
Le aperture economiche concesse dal regime che hanno permesso in questi anni il fiorire di locali notturni, ristoranti e piccole attività artigianali sono in realtà il minimo necessario che il governo di Castro poteva concedere per evitare la catastrofe economica, ma nulla di risolutivo perché comunque il sistema economico cubano è un caos di regole e restrizioni con molte falle dovute all'inettitudine dei ministeri che si occupano dell'economia e alla diffusa corruzione a tutti i livelli nei funzionari di governo, tutto questo in un tessuto economico devastato che non da nessun aiuto al cubano medio che non ha nulla mentre permette la nascita di nuovi ricchi.
Bisogna anche comprendere che il governo cubano non ha nessun interesse a che il benessere che inevitabilmente porterebbe ribellione all'autorità si diffonda a tutta la popolazione, e tollera l'inevitabile enorme concentrazione di denaro nelle mani di pochi e un'economia di sopravvivenza per tutti gli altri. L'importazione delle merci dall'estero a Cuba passa solo dalle mani del governo che applica dazi enormi che fanno levitare i costi anche delle poche merci di scarsa qualità che vengono vendute a costi inaccessibili per la maggior parte dei cubani, l'importazione diretta delle merci da parte dei privati è vietata perché significherebbe la chiave di svolta per fare partire l'economia in modo incontrollabile, tutta la distribuzione resta statale, così beni che in altre parti del mondo sono alla portata di tutti a cuba sono un sogno per molti, nei supermercati beni di normale uso in una casa sono carissimi, costano mezzo salario medio di un cubano detergenti e cibo di scadente qualità, un paio di scarpe anche 4-5 salari, le automobili anche se ormai dei catorci vecchi di 60 anni ma preziose per farci dei Taxi nel folle mercato cubano dell'usato possono costare come un'abitazione, tra i 20 e i 50 mila CUC, se poi parliamo di auto nuove importate dal governo a causa delle imposte applicate all'importazione al momento si arriva alla follia che una comune utilitaria nuova di pacco importata dal governo può arrivare a costare il corrispettivo di oltre centomila euro, come fanno i cubani a vivere? Unicamente dandosi da fare in tutti i modi, grazie al denaro proveniente dal turismo, al denaro che ricevono dai parenti all'estero, prostituendosi, ma anche rubando tutto quello che possono allo stato, dal carburante che rivendono al mercato nero alla carne alle attrezzature, al cemento, gli alcolici, tutto ciò che può essere rivenduto viene rubato sul posto di lavoro, tutti sanno che è così e lo considerano una cosa normale, accettabile moralmente, visto che tutti sanno che soprattutto nelle città sarebbe impossibile vivere con il solo misero stipendio pagato dallo stato.
Nella capitale si può notare una stranezza che dimostra che sono ormai molti i cubani che non vivono di solo stipendio statale e non perché sono tutti imprenditori, alcuni locali del governo pensati per i turisti e dove si paga in CUC in realtà sono frequentati quasi unicamente da cubani che pagano conti di decine di CUC, cioè l'intero salario di un mese di lavoro per pagare qualche birra e una portata, denaro che in teoria non dovrebbero poter spendere in una sola uscita serale, se si chiede a un cubano come fanno la risposta è sempre la stessa: rubano sul posto di lavoro o fanno parte della nuova categoria di ricchi che lavorando legalmente o illegalmente con il turismo e si trovano a un livello economico che si potrebbe considerare una sorta di borghesia nel panorama economico cubano, ma molto distaccata dalla classe inferiore, alla quale appartengono coloro che non possono neppure sognare di sedersi a quei tavoli. Al di sopra di questa classe di classe sociale a Cuba ci sono i ricchi quelli veri, con amicizie o parentele importanti che li rendono immuni a qualsiasi controllo, con case da sogno e conti in banche estere a molti zeri che li rendono in grado di corrompere chi di dovere, molte proprietà intestate a prestanome e che viaggiano spesso all'estero dove fanno anche studiare i figli, ma questi difficilmente si mescolano alla gente che frequenta i locali di quel tipo, tengono un basso profilo.
Per capire a che livello la corruzione a Cuba è radicata basta sfogliare le pagine della sua storia recente, negli ultimi 20 anni praticamente tutti i più importanti ministri del regime che avrebbero dovuto rappresentare il ricambio generazionale al consiglio di stato e che alle tavole rotonde in TV sembravano i comunisti più duri e puri sono stati allontanati dalla vita politica o arrestati per corruzione, mentre il popolo era alla fame loro si mettevano in tasca milioni di dollari.
Per quanto riguarda la fedeltà alla “rivoluzione” dei politici cubani un episodio emblematico resta nella bizzarra storia del regime cubano: un gruppo ministri ed esponenti di spicco del partito comunista sono stati cacciati in blocco perché quando nel 2007 Fidel Castro era in gravi condizioni di salute e sembrava che stesse per morire vennero spiati dai servizi segreti a festeggiare la morte del loro capo in una villa bevendo e ballando, un episodio incredibile che fa capire cosa si cela nel cuore di un regime apparentemente solido e devoto ai suoi simboli.
Per capire meglio il carattere del cubano e perché non si ribella alle ingiustizie perché ormai abituato da generazioni basta notare la sorprendente differenza tra i cittadini europei e americani e di quasi tutto il mondo libero e quelli cubani, dalle nostre parti la gente si lancia in piazza per i propri diritti, bastano pochi euro in meno in busta paga, una busta paga già molte centinaia di volte più elevata di quella dei cubani o un disaccordo sindacale per scatenare uno sciopero, a Cuba no, a Cuba si è sotto il limite della sussistenza da decenni e invece di prendersela con il governo o pretendere un salario dignitoso la gente si è adattata a sopravvivere pagando sulla propria pelle la miseria senza battere ciglio, arrivando a commettere ogni tipo di illegalità per procurasi denaro pur di non compromettersi in richieste che li porterebbero ad andare contro al regime, perché il regime castrista a Cuba è considerata una temuta entità superiore con la quale è impossibile comunicare e a cui si può solo obbedire se non si vuole essere puniti pagandone tutte le conseguenza come l'emarginazione sociale o peggio rischiare di essere processato, chiedere un salario dignitoso è uno dei tabù che i lavoratori cubani e i loro rappresentanti non osano toccare, naturalmente il regime cubano sostiene che non può aumentare gli stipendi semplicemente perché non ha il denaro per farlo.
Il salario di un cubano varia tra il corrispettivo di meno di 9 euro e circa 30 euro e vale per tutti coloro che lavorano per lo stato in teoria, mentre i benefit per chi sta al governo sono enormi, villa in zona residenziale con prato ben curato e automobile con autista, stipendio con qualche zero in più rispetto ai comuni lavoratori statali, accesso gratuito alle più lussuose installazioni turistiche per amici e parenti, cibo e tutto il necessario a una vita comoda e molti altri, i cubani chiamano questa categoria di cittadini privilegiati semplicemente “i comunisti”.
Le pensioni di norma sono di circa 4-5 euro al mese o poco più, anche se pare che una nuova legge dovrebbe aumentarle di qualche euro, sembrano cifre da battuta comica ma sono la triste realtà, con una pensione del genere a Cuba non si comprano neppure due litri di latte al supermercato o un detersivo e anche in moneta nazionale non si va molto lontano e la libretta che permette al cubano di acquistare beni di prima necessità a basso prezzo nelle botteghe di stato dà solo il minimo per sopravvivere, i molti mendicanti che si incontrano per strada sono la prova che il sistema pensionistico cubano è assolutamente inadeguato ad assicurare una vita dignitosa.
Nonostante questa dissonante situazione che ha in realtà ben poco di socialista Cuba resta il centro il ideologico principale del socialismo centroamericano e internazionale grazie alla sua formidabile propaganda diffusa per i sognatori di tutto il mondo con ogni mezzo, 24 ore al giorno e a sentire alla radio quella propaganda baldanzosa fatta con voci che spesso ricordano i commentatori del nostro vecchio istituto Luce ai tempi del fascismo non se ne parla nemmeno di fare autocritica.
Il crollo economico e politico del Venezuela di Maduro che aiuta Cuba sin dai tempi di Chavez con forniture di petrolio potrebbe dare una accelerazione a un cambio di rotta, ma la nascita di una economia sommersa come sta accadendo da alcuni anni e gli ingressi economici dovuti al turismo potrebbero allungare l'agonia dell'isola per lungo tempo anziché essere un fattore positivo, perché non fanno altro che mantenere vivo il potere castrista lasciando comunque la gran parte della popolazione nella miseria e nella totale mancanza di libertà. In questa ottica ogni tentativo dell'amministrazione Obama di aiutare Cuba ad uscire dalla miseria ed avvicinarsi alla libertà al momento risulta vano, la questione di dare al popolo voce nel governo e far nascere una democrazia a Cuba resta un sogno lontano, ogni cosa è sempre e comunque controllata da una cupola di potere politica economica e ideologica considerata a Cuba al di sopra di ogni cambiamento, incapace di qualsiasi cambiamento. I mezzi di comunicazione a Cuba assicurano che non verrà mai abbandonato l'attuale sistema socialista anche se venissero tolte tutte le restrizioni economiche imposte dagli Stati Uniti, ma questo è solo un messaggio della macchina della propaganda castrista privo di senso, nella realtà Cuba si trova nella attuale situazione proprio per il medievale sistema economico e politico che persevera ad applicare e non a causa di fattori esterni oltre che per un motivo molto semplice, mantenere ignoranza e povertà a Cuba è indispensabile per evitare che il popolo alzi la testa contro la dittatura. Quella del sistema socialista puro e perpetuo è però solo teoria e semplice propaganda, nella realtà il regime cubano pur di sopravvivere alla profonda crisi economica negli ultimi anni ha accettato di rompere molti tabù che erano la base stessa del suo socialismo, ha accettato il concetto di proprietà privata, ha accettato quindi la compravendita di case, ha accettato che chi vuole emigrare lo può fare liberamente, ha accettato che esistano cubani ricchissimi consentendo il lavoro privato e quindi eliminando la vecchia accusa di “arricchimento” che era il terrore dei cubani che facevano denaro con il turismo alcuni anni fa, di fatto accettando che esistano le classi sociali, ha in questi anni snaturato e negato le basi stesse del socialismo reale che professa a gran voce confermando che in realtà la sua natura è quella di una semplice dittatura che solo finché ha potuto ha applicato le regole del socialismo, abbandonandole senza problemi quando necessario per perpetuarsi, mantenendo però il diritto di arrestare e punire chiunque chieda democrazia.
Ma l'economia cubana è ormai talmente legata a un esile filo che è difficile pensare che possa reggere in eterno perennemente sull'orlo del baratro, anche un errore di valutazione del governo potrebbe causare la caduta del regime, soprattutto adesso che la morte di Fidel Castro è inevitabilmente vicina. Tra poco tempo dovrebbe essere eliminata la doppia moneta e sarà interessante osservare cosa succederà, il CUC dovrebbe sparire e si dovrebbe usare solo il peso cubano, questo rischioso cambiamento potrebbe essere relativamente indolore e non cambiare sostanzialmente nulla, ma potrebbe anche provocare un danno irreparabile agli ingressi monetari provenienti dal turismo che sono una voce di importanza vitale a Cuba, i turisti che saranno costretti a cambiare la loro valuta in moneta nazionale che al contrario del CUC il cui valore è attualmente assimilato a quello del dollaro vale molto poco, potrebbero essere più inclini a limitare le loro spese quando si renderanno conto che nella stessa città e persino nella stessa strada è possibile pagare un conto salato in un ristorante per turisti pur potendo mangiare con pochissima spesa nei posti dove vanno i cubani stessi e si renderanno meglio conto di questa evidenza perché per lo più quando esisteva la doppia moneta per lo più non cambiavano in moneta nazionale ed erano quindi fuori dal circuito del peso cubano. L'uso del CUC fino ad oggi ha permesso di fare sborsare al turista il corrispettivo di un mese intero di salario di un cubano per pagare una sola portata al ristorante per fare un esempio. Eliminando il CUC ci sarà la necessità di una mole enorme di moneta cartacea in circolazione, il ché potrebbe già essere un fattore destabilizzante dell'economia provocando inflazione in una situazione delicata come quella cubana, di certo il turista dopo pochi giorni di vacanza, sebbene entreranno in circolazione biglietti di grosso taglio si ritroverà una montagna di banconote e monete in tasca dopo averle cambiate per le spese giornaliere, per chi è abituato ad usare euro o dollari in casa propria è molto più facile spendere il CUC che ha un valore simile alla moneta a cui è abituato che pagare i conti dei ristorati, per i trasporti e la casa in affitto in centinaia, migliaia o decine di migliaia di pesos. I cubani come sempre sono succubi delle decisioni del loro governo e apprendono delle decisioni prese solo quando vengono loro comunicate, in strada la gente discute della novità dell'eliminazione del CUC e degli effetti che questo potrebbe avere, ma nessuno sembra avere le idee chiare su quello che potrebbe succedere e le ipotesi che fanno sono le più fantasiose. Solo il tempo dirà come si metteranno le cose e visto che stiamo parlando di un paese che gestisce le questioni economiche con una approssimazione sbalorditiva nulla vieta che possa succedere di tutto, compresa una marcia indietro che lasci il CUC al suo posto.
A prescindere dalla varie ipotesi che si possono fare riguardo la fine del regime castrista al momento l'unica evidenza è che ha accettato di buon grado l'avvicinamento proposto da Obama semplicemente perché va tutto a suo favore e pare non imporre niente di sostanziale in cambio. Sebbene in Europa con leggerezza i media si sono affrettati a gran voce ad annunciare la fine dell'embargo verso Cuba facendo intendere un rapido cambiamento della realtà cubana in verità si tratta solo di accordi del tutto marginali e che non coinvolgono direttamente i cittadini cubani se non accompagnati da un cambio radicale del governo cubano, le leggi e la stessa costituzione cubana andrebbero riformate e la dittatura rimossa per pensare che eliminare sanzioni e limitazioni finanziarie possano andare nella direzione di rendere la vita a cuba migliore. Il sogno di una Cuba libera dove internet non sia censurata e abbia un costo alla portata di tutti ma soprattutto dove tutti possano avere il denaro per acquistare un computer va purtroppo per adesso messo da parte, semmai è molto più probabile che Obama con le sue decisioni rafforzi solo il regime cubano e il controllo che ha sui suoi cittadini. Non bisogna però ignorare anche che l'avvicinamento tra i due paesi nasconde anche delle insidie notevoli che potrebbero anche fare saltare il tavolo dei negoziati, il regime cubano infatti se si aprissero delle normali relazioni tra i due governi dovrebbe accettare oltre che i vantaggi economici anche l'altro lato della medaglia che nasconde delle brutte sorprese, negli stati uniti sono oltre centomila i cubani incarcerati che se le relazioni diplomatiche con Cuba si stabilizzassero dovrebbero essere deportati dagli USA nelle carceri cubane, si tratta di un numero enorme di prigionieri che porterebbero il sistema carcerario cubano al collasso, questo gran numero di cubani incarcerati negli USA è dovuto perfida decisione di Fidel Castro che negli anni 80 aprendo le sue galere inviò in regalo negli Stati Uniti migliaia di criminali comuni che evidentemente hanno ripreso a delinquere nella terra che li ha accolti, dal canto suo Cuba dovrebbe consegnare agli Stati Uniti alcuni criminali statunitensi che sono al momento protetti dal regime castrista, trattati come eroi dell'anticapitalismo e che vivono in piena libertà sull'isola, c'è poi la questione delle proprietà di cittadini statunitensi che durante la rivoluzione vennero requisite e che dovrebbero essere restituite ai legittimi proprietari o ai loro eredi. Da questo si evince che in realtà la stabilizzazione delle relazioni tra i due paesi passa da una serie molto lunga di compromessi e ostacoli insormontabili finché la dittatura della famiglia Castro regnerà a Cuba, il regime cubano infatti non ha alcuna intenzione di restituire nulla a nessuno anche perché gran parte dei terreni, degli edifici civili ma soprattutto governativi a Cuba andrebbero restituiti ai legittimi proprietari e questo è realisticamente impossibile che accada. Quindi la stabilizzazione dei rapporti in realtà non potrà mai essere completa e leale e andrà solo a favore del regime cubano che accetterà solo quello che gli farà comodo offrendo poco o nulla in cambio, non so se Obama ha ben chiaro questo semplice concetto, o lui e i suoi consiglieri sono caduti nella trappola della propaganda castrista credendo persino loro alla menzogna che Cuba è alla miseria a causa dell'embargo oppure sono in vena di fare regali. Finché il regime cubano terrà in mano a monte l'economia di Cuba impedendone lo sviluppo è assolutamente inutile e controproducente eliminare le sanzioni, è talmente irrazionale e arcaico il sistema politico ed economico cubano oltre che scientificamente studiato per mantenere la povertà che solo la fine del castrismo e la nascita di una democrazia potrebbe cambiare Cuba e anche così sarà necessaria almeno una generazione per stabilizzare economicamente il paese che adesso si trova in ginocchio e per recuperare la moralità e la civiltà della società cubana devastata dalla miseria e dalla mancanza della cultura della libertà per troppo lungo tempo.
Allo stato attuale non esiste quasi nessuna speranza di un vero cambiamento a Cuba in senso democratico, solo un crollo dell'economia che immobilizzi il regime e i pochi servizi offerti ai cittadini potrebbe costringere il governo cubano a riformarsi in maniera radicale attraverso una rivolta interna al regime stesso o i cittadini cubani a sollevarsi contro il castrismo, ma con il denaro proveniente dall'estero tramite il turismo, l'eliminazione delle restrizioni finanziarie da parte degli Stati Uniti e l'economia sotterranea tollerata dal regime Cuba potrebbe restare condannata ad una lunga e penosa agonia.
Molti cubani in oltre hanno ripreso a fuggire da Cuba in direzione degli USA via mare con ogni mezzo negli ultimi mesi perché come già annunciato da alcuni senatori statunitensi uno degli effetti della normalizzazione dei rapporti diplomatici tra i due paesi dovrebbe essere quella di eliminare la leggere federale statunitense che permette ai fuggitivi cubani che riescono a raggiungere le coste della Florida di ottenere la cittadinanza come profughi.
Fidel Castro ha vinto la sua battaglia personale per il potere ammantandola da rivoluzione e patriottismo, ma è giunto alla fine dei suoi giorni lasciando il suo paese devastato sotto tutti gli aspetti, con un consiglio di stato composto par la maggioranza da anziani incapaci di avviare riforme, adesso toccherà alle prossime generazioni trovare una via di uscita non solo dalla crisi economica ma soprattutto dalla mancanza di democrazia e libertà che ha fato scendere parte del popolo cubano a un livello vergognoso di degrado morale e umano. Non ho nulla contro i cubani che rispetto e comprendo che pur di sopravvivere chiunque si sarebbe adattato come hanno fatto loro, ma la realtà è questa purtroppo, per molti cubani dignità e morale sono ormai solo un vecchio ricordo.
Sarà un processo complesso e doloroso perché a Cuba un cambio in direzione della democrazia dovrebbe essere fatto con molta cautela e a passi ben ponderati, sono molti i dissidenti agguerriti ma probabilmente pochi quelli che hanno reali capacità di governo in grado di riorganizzare il paese dal disastro in cui si trova, temo che il rischio di una transizione troppo rapida porterebbe caos politico e sociale che potrebbe scatenare violenza e instabilità, vista la situazione si dovrebbe praticamente cancellare l'intera costituzione e il codice penale per nulla adatti a una democrazia, l'unica via di uscita potrebbe essere l'adozione con le dovute modifiche della costituzione e del codice penale di un paese con una antica tradizione di democrazia per abbreviare i tempi di una stabilizzazione dopo la cancellazione della dittatura come hanno fatto in passato altre nazioni nella stessa situazione. Questa è l'eredità lasciata ai cubani dall'uomo a cui si sono affidati dandogli carta bianca senza riuscire mai a farsi ascoltare quando sarebbe stato necessario, l'alternativa per i cubani sarebbe restare un una irrazionale macchina del tempo ferma agli anni 50 fatta di ricordi e miseria, ghettizzati in un sistema sociale e politico arcaico e suicida sempre più ingiusto dove per sopravvivere si è costretti a prostituirsi in tutti i sensi e a comportarsi esattamente all'inverso degli ideali che professa. Sfruttando la capillare rete di stazioni radio e TV del regime sogno un giorno per Cuba una campagna elettorale vera, con deputati che spieghino bene le loro idee al popolo e facciano capire che la scelta deve avvenire tra una rosa di possibilità ma senza lasciare fuori dal governo nessuna delle diverse voci, che questa volta non si dovrebbe votare per un leader ma per la democrazia e che se vogliono continuare a votare per un sistema socialista possono e devono farlo ma non per tornare in una dittatura.
Il popolo cubano non è solo corruzione e degrado, il popolo cubano ha anche grandi potenzialità capacità di inventiva e senso del sociale, non tutti i cubani sono disposti a cedere a compromessi, non mi rassegnerò mai a cedere all'idea che è normale che a Cuba anche nelle cittadine più remote un tassista dopo aver chiesto l'indirizzo dove andare cominci a proporre al turista prostitute anche minorenni o sigari rubati alle fabbriche di stato o che quasi tutti i bar e le discoteche delle città siano in realtà niente altro che posti dove ogni notte migliaia di ragazze aspettano i turisti per prostituirsi o per essere portate via in qualsiasi posto lontano da quell'inferno.
E spero che mezzo secolo di dittatura sia per i cubani una tremenda lezione che porti Cuba a diventare la migliore democrazia dei Caraibi, un'area dove purtroppo come per una maledizione lasciata dalla dominazione spagnola non tutti i paesi considerati democratici brillano in realtà in democrazia.
La rivoluzione a Cuba ormai è rimasta solo su Radio Reloj, nel mondo reale è finita, ha solo gettato un popolo nella miseria più nera e nella corruzione e come era prevedibile è durata solo il tempo della vita di Fidel Castro.
Sebbene per molti cubani quella di Fidel Castro sia sempre stata una dittatura come tante altre che non ha mai avuto nessun nesso con il comunismo o il socialismo e che ha solo fatto del male al paese, per chi non la pensa così faccio notare che comunque non sarebbe razionale definire ancora rivoluzione socialista un sistema sociale ed economico che sopravvive ormai da decenni come un parassita unicamente grazie al resto del mondo considerato il nemico capitalista ma da cui attinge a piene mani sostentamento. Un sistema economico dove per vivere i cittadini devono pensare ogni giorno come e cosa rubare allo stato che in teoria li dovrebbe fornire di tutto e che invece è incapace di farlo, dove le ragazze in massa si spostano in città dalle campagne a caccia di turisti molto spesso con il beneplacito delle famiglie è solo un sistema che è già fallito da troppo tempo.
A Cuba per secoli la prostituzione è stata una piaga sociale, tanto che ormai Cuba è considerata nel mondo la più classica meta del turismo sessuale, come se la prostituzione facesse parte integrante della “cubania”, del carattere stesso del popolo cubano, iniziarono gli invasori spagnoli e poi tra una tirannia e l'altra i cubani sono stati costretti a perpetuare questa triste tradizione, adesso è una dittatura di stampo socialista a costringere i cubani a vendere il loro corpo pur di non ammettere di aver fallito.
Persino la definizione di mondo capitalista che tanto piace alla propaganda castrista oggi non ha più senso, il resto del mondo è ormai semplicemente il resto del mondo, non esiste più la contrapposizione tra comunisti e capitalisti, quella guerra è finita da un pezzo e siamo nel 2015, non nel 1959, adesso tutte le società lottano semplicemente per sopravvivere adottando i sistemi economici e politici che ritengono più efficienti a prescindere dalle ideologie.
In ultima analisi a Cuba con la fine fisica di Fidel Castro vicina la situazione è di incertezza e attesa, molti ristoranti e caffè privati funzionano bene, ma non per tutte le attività commerciali il successo è scontato, molti locali notturni aprono e vengono chiusi dal governo nel giro di pochi mesi, di solito per aver evaso le tasse, per risse o più spesso per droga, per l'esattezza cocaina, droga che sembra aver ormai invaso la capitale e le principali città dell'isola, sebbene tollerate anche la presenza di troppe prostitute può essere causa di chiusura immediata di un locale notturno. C'è incertezza sulle regole e sulle nuove leggi, per adesso comunque si paga circa il 10% di imposte sulle attività private, ma manca un sistema valido per verificare gli incassi, non esistono i registratori di cassa e quindi gli scontrini per i clienti e il pagamento delle tasse dipende dalle ricevute che restano al commerciante, un sistema senza testa né coda che sembra fatto apposta per chi vuole fare il furbo.
La gente non sa cosa succede dentro le stanze del potere del regime e sa che da un giorno all'altro tutto può cambiare, le leggi non vengono discusse pubblicamente, vengono create e cancellate senza alcun preavviso, investire a Cuba anche se potrebbe essere una mossa geniale in questo momento potrebbe quindi essere anche un grosso errore, bisogna assumersene il rischio a occhi chiusi, non sono pochi gli imprenditori stranieri che hanno investito a Cuba e hanno perso tutto, qualcuno è stato anche cacciato dall'isola.
Investire a Cuba per uno straniero è costoso ed è difficile avviare una nuova attività e non solo per la burocrazia e la difficoltà ad ottenere la residenza, ma anche perché procurare la materia prima per un ristorante che non venda cibo tipico cubano o una semplice pizzeria è difficilissimo, molti ingredienti alimentari a Cuba semplicemente non esistono e quei pochi che sono in vendita sono costosi e di pessima qualità. Per investire a Cuba bisogna esserne davvero innamorati, al momento è il posto meno adatto per avviare una attività commerciale.
A Cuba la gente parla della imminente invasione turistica e della fantastica ricchezza che dovrebbero portare gli americani quando arriveranno nei nuovi porti turistici in costruzione, ma tutti concordano che il governo deve adattarsi, deve cambiare ancora e molto per permettere davvero un netto miglioramento dell'economia, non basta fare proclami, ci vogliono i fatti, un diportista nautico non verrà mai a Cuba o non ci tornerà se avrà la sensazione di essere arrivato in un grande penitenziario e cielo aperto dove all'arrivo e all'uscita del paese viene fotografato alla dogana come un criminale dopo che gli avranno perquisito la barca, dove tutto gli costa molto più caro di qualsiasi altra isola dei Caraibi e dove non trova neppure il minimo necessario per la manutenzione della sua barca, se Cuba vuole competere nel ricco mercato del turismo nautico con il resto delle isole dei Caraibi i burocrati dell'isola il governo deve smetterla di pensare che il ricco capitalista è un pollo da spennare che è affetto da una sorta di idiozia cronica per cui gode a regalare il suo denaro, altre isole dei Caraibi come Martinica, la Repubblica Dominicana, Antigua, Porto Rico e altre sono fornite di grandi strutture cantieristiche e portuali che offrono prezzi molto bassi e sono meta di decine di migliaia di barche tutto l'anno, ma da quelle parti sono i privati a gestire tutto con efficienza. Lo stato cubano dovrebbe mollare le redini dell'economia ai privati per il bene del paese, soprattutto permettere di importare le merci ai privati dall'estero, l'unico suo ruolo possibile dovrebbe essere di controllore come fanno i governi del resto delle società civili, sarebbe interessante vedere se i vari e agguerriti corpi di polizia cubani riuscirebbero a gestire una democrazia invece che una dittatura.
In un mondo così diverso da quello che negli anni 50 ha permesso a Fidel Castro di prendere il potere non si può più fare affidamento sulla pazienza dei cubani, il fondo del barile è stato ormai raschiato, mantenere il popolo alla fame e contemporaneamente costruire con l'aiuto dei capitali dei cinesi, dei brasiliani o di chiunque altro fiuti la possibilità di fare affari d'oro a Cuba porti turistici, mega hotel e campi da golf per un turismo di élite non risolleverà il paese ma lo renderà sempre più ingiusto all'occhio di chi non ha nulla e non deve avere nulla proprio perché dovrebbe essere anticapitalista.
Raul Castro ha dovuto imboccare una strada senza ritorno, ha cominciato a fare i primi timidi passi verso la privatizzazione delle attività commerciali ma deve fare molto di più o qualcun altro dovrà farlo al suo posto, indietro non si torna, il tempo scorre in una sola direzione in questo universo, il socialismo cubano anche se ufficialmente è intatto nella instancabile propaganda di regime è in realtà ferito a morte, avvelenato dalla stessa medicina che lo dovrebbe salvare, il denaro, e la logica e la natura umana completeranno l'opera.
Non c'è via d'uscita, il governo cubano ha solo due possibilità, sparire del tutto o adattarsi al nuovo corso della storia modificandosi radicalmente, se il regime pur di non perdere potere e privilegi continuerà con le mezze concessioni e le mezze riforme fatte male come sta facendo da qualche tempo e non aprirà le porte del commercio diretto tra i suoi cittadini e il resto del mondo avviando un processo democratico ed economico che porti gli stipendi dei lavoratori cubani a livelli adeguati alla realtà del costo della vita tra pochi anni Cuba si trasformerà nell'amplificazione estrema di ciò che è già adesso, una società mostruosa, colma di ingiustizie e classi sociali sempre più divise da abissi di povertà, diventerà per assurdo solo la triste grottesca caricatura di tutti i difetti del capitalismo selvaggio.
Cuba si trasformerebbe nel primo crudele esperimento sociale di cosa succede ad ostinarsi ad applicare fino all'estremo delle conseguenze la dottrina comunista in un sistema aperto al mondo esterno dal quale trae sussistenza e i peggiori difetti, comunismo che continuerebbe ad esistere in solo chiave folcloristica e dove si mescolerebbero fiumi di denaro e povertà estrema, quindi classi sociali enormemente lontane, la società cubana virerebbe inevitabilmente in una pericolosa direzione e ci sarebbero sempre meno socialisti in buona fede alimentati a pane e ideologia e sempre più cittadini intolleranti alla dottrina comunista che vedranno come l'unica vera irrazionale limitazione alla loro libertà personale ed economica in un mondo che è cambiato, la morte della “rivoluzione” così avverrebbe dopo una penosa agonia, semplicemente per anzianità.
Completato il suo ciclo la rivoluzione ricreerebbe i presupposti di una nuova rivoluzione che la spazzi via.
Oggi è successo un piccolo miracolo a Cuba, oggi nella circoscrizione 111 nel barrio di Santa Amalia in Arroyo Naranjo all'Avana alle elezioni per nominare il delegato all'assemblea del potere popolare la gente ha vinto la paura e ha votato come rappresentante un noto oppositore al governo, Yuniel Francisco López O’Farril di 26 anni, tutti nel suo quartiere sapevano che era un oppositore al governo e lo hanno votato in massa, una piccola cosa ma dal grande significato, i cubani sono stanchi di vivere nell'incomprensibile rivoluzione infinita che hanno ricevuto come sacro dogma sin dalla nascita. Cuba anche se alla sua maniera sta cambiando, sta facendo i primi passi verso la libertà, farà errori e cadrà nel difficile cammino che ha intrapreso ma si rialzerà e proseguirà, tra pochi anni sarà inevitabilmente un paese diverso.
28/01/2015
Torna Fidel Castro: "Non ho fiducia negli Usa", ma appoggia Raul nel disgelo
Nonostante la distensione tra Cuba e Usa, "non ho fiducia nella politica degli Stati Uniti e non ho scambiato una parola con loro": a dirlo in una lettera è Fidel Castro, il quale sottolinea però come ciò non implichi "un rifiuto ad una soluzione pacifica dei conflitti". E suo fratello, il presidente Raul, "ha fatto passi pertinenti" sulla base delle sue "prerogative e facoltà". Lo scritto è stato pubblicato sul quotidiano del partito e letto in tv.
Fidel, 88 anni, che da tempo non dava più notizie di sé (tanto da essere stato dato per morto un paio di settimane fa da un giornale dall'opposizione stampato negli Usa) ha dunque usato parole dure nei confronti di Washington, senza però sconfessare la posizione del fratello sul fronte dei rapporti con il "nemico".
L'ex "lider maximo" ha colto l'occasione del 70° anniversario del suo ingresso nella Federazione studentesca universitaria per rendere nota una lettera - pubblicata sul quotidiano del partito comunista cubano, Granma, e letta dalla tv locale - nella quale precisa alcuni punti dopo la svolta nei rapporti Usa-Cuba annunciata il 17 dicembre da Barack Obama e Raul Castro e a seguito dei colloqui bilaterali all'Avana della scorsa settimana.
"Difenderemo sempre la cooperazione e l'amicizia con tutti i popoli del mondo, tra questi i nostri avversari politici", afferma, ricordando inoltre che "ogni soluzione pacifica e negoziata tra gli Usa e i popoli dell'America Latina che non implichi la forza, o l'impiego della forza, deve essere affrontato - aggiunge Fidel - con i principi e le normative internazionali".
Nella lettera, l'ex presidente si rivolge agli studenti con un "Cari compagni". Poi ricorda che "fin dal 2006, per ragioni di salute incompatibili con il tempo e gli sforzi necessari per il dovere ho rinunciato ai miei incarichi". Nel lungo testo, Fidel segnala inoltre l'influenza che hanno avuto in lui negli anni in cui era studente "Marx e Lenin, altro genio dell'azione rivoluzionaria".
18/12/2014
La notizia sembra aver fatto scatenare i giornali di tutto il mondo, Obama apre a Cuba e promette di eliminare l'embargo finanziario verso l'isola dei Castro, ha proposto di aprire una ambasciata e permettere i viaggi turistici dagli USA. Tutto sembra semplice, il mostro americano apre i suoi artigli che stritolano Cuba, la realtà è diversa, molto diversa. Obama ha fatto delle promesse irrealizzabili in gran parte, o è stato consigliato da diabolici consiglieri che pensano che permettere l'ingresso di flussi finanziari verso l'isola caraibica possa fare crollare la dittatura dei Castro oppure si tratta di un errore catastrofico. Obama non essendo mai stati a Cuba deve fidarsi di un flusso di informazioni proveniente da varie fonti, ma per chi conosce Cuba per esserci stato per decenni sa bene che Cuba non è un posto come un altro nel mondo, la teoria della conoscenza a Cuba vale poco, per capire le ragioni delle miseria e della repressione di quell'angolo di mondo bisogna averne conoscenza diretta. Il punto è uno, a Cuba c'è una dittatura, aiutare finanziariamente quella dittatura servirà a rafforzarla oppure la minerà condannandola alla fine? Il denaro proveniente dal turismo statunitense di certo sarà ben accetto, ma cambierà poco la situazione economica di un paese ridotto alla miseria per continuare ad adottare testardamente un sistema economico fallimentare.
L' eliminazione delle limitazioni sui flussi finanziari con le banche statunitensi sarà probabilmente un aspetto poco influente, i Castro spostano denaro tranquillamente da sempre su vari circuiti bancari di paesi amici, così come i cubani residenti fuori da Cuba inviano regolarmente le loro rimesse economiche alle famiglie senza alcun problema da sempre. Se Cuba è povera lo è per questioni interne non per limitazioni attuate dagli USA. Obama in oltre dovrà affrontare un grosso problema, le sue idee personali o quelle dei suoi consiglieri devono convincere il congresso ad avallare questa apertura alla famiglia Castro, cosa che sembra già dalle prime ore dalle sue dichiarazioni cosa molto difficile. Potrebbe rivelarsi molto difficile anche l'apertura di una nuova ambasciata statunitense all'Havana, a meno di non convertire l'officina di interessi USA che si trova sul malecon della capitale cubana ad ambasciata, perché la maggioranza dei membri del congresso sono contrari a spendere un solo dollaro sul suolo cubano. In ogni caso, ammesso che Obama trovi il sistema di aiutare Cuba economicamente l'operazione è dai dubbi effetti sui cubani se ciò non è seguito da un radicale cambio di sistema di governo, aiutare una dittatura facilitandola economicamente significa ovviamente peggiorare la condizione dei cittadini sottomessi a quella dittatura, se quel denaro finisce nelle tasche dei pezzi grossi del governo e per rafforzare la censura e il sistema poliziesco di repressione il risultato della manovra di Obama sarà una catastrofe, se al contrario quel denaro convincerà i Castro e i suoi generali e scagnozzi a vendersi e a vendere l'isola e la loro ideologia agli odiati statunitensi l'operazione potrebbe avere un senso. Al momento il dubbio è che Cuba abbia giocato la carta disperata dell'avvicinamento agli USA semplicemente perché il Venezuela che ha mantenuto in vita la dittatura castrista per molti anni è alla bancarotta e tutto quello che vuole ottenere è semplicemente un'assicurazione sul futuro e qualche aiuto commerciale immediato, Cuba non è mai stata autosufficiente, la storia passata di Cuba insegna che pur di sopravvivere le sue strade sono state percorse dai russi, dai cinesi, dai venezuelani e da chiunque potesse elemosinargli qualcosa per sopravvivere. Adesso tocca agli USA offrire assistenza alla dittatura, nonostante tutto, ma l'illusione di un cambio democratico a Cuba è un'altra cosa, economicamente l'accorso potrebbe anche funzionare in qualche modo, ma ideologicamente Cuba è lontanissima dalla libertà. Qualche consigliere di Obama ha dichiarato che gli operatori telefonici statunitensi potrebbero portare le loro reti internet a Cuba e modernizzare il paese in poco tempo, si accettano scommesse, i Castro non faranno mettere mai il naso in un settore delicato come la comunicazione e internet a nessuno finché esistono, anche se la rete internet potrà essere migliorata sarà comunque filtrata, censurata e troppo cara per le misere tasche della maggior parte dei cubani, semplicemente perché la comunicazione libera e di massa sarebbe la loro fine, non capire un concetto così semplice significa conoscere Cuba peggio di una luna di Giove. Ciò che rende Cuba un posto grigio e privo di libertà non sono solo questioni economiche o gli accordi con le altre nazioni, quello che in realtà dovrebbe cambiare a Cuba sono molte leggi e soprattutto la costituzione che di fatto contiene tutti gli ingredienti della dittatura poiché relega ogni voce dissidente a qualcosa di impossibile da considerare civile intervento nella politica dell'isola, considerandola invece un insulto alla "rivoluzione".
Questo è quello che ha dichiarato la figlia di Fidel Castro dopo la notizia delle aperture concesse da Obama:
La notizia sembra aver fatto scatenare i giornali di tutto il mondo, Obama apre a Cuba e promette di eliminare l'embargo finanziario verso l'isola dei Castro, ha proposto di aprire una ambasciata e permettere i viaggi turistici dagli USA. Tutto sembra semplice, il mostro americano apre i suoi artigli che stritolano Cuba, la realtà è diversa, molto diversa. Obama ha fatto delle promesse irrealizzabili in gran parte, o è stato consigliato da diabolici consiglieri che pensano che permettere l'ingresso di flussi finanziari verso l'isola caraibica possa fare crollare la dittatura dei Castro oppure si tratta di un errore catastrofico. Obama non essendo mai stati a Cuba deve fidarsi di un flusso di informazioni proveniente da varie fonti, ma per chi conosce Cuba per esserci stato per decenni sa bene che Cuba non è un posto come un altro nel mondo, la teoria della conoscenza a Cuba vale poco, per capire le ragioni delle miseria e della repressione di quell'angolo di mondo bisogna averne conoscenza diretta. Il punto è uno, a Cuba c'è una dittatura, aiutare finanziariamente quella dittatura servirà a rafforzarla oppure la minerà condannandola alla fine? Il denaro proveniente dal turismo statunitense di certo sarà ben accetto, ma cambierà poco la situazione economica di un paese ridotto alla miseria per continuare ad adottare testardamente un sistema economico fallimentare.
L' eliminazione delle limitazioni sui flussi finanziari con le banche statunitensi sarà probabilmente un aspetto poco influente, i Castro spostano denaro tranquillamente da sempre su vari circuiti bancari di paesi amici, così come i cubani residenti fuori da Cuba inviano regolarmente le loro rimesse economiche alle famiglie senza alcun problema da sempre. Se Cuba è povera lo è per questioni interne non per limitazioni attuate dagli USA. Obama in oltre dovrà affrontare un grosso problema, le sue idee personali o quelle dei suoi consiglieri devono convincere il congresso ad avallare questa apertura alla famiglia Castro, cosa che sembra già dalle prime ore dalle sue dichiarazioni cosa molto difficile. Potrebbe rivelarsi molto difficile anche l'apertura di una nuova ambasciata statunitense all'Havana, a meno di non convertire l'officina di interessi USA che si trova sul malecon della capitale cubana ad ambasciata, perché la maggioranza dei membri del congresso sono contrari a spendere un solo dollaro sul suolo cubano. In ogni caso, ammesso che Obama trovi il sistema di aiutare Cuba economicamente l'operazione è dai dubbi effetti sui cubani se ciò non è seguito da un radicale cambio di sistema di governo, aiutare una dittatura facilitandola economicamente significa ovviamente peggiorare la condizione dei cittadini sottomessi a quella dittatura, se quel denaro finisce nelle tasche dei pezzi grossi del governo e per rafforzare la censura e il sistema poliziesco di repressione il risultato della manovra di Obama sarà una catastrofe, se al contrario quel denaro convincerà i Castro e i suoi generali e scagnozzi a vendersi e a vendere l'isola e la loro ideologia agli odiati statunitensi l'operazione potrebbe avere un senso. Al momento il dubbio è che Cuba abbia giocato la carta disperata dell'avvicinamento agli USA semplicemente perché il Venezuela che ha mantenuto in vita la dittatura castrista per molti anni è alla bancarotta e tutto quello che vuole ottenere è semplicemente un'assicurazione sul futuro e qualche aiuto commerciale immediato, Cuba non è mai stata autosufficiente, la storia passata di Cuba insegna che pur di sopravvivere le sue strade sono state percorse dai russi, dai cinesi, dai venezuelani e da chiunque potesse elemosinargli qualcosa per sopravvivere. Adesso tocca agli USA offrire assistenza alla dittatura, nonostante tutto, ma l'illusione di un cambio democratico a Cuba è un'altra cosa, economicamente l'accorso potrebbe anche funzionare in qualche modo, ma ideologicamente Cuba è lontanissima dalla libertà. Qualche consigliere di Obama ha dichiarato che gli operatori telefonici statunitensi potrebbero portare le loro reti internet a Cuba e modernizzare il paese in poco tempo, si accettano scommesse, i Castro non faranno mettere mai il naso in un settore delicato come la comunicazione e internet a nessuno finché esistono, anche se la rete internet potrà essere migliorata sarà comunque filtrata, censurata e troppo cara per le misere tasche della maggior parte dei cubani, semplicemente perché la comunicazione libera e di massa sarebbe la loro fine, non capire un concetto così semplice significa conoscere Cuba peggio di una luna di Giove. Ciò che rende Cuba un posto grigio e privo di libertà non sono solo questioni economiche o gli accordi con le altre nazioni, quello che in realtà dovrebbe cambiare a Cuba sono molte leggi e soprattutto la costituzione che di fatto contiene tutti gli ingredienti della dittatura poiché relega ogni voce dissidente a qualcosa di impossibile da considerare civile intervento nella politica dell'isola, considerandola invece un insulto alla "rivoluzione".
Questo è quello che ha dichiarato la figlia di Fidel Castro dopo la notizia delle aperture concesse da Obama:
29/6/2014
La policía asalta la sede de UNPACU, la mayor organización disidente del país
Jose Daniel Ferrer García, secretario ejecutivo de la Unión Patriótica de Cuba (UNPACU), fue detenido el sábado en la noche, junto a otros once activistas, después de que fuerzas represivas golpearan a hombres y mujeres y penetraran violentamente en la casa-sede de la organización en Santiago de Cuba.
En el operativo intervinieron policías y tropas especiales armados con tonfas y revólveres, bajo la dirección de la policía política, denunció la UNPACU.
Según algunos oficiales presentes, el objetivo fue impedir "la provocación" de los activistas, quienes pretendían poner música en una pantalla gigante frente a la casa sede.
Las fuerzas represivas rompieron la puerta, persianas, muebles y algunos electrodomésticos, además de confiscar teléfonos móviles, cámaras fotográficas, una laptop y la sábana blanca que servía de pantalla gigante.
Una hora después fueron liberados Enma Isaac Sanchez y Lorenzo Malesu Isaac. Melki Fabré Hechavarría fue excarcelada cinco horas después.
La lista de detenidos la completan Anyer Antonio Blanco Rodríguez, Martha Beatriz Ferrer Cantillo, Belkys Cantillo Ramírez, Iriades Hernández Aguilera, David González Pérez, Vladimir Alarcón Mora, Maylin Isaac Sánchez y Enmanuel Robert Claramut.
23/6/2014
Cuba: ancora arresti per i dissidenti, cresce repressione
Prosegue la repressione dei dissidenti a Cuba, dove dallo scorso novembre i detenuti politici e' cresciuto da 87 a 102. Lo ha reso noto la Commissione cubana per i diritti umani e la riconciliazione nazionale, precisando che altri 12 detenuti sono stati liberati, ma con la condizionale. In un rapporto inviato alla stampa, l'organizzazione per i diritti umani, illegale ma tollerata a Cuba, ha denunciato le pratiche di repressione del governo di Raul Castro, con la polizia che sequestra e detiene i dissidenti per ore senza motivazione. Le cose tuttavia andavano peggio all'epoca di Fidel Castro: quando ha lasciato la guida del Paese nel 2006 i prigionieri politici dietro le sbarre erano oltre 300. (fonte AFP). uda/
10/6/2014
Un libro svela il vero Fidel: lusso e vizi come un capitalista
Racconta tutto la sua ex guardia del corpo, che dopo un periodo di prigione è riuscito a scappare negli Stati Uniti
Case lussuose, yacht privati e addirittura un'intera isola personale. Fidel Castro non se la passa per niente male, almeno stando alle rivelazioni Juan Reinaldo Sánchez, una sua ex guardia del corpo che ha appena dato alle stampe un libro sul Lider Maximo (La vita nascosta di Fidel Castro). Secondo l'autore, la vita privata del protagonista della rivoluzione cubana non avrebbe niente a che fare con la sobrietà ed il rigore di un capo comunista.
Sánchez racconta delle molteplici facce di Fidel Castro. In pubblico quella rivoluzionaria del capo attento al suo popolo, concentrato sulla lotta all'imperialismo e capace di travolgere con la sua imponente logorrea milioni di cubani sulla via dell'orgoglio nazionale. In privato, quella dell'uomo avvinto dai vizi del capitalismo, avvezzo alla bella vita, ai cibi pregiati, agli abiti lussuosi, alle gite in barca, ai trattamenti continui nella splendida e privatissima sua beauty-farm.
L'autore circostanzia. Nell'ultimo romantico avamposto del socialismo reale, Castro possiede un'intera isola. Privata ed inaccessibile. Si tratta di Cayo Piedra, luogo dove il Lider Maximo amava ritirarsi in compagnia di vip internazionali e intellettuali, come lo scomparso scrittore Garcia Marquez. Negli anni ruggenti, a nessuno era concesso avvicinarsi nella splendida magione presidenziale, dotata di tutti i confort più esclusivi.
Sanchez però non si ferma alla descrizione delle passioni mondane di Castro, ne approfitta per affondare il colpo e rivelare particolari sulla personalità, a suo dire, controversa del dittatore. Manipolatore, carismatico, affascinante ma crudele e senza scrupoli, Fidel sarebbe un personaggio molto pericoloso. Ancora oggi, senza poteri formali, dopo la cessione del governo al fratello Raùl, conserverebbe ancora un grande seguito. E non avrebbe mai smesso di dettare legge e di punire chi osa dissentire.
L'autore del libro parla anche di sé. Dopo 17 anni trascorsi nella guardia privata di Castro ha deciso di andarsene sbattendo la porta. Fidel l'avrebbe fatto imprigionare per mesi, in una cella lurida, legato come un cane, e alla fine liberato e licenziato. Nel 2008 Sanchez ha chiesto ed ottenuto l'asilo politico negli Stati Uniti.
10/6/2014
Sei ballerini cubani scappano dopo il concerto a Puerto Rico
Il ritorno del Balleto Nazionale di Cuba (Bnc) a Puerto Rico, dopo un'assenza di 30 anni, è risultato un successo di pubblico e critica ma si è chiuso su una nota amara: almeno 6 dei suoi artisti hanno approfittato dell'occasione per scappare dall'isola e rifugiarsi a Miami, dove uno di loro ha detto alla stampa che si pente "solamente di non averlo fatto prima".
La performance del Bnc, venerdì sera al Centro di Belle Arti di San Juan, è stata applauditissima dai 2 mila spettatori presenti e dalla stampa locale, che ha lodato ancora una volta il talento della coreografa Alicia Alonso, mitica figura della danza cubana che fondò il Bnc nel 1948.
La notizia del successo dello spettacolo è stata però rapidamente sostituita dalla diserzione dei ballerini, che sono sbarcati all'aeroporto di Miami durante il fine settimana. Uno di loro, Rayseel Cruz, ha dichiarato al suo arrivo che la posizione dei giovani ballerini del Bnc "è precaria e frustrante".
Nell'aprile del 2013, un altro gruppo di 7 ballerini del Bnc è scappato mentre si trovavano in Messico. Anche loro hanno chiesto asilo politico agli Usa.
10/6/2014
Venezuela: i delitti ‘subliminali’ dell’imputato López
Non pochi (direi, anzi, tutti coloro che hanno occhi per vedere) vanno da tempo sostenendo, con eccellenti argomentazioni, che nel Venezuela bolivariano (o, più propriamente, ‘chavista’) lo stato di diritto è ormai bell’e morto e sepolto, ucciso da un potere politico che manipola la legge a suo piacimento. Ed anch’io ho in più occasioni, fatti alla mano, sostenuto (vedi qui, qui e qui) quest’ormai piuttosto ovvia verità. Molto più esatto sarebbe tuttavia affermare che, in realtà, quest’indisputabile ‘diritticidio’ non si presenta nelle vesti d’un unico e traumatico evento, bensì in forma continuata e pressoché quotidiana, lungo il filo d’un tragicomico ed ininterrotto paradosso. In sostanza: nella Venezuela chavista lo stato di diritto è davvero morto da tempo (morto ammazzato), ma la necessità di dissimulare la sua permanenza in vita costringe il regime a ‘ri-ucciderlo’ ogni giorno. Il tutto con effetti immancabilmente raccapriccianti e, al tempo stesso, farseschi. Un po’, per intenderci, come accadeva in quel vecchio ed esilarante film che, mi par di ricordare, s’intitolava “In vacanza col morto”.
L’ultima replica di questo ‘assassinio permanente’ (o di questa pagliaccesca simulazione di legalità) è quella offerta dal lungo testo della sentenza che – al termine di un’indagine dai suoi autori senza esitazioni definita ‘esaustiva, minuziosa, oggettiva ed imparziale’ – di fatto rinvia a giudizio (decretandone la permanenza in un carcere militare) del leader dell’opposizione Leopoldo López, auto-consegnatosi alla giustizia lo scorso 18 di febbraio, dopo che contro di lui era stato emesso un ordine di arresto a seguito d’una manifestazione organizzata qualche giorno prima, il 12 di febbraio.
Breve riassunto delle precedenti puntate. Il 12 febbraio un corteo di studenti era pacificamente sfilato fino alla sede della della Fiscalía per chiedere la liberazione di alcuni studenti arrestati in quel di Táchira, a seguito d’una protesta. López aveva aderito a quella manifestazione ed aveva apertamente sostenuto in discorsi ed interviste (nonché, ovviamente, nelle ormai immancabili ‘reti sociali’) che quel corteo doveva essere l’inizio d’una campagna di protesta politica nelle piazze – da lui chiamata ‘La Salida’, l’uscita – tesa a provocare la caduta d’un governo giudicato oppressivo, corrotto ed illegittimo, incapace di rispettare la democrazia e di risolvere i sempre più gravi problemi economici e sociali del paese. Dopo avere, invano, cercato di consegnare un documento alla Fiscal, Luisa Ortega Díaz, quella manifestazione s’era sciolta, su invito dei suoi organizzatori, così come s’era svolta. Vale a dire: pacificamente. Ma, come non di rado accade in ogni latitudine, a manifestazione disciolta, alcuni gruppi avevano provocato violenti disordini, con lanci di bombe incendiarie e sassi contro la sede della Fiscalia, e con il tragico bilancio finale di tre morti (tutte – dettaglio, questo, tutt’altro che secondario –provocate colpi d’arma fuoco sparati a freddo da agenti del SEBIN, Servicio Bolivariano de Inteligencia Nacional, presenti in piazza).
Dunque: per quali reati Leopoldo López è stato rinviato a giudizio? Il documento li indica nel seguente ordine: incendio, istigazione a delinquere, danni alla pubblica proprietà, associazione a delinquere (una somma di delitti che vale 10 anni di cari carcere). E su quali fatti, par lecito chiedersi, si basano queste imputazioni? Nessuno. Nessun fatto perché – come risulta da tutte le testimonianze – López già aveva abbandonato la piazza quando i disordini sono scoppiati. Nessun fatto ed anche nessuna parola, perché, prima di abbandonare la piazza, López aveva invitato i manifestanti a tornare pacificamente a casa, annunciando una nuova manifestazione per il giorno successivo…E allora?
Semplicissima – anche se illustrata con grotteschi arzigogoli pseudo-giuridici e pseudo-scientifici – è la risposta. Come brillantemente spiegano gli autori nelle oltre 200 pagine del loro implacabile ‘j’accuse’, Leopoldo López è colpevole non per quello che ha fatto o detto, ma per quello che ha lasciato intendere in forma ‘subliminale’ nei suoi discorsi e nelle sue interviste.
La parte centrale del documento d’accusa è, infatti, quella dedicata alla ‘analisi semantica’ di quattro ‘testi’, tra discorsi ed interviste, attribuiti a López. E questa – non per caso l’unica riportata in maiuscolo – è, di gran lunga, la più incriminante tra le frasi pronunciate dal reo: ‘Tenemos que salir a conquistar la democracia’,dobbiamo scendere in piazza per conquistare la democrazia. In sostanza: dato che possiede un ‘ethos politico’capace di influenzare i suoi ascoltatori, e dato che va ribadendo il concetto della non-democraticità del governo in carica – fatto questo che ‘rompe’, secondo gli autori, l’ordine costituzionale – Leopoldo López non può che essere considerato l’istigatore d’ogni reato commesso ai margini delle manifestazioni di protesta. E questo anche nel caso che i suoi discorsi abbiano, se letteralmente interpretati, invitato a non commettere alcuna violenza. Illuminante, a tal proposito, questo passaggio del documento: ‘…occorre mettere in rilievo…che non è sufficiente annunciare che quello che si fa non è violento, se non c’è un correlato discorsivo, prosodico (sic) e nei fatti che lo dimostri…”. Insomma: López può dire quel che gli pare. Ma se parla male del governo, per noi è comunque colpevole…
State ridendo o state piangendo? Non so voi, ma io ho appena finito d’asciugarmi gli occhi. E ancora devo capire se sono lacrime di riso o di pianto…
La policía asalta la sede de UNPACU, la mayor organización disidente del país
Jose Daniel Ferrer García, secretario ejecutivo de la Unión Patriótica de Cuba (UNPACU), fue detenido el sábado en la noche, junto a otros once activistas, después de que fuerzas represivas golpearan a hombres y mujeres y penetraran violentamente en la casa-sede de la organización en Santiago de Cuba.
En el operativo intervinieron policías y tropas especiales armados con tonfas y revólveres, bajo la dirección de la policía política, denunció la UNPACU.
Según algunos oficiales presentes, el objetivo fue impedir "la provocación" de los activistas, quienes pretendían poner música en una pantalla gigante frente a la casa sede.
Las fuerzas represivas rompieron la puerta, persianas, muebles y algunos electrodomésticos, además de confiscar teléfonos móviles, cámaras fotográficas, una laptop y la sábana blanca que servía de pantalla gigante.
Una hora después fueron liberados Enma Isaac Sanchez y Lorenzo Malesu Isaac. Melki Fabré Hechavarría fue excarcelada cinco horas después.
La lista de detenidos la completan Anyer Antonio Blanco Rodríguez, Martha Beatriz Ferrer Cantillo, Belkys Cantillo Ramírez, Iriades Hernández Aguilera, David González Pérez, Vladimir Alarcón Mora, Maylin Isaac Sánchez y Enmanuel Robert Claramut.
23/6/2014
Cuba: ancora arresti per i dissidenti, cresce repressione
Prosegue la repressione dei dissidenti a Cuba, dove dallo scorso novembre i detenuti politici e' cresciuto da 87 a 102. Lo ha reso noto la Commissione cubana per i diritti umani e la riconciliazione nazionale, precisando che altri 12 detenuti sono stati liberati, ma con la condizionale. In un rapporto inviato alla stampa, l'organizzazione per i diritti umani, illegale ma tollerata a Cuba, ha denunciato le pratiche di repressione del governo di Raul Castro, con la polizia che sequestra e detiene i dissidenti per ore senza motivazione. Le cose tuttavia andavano peggio all'epoca di Fidel Castro: quando ha lasciato la guida del Paese nel 2006 i prigionieri politici dietro le sbarre erano oltre 300. (fonte AFP). uda/
10/6/2014
Un libro svela il vero Fidel: lusso e vizi come un capitalista
Racconta tutto la sua ex guardia del corpo, che dopo un periodo di prigione è riuscito a scappare negli Stati Uniti
Case lussuose, yacht privati e addirittura un'intera isola personale. Fidel Castro non se la passa per niente male, almeno stando alle rivelazioni Juan Reinaldo Sánchez, una sua ex guardia del corpo che ha appena dato alle stampe un libro sul Lider Maximo (La vita nascosta di Fidel Castro). Secondo l'autore, la vita privata del protagonista della rivoluzione cubana non avrebbe niente a che fare con la sobrietà ed il rigore di un capo comunista.
Sánchez racconta delle molteplici facce di Fidel Castro. In pubblico quella rivoluzionaria del capo attento al suo popolo, concentrato sulla lotta all'imperialismo e capace di travolgere con la sua imponente logorrea milioni di cubani sulla via dell'orgoglio nazionale. In privato, quella dell'uomo avvinto dai vizi del capitalismo, avvezzo alla bella vita, ai cibi pregiati, agli abiti lussuosi, alle gite in barca, ai trattamenti continui nella splendida e privatissima sua beauty-farm.
L'autore circostanzia. Nell'ultimo romantico avamposto del socialismo reale, Castro possiede un'intera isola. Privata ed inaccessibile. Si tratta di Cayo Piedra, luogo dove il Lider Maximo amava ritirarsi in compagnia di vip internazionali e intellettuali, come lo scomparso scrittore Garcia Marquez. Negli anni ruggenti, a nessuno era concesso avvicinarsi nella splendida magione presidenziale, dotata di tutti i confort più esclusivi.
Sanchez però non si ferma alla descrizione delle passioni mondane di Castro, ne approfitta per affondare il colpo e rivelare particolari sulla personalità, a suo dire, controversa del dittatore. Manipolatore, carismatico, affascinante ma crudele e senza scrupoli, Fidel sarebbe un personaggio molto pericoloso. Ancora oggi, senza poteri formali, dopo la cessione del governo al fratello Raùl, conserverebbe ancora un grande seguito. E non avrebbe mai smesso di dettare legge e di punire chi osa dissentire.
L'autore del libro parla anche di sé. Dopo 17 anni trascorsi nella guardia privata di Castro ha deciso di andarsene sbattendo la porta. Fidel l'avrebbe fatto imprigionare per mesi, in una cella lurida, legato come un cane, e alla fine liberato e licenziato. Nel 2008 Sanchez ha chiesto ed ottenuto l'asilo politico negli Stati Uniti.
10/6/2014
Sei ballerini cubani scappano dopo il concerto a Puerto Rico
Il ritorno del Balleto Nazionale di Cuba (Bnc) a Puerto Rico, dopo un'assenza di 30 anni, è risultato un successo di pubblico e critica ma si è chiuso su una nota amara: almeno 6 dei suoi artisti hanno approfittato dell'occasione per scappare dall'isola e rifugiarsi a Miami, dove uno di loro ha detto alla stampa che si pente "solamente di non averlo fatto prima".
La performance del Bnc, venerdì sera al Centro di Belle Arti di San Juan, è stata applauditissima dai 2 mila spettatori presenti e dalla stampa locale, che ha lodato ancora una volta il talento della coreografa Alicia Alonso, mitica figura della danza cubana che fondò il Bnc nel 1948.
La notizia del successo dello spettacolo è stata però rapidamente sostituita dalla diserzione dei ballerini, che sono sbarcati all'aeroporto di Miami durante il fine settimana. Uno di loro, Rayseel Cruz, ha dichiarato al suo arrivo che la posizione dei giovani ballerini del Bnc "è precaria e frustrante".
Nell'aprile del 2013, un altro gruppo di 7 ballerini del Bnc è scappato mentre si trovavano in Messico. Anche loro hanno chiesto asilo politico agli Usa.
10/6/2014
Venezuela: i delitti ‘subliminali’ dell’imputato López
Non pochi (direi, anzi, tutti coloro che hanno occhi per vedere) vanno da tempo sostenendo, con eccellenti argomentazioni, che nel Venezuela bolivariano (o, più propriamente, ‘chavista’) lo stato di diritto è ormai bell’e morto e sepolto, ucciso da un potere politico che manipola la legge a suo piacimento. Ed anch’io ho in più occasioni, fatti alla mano, sostenuto (vedi qui, qui e qui) quest’ormai piuttosto ovvia verità. Molto più esatto sarebbe tuttavia affermare che, in realtà, quest’indisputabile ‘diritticidio’ non si presenta nelle vesti d’un unico e traumatico evento, bensì in forma continuata e pressoché quotidiana, lungo il filo d’un tragicomico ed ininterrotto paradosso. In sostanza: nella Venezuela chavista lo stato di diritto è davvero morto da tempo (morto ammazzato), ma la necessità di dissimulare la sua permanenza in vita costringe il regime a ‘ri-ucciderlo’ ogni giorno. Il tutto con effetti immancabilmente raccapriccianti e, al tempo stesso, farseschi. Un po’, per intenderci, come accadeva in quel vecchio ed esilarante film che, mi par di ricordare, s’intitolava “In vacanza col morto”.
L’ultima replica di questo ‘assassinio permanente’ (o di questa pagliaccesca simulazione di legalità) è quella offerta dal lungo testo della sentenza che – al termine di un’indagine dai suoi autori senza esitazioni definita ‘esaustiva, minuziosa, oggettiva ed imparziale’ – di fatto rinvia a giudizio (decretandone la permanenza in un carcere militare) del leader dell’opposizione Leopoldo López, auto-consegnatosi alla giustizia lo scorso 18 di febbraio, dopo che contro di lui era stato emesso un ordine di arresto a seguito d’una manifestazione organizzata qualche giorno prima, il 12 di febbraio.
Breve riassunto delle precedenti puntate. Il 12 febbraio un corteo di studenti era pacificamente sfilato fino alla sede della della Fiscalía per chiedere la liberazione di alcuni studenti arrestati in quel di Táchira, a seguito d’una protesta. López aveva aderito a quella manifestazione ed aveva apertamente sostenuto in discorsi ed interviste (nonché, ovviamente, nelle ormai immancabili ‘reti sociali’) che quel corteo doveva essere l’inizio d’una campagna di protesta politica nelle piazze – da lui chiamata ‘La Salida’, l’uscita – tesa a provocare la caduta d’un governo giudicato oppressivo, corrotto ed illegittimo, incapace di rispettare la democrazia e di risolvere i sempre più gravi problemi economici e sociali del paese. Dopo avere, invano, cercato di consegnare un documento alla Fiscal, Luisa Ortega Díaz, quella manifestazione s’era sciolta, su invito dei suoi organizzatori, così come s’era svolta. Vale a dire: pacificamente. Ma, come non di rado accade in ogni latitudine, a manifestazione disciolta, alcuni gruppi avevano provocato violenti disordini, con lanci di bombe incendiarie e sassi contro la sede della Fiscalia, e con il tragico bilancio finale di tre morti (tutte – dettaglio, questo, tutt’altro che secondario –provocate colpi d’arma fuoco sparati a freddo da agenti del SEBIN, Servicio Bolivariano de Inteligencia Nacional, presenti in piazza).
Dunque: per quali reati Leopoldo López è stato rinviato a giudizio? Il documento li indica nel seguente ordine: incendio, istigazione a delinquere, danni alla pubblica proprietà, associazione a delinquere (una somma di delitti che vale 10 anni di cari carcere). E su quali fatti, par lecito chiedersi, si basano queste imputazioni? Nessuno. Nessun fatto perché – come risulta da tutte le testimonianze – López già aveva abbandonato la piazza quando i disordini sono scoppiati. Nessun fatto ed anche nessuna parola, perché, prima di abbandonare la piazza, López aveva invitato i manifestanti a tornare pacificamente a casa, annunciando una nuova manifestazione per il giorno successivo…E allora?
Semplicissima – anche se illustrata con grotteschi arzigogoli pseudo-giuridici e pseudo-scientifici – è la risposta. Come brillantemente spiegano gli autori nelle oltre 200 pagine del loro implacabile ‘j’accuse’, Leopoldo López è colpevole non per quello che ha fatto o detto, ma per quello che ha lasciato intendere in forma ‘subliminale’ nei suoi discorsi e nelle sue interviste.
La parte centrale del documento d’accusa è, infatti, quella dedicata alla ‘analisi semantica’ di quattro ‘testi’, tra discorsi ed interviste, attribuiti a López. E questa – non per caso l’unica riportata in maiuscolo – è, di gran lunga, la più incriminante tra le frasi pronunciate dal reo: ‘Tenemos que salir a conquistar la democracia’,dobbiamo scendere in piazza per conquistare la democrazia. In sostanza: dato che possiede un ‘ethos politico’capace di influenzare i suoi ascoltatori, e dato che va ribadendo il concetto della non-democraticità del governo in carica – fatto questo che ‘rompe’, secondo gli autori, l’ordine costituzionale – Leopoldo López non può che essere considerato l’istigatore d’ogni reato commesso ai margini delle manifestazioni di protesta. E questo anche nel caso che i suoi discorsi abbiano, se letteralmente interpretati, invitato a non commettere alcuna violenza. Illuminante, a tal proposito, questo passaggio del documento: ‘…occorre mettere in rilievo…che non è sufficiente annunciare che quello che si fa non è violento, se non c’è un correlato discorsivo, prosodico (sic) e nei fatti che lo dimostri…”. Insomma: López può dire quel che gli pare. Ma se parla male del governo, per noi è comunque colpevole…
State ridendo o state piangendo? Non so voi, ma io ho appena finito d’asciugarmi gli occhi. E ancora devo capire se sono lacrime di riso o di pianto…
22/4/2014
Ecco il disastro che il criminale Maduro sta causando in Venezuela
Centinaia di venezuelani vengono massacrati ad ogni manifestazione contro la dittatura venezuelana. Il passaggio da Chavez e Maduro ha come risultato esattamente quello che si temeva, consegnare il paese ad un uomo bruto come Maduro che intende difendere il suo potere a suon di fucili a pallettoni è stato il peggio che poteva succedere al Venezuela.
Ecco il disastro che il criminale Maduro sta causando in Venezuela
Centinaia di venezuelani vengono massacrati ad ogni manifestazione contro la dittatura venezuelana. Il passaggio da Chavez e Maduro ha come risultato esattamente quello che si temeva, consegnare il paese ad un uomo bruto come Maduro che intende difendere il suo potere a suon di fucili a pallettoni è stato il peggio che poteva succedere al Venezuela.
Immagini di Fidel Castro del 9 Gennaio 2014
4/12/2013
Quella gran delusione chiamata Fidel Castro
Toh, che strano: un libro che non elogia Fidel Castro. Già trovarlo è un’impresa difficile. Lo si deve ordinare dopo averlo cercato invano in mezzo a una serie di libri generosissimi con il regime comunista caraibico, scritti di e su Che Guevara, memorie agiografiche, ecc. Alla fine lo abbiamo trovato: “Fidel Castro, l’abbraccio letale” di Carlos Carralero (Greco&Greco, Milano 2013). Libro inconsueto, non solo per il suo contenuto ideologico dichiaratamente anti-castrista, che fa da contraltare a tutta l’apologetica ufficiale che circonda ancora il lider maximo, ma anche per la sua forma. Non è una biografia, né un lavoro di storia. Visto così, uno storico storcerebbe il naso, per mancanza di continuità, obiettività, imparzialità (Castro viene sfottuto ogni tre per due dall’autore) e rigore delle fonti.
Non è neppure un libro-inchiesta, anche se ci si avvicina molto. Manca, infatti, quel gran lavoro di scavo nelle testimonianze e nei documenti segreti e finora mai rivelati che caratterizza le grandi inchieste. Non è un romanzo, perché manca la trama. Cosa ha fatto Carlos Carralero? Ha semplicemente messo assieme tutto ciò che di Fidel Castro è noto e verificato, ma (per pudore, opportunismo o ideologia) non si dice mai. Il motivo di questo libro ce lo spiega lo stesso Carralero: “Avevo parlato di Castro con un mio collega e ho visto quanto fosse stupito. “Ma perché queste cose non si dicono mai?” mi aveva chiesto incredulo. Dalla mia risposta è nato questo volume”.
Il libro ripercorre le origini del personaggio Fidel, figlio di una famiglia di possidenti spagnoli, con i genitori separati e un carico di forte rancore e megalomania coltivato sin dalla tenera età. Poi si passa direttamente all’azione e alla demistificazione: come fu costruito il mito della guerriglia nella Sierra Maestra, all’origine della rivoluzione. Quando Castro ebbe la fortuna di essere l’unico leader rivoluzionario sopravvissuto, poté prendere il potere senza avere concorrenti forti. Un lungo capitolo è dedicato alle guerriglie d’esportazione e ai legami con i gruppi terroristi anti-Usa.
Scorrendo la lista dei Paesi e del loro traumatico contatto con la rivoluzione cubana, dal 1979 ad oggi, si realizza che ci sono proprio tutti: tutta l’Africa e tutta l’America Latina sono state oggetto delle attenzioni rivoluzionarie di Castro. Anche qui: nulla di nuovo, ma messe tutte assieme (e lette tutte assieme) queste informazioni rendono l’idea della portata criminale della violenza castrista. Troviamo anche aspetti meno noti del dittatore, come la sua passione per la numerologia, in particolare il numero 13 (fateci caso: tutti o quasi i grandi eventi che riguardano Castro sono avvenuti il 13 o il 26 del mese). Si parla dei suoi contatti con il narcotraffico, in un capitolo molto ampio e ricco di riferimenti.
Per non parlare dello spionaggio cubano negli Usa. Oppure la lunghissima lista di “figli” della rivoluzione divorati dal Saturno-Castro: tutti i suoi fedelissimi epurati e fucilati nel corso dei decenni. C’è l’elenco di tutte le questioni su cui Fidel attribuisce la colpa a capri espiatori esterni: all’embargo, agli Usa, ai sabotatori, ecc. E infine si tocca con mano la distanza abissale fra parole (debitamente citate, dichiarazione per dichiarazione) e fatti: quel che Castro promise e realizzò alla rovescia, sui diritti, sulla prosperità e sulla pace. Alla fine il lettore resta con una gran massa di informazioni differenti sui più disparati aspetti di Castro e del suo regime, ma con un unico leit motiv: la delusione.
Il lìder maximo è, sostanzialmente, una grande delusione: non ha coerenza, non ha neppure una vera e propria ideologia. Emerge come un anti-eroe alla ricerca del potere… e niente altro. Sono talmente tante le contraddizioni, le mistificazioni, le menzogne, le trame nascoste e le violenze mascherate da eroismo da rendere questo personaggio una reificazione del Grande Fratello (quello di Orwell, non quello della Tv), quel culto della personalità che ti fa dire “La guerra è pace, la libertà è schiavitù, l’ignoranza è forza”.
25/11/2013
Hassan Pérez Casabona in gabbia.
Hassan Pérez Casabona ex promessa del regime e dirigente del UJC detto "mitraglaitrice" per le sue doti oratorie è ormai caduto in disgrazia, è stato accusato di abuso di potere e gli è stato negato viaggiare all'estero per paura che fugga. La triste fine di un giovane "rivoluzionario" tra i più odiosi del regime castrista.
Quella gran delusione chiamata Fidel Castro
Toh, che strano: un libro che non elogia Fidel Castro. Già trovarlo è un’impresa difficile. Lo si deve ordinare dopo averlo cercato invano in mezzo a una serie di libri generosissimi con il regime comunista caraibico, scritti di e su Che Guevara, memorie agiografiche, ecc. Alla fine lo abbiamo trovato: “Fidel Castro, l’abbraccio letale” di Carlos Carralero (Greco&Greco, Milano 2013). Libro inconsueto, non solo per il suo contenuto ideologico dichiaratamente anti-castrista, che fa da contraltare a tutta l’apologetica ufficiale che circonda ancora il lider maximo, ma anche per la sua forma. Non è una biografia, né un lavoro di storia. Visto così, uno storico storcerebbe il naso, per mancanza di continuità, obiettività, imparzialità (Castro viene sfottuto ogni tre per due dall’autore) e rigore delle fonti.
Non è neppure un libro-inchiesta, anche se ci si avvicina molto. Manca, infatti, quel gran lavoro di scavo nelle testimonianze e nei documenti segreti e finora mai rivelati che caratterizza le grandi inchieste. Non è un romanzo, perché manca la trama. Cosa ha fatto Carlos Carralero? Ha semplicemente messo assieme tutto ciò che di Fidel Castro è noto e verificato, ma (per pudore, opportunismo o ideologia) non si dice mai. Il motivo di questo libro ce lo spiega lo stesso Carralero: “Avevo parlato di Castro con un mio collega e ho visto quanto fosse stupito. “Ma perché queste cose non si dicono mai?” mi aveva chiesto incredulo. Dalla mia risposta è nato questo volume”.
Il libro ripercorre le origini del personaggio Fidel, figlio di una famiglia di possidenti spagnoli, con i genitori separati e un carico di forte rancore e megalomania coltivato sin dalla tenera età. Poi si passa direttamente all’azione e alla demistificazione: come fu costruito il mito della guerriglia nella Sierra Maestra, all’origine della rivoluzione. Quando Castro ebbe la fortuna di essere l’unico leader rivoluzionario sopravvissuto, poté prendere il potere senza avere concorrenti forti. Un lungo capitolo è dedicato alle guerriglie d’esportazione e ai legami con i gruppi terroristi anti-Usa.
Scorrendo la lista dei Paesi e del loro traumatico contatto con la rivoluzione cubana, dal 1979 ad oggi, si realizza che ci sono proprio tutti: tutta l’Africa e tutta l’America Latina sono state oggetto delle attenzioni rivoluzionarie di Castro. Anche qui: nulla di nuovo, ma messe tutte assieme (e lette tutte assieme) queste informazioni rendono l’idea della portata criminale della violenza castrista. Troviamo anche aspetti meno noti del dittatore, come la sua passione per la numerologia, in particolare il numero 13 (fateci caso: tutti o quasi i grandi eventi che riguardano Castro sono avvenuti il 13 o il 26 del mese). Si parla dei suoi contatti con il narcotraffico, in un capitolo molto ampio e ricco di riferimenti.
Per non parlare dello spionaggio cubano negli Usa. Oppure la lunghissima lista di “figli” della rivoluzione divorati dal Saturno-Castro: tutti i suoi fedelissimi epurati e fucilati nel corso dei decenni. C’è l’elenco di tutte le questioni su cui Fidel attribuisce la colpa a capri espiatori esterni: all’embargo, agli Usa, ai sabotatori, ecc. E infine si tocca con mano la distanza abissale fra parole (debitamente citate, dichiarazione per dichiarazione) e fatti: quel che Castro promise e realizzò alla rovescia, sui diritti, sulla prosperità e sulla pace. Alla fine il lettore resta con una gran massa di informazioni differenti sui più disparati aspetti di Castro e del suo regime, ma con un unico leit motiv: la delusione.
Il lìder maximo è, sostanzialmente, una grande delusione: non ha coerenza, non ha neppure una vera e propria ideologia. Emerge come un anti-eroe alla ricerca del potere… e niente altro. Sono talmente tante le contraddizioni, le mistificazioni, le menzogne, le trame nascoste e le violenze mascherate da eroismo da rendere questo personaggio una reificazione del Grande Fratello (quello di Orwell, non quello della Tv), quel culto della personalità che ti fa dire “La guerra è pace, la libertà è schiavitù, l’ignoranza è forza”.
25/11/2013
Hassan Pérez Casabona in gabbia.
Hassan Pérez Casabona ex promessa del regime e dirigente del UJC detto "mitraglaitrice" per le sue doti oratorie è ormai caduto in disgrazia, è stato accusato di abuso di potere e gli è stato negato viaggiare all'estero per paura che fugga. La triste fine di un giovane "rivoluzionario" tra i più odiosi del regime castrista.
22/11/2013
Se l'assassinio di JFK aveva un mandante, era Fidel Castro
Ci sono due tesi credibili per spiegare l'assassinio di John Fitzgerald Kennedy, la prima vuole che Lee Oswald abbia agito da solo, la seconda che l'omicidio fosse un'operazione concordata con l'Avana. Dopo tutto Kennedy voleva uccidere Castro.
Se l'assassinio di JFK aveva un mandante, era Fidel Castro
Ci sono due tesi credibili per spiegare l'assassinio di John Fitzgerald Kennedy, la prima vuole che Lee Oswald abbia agito da solo, la seconda che l'omicidio fosse un'operazione concordata con l'Avana. Dopo tutto Kennedy voleva uccidere Castro.
Lee Oswald ha sparato il proiettile che ha ucciso Kennedy. Le prove fisiche dalla scena del delitto, comprese le prove balistiche, le impronte digitali e le analisi dei capelli, verificate e riverificate dagli esperti di scienza forense nel corso di cinque decenni, non lasciano alcun dubbio su chi sia stato a sparare il proiettile. Pertanto, la Commissione Warren aveva ragione sull’identità dell’assassino. Ma questa è la parte più banale del mistero. La domanda più complessa a cui dare una risposta è se Oswald abbia agito o no per conto di altri. La Commissione ha lasciato aperta questa possibilità non escludendo l’ipotesi che Oswald facesse parte di un complotto.
Un solo killer può agire per conto di un complotto, come descritto nel libro ‘Il giorno dello Sciacallo’. Prendete in considerazione, per esempio, l’assassinio che ha avuto più conseguenze nella Storia, quello dell’Arciduca Francesco Ferdinando, l’erede Asburgico al trono dell’Impero Austro-Ungarico, a Sarajevo il 28 giugno 1914. Come nel caso dell’assassinio di JFK, un giovane, Gavrilo Princip, sparò il proiettile che uccise l’Arciduca mentre era a bordo della sua Gräf & Stift Double Phaeton. Dato che la macchina deviò dal suo percorso predeterminato, nessuno poteva sapere in anticipo che l’Arciduca si sarebbe trovato in quel luogo in quel momento; inizialmente era sembrato il gesto isolato di un solo assassino. Ma, a differenza di Oswald, che venne ucciso nel quartier generale della polizia di Dallas, Princip ebbe il tempo di parlare e ammise di fare parte di un piano organizzato dai servizi serbi. Una versione dei fatti confermata da alcune comunicazioni serbe intercettate: c’erano almeno quattro sicari posizionati lungo tutti i possibili percorsi dell’Arciduca.
Il rapporto del 1967 dell’Ispettore Generale della agenzia sui vari piani della CIA per assassinare Fidel Castro, a lungo tenuto nascosto, mostra che non mancavano gli intrecci e i segreti in quegli anni. Par di leggere il resoconto del più folle dei complotti, solo che non è finzione. Fa parte della storia segreta della CIA. Non solo fu categorizzato come ‘Top Secret’, ma venne tenuto a così stretta sorveglianza all’interno della CIA stessa, che tutte le copie meno una vennero distrutte nel 1967. Persino i nastri delle macchine da scrivere su cui venne battuto vennero distrutti. L’unica copia esistente venne chiusa nella cassaforte del direttore della CIA e i suoi tre autori fecero un giuramento di segretezza. Nemmeno la Commissione Warren, che aveva un mandato presidenziale per esaminare tutte le prove sull’assassinio di Kennedy, ebbe la possibilità di prenderne visione. Venne pubblicato solo 35 anni dopo. Leggendolo, adesso sappiamo che il 22 novembre 1963 non c’era uno ma bensì due sicari in gioco con due obiettivi diversi: uno dei bersagli era John F. Kennedy, l’altro Fidel Castro.
Il complotto parallelo descritto nel rapporto dell’Ispettore generale analizza gli eventi a partire dal settembre del 1963. L’uomo incaricato della sua stesura era il dirigente CIA Desmond FitzGerald, un amico della famiglia Kennedy. Il 6 settembre 1963 diede incarico a Nestor Sanchez, uno dei suoi migliori agenti della sua unità, di reclutare Rolando Cubela, un maggiore cubano a capo dell’organizzazione giovanile di Castro, come sicario. Sanchez andò in Brasile dove Cubela si trovava come portavoce di Castro a un evento per giovani, e, in un incontro segreto, Cubela accettò la missione di uccidere Castro. Agli occhi della CIA Cubela era adatto all’incarico perché aveva accesso diretto a Castro. C’era però una controindicazione che la CIA apprese solo 29 anni dopo: Cubela stava solo fingendo slealtà verso Castro per venire a conoscenza dei piani della CIA e, in realtà, lavorava per i servizi segreti cubani come doppio agente. La CIA venne a conoscenza di questo doppio gioco nel 1992 grazie a Miguel Mir, un disertore dei servizi segreti cubani che aveva preso visione del file del 1963 su Cubela. Guardando al passato, nel 1963 Castro voleva stravolgere i piani della CIA per assassinare l’allora presidente prima che potessero essere messi in atto. Cosi, il 7 settembre 1963, il giorno in cui Cubela fece ritorno a Cuba dal Brasile, lo stesso Castro si recò sull’unico appezzamento brasiliano a Cuba, l’ambasciata, per un ricevimento a cui era presente anche la stampa internazionale. Castro si avvicinò al corrispondente dell’Associated Press e lo informò che i leader americani “stavano sostenendo piani terroristici per eliminare leader cubani.” Avvisò che se i leader americani avessero continuato, “loro stessi non sarebbero stati al sicuro”. La minaccia di un contro-attentato da parte di Castro venne riportata nelle prime pagine dei giornali di tutto il mondo.
Lee Harvey Oswald, che all’epoca viveva a New Orleans, non poteva non aver visto il titolo a tutta pagina del New Orleans Times-Picayune sulla minaccia di Castro. Un feroce sostenitore di Castro, aveva aperto a New Orleans una succursale del Fair Play for Cuba Committee, un’organizzazione dedita a contrastare la politica americana nei confronti di Cuba, ed era intervenuto in diversi programmi radiofonici a difesa di Castro. Si spinse fino a proporre a sua moglie di dirottare un aeroplano per andare all’Avana. Circa due settimane dopo la minaccia di Castro, acquistò per se stesso un biglietto di autobus per Città del Messico dove Cuba aveva un’ambasciata che ospitava la più grande postazione dei servizi segreti cubani all’estero.
La minaccia di Castro non passò inosservata nemmeno dal capo del controspionaggio CIA, il leggendario James Jesus Angleton. Angleton, che non credeva alle coincidenze, credette che il fatto che Castro avesse scelto un evento brasiliano per mandare il suo messaggio, lo stesso giorno in cui la CIA aveva reclutato un assassino in Brasile, fosse inteso come messaggio alla CIA. Angleton temeva, come poi mi ammise, che la CIA, continuando a incontrarsi con Cubela, avrebbe potuto fornire a Castro le prove del coinvolgimento delle più alte sfere del governo americano nella pianificazione dell’assassinio. In una nota a Desmond FitzGerald, definì il piano “insicuro”.
FitzGerald però aveva l’attenzione del ministro della Giustizia Robert Kennedy. Invece di terminarlo, fece analizzare i rischi che comportava portare avanti il piano segreto alla luce della minaccia di Castro da una commissione speciale, che includeva anche un rappresentante del dipartimento di Giustizia presieduto da Robert Kennedy. Il punto principale: i servizi segreti di Castro erano capaci di perpetrare la sua minaccia nei confronti dei leader americani e, se lo fossero stati, fino a che punto? Il rapporto dell’Ispettore generale nota che il comitato si radunò alle 1430 del 12 settembre 1963 al dipartimento di Stato e concluse che “seppure ci fosse una forte probabilità che Castro reagito in qualche maniera,” la sua reazione sarebbe diretta probabilmente verso leader americani “di livello minore”. In altre parole, il comitato dubitava che Castro avesse la capacità di colpire alti esponenti del governo americano. FitzGerald pertanto ignorò le preoccupazioni di Angleton e continuò a congiurare con Cubela.
Oswald giunse all’ambasciata cubana a Città del Messico il 27 settembre 1963 e s’incontrò con l’ufficiale consolare Sylvia Duran. Duran scrisse nel suo rapporto che Oswald si definì “un amico della rivoluzione cubana” e disse che era “un membro del Partito Comunista americano e segretario a New Orleans del Fair Play for Cuba Committee”. Si recò altre quattro volte all’ambasciata, alcuni di questi suoi spostamenti vennero monitorati dalla CIA, e s’incontrò con Duran anche al di fuori dell’ambasciata –e al di la delle capacità di monitoraggio della CIA. Il primo ottobre, Oswald lasciò il Messico su un autobus per Dallas.
A Parigi, il 3 ottobre 1963, Cubela disse all’agente CIA Sanchez che sarebbe andato avanti con il piano per assassinare Castro se avesse ricevuto un ‘segnale’ dal ministro della Giustizia Kennedy che l’Amministrazione Kennedy avrebbe sostenuto i suoi sforzi proattivamente. “Cubela era insistente nel voler incontrare un alto dirigente USA, preferibilmente Robert F. Kennedy, per avere delle rassicurazioni”, Sanchez raccontò al quartier generale della CIA. In altre parole, Cubela voleva prove che Robert Kennedy era a favore del piano per assassinare Castro.
FitzGerald accettò la sfida non solo incontrando Cubela in persona ma anche identificandosi come “rappresentante personale” di Robert Kennedy. Aveva calcolato che il rischio di compromettere il ministro della Giustizia era minore del beneficio potenziale derivante dall’assassinio di Castro. Il piano per quell’incontro afferma: FitzGerald si presenterà come rappresentante personale di Robert F. Kennedy…fornendogli rassicurazioni di pieno appoggio alla luce del cambio dell’attuale governo”. Dato che Cubela, come ora sappiamo, riferiva all’intelligence cubana, FitzGerald, dando forma agli incubi di Angleton, stava fornendo Castro con la prova che Robert Kennedy era coinvolto nel complotto contro di lui.
In un incontro avvenuto a metà ottobre, FitzGerald rassicurò Cubela che una volta portato a termine con successo il colpo di stato e rimosso Castro, l’Amministrazione Kennedy sarebbe stata pronta a fornire aiuti e supporto al nuovo governo. Cubela chiese la consegna di armi specifiche –un fucile con mirino telescopico capace di uccidere Castro da lontano.
All’Avana il 15 ottobre, venne approvato il visto di Oswald. Dopo l’assassinio, Castro disse che Oswald si era comportato come un pazzo durante le sue visite all’ambasciata, ma che ciò non ha impedito al ministero degli Esteri cubano di approvare la sua domanda, subordinata alla condizione che ottenesse un visto sovietico (cosa che Oswald non ebbe alcuna difficoltà ad ottenere).
FitzGerald diede un altro ‘segnale’ a Cubela. Scrisse una parte del discorso che il presidente Kennedy diede alla Inter-American Press Association il 18 novembre, in cui descrive il governo di Castro come “una piccola banda di cospiratori” che, “una volta rimossa”, avrebbe assicurato l’appoggio degli Stati Uniti al nuovo governo cubano. Siccome FitzGerald aveva rivelato a Cubela le parole del presidente in anticipo, Cubela ora sapeva che FitzGerald aveva accesso a JFK. Se lo ha riferito all’Avana, allora anche Castro ne era a conoscenza.
Quel novembre a Dallas, Oswald risiedeva in una pensione sotto falso nome. Si era anche fatto assumere al Texas Book Depository. Era uno dei palazzi alti davanti a cui sarebbe transitato il corteo di macchine del presidente Kennedy.
Il 22 novembre 1963, a Parigi, Sanchez consegnò a Cubela l’arma dell’assassinio. Cubela reagì con rabbia perché’ non si trattava del fucile con mirino telescopico promesso. Ma invece di una penna biro progettata dalla CIA che avrebbe rilasciato un veleno letale. L’incontro di Parigi venne interrotto da notizie urgenti da Dallas: il presidente americano era stato assassinato a Dallas. Il piano della CIA per assassinare Castro venne bloccato e Cubela fece ritorno a Cuba.
Se la Commissione Warren fosse stata informata di questo piano parallelo, avrebbe forse preso in considerazione il ruolo svolto dall’intelligence cubana. Il piano parallelo forniva un motivo. Oswald, un ex-Marine che aveva già tentato di assassinare il Generale Edwin Walker quell’aprile, e che era in possesso di un fucile, di un passaporto americano, e aveva espresso la sua volontà di uccidere “qualsiasi americano”, (come scrisse in una lettera intercettata indirizzata al fratello), forniva i mezzi. Il disperato tentativo di Oswald di ottenere un visto cubano forniva l’occasione. Ecco che l’intelligence cubana aveva quindi un motivo, i mezzi e l’occasione. Agì per incoraggiare Oswald a portare avanti la minaccia di Castro?
Un solo killer può agire per conto di un complotto, come descritto nel libro ‘Il giorno dello Sciacallo’. Prendete in considerazione, per esempio, l’assassinio che ha avuto più conseguenze nella Storia, quello dell’Arciduca Francesco Ferdinando, l’erede Asburgico al trono dell’Impero Austro-Ungarico, a Sarajevo il 28 giugno 1914. Come nel caso dell’assassinio di JFK, un giovane, Gavrilo Princip, sparò il proiettile che uccise l’Arciduca mentre era a bordo della sua Gräf & Stift Double Phaeton. Dato che la macchina deviò dal suo percorso predeterminato, nessuno poteva sapere in anticipo che l’Arciduca si sarebbe trovato in quel luogo in quel momento; inizialmente era sembrato il gesto isolato di un solo assassino. Ma, a differenza di Oswald, che venne ucciso nel quartier generale della polizia di Dallas, Princip ebbe il tempo di parlare e ammise di fare parte di un piano organizzato dai servizi serbi. Una versione dei fatti confermata da alcune comunicazioni serbe intercettate: c’erano almeno quattro sicari posizionati lungo tutti i possibili percorsi dell’Arciduca.
Il rapporto del 1967 dell’Ispettore Generale della agenzia sui vari piani della CIA per assassinare Fidel Castro, a lungo tenuto nascosto, mostra che non mancavano gli intrecci e i segreti in quegli anni. Par di leggere il resoconto del più folle dei complotti, solo che non è finzione. Fa parte della storia segreta della CIA. Non solo fu categorizzato come ‘Top Secret’, ma venne tenuto a così stretta sorveglianza all’interno della CIA stessa, che tutte le copie meno una vennero distrutte nel 1967. Persino i nastri delle macchine da scrivere su cui venne battuto vennero distrutti. L’unica copia esistente venne chiusa nella cassaforte del direttore della CIA e i suoi tre autori fecero un giuramento di segretezza. Nemmeno la Commissione Warren, che aveva un mandato presidenziale per esaminare tutte le prove sull’assassinio di Kennedy, ebbe la possibilità di prenderne visione. Venne pubblicato solo 35 anni dopo. Leggendolo, adesso sappiamo che il 22 novembre 1963 non c’era uno ma bensì due sicari in gioco con due obiettivi diversi: uno dei bersagli era John F. Kennedy, l’altro Fidel Castro.
Il complotto parallelo descritto nel rapporto dell’Ispettore generale analizza gli eventi a partire dal settembre del 1963. L’uomo incaricato della sua stesura era il dirigente CIA Desmond FitzGerald, un amico della famiglia Kennedy. Il 6 settembre 1963 diede incarico a Nestor Sanchez, uno dei suoi migliori agenti della sua unità, di reclutare Rolando Cubela, un maggiore cubano a capo dell’organizzazione giovanile di Castro, come sicario. Sanchez andò in Brasile dove Cubela si trovava come portavoce di Castro a un evento per giovani, e, in un incontro segreto, Cubela accettò la missione di uccidere Castro. Agli occhi della CIA Cubela era adatto all’incarico perché aveva accesso diretto a Castro. C’era però una controindicazione che la CIA apprese solo 29 anni dopo: Cubela stava solo fingendo slealtà verso Castro per venire a conoscenza dei piani della CIA e, in realtà, lavorava per i servizi segreti cubani come doppio agente. La CIA venne a conoscenza di questo doppio gioco nel 1992 grazie a Miguel Mir, un disertore dei servizi segreti cubani che aveva preso visione del file del 1963 su Cubela. Guardando al passato, nel 1963 Castro voleva stravolgere i piani della CIA per assassinare l’allora presidente prima che potessero essere messi in atto. Cosi, il 7 settembre 1963, il giorno in cui Cubela fece ritorno a Cuba dal Brasile, lo stesso Castro si recò sull’unico appezzamento brasiliano a Cuba, l’ambasciata, per un ricevimento a cui era presente anche la stampa internazionale. Castro si avvicinò al corrispondente dell’Associated Press e lo informò che i leader americani “stavano sostenendo piani terroristici per eliminare leader cubani.” Avvisò che se i leader americani avessero continuato, “loro stessi non sarebbero stati al sicuro”. La minaccia di un contro-attentato da parte di Castro venne riportata nelle prime pagine dei giornali di tutto il mondo.
Lee Harvey Oswald, che all’epoca viveva a New Orleans, non poteva non aver visto il titolo a tutta pagina del New Orleans Times-Picayune sulla minaccia di Castro. Un feroce sostenitore di Castro, aveva aperto a New Orleans una succursale del Fair Play for Cuba Committee, un’organizzazione dedita a contrastare la politica americana nei confronti di Cuba, ed era intervenuto in diversi programmi radiofonici a difesa di Castro. Si spinse fino a proporre a sua moglie di dirottare un aeroplano per andare all’Avana. Circa due settimane dopo la minaccia di Castro, acquistò per se stesso un biglietto di autobus per Città del Messico dove Cuba aveva un’ambasciata che ospitava la più grande postazione dei servizi segreti cubani all’estero.
La minaccia di Castro non passò inosservata nemmeno dal capo del controspionaggio CIA, il leggendario James Jesus Angleton. Angleton, che non credeva alle coincidenze, credette che il fatto che Castro avesse scelto un evento brasiliano per mandare il suo messaggio, lo stesso giorno in cui la CIA aveva reclutato un assassino in Brasile, fosse inteso come messaggio alla CIA. Angleton temeva, come poi mi ammise, che la CIA, continuando a incontrarsi con Cubela, avrebbe potuto fornire a Castro le prove del coinvolgimento delle più alte sfere del governo americano nella pianificazione dell’assassinio. In una nota a Desmond FitzGerald, definì il piano “insicuro”.
FitzGerald però aveva l’attenzione del ministro della Giustizia Robert Kennedy. Invece di terminarlo, fece analizzare i rischi che comportava portare avanti il piano segreto alla luce della minaccia di Castro da una commissione speciale, che includeva anche un rappresentante del dipartimento di Giustizia presieduto da Robert Kennedy. Il punto principale: i servizi segreti di Castro erano capaci di perpetrare la sua minaccia nei confronti dei leader americani e, se lo fossero stati, fino a che punto? Il rapporto dell’Ispettore generale nota che il comitato si radunò alle 1430 del 12 settembre 1963 al dipartimento di Stato e concluse che “seppure ci fosse una forte probabilità che Castro reagito in qualche maniera,” la sua reazione sarebbe diretta probabilmente verso leader americani “di livello minore”. In altre parole, il comitato dubitava che Castro avesse la capacità di colpire alti esponenti del governo americano. FitzGerald pertanto ignorò le preoccupazioni di Angleton e continuò a congiurare con Cubela.
Oswald giunse all’ambasciata cubana a Città del Messico il 27 settembre 1963 e s’incontrò con l’ufficiale consolare Sylvia Duran. Duran scrisse nel suo rapporto che Oswald si definì “un amico della rivoluzione cubana” e disse che era “un membro del Partito Comunista americano e segretario a New Orleans del Fair Play for Cuba Committee”. Si recò altre quattro volte all’ambasciata, alcuni di questi suoi spostamenti vennero monitorati dalla CIA, e s’incontrò con Duran anche al di fuori dell’ambasciata –e al di la delle capacità di monitoraggio della CIA. Il primo ottobre, Oswald lasciò il Messico su un autobus per Dallas.
A Parigi, il 3 ottobre 1963, Cubela disse all’agente CIA Sanchez che sarebbe andato avanti con il piano per assassinare Castro se avesse ricevuto un ‘segnale’ dal ministro della Giustizia Kennedy che l’Amministrazione Kennedy avrebbe sostenuto i suoi sforzi proattivamente. “Cubela era insistente nel voler incontrare un alto dirigente USA, preferibilmente Robert F. Kennedy, per avere delle rassicurazioni”, Sanchez raccontò al quartier generale della CIA. In altre parole, Cubela voleva prove che Robert Kennedy era a favore del piano per assassinare Castro.
FitzGerald accettò la sfida non solo incontrando Cubela in persona ma anche identificandosi come “rappresentante personale” di Robert Kennedy. Aveva calcolato che il rischio di compromettere il ministro della Giustizia era minore del beneficio potenziale derivante dall’assassinio di Castro. Il piano per quell’incontro afferma: FitzGerald si presenterà come rappresentante personale di Robert F. Kennedy…fornendogli rassicurazioni di pieno appoggio alla luce del cambio dell’attuale governo”. Dato che Cubela, come ora sappiamo, riferiva all’intelligence cubana, FitzGerald, dando forma agli incubi di Angleton, stava fornendo Castro con la prova che Robert Kennedy era coinvolto nel complotto contro di lui.
In un incontro avvenuto a metà ottobre, FitzGerald rassicurò Cubela che una volta portato a termine con successo il colpo di stato e rimosso Castro, l’Amministrazione Kennedy sarebbe stata pronta a fornire aiuti e supporto al nuovo governo. Cubela chiese la consegna di armi specifiche –un fucile con mirino telescopico capace di uccidere Castro da lontano.
All’Avana il 15 ottobre, venne approvato il visto di Oswald. Dopo l’assassinio, Castro disse che Oswald si era comportato come un pazzo durante le sue visite all’ambasciata, ma che ciò non ha impedito al ministero degli Esteri cubano di approvare la sua domanda, subordinata alla condizione che ottenesse un visto sovietico (cosa che Oswald non ebbe alcuna difficoltà ad ottenere).
FitzGerald diede un altro ‘segnale’ a Cubela. Scrisse una parte del discorso che il presidente Kennedy diede alla Inter-American Press Association il 18 novembre, in cui descrive il governo di Castro come “una piccola banda di cospiratori” che, “una volta rimossa”, avrebbe assicurato l’appoggio degli Stati Uniti al nuovo governo cubano. Siccome FitzGerald aveva rivelato a Cubela le parole del presidente in anticipo, Cubela ora sapeva che FitzGerald aveva accesso a JFK. Se lo ha riferito all’Avana, allora anche Castro ne era a conoscenza.
Quel novembre a Dallas, Oswald risiedeva in una pensione sotto falso nome. Si era anche fatto assumere al Texas Book Depository. Era uno dei palazzi alti davanti a cui sarebbe transitato il corteo di macchine del presidente Kennedy.
Il 22 novembre 1963, a Parigi, Sanchez consegnò a Cubela l’arma dell’assassinio. Cubela reagì con rabbia perché’ non si trattava del fucile con mirino telescopico promesso. Ma invece di una penna biro progettata dalla CIA che avrebbe rilasciato un veleno letale. L’incontro di Parigi venne interrotto da notizie urgenti da Dallas: il presidente americano era stato assassinato a Dallas. Il piano della CIA per assassinare Castro venne bloccato e Cubela fece ritorno a Cuba.
Se la Commissione Warren fosse stata informata di questo piano parallelo, avrebbe forse preso in considerazione il ruolo svolto dall’intelligence cubana. Il piano parallelo forniva un motivo. Oswald, un ex-Marine che aveva già tentato di assassinare il Generale Edwin Walker quell’aprile, e che era in possesso di un fucile, di un passaporto americano, e aveva espresso la sua volontà di uccidere “qualsiasi americano”, (come scrisse in una lettera intercettata indirizzata al fratello), forniva i mezzi. Il disperato tentativo di Oswald di ottenere un visto cubano forniva l’occasione. Ecco che l’intelligence cubana aveva quindi un motivo, i mezzi e l’occasione. Agì per incoraggiare Oswald a portare avanti la minaccia di Castro?
7/7/2013
Cuba: Raul Castro rimuove Alarcon da politburo, era fedelissimo Fidel
Il presidente dell'Assemblea Nazionale Ricardo Alarcon, una delle figure di spicco del regime cubano, e' stato rimosso dal politburo del Comitato Centrale del Partito Comunista. La decisione, secondo quanto scrivono i media locali, e' stata presa direttamente dal presidente Raul Castro. Insieme ad Alarcon sono stati rimossi dalla leadership politica del regime anche Jose' Miguel Miyar Barrueco, ex segretario di Fidel Castro per oltre 20 anni e gia' ministro della Scienza fino a marzo del 2012, Misael Enamorado Dager, ex membro della Segreteria del Comitato Centrale, Orlando Lugo Fonte, presidente dell'Associazione Nazionale dei Piccoli Agricoltori e, infine, Liudmila A'lamo Duenas, ex primo segretario della Gioventu' Comunista. ''Da quella porta (quella del governo, ndr) si entra e si esce, senza costituire alcun demerito'', ha dichiarato Raul Castro annunciando il cambio ai vertici del partito. rba/mau/rob
Cuba: Raul Castro rimuove Alarcon da politburo, era fedelissimo Fidel
Il presidente dell'Assemblea Nazionale Ricardo Alarcon, una delle figure di spicco del regime cubano, e' stato rimosso dal politburo del Comitato Centrale del Partito Comunista. La decisione, secondo quanto scrivono i media locali, e' stata presa direttamente dal presidente Raul Castro. Insieme ad Alarcon sono stati rimossi dalla leadership politica del regime anche Jose' Miguel Miyar Barrueco, ex segretario di Fidel Castro per oltre 20 anni e gia' ministro della Scienza fino a marzo del 2012, Misael Enamorado Dager, ex membro della Segreteria del Comitato Centrale, Orlando Lugo Fonte, presidente dell'Associazione Nazionale dei Piccoli Agricoltori e, infine, Liudmila A'lamo Duenas, ex primo segretario della Gioventu' Comunista. ''Da quella porta (quella del governo, ndr) si entra e si esce, senza costituire alcun demerito'', ha dichiarato Raul Castro annunciando il cambio ai vertici del partito. rba/mau/rob
8/3/2013
5/3/2013
ore 19.00 ora Italiana
Giungono dal Venezuela via Twitter in questo momento notizie secondo le quali il presidente della Repubblica Bolivariana del Venezuela Hugo Rafael Chávez Frías potrebbe essere deceduto.
ore 19.00 ora Italiana
Giungono dal Venezuela via Twitter in questo momento notizie secondo le quali il presidente della Repubblica Bolivariana del Venezuela Hugo Rafael Chávez Frías potrebbe essere deceduto.
28/2/2013
Chavez in morte cerebrale
Chavez in morte cerebrale
24/2/2013
Fidel riappare in parlamento
23/2/2012
Ritorno alla madre Russia prima della morte del presidente venezuelano
La cessione di otto aerei, la cancellazione parziale del debito. La visita di Dmitri Medvedev a l’Avana rinsalda i rapporti tra due ex-alleati della Guerra fredda. Il primo ministro russo – che ha incontrato il Presidente cubano Raul Castro – conclude una serie di accordi che riavvicinano Russia e Cuba.
La Russia cede a Cuba aerei a medio e lungo raggio, e cancella parte del debito da 30 miliardi di dollari, l’equivalente di quasi 23 miliardi di euro, offrendo un piano di rifinanziamento decennale per il resto. L’accordo sarà firmato alla fine dell’anno.
La visita di tre giorni di Medvedev, che rientra domani, porta alla firma di accordi in campo commerciale ed energetico. Di particolare importanza lo sfruttamento del petrolio, che vede i russi già impegnati al largo della costa nord-orientale di Cuba.
Dopo anni di distanza seguiti al crollo del blocco sovietico, nel 2005 la Russia e Cuba hanno rilanciato le relazioni bilaterali. Il volume degli scambi tra i due Paesi supera i duecento milioni di dollari, l’equivalente di oltre 150 milioni di euro.
Ritorno alla madre Russia prima della morte del presidente venezuelano
La cessione di otto aerei, la cancellazione parziale del debito. La visita di Dmitri Medvedev a l’Avana rinsalda i rapporti tra due ex-alleati della Guerra fredda. Il primo ministro russo – che ha incontrato il Presidente cubano Raul Castro – conclude una serie di accordi che riavvicinano Russia e Cuba.
La Russia cede a Cuba aerei a medio e lungo raggio, e cancella parte del debito da 30 miliardi di dollari, l’equivalente di quasi 23 miliardi di euro, offrendo un piano di rifinanziamento decennale per il resto. L’accordo sarà firmato alla fine dell’anno.
La visita di tre giorni di Medvedev, che rientra domani, porta alla firma di accordi in campo commerciale ed energetico. Di particolare importanza lo sfruttamento del petrolio, che vede i russi già impegnati al largo della costa nord-orientale di Cuba.
Dopo anni di distanza seguiti al crollo del blocco sovietico, nel 2005 la Russia e Cuba hanno rilanciato le relazioni bilaterali. Il volume degli scambi tra i due Paesi supera i duecento milioni di dollari, l’equivalente di oltre 150 milioni di euro.
19/2/2013
Partido opositor brasileño denuncia maniobras para boicotear la visita de Yoani Sánchez
Habrían sido preparadas por la embajada cubana y estarían involucrados funcionarios del gobierno de Dilma Rousseff.
El principal partido opositor brasileño denunció una campaña contra la bloguera cubana Yoani Sánchez, que este lunes inicia una visita a Brasil, en la que estarían involucrados un funcionario del Gobierno de la presidenta Dilma Rousseff y la embajada de La Habana, informa la agencia ANSA.
Alvaro Dias, jefe del bloque de senadores del Partido de la Socialdemocracia Brasileña (PSDB), pidió una investigación sobre Ricardo Poppi Martins, funcionario de la Secretaría General de la Presidencia, al que acusó de haber participado en una reunión en la Embajada de Cuba, donde —dijo— se habría orquestado una campaña para sabotear la visita de Sánchez.
A esa reunión, que según la revista Veja se realizó el 6 de febrero, organizada por el embajador cubano, Carlos Zamora Rodríguez, asistieron también activistas de izquierda.
La publicación señaló que en ese encuentro en embajador distribuyó un dossier contra la bloguera para que sea difundido a través de las redes sociales y afirmó que los pasos de Sánchez serían monitoreados en cuanto llegase a Brasil.
La Secretaría General de la Presidencia brasileña dijo este sábado que Poppi Martins estaba en la embajada cubana el 6 de febrero para obtener un visado.
El funcionario fue invitado a participar en un taller internacional sobre redes sociales y medios alternativos, celebrado en La Habana del 11 al 13 de febrero. Aún no ha vuelto a Brasil.
La Secretaría dijo que no autorizó a ningún funcionario a tratar el viaje de Yoani Sánchez y que no fue informada de la reunión en la embajada. Añadió que la supuesta participación de Poppi Martins será "debidamente comprobada" a su regreso.
"Asociación criminal"
Está en curso una "asociación criminal de la embajada de Cuba con segmentos de la política brasileña, algo que afrenta nuestra soberanía y la libertad en nuestro país, es algo que no podemos ignorar y se debe actuar", dijo el congresista Dias.
Sánchez llegó en la madrugada de este lunes a la ciudad de Recife y fue recibida en el aeropuerto por varios amigos, entre ellos el cineasta Dado Galvao, su anfitrión en Brasil.
La bloguera asistirá a la proyección del documental Conexión Cuba-Honduras, de Galvao, y participará en debates. Luego viajará a Sao Paulo.
El senador socialdemócrata Dias anticipó que presentará en la Comisión de Relaciones Exteriores de la Cámara Alta un requerimiento para que se investigue la supuesta conspiración contra Sánchez.
Señaló que la conducta del embajador cubano viola la Convención de Viena.
"La Convención de Viena requiere que los diplomáticos no pueden entrometerse en los asuntos de política interna de otro país. A pesar de ser cubana, ella (Yoani) estará en Brasil y aquí hay total libertad. A diferencia de lo que ocurre en Cuba, aquí hay libertad de expresión, de prensa y no se admite este tipo de vergüenza, sobre todo impulsada desde el exterior", dijo Dias, según citó O Globo.
Partido opositor brasileño denuncia maniobras para boicotear la visita de Yoani Sánchez
Habrían sido preparadas por la embajada cubana y estarían involucrados funcionarios del gobierno de Dilma Rousseff.
El principal partido opositor brasileño denunció una campaña contra la bloguera cubana Yoani Sánchez, que este lunes inicia una visita a Brasil, en la que estarían involucrados un funcionario del Gobierno de la presidenta Dilma Rousseff y la embajada de La Habana, informa la agencia ANSA.
Alvaro Dias, jefe del bloque de senadores del Partido de la Socialdemocracia Brasileña (PSDB), pidió una investigación sobre Ricardo Poppi Martins, funcionario de la Secretaría General de la Presidencia, al que acusó de haber participado en una reunión en la Embajada de Cuba, donde —dijo— se habría orquestado una campaña para sabotear la visita de Sánchez.
A esa reunión, que según la revista Veja se realizó el 6 de febrero, organizada por el embajador cubano, Carlos Zamora Rodríguez, asistieron también activistas de izquierda.
La publicación señaló que en ese encuentro en embajador distribuyó un dossier contra la bloguera para que sea difundido a través de las redes sociales y afirmó que los pasos de Sánchez serían monitoreados en cuanto llegase a Brasil.
La Secretaría General de la Presidencia brasileña dijo este sábado que Poppi Martins estaba en la embajada cubana el 6 de febrero para obtener un visado.
El funcionario fue invitado a participar en un taller internacional sobre redes sociales y medios alternativos, celebrado en La Habana del 11 al 13 de febrero. Aún no ha vuelto a Brasil.
La Secretaría dijo que no autorizó a ningún funcionario a tratar el viaje de Yoani Sánchez y que no fue informada de la reunión en la embajada. Añadió que la supuesta participación de Poppi Martins será "debidamente comprobada" a su regreso.
"Asociación criminal"
Está en curso una "asociación criminal de la embajada de Cuba con segmentos de la política brasileña, algo que afrenta nuestra soberanía y la libertad en nuestro país, es algo que no podemos ignorar y se debe actuar", dijo el congresista Dias.
Sánchez llegó en la madrugada de este lunes a la ciudad de Recife y fue recibida en el aeropuerto por varios amigos, entre ellos el cineasta Dado Galvao, su anfitrión en Brasil.
La bloguera asistirá a la proyección del documental Conexión Cuba-Honduras, de Galvao, y participará en debates. Luego viajará a Sao Paulo.
El senador socialdemócrata Dias anticipó que presentará en la Comisión de Relaciones Exteriores de la Cámara Alta un requerimiento para que se investigue la supuesta conspiración contra Sánchez.
Señaló que la conducta del embajador cubano viola la Convención de Viena.
"La Convención de Viena requiere que los diplomáticos no pueden entrometerse en los asuntos de política interna de otro país. A pesar de ser cubana, ella (Yoani) estará en Brasil y aquí hay total libertad. A diferencia de lo que ocurre en Cuba, aquí hay libertad de expresión, de prensa y no se admite este tipo de vergüenza, sobre todo impulsada desde el exterior", dijo Dias, según citó O Globo.
18/2/2013
YOANI SÁNCHEZ È IN BRASILE.
Yoani Sánchez è arrivata in Brasile, prima tappa del suo giro del mondo in 80 giorni. Erano le 00.30, ora locale, quando Yoani è scesa da un volo proveniente da Panama all’aeroporto internazionale di Guararapes (Recife), dove era attesa da alcuni amici, tra i quali il cineasta Dado Galvao, anfitrione brasiliano. La blogger ha salutato i giornalisti e ha promesso di rilasciare prima possibile alcune dichiarazioni alla stampa. In serata Yoani Sánchez assisterà alla proiezione del documentario “Conexión Cuba-Honduras”, prodotto da Galvao, del quale è protagonista. La proiezione avrà luogo a Feira de Santana, stato di Bahía. Sánchez andrà in aereo fino a Salvador, capitale di Bahía, e da lì proseguirà in auto fino a Feira de Santana, città di 557,000 abitanti, situata a 116 chilometri dal centro principale. La blogger è attesa da molti impegni brasiliani, incluso la sua partecipazione a conferenze e dibattiti sulla libertà di espressione. Yoani ha detto che desidera molto conoscere i brasiliani e il loro stile di vita. Martedì Yoani concedarà una conferenza stampa a Feira de Santana, firmerà copie del suo libro “De Cuba con cariño” e parteciperà a un dibattito sui diritti umani. Mercoledì sarà giornata turistica dedicata alla visita di Salvador de Bahía, quindi partirà per San Paolo, dove si fermerà fino a sabato. Il giro del mondo di Yoani proseguirà in Messico, Perù, Stati Uniti, Repubblica Ceca, Germania, Svezia, Svizzera, Italia e Spagna, dove tra gli altri eventi prenderà parte a un congresso su Internet che avrà luogo a Burgos dal 6 al 8 marzo.
“Farò conferenze in alcune università, come Colombia o New York, visiterò la sede di Google e di Twetter. Sarà un po’ come fare il giro del mondo in 80 giorni, ma non voglio stare più a lungo fuori dal mio paese, non mi piace separarmi dalla mia famiglia, ho molte cose da fare a Cuba e desidero tornare presto. Non ho nessuna paura per il ritorno, alcuni amici temono che non mi lasceranno rientrare, ma non lo credo possibile, perchè sarebbe un comportamento oltremodo illegale… se mi impedissero di rientrare nel mio paese mi trasformerebbero in una profuga, non credo che lo faranno”, ha detto Yoani.
YOANI SÁNCHEZ È IN BRASILE.
Yoani Sánchez è arrivata in Brasile, prima tappa del suo giro del mondo in 80 giorni. Erano le 00.30, ora locale, quando Yoani è scesa da un volo proveniente da Panama all’aeroporto internazionale di Guararapes (Recife), dove era attesa da alcuni amici, tra i quali il cineasta Dado Galvao, anfitrione brasiliano. La blogger ha salutato i giornalisti e ha promesso di rilasciare prima possibile alcune dichiarazioni alla stampa. In serata Yoani Sánchez assisterà alla proiezione del documentario “Conexión Cuba-Honduras”, prodotto da Galvao, del quale è protagonista. La proiezione avrà luogo a Feira de Santana, stato di Bahía. Sánchez andrà in aereo fino a Salvador, capitale di Bahía, e da lì proseguirà in auto fino a Feira de Santana, città di 557,000 abitanti, situata a 116 chilometri dal centro principale. La blogger è attesa da molti impegni brasiliani, incluso la sua partecipazione a conferenze e dibattiti sulla libertà di espressione. Yoani ha detto che desidera molto conoscere i brasiliani e il loro stile di vita. Martedì Yoani concedarà una conferenza stampa a Feira de Santana, firmerà copie del suo libro “De Cuba con cariño” e parteciperà a un dibattito sui diritti umani. Mercoledì sarà giornata turistica dedicata alla visita di Salvador de Bahía, quindi partirà per San Paolo, dove si fermerà fino a sabato. Il giro del mondo di Yoani proseguirà in Messico, Perù, Stati Uniti, Repubblica Ceca, Germania, Svezia, Svizzera, Italia e Spagna, dove tra gli altri eventi prenderà parte a un congresso su Internet che avrà luogo a Burgos dal 6 al 8 marzo.
“Farò conferenze in alcune università, come Colombia o New York, visiterò la sede di Google e di Twetter. Sarà un po’ come fare il giro del mondo in 80 giorni, ma non voglio stare più a lungo fuori dal mio paese, non mi piace separarmi dalla mia famiglia, ho molte cose da fare a Cuba e desidero tornare presto. Non ho nessuna paura per il ritorno, alcuni amici temono che non mi lasceranno rientrare, ma non lo credo possibile, perchè sarebbe un comportamento oltremodo illegale… se mi impedissero di rientrare nel mio paese mi trasformerebbero in una profuga, non credo che lo faranno”, ha detto Yoani.
17/2/2013
Il giro del mondo di Yoani Sanchez:
"Racconterò i diritti negati a Cuba"Primo visto per la blogger dissidente, che inizia il suo tour. Il viaggio grazie alle riforme di Raùl Castro. Tappe in Brasile e Stati Uniti, poi l'Italia ad aprile
Yoani Sanchez, la blogger dissidente più famosa di Cuba prepara le valigie. Ma non per andare in esilio. Per la prima volta, grazie alla riforma migratoria approvata a gennaio dal governo di Raùl Castro, molti esponenti dell'opposizione interna potranno uscire liberamente dall'isola e farci ritorno, al contrario di tutti coloro che negli ultimi cinquant'anni sono stati espulsi come traditori della Rivoluzione castrista ed hanno perso perfino la cittadinanza. L'altra notte è toccato a Rosa Maria Payà, la figlia del leader cattolico Osvaldo Payà morto l'anno scorso in un incidente d'auto, che è partita per un viaggio in Spagna e Svizzera. Presto sarà la volta di Berta Soler, la portavoce delle "Damas de blanco", il movimento delle mogli dei prigionieri politici, che ha già ricevuto il suo passaporto. Mentre stasera raggiungerà l'aeroporto dell'Avana Yoani Sanchez per iniziare un lungo tour che nelle sue intenzioni durerà esattamente 80 giorni e toccherà almeno dodici Paesi.
Negli ultimi anni la Sanchez, filologa e giornalista nata all'Avana il 4 settembre del 1975, è diventata la più internazionale e mediatica rappresentante dell'opposizione cubana prima grazie ad un blog, Generacion Y, e poi ai suoi articoli sulla vita quotidiana nell'isola pubblicati dalla stampa di tutto il mondo. Nominata nel marzo del 2012 corrispondente dall'isola dal quotidiano spagnolo El Paìs, Yoani Sanchez era diventata, a partire dal 2007, anche un simbolo della persecuzione del regime che le ha negato "per dodici o tredici volte" il permesso di uscire dal Paese.
La prima tappa del viaggio è in Brasile, a Recife, dove arriverà nelle prime ore del mattino di domani. In una intervista al quotidiano La Folha, la blogger cubana ha detto di aver scelto il Brasile come prima tappa "perché lì ci sono molte persone che hanno lottato per farmi avere il passaporto". Prima fra tutti la "presidenta" Dilma Rousseff che l'anno scorso in occasione di una visita ufficiale all'Avana intervenne personalmente a favore della Sanchez presso Raùl Castro. L'itinerario di Yoani Sanchez proseguirà verso il Messico, il Canada e gli Usa prima di attraversare l'Oceano e raggiungere l'Europa.
A Puebla, in Messico, parteciperà all'assemblea annuale della Sip, l'associazione americana della stampa. Ma la tappa più succosa del suo viaggio sarà sicuramente New York (15 marzo) dove, oltre ad un incontro con gli studenti della New York University, sono previste visite alla sede del New York Times e alla Columbia. Negli Stati Uniti, dove è già prevista un'altra tappa a Washington (e forse una a Miami per incontrare sua sorella), Yoani Sanchez vorrebbe anche visitare le sedi dei social network che l'hanno resa famosa, Twitter e Facebook, conoscere i responsabili di Google e probabilmente visitare la sede di Time, il settimanale che l'ha nominata tra le 100 personalità più influenti al mondo.
La parte europea di questo giro del mondo in 80 giorni inizierà a fine marzo ad Amsterdam in Olanda. Poi la Germania, la Spagna, l'Italia (20 aprile), Repubblica ceca e Polonia.
Prima di lasciare l'Avana la Sanchez ha dichiarato di provare una "sensazione agrodolce" e una "certa tristezza" rispetto alla sua partenza: "Che qualcuno abbia un passaporto e possa viaggiare dove vuole - ha detto - non dovrebbe essere una notizia. Secondo me questo conferma l'irregolarità della situazione cubana". E ha concluso: "Approfitterò del viaggio per raccontare tutti i diritti che sull'isola ci vengono negati".
Negli ultimi anni la Sanchez, filologa e giornalista nata all'Avana il 4 settembre del 1975, è diventata la più internazionale e mediatica rappresentante dell'opposizione cubana prima grazie ad un blog, Generacion Y, e poi ai suoi articoli sulla vita quotidiana nell'isola pubblicati dalla stampa di tutto il mondo. Nominata nel marzo del 2012 corrispondente dall'isola dal quotidiano spagnolo El Paìs, Yoani Sanchez era diventata, a partire dal 2007, anche un simbolo della persecuzione del regime che le ha negato "per dodici o tredici volte" il permesso di uscire dal Paese.
La prima tappa del viaggio è in Brasile, a Recife, dove arriverà nelle prime ore del mattino di domani. In una intervista al quotidiano La Folha, la blogger cubana ha detto di aver scelto il Brasile come prima tappa "perché lì ci sono molte persone che hanno lottato per farmi avere il passaporto". Prima fra tutti la "presidenta" Dilma Rousseff che l'anno scorso in occasione di una visita ufficiale all'Avana intervenne personalmente a favore della Sanchez presso Raùl Castro. L'itinerario di Yoani Sanchez proseguirà verso il Messico, il Canada e gli Usa prima di attraversare l'Oceano e raggiungere l'Europa.
A Puebla, in Messico, parteciperà all'assemblea annuale della Sip, l'associazione americana della stampa. Ma la tappa più succosa del suo viaggio sarà sicuramente New York (15 marzo) dove, oltre ad un incontro con gli studenti della New York University, sono previste visite alla sede del New York Times e alla Columbia. Negli Stati Uniti, dove è già prevista un'altra tappa a Washington (e forse una a Miami per incontrare sua sorella), Yoani Sanchez vorrebbe anche visitare le sedi dei social network che l'hanno resa famosa, Twitter e Facebook, conoscere i responsabili di Google e probabilmente visitare la sede di Time, il settimanale che l'ha nominata tra le 100 personalità più influenti al mondo.
La parte europea di questo giro del mondo in 80 giorni inizierà a fine marzo ad Amsterdam in Olanda. Poi la Germania, la Spagna, l'Italia (20 aprile), Repubblica ceca e Polonia.
Prima di lasciare l'Avana la Sanchez ha dichiarato di provare una "sensazione agrodolce" e una "certa tristezza" rispetto alla sua partenza: "Che qualcuno abbia un passaporto e possa viaggiare dove vuole - ha detto - non dovrebbe essere una notizia. Secondo me questo conferma l'irregolarità della situazione cubana". E ha concluso: "Approfitterò del viaggio per raccontare tutti i diritti che sull'isola ci vengono negati".
3/2/2013
Fidel riappare in pubblico
Fidel riappare in pubblico
2/2/2013
Assassinio Kennedy: Oswald agente di Fidel Castro? La “pista cubana” porta a Minsk
Fra Lee Harvey Oswald e gli 007 di Fidel Castroc’era un filo rosso che passava da una scuola del Kgb a Minsk. È la pista cubana, una di quelle che portano a Dallas, al giorno dell’assassinio John Fitzgerald Kennedy. Ne parlaAlfredo Mantici per Lookout News, rivista di geopolitica al debutto in edicola, diretta dal generale Mario Mori, ex comandante del Ros e del direttore del Sisde.
I servizi segreti cubani, racconta Mantici, erano nati già nel 1958, quindi con la rivoluzione cubana ancora in corso. Lo istituì il fratello di Fidel Castro, l’attuale presidente Raul Castro. Il Sib, Servicio de Intelligencia Basica, doveva scoprire “i traditori” che passavano le informazioni alla polizia di Batista e infiltrare i suoi ranghi. Una volta conquistata l’Avana Castro si preoccupò subito di dare al suo servizio segreto, che cambiò molti nomi, poteri e organizzazione all’avanguardia.
Per questo decisivo fu l’aiuto del Kgb, che addestrò gli agenti cubani sia in loco che a Minsk, dove dal 1960 si tenevano corsi triennali che formavano 300 spie alla volta. Scrive Mantici:
“Un dato curioso – che potrebbe spalancare la porta a nuove teorie del complotto sull’assassino del presidente Kennedy (Dallas, 22 novembre 1963) – è dato da una strana catena di circostanze, quantomeno sorprendenti: la scuola dei cubani era situata in via Ulianova a Minsk. Nel ’61-’62 risiedeva a Minsk, nell’edificio accanto alla scuola, anche Lee Harvey Oswald, l’uomo che un anno dopo avrebbe sparato al presidente Kennedy. Non solo: il direttore della scuola di addestramento era il colonnello del KGB Ilya Vasilievich Prusakov, zio di Marina Prusakova, ovvero la ragazza che fu presa in moglie da Oswald e che lo avrebbe seguito negli Stati Uniti proprio alla vigilia dell’attentato di Dallas.
Secondo le testimonianze di defezionisti dei servizi dell’Avana che parteciparono ai corsi di via Ulianova – e secondo quanto lasciato scritto dallo stesso Oswald nel suo diario – molti giovani cubani strinsero amicizia con il giovane americano, che manifestava simpatie per Cuba e per Castro e che trascorreva, senza spiegazioni accettabili al riguardo, un periodo di soggiorno in Unione Sovietica; non per motivi di studio o di lavoro ma piuttosto “per diporto” (in piena guerra fredda?).
Queste strane circostanze che sembrano collegare Oswald, i giovani “studenti” cubani e lo zio della sua futura moglie nonché colonnello del KGB, diventano ancora più strane se le si collega a un dato oggettivo riferito da Brian Latell (un funzionario Cia che ha diretto il desk Cuba negli anni ’70 e ’80) e rilevato dalle stazioni di intercettazione della National Security Agency americana il 22 novembre del 1963, nelle ore che precedettero l’assassinio di Kennedy. In quel lasso di tempo, il traffico radio istituzionale tra Cuba e le ambasciate nel resto del mondo si ridusse drasticamente, mentre venne registrato un contestuale, incomprensibile e massiccio incremento del traffico radio tra la capitale cubana e Dallas, e viceversa”.
Assassinio Kennedy: Oswald agente di Fidel Castro? La “pista cubana” porta a Minsk
Fra Lee Harvey Oswald e gli 007 di Fidel Castroc’era un filo rosso che passava da una scuola del Kgb a Minsk. È la pista cubana, una di quelle che portano a Dallas, al giorno dell’assassinio John Fitzgerald Kennedy. Ne parlaAlfredo Mantici per Lookout News, rivista di geopolitica al debutto in edicola, diretta dal generale Mario Mori, ex comandante del Ros e del direttore del Sisde.
I servizi segreti cubani, racconta Mantici, erano nati già nel 1958, quindi con la rivoluzione cubana ancora in corso. Lo istituì il fratello di Fidel Castro, l’attuale presidente Raul Castro. Il Sib, Servicio de Intelligencia Basica, doveva scoprire “i traditori” che passavano le informazioni alla polizia di Batista e infiltrare i suoi ranghi. Una volta conquistata l’Avana Castro si preoccupò subito di dare al suo servizio segreto, che cambiò molti nomi, poteri e organizzazione all’avanguardia.
Per questo decisivo fu l’aiuto del Kgb, che addestrò gli agenti cubani sia in loco che a Minsk, dove dal 1960 si tenevano corsi triennali che formavano 300 spie alla volta. Scrive Mantici:
“Un dato curioso – che potrebbe spalancare la porta a nuove teorie del complotto sull’assassino del presidente Kennedy (Dallas, 22 novembre 1963) – è dato da una strana catena di circostanze, quantomeno sorprendenti: la scuola dei cubani era situata in via Ulianova a Minsk. Nel ’61-’62 risiedeva a Minsk, nell’edificio accanto alla scuola, anche Lee Harvey Oswald, l’uomo che un anno dopo avrebbe sparato al presidente Kennedy. Non solo: il direttore della scuola di addestramento era il colonnello del KGB Ilya Vasilievich Prusakov, zio di Marina Prusakova, ovvero la ragazza che fu presa in moglie da Oswald e che lo avrebbe seguito negli Stati Uniti proprio alla vigilia dell’attentato di Dallas.
Secondo le testimonianze di defezionisti dei servizi dell’Avana che parteciparono ai corsi di via Ulianova – e secondo quanto lasciato scritto dallo stesso Oswald nel suo diario – molti giovani cubani strinsero amicizia con il giovane americano, che manifestava simpatie per Cuba e per Castro e che trascorreva, senza spiegazioni accettabili al riguardo, un periodo di soggiorno in Unione Sovietica; non per motivi di studio o di lavoro ma piuttosto “per diporto” (in piena guerra fredda?).
Queste strane circostanze che sembrano collegare Oswald, i giovani “studenti” cubani e lo zio della sua futura moglie nonché colonnello del KGB, diventano ancora più strane se le si collega a un dato oggettivo riferito da Brian Latell (un funzionario Cia che ha diretto il desk Cuba negli anni ’70 e ’80) e rilevato dalle stazioni di intercettazione della National Security Agency americana il 22 novembre del 1963, nelle ore che precedettero l’assassinio di Kennedy. In quel lasso di tempo, il traffico radio istituzionale tra Cuba e le ambasciate nel resto del mondo si ridusse drasticamente, mentre venne registrato un contestuale, incomprensibile e massiccio incremento del traffico radio tra la capitale cubana e Dallas, e viceversa”.
12/1/2013
Le ultime immagini di Fidel Castro durante la visita del presidente dell'Argentina Kirchner
Le ultime immagini di Fidel Castro durante la visita del presidente dell'Argentina Kirchner
12/1/2013
La danza macabra di Castro e i suoi fratelli
« All’alba del lunedì la città si svegliò dal suo letargo di secoli con una tiepida e tenera brezza di morto grande e di putrefatta grandezza ». Forse c’entra il potere magico del voodoo, il tenebroso animismo di origine africana che tanta influenza riscuote tuttora nel mondo caraibico, forse l’incipit dell’Autunno del patriarca di Gabriel García Márquez è la profetica conferma dell’impensabile resilienza del potere, ma quello che sta accadendo tra Cuba e Caracas ha in effetti il sapore di una grandiosa danza macabra che i protagonisti – Fidel Castro e suo fratello Raúl da una parte – e i loro comprimari – Hugo Chávez e Ricardo Alarcón dall’altra – ci stanno offrendo.
Ottantasei anni Fidel, ottantadue Raúl, cinquantaquattro anni ininterrotti al potere. E negli ultimi tempi l’ingannevole messinscena di un garbato ritiro dal proscenio, Fidel disarmato dagli insulti dell’età e della salute, Raúl con il piglio modesto del reggente pro tempore. Sembrava tutto molto verosimile, anche perché ai loro piedi scalpitavano imitatori, seguaci devoti e veri e propri delfini. Come Hugo Chávez, el indio, bolivariano entusiasta e interprete diligente della lezione cubana fino a interpretarla con il piglio del perfetto etno-caudillo, lo stesso che nel 2006 portò al potere il gemello politico di Chávez, quell’Evo Morales populista e rivoluzionario che indossa più volentieri la chompa di alpaca a righe dei cocaleros boliviani che il gessato d’ordinanza dei capi di Stato.
Senza dimenticare Ricardo Alarcón de Quesada, numero tre del regime cubano, ambasciatore all’Onu, presidente dell’Assemblea Nazionale del Popolo, sopravvissuto fino a ieri a ogni epurazione, sempre un passo indietro rispetto ai fratelli Castro come un principe consorte, ma sempre inossidabile all’ombra del potere. Giovanissimo, Alarcón: ha solo 75 anni, niente a confronto dei novant’anni di José Ramón Fernández, o degli 82 di José Machádo Ventura e di innumerevoli membri del Politburo cubano. Eppure per lui, il più americano dei dirigenti politici cubani, è suonata la campana di fine mandato. Se ne va, lascia – apprezziamone l’agro umorismo caraibico – 'per raggiunti limiti di età'. E non è che l’ultimo di una lunga serie: prima di lui scomparvero Camilo Cienfuegos (rivoluzionario della prima ora, precipitato con il suo Cessna all’indomani della rivoluzione), il comandante Arnaldo Ochóa (accusato di tradimento), e poi piccoli e grandi dirigenti e giovani ambiziosi, fino a Roberto Robaina e Carlos Lago, due astri nascenti (si pensava) consumatisi con la rapidità di una fiammata, e a Perez Roque, salito al vertice del favore dei fratelli Castro nel 2001 e precipitato nella polvere pochi anni più tardi.
Nemmeno Chávez, il Migliore in salsa caraibica, sfugge al suo destino, o se preferite al sinistro incantesimo che tiene in vita la dinastia dei Castro: la malattia lo divora in una clinica cubana e gli impedisce perfino di prendere parte al suo insediamento a Caracas. Nelle tetre pinturas negras di Francisco Goya ce n’è una che raffigura Crono che divora i suoi figli, allegoria perfetta del terrore di perdere il potere che assedia i tiranni d’ogni epoca. Difficile sfuggire a questa pur facile suggestione. E difficile anche che, a dispetto delle tenui modernizzazioni, del passaporto concesso ad alcune categorie, della vendita controllata di telefoni cellulari, del permesso di comprare e vendere proprietà immobiliari, qualcosa di significativo cambi davvero a Cuba. Dove un dissidente può ancora morire di fame in carcere e si può essere arrestati per un blog sgradito al regime. Fino a quando i patriarchi saranno al potere. E fino a quando continueranno a nutrirsi dei propri figli per rimanerci.
10/1/2013
Panico nella dittatura cubana
Non ci vuole una cima di esperto di geopolitica per capire cosa sta succedendo a Cuba in questo momento. E' la fine del sogno, Cuba negli ultimi anni è stata alimentata di energia dal Venezuela, milioni di barili di carburante a costo zero hanno permesso alle centrali elettriche e ai mezzi di trasporto di funzionare, questo a permesso una vita se pur misera al popolo cubano. Il terrore ha due facce a Cuba, da una parte c'è Fidel Castro ormai vicino alla fine, dall'altra Hugo Chavez ormai certamente destinato a morire molto presto. Come un castello di carte tutto potrebbe crollare, alla morte di Chavez il governo del Venezuela si troverebbe in grave difficoltà, sarebbe costretto ad indire nuove elezioni e questa volta la vittoria del socialismo non sarebbe assicurata, per questo a costo di andare contro ogni regola democratica e logica i consiglieri cubani manovrati dalla dittatura castrista stanno cercando di prendere tempo forzando il parlamento venezuelano a tentare di convertire Maduro nel nuovo comandante della "rivoluzione" in Venezuela ignorando le regole della costituzione venezuelana. Cuba non ha scampo, a qualsiasi costo non può permettere la vittoria dell'opposizione in Venezuela semplicemente perché questo significherebbe la fine dell'approvvigionamento di petrolio con conseguenze facilmente immaginabili. Nel DNA della teoria delle dittature socialiste nate dalla matrice castrista non è contemplata la democrazia né la vittoria di una opposizione, il regime cubano tutt'ora non contempla neppure l'esistenza di una opposizione politica ma purtroppo per Cuba in Venezuela la dittatura di Chavez è rimasta da sempre una dittatura incompleta, ha sempre dovuto lottare contro quasi la metà della popolazione che non ha mai digerito l'ingerenza della dittatura cubana negli affari che dovrebbero essere parte della sovranità della loro nazione e il parlamento è composto anche da chi vorrebbe la libertà e la democrazia. Chavez ha poche probabilità di uscire vivo dal reparto di rianimazione dove si trova, se come sembra ha contratto una polmonite nosocomiale che non risponde alle cure antibiotiche si trova in una situazione di grave pericolo di vita, neppure nei più attrezzati ospedali europei si riescono ad ad ottenere risultati positivi con quel genere di batterio e comunque la patologia primaria di Chavez è un tumore incurabile ormai in fase avanzata che non gli lascia nessuna speranza di sopravvivenza. A questo punto cosa potrebbe succedere? Cuba se privata dell'appoggio del Venezuela nel caso l'opposizione vincesse le elezioni si troverebbe come un topo in trappola, piomberebbe nella disperazione, per non affogare sarebbe costretta a smantellare tutti i suoi principi di base, non avrebbe più nessun senso l'esistenza stessa della dittatura e fiorirebbero decine di movimenti politici che adesso si trovano nella clandestinità, dovrebbe velocemente convertire il suo sistema economico e politico per sopravvivere, si troverebbe ad affrontare una durissima prova, perché un cambiamento così repentino fatto da chi non ha nessuna cultura della libertà e della democrazia rischia di trasformarsi in caos istituzionale e sociale, la dittatura cubana si troverebbe a dover pagare a caro prezzo il fatto di non avere approfittato degli ultimi decenni per avviare un processo graduale di conversione verso il capitalismo e la libertà.
La danza macabra di Castro e i suoi fratelli
« All’alba del lunedì la città si svegliò dal suo letargo di secoli con una tiepida e tenera brezza di morto grande e di putrefatta grandezza ». Forse c’entra il potere magico del voodoo, il tenebroso animismo di origine africana che tanta influenza riscuote tuttora nel mondo caraibico, forse l’incipit dell’Autunno del patriarca di Gabriel García Márquez è la profetica conferma dell’impensabile resilienza del potere, ma quello che sta accadendo tra Cuba e Caracas ha in effetti il sapore di una grandiosa danza macabra che i protagonisti – Fidel Castro e suo fratello Raúl da una parte – e i loro comprimari – Hugo Chávez e Ricardo Alarcón dall’altra – ci stanno offrendo.
Ottantasei anni Fidel, ottantadue Raúl, cinquantaquattro anni ininterrotti al potere. E negli ultimi tempi l’ingannevole messinscena di un garbato ritiro dal proscenio, Fidel disarmato dagli insulti dell’età e della salute, Raúl con il piglio modesto del reggente pro tempore. Sembrava tutto molto verosimile, anche perché ai loro piedi scalpitavano imitatori, seguaci devoti e veri e propri delfini. Come Hugo Chávez, el indio, bolivariano entusiasta e interprete diligente della lezione cubana fino a interpretarla con il piglio del perfetto etno-caudillo, lo stesso che nel 2006 portò al potere il gemello politico di Chávez, quell’Evo Morales populista e rivoluzionario che indossa più volentieri la chompa di alpaca a righe dei cocaleros boliviani che il gessato d’ordinanza dei capi di Stato.
Senza dimenticare Ricardo Alarcón de Quesada, numero tre del regime cubano, ambasciatore all’Onu, presidente dell’Assemblea Nazionale del Popolo, sopravvissuto fino a ieri a ogni epurazione, sempre un passo indietro rispetto ai fratelli Castro come un principe consorte, ma sempre inossidabile all’ombra del potere. Giovanissimo, Alarcón: ha solo 75 anni, niente a confronto dei novant’anni di José Ramón Fernández, o degli 82 di José Machádo Ventura e di innumerevoli membri del Politburo cubano. Eppure per lui, il più americano dei dirigenti politici cubani, è suonata la campana di fine mandato. Se ne va, lascia – apprezziamone l’agro umorismo caraibico – 'per raggiunti limiti di età'. E non è che l’ultimo di una lunga serie: prima di lui scomparvero Camilo Cienfuegos (rivoluzionario della prima ora, precipitato con il suo Cessna all’indomani della rivoluzione), il comandante Arnaldo Ochóa (accusato di tradimento), e poi piccoli e grandi dirigenti e giovani ambiziosi, fino a Roberto Robaina e Carlos Lago, due astri nascenti (si pensava) consumatisi con la rapidità di una fiammata, e a Perez Roque, salito al vertice del favore dei fratelli Castro nel 2001 e precipitato nella polvere pochi anni più tardi.
Nemmeno Chávez, il Migliore in salsa caraibica, sfugge al suo destino, o se preferite al sinistro incantesimo che tiene in vita la dinastia dei Castro: la malattia lo divora in una clinica cubana e gli impedisce perfino di prendere parte al suo insediamento a Caracas. Nelle tetre pinturas negras di Francisco Goya ce n’è una che raffigura Crono che divora i suoi figli, allegoria perfetta del terrore di perdere il potere che assedia i tiranni d’ogni epoca. Difficile sfuggire a questa pur facile suggestione. E difficile anche che, a dispetto delle tenui modernizzazioni, del passaporto concesso ad alcune categorie, della vendita controllata di telefoni cellulari, del permesso di comprare e vendere proprietà immobiliari, qualcosa di significativo cambi davvero a Cuba. Dove un dissidente può ancora morire di fame in carcere e si può essere arrestati per un blog sgradito al regime. Fino a quando i patriarchi saranno al potere. E fino a quando continueranno a nutrirsi dei propri figli per rimanerci.
10/1/2013
Panico nella dittatura cubana
Non ci vuole una cima di esperto di geopolitica per capire cosa sta succedendo a Cuba in questo momento. E' la fine del sogno, Cuba negli ultimi anni è stata alimentata di energia dal Venezuela, milioni di barili di carburante a costo zero hanno permesso alle centrali elettriche e ai mezzi di trasporto di funzionare, questo a permesso una vita se pur misera al popolo cubano. Il terrore ha due facce a Cuba, da una parte c'è Fidel Castro ormai vicino alla fine, dall'altra Hugo Chavez ormai certamente destinato a morire molto presto. Come un castello di carte tutto potrebbe crollare, alla morte di Chavez il governo del Venezuela si troverebbe in grave difficoltà, sarebbe costretto ad indire nuove elezioni e questa volta la vittoria del socialismo non sarebbe assicurata, per questo a costo di andare contro ogni regola democratica e logica i consiglieri cubani manovrati dalla dittatura castrista stanno cercando di prendere tempo forzando il parlamento venezuelano a tentare di convertire Maduro nel nuovo comandante della "rivoluzione" in Venezuela ignorando le regole della costituzione venezuelana. Cuba non ha scampo, a qualsiasi costo non può permettere la vittoria dell'opposizione in Venezuela semplicemente perché questo significherebbe la fine dell'approvvigionamento di petrolio con conseguenze facilmente immaginabili. Nel DNA della teoria delle dittature socialiste nate dalla matrice castrista non è contemplata la democrazia né la vittoria di una opposizione, il regime cubano tutt'ora non contempla neppure l'esistenza di una opposizione politica ma purtroppo per Cuba in Venezuela la dittatura di Chavez è rimasta da sempre una dittatura incompleta, ha sempre dovuto lottare contro quasi la metà della popolazione che non ha mai digerito l'ingerenza della dittatura cubana negli affari che dovrebbero essere parte della sovranità della loro nazione e il parlamento è composto anche da chi vorrebbe la libertà e la democrazia. Chavez ha poche probabilità di uscire vivo dal reparto di rianimazione dove si trova, se come sembra ha contratto una polmonite nosocomiale che non risponde alle cure antibiotiche si trova in una situazione di grave pericolo di vita, neppure nei più attrezzati ospedali europei si riescono ad ad ottenere risultati positivi con quel genere di batterio e comunque la patologia primaria di Chavez è un tumore incurabile ormai in fase avanzata che non gli lascia nessuna speranza di sopravvivenza. A questo punto cosa potrebbe succedere? Cuba se privata dell'appoggio del Venezuela nel caso l'opposizione vincesse le elezioni si troverebbe come un topo in trappola, piomberebbe nella disperazione, per non affogare sarebbe costretta a smantellare tutti i suoi principi di base, non avrebbe più nessun senso l'esistenza stessa della dittatura e fiorirebbero decine di movimenti politici che adesso si trovano nella clandestinità, dovrebbe velocemente convertire il suo sistema economico e politico per sopravvivere, si troverebbe ad affrontare una durissima prova, perché un cambiamento così repentino fatto da chi non ha nessuna cultura della libertà e della democrazia rischia di trasformarsi in caos istituzionale e sociale, la dittatura cubana si troverebbe a dover pagare a caro prezzo il fatto di non avere approfittato degli ultimi decenni per avviare un processo graduale di conversione verso il capitalismo e la libertà.
Chavez in fin di vita
El médico venezolano Rafael Marquina, quien se ha convertido en fuente de información no oficial sobre la salud del presidente de Venezuela Hugo Chávez Frías, informó este miércoles que el mandatario “está sedado muy profundamente y no responde a ningún estímulo externo”.
En una serie de publicaciones de su cuenta de Twitter Marquina reveló información recibida en horas de la tarde, en ellas el panorama continúa siendo difícil para Chávez.
El médico indicó que la respiración del mandatario está “totalmente controlada por el ventilador mecánico con altas presiones”.
“Pudiera durar varios días más en soporte artificial y padeciendo un sufrimiento innecesario”, añadió Marquina.
Sobre el acto de posesión presidencial de este 10 de enero el médico es enfático y descarta la presencia del mandatario.
En sus tweets cuenta que pese a la situación "la familia insiste en continuarlo en soporte artificial aún conociendo que la enfermedad es terminal".
Minutos antes, Jorge Arreaza, ministro de Ciencia y Tecnología y yerno del mandatario, indicó también en su cuenta de Twitter: "el equipo médico nos explica que la condición del Presidente Chávez sigue siendo estable dentro de su cuadro delicado".
Por su parte, el vicepresidente Nicolás Maduro dijo este martes en una entrevista concedida a la cadena telesur que el mandatario "está consciente de lo complejo del estado postoperatorio", y añadió que pudo verlos en dos ocasiones y conversar con él.
En una serie de publicaciones de su cuenta de Twitter Marquina reveló información recibida en horas de la tarde, en ellas el panorama continúa siendo difícil para Chávez.
El médico indicó que la respiración del mandatario está “totalmente controlada por el ventilador mecánico con altas presiones”.
“Pudiera durar varios días más en soporte artificial y padeciendo un sufrimiento innecesario”, añadió Marquina.
Sobre el acto de posesión presidencial de este 10 de enero el médico es enfático y descarta la presencia del mandatario.
En sus tweets cuenta que pese a la situación "la familia insiste en continuarlo en soporte artificial aún conociendo que la enfermedad es terminal".
Minutos antes, Jorge Arreaza, ministro de Ciencia y Tecnología y yerno del mandatario, indicó también en su cuenta de Twitter: "el equipo médico nos explica que la condición del Presidente Chávez sigue siendo estable dentro de su cuadro delicado".
Por su parte, el vicepresidente Nicolás Maduro dijo este martes en una entrevista concedida a la cadena telesur que el mandatario "está consciente de lo complejo del estado postoperatorio", y añadió que pudo verlos en dos ocasiones y conversar con él.
Le ultime immagini di Fidel castro
16/10/2012
Il governo cubano si prepara alla morte di Fidel Castro, da gennaio offrirà libertà di espatriare ai cubani. Questa mossa ha lo scopo di allentare la pressione sociale. Quando verrà data la notizia della morte del dittatore, che per molti cubani sarà l'illusione di un rapido cambiamento politico e per molti altri sarà l'occasione per provare a ribellarsi, la nomenklatura offre così la libertà di espatriare a chi non vuole continuare la luminosa strada del socialismo Castrista. In una situazione sociale di miseria e di mal contento per via del duro regime castrista non c'era scelta, limitare la libertà dei espatrio sarebbe stato un suicidio.
14/10/2012
DIE WELT: FIDEL CASTRO ASSOLDÒ EX SS DURANTE LA CRISI DEI MISSILI
A cinquant’anni esatti dalla crisi dei missili tra Usa e Urss dell’ottobre del 1962, documenti dei servizi segreti esteri tedeschi (Bnd) finora inediti rivelano che Fidel Castro chiamò allora a Cuba almeno due ex Ss naziste come addestratori militari. E che tentò di acquistare armi attraverso due noti mercanti internazionali appartenenti all’estrema destra tedesca.E’ quanto scrive il sito del quotidiano Die Welt in un lungo articolo che ricostruisce il retroscena della crisi. All’apice della tensione internazionale, il 26 ottobre del 1962, racconta il quotidiano, il Bnd scrive in un rapporto di aver appreso che Castro aveva fatto assoldare ex membri delle Ss naziste come ”istruttori per i militari cubani”. Alla data del rapporto il Bnd era riuscito a raccogliere prove della presenza sull’isola di almeno due ex Ss dei quattro che avevano risposto all’invito di Cuba.
”Evidentemente – scrive Bodo Hechelhammer, direttore del reparto indagini storiche del Bnd – l’esercito rivoluzionario cubano non mostrava di temere il contatto con personale legato in passato al nazismo, quando serviva ai propri scopi”. Castro, emerge dai documenti del Bnd, si sarebbe allora inoltre servito dell’intermediazione di due trafficanti d’armi dell’estrema destra tedesca, Otto Ernst Remer e Ernst-Wilhelm Springer, per tentare di acquistare in Europa 4mila mitragliatori di fabbricazione belga, attraverso la Germania dell’ovest.
I servizi tedeschi – che tra l’altro sarebbero stati i primi a dare notizia dell’installazione nell’isola di missili nucleari, riporta Die Welt – avevano supposto che Castro avesse intenzione di interrompere la totale dipendenza cubana dalle armi sovietiche. Il che, considerarono gli 007, avrebbe avuto senso solo se ci fosse stata l’intenzione di seguire un proprio indirizzo politico, diverso da quello di Mosca.
10/10/2012
Da fonti che non è possibile verificare giunge notizia della morte cerebrale di Fidel Castro che verrebbe tenuto in vita artificialmente. Potrebbe essere una falsa notizia come altre che in passato sono state divulgate su internet.
6/10/2012
Liberata Yoani Sánchez
Utilizzata per Yoani e suo marito Reinaldo la tecnica di punizione che la dittatura cubana riserva ai dissidenti troppo famosi per essere incarcerati per lungo tempo, una piccola fastidiosa inutile punizione, trenta ore di cella senza cibo né acqua, poi la liberazione. Da qualche anno a Cuba questa è la prassi, chi è conosciuto come dissidente anche all'estero, per evitare di fare troppa pubblicità viene incarcerato solo per qualche giorno e poi rilasciato. Il timore del governo cubano è che trattenendo in carcere i dissidenti l'effetto sarebbe un boomerang, la notizia si diffonderebbe dentro e fuori Cuba, così le autorità sono costrette a liberare dopo poco tempo i prigionieri. Per tutti gli altri, i dissidenti meno famosi carcere a vita o pene che rasentano il trentennio, nessuno saprà mai nulla di loro, persi nello sconfinato sistema carcerario cubano.
5/10/2012
Arrestata la blogger cubana Yoani SánchezFermata insieme al marito. Voleva seguire il processo contro Carromero, accusato della morte dei dissidenti Payá e Cepero
La nota blogger cubana Yoani Sánchez è stata arrestata giovedì sera a Bayamo, Cuba, insieme al marito, il giornalista Reinaldo Escobar, e altri attivisti. Come riferisce il sito Cuba Encuentro, sembra che gli attivisti volessero coprire il processo che si celebrerà oggi a Bayamo al giovane politico spagnolo Angel Carromero, accusato di omicidio dopo la morte in un incidente stradale dei dissidenti Oswaldo Paya e Harold Cepero. Ginarte ha detto che la blogger, da lui definita «pro nordamericana», è stata arrestata per non consentirle di fare uno «show mediatico». Yoani Sánchez è anche corrispondente da Cuba per il quotidiano spagnolo El Pais.
29/9/2012
Fermati a Cuba quattro giornalisti italiani
Si tratta di Ilaria Cavo e dell'operatore Fabio Tricarico di TgCom, del fotoreporter del Corriere Stefano Cavicchi e di Domenico Pecile del Messaggero Veneto
La conferma arriva direttamente dalla Farnesina: «La giornalista diMediaset e inviata di Videonewsa Cuba Ilaria Cavo, il cronista delMessaggeroVeneto Domenico Pecile, il fotoreporter delCorriere della Sera Stefano Cavicchi e l'operatore Fabio Tricarico sono stati fermati a Cuba» dove si trovavano per la vicenda del duplice omicidio di Lignano. La notizia era stata resa nota inizialmente da Claudio Brachino, direttore di Videonews: «Ieri sera la Cavo - ha detto in diretta - era con Tricarico e con Cavicchi e stava tornando a L'Avana, dopo aver realizzato una parte del reportage, quando sono stata fermati dalle autorità. La rappresentanza diplomatica italiana è stata immediatamente avvertita. Ilaria - ha detto Brachino - non ha fatto nulla di illegale. Ha realizzato interviste assolutamente lecite».
LA TRASFERTA A CUBA - «Siamo stati interrogati per 12 ore - ha raccontato invece Stefano Cavicchi, l'unico che sarebbe già stato rilasciato nella notte -. Ci hanno portato via i passsaporti e hanno cancellato filmati e fotografie dalla memoria di macchine e telecamere. Siamo in attesa per questa mattina del processo che deciderà la nostra sorte». A Cuba era stato rintracciato dagli inquirenti il fratello di Lisandra, Reiver Laborde Rico, 24 anni, indagato come lei per l'omicidio di Lignano Sabbiadoro. Omicidio in cui erano stati uccisi Rosetta Sostero di 65 anni e il marito e Paolo Burgato, di 69, titolari di un'attività commerciale nel centro della località balneare friulana. I giornalisti stavano proprio indagando sull'omicidio di Lignano ed erano riusciti ad entrare in contatto con il fratello di Lisandra. Appena informata del caso, la nostra sede diplomatica a Cuba si è subito attivata con le autorità locali ed ha avviato contatti diretti anche con i familiari.
IL FERMO - Cavicchi ha precisato di «essere stato fermato da sei agenti che hanno fatto irruzione in casa di Reiver» mentre lui lo fotografava con le bambine e la moglie. Materiale fotografico e girato sono stati distrutti: «Computer e schede sono state tutte ripulite» ha ribadito Cavicchi, segnalando che Reiver «è molto sereno e dice di essere estraneo al duplice omicidio». «Dopo l'interrogatorio ci hanno riaccompagnati in hotel. Ho visto anche Ilaria - ha proseguito Cavicchi - sta bene ma è seccata per la bella intervista fatta che è stata ripulita, come è accaduto anche al collega di Udine, Pecile». Il fotoreporter ha evidenziato di essere arrivato con i colleghi tre giorni fa a Cuba con un visto turistico.
Il governo cubano si prepara alla morte di Fidel Castro, da gennaio offrirà libertà di espatriare ai cubani. Questa mossa ha lo scopo di allentare la pressione sociale. Quando verrà data la notizia della morte del dittatore, che per molti cubani sarà l'illusione di un rapido cambiamento politico e per molti altri sarà l'occasione per provare a ribellarsi, la nomenklatura offre così la libertà di espatriare a chi non vuole continuare la luminosa strada del socialismo Castrista. In una situazione sociale di miseria e di mal contento per via del duro regime castrista non c'era scelta, limitare la libertà dei espatrio sarebbe stato un suicidio.
14/10/2012
DIE WELT: FIDEL CASTRO ASSOLDÒ EX SS DURANTE LA CRISI DEI MISSILI
A cinquant’anni esatti dalla crisi dei missili tra Usa e Urss dell’ottobre del 1962, documenti dei servizi segreti esteri tedeschi (Bnd) finora inediti rivelano che Fidel Castro chiamò allora a Cuba almeno due ex Ss naziste come addestratori militari. E che tentò di acquistare armi attraverso due noti mercanti internazionali appartenenti all’estrema destra tedesca.E’ quanto scrive il sito del quotidiano Die Welt in un lungo articolo che ricostruisce il retroscena della crisi. All’apice della tensione internazionale, il 26 ottobre del 1962, racconta il quotidiano, il Bnd scrive in un rapporto di aver appreso che Castro aveva fatto assoldare ex membri delle Ss naziste come ”istruttori per i militari cubani”. Alla data del rapporto il Bnd era riuscito a raccogliere prove della presenza sull’isola di almeno due ex Ss dei quattro che avevano risposto all’invito di Cuba.
”Evidentemente – scrive Bodo Hechelhammer, direttore del reparto indagini storiche del Bnd – l’esercito rivoluzionario cubano non mostrava di temere il contatto con personale legato in passato al nazismo, quando serviva ai propri scopi”. Castro, emerge dai documenti del Bnd, si sarebbe allora inoltre servito dell’intermediazione di due trafficanti d’armi dell’estrema destra tedesca, Otto Ernst Remer e Ernst-Wilhelm Springer, per tentare di acquistare in Europa 4mila mitragliatori di fabbricazione belga, attraverso la Germania dell’ovest.
I servizi tedeschi – che tra l’altro sarebbero stati i primi a dare notizia dell’installazione nell’isola di missili nucleari, riporta Die Welt – avevano supposto che Castro avesse intenzione di interrompere la totale dipendenza cubana dalle armi sovietiche. Il che, considerarono gli 007, avrebbe avuto senso solo se ci fosse stata l’intenzione di seguire un proprio indirizzo politico, diverso da quello di Mosca.
10/10/2012
Da fonti che non è possibile verificare giunge notizia della morte cerebrale di Fidel Castro che verrebbe tenuto in vita artificialmente. Potrebbe essere una falsa notizia come altre che in passato sono state divulgate su internet.
6/10/2012
Liberata Yoani Sánchez
Utilizzata per Yoani e suo marito Reinaldo la tecnica di punizione che la dittatura cubana riserva ai dissidenti troppo famosi per essere incarcerati per lungo tempo, una piccola fastidiosa inutile punizione, trenta ore di cella senza cibo né acqua, poi la liberazione. Da qualche anno a Cuba questa è la prassi, chi è conosciuto come dissidente anche all'estero, per evitare di fare troppa pubblicità viene incarcerato solo per qualche giorno e poi rilasciato. Il timore del governo cubano è che trattenendo in carcere i dissidenti l'effetto sarebbe un boomerang, la notizia si diffonderebbe dentro e fuori Cuba, così le autorità sono costrette a liberare dopo poco tempo i prigionieri. Per tutti gli altri, i dissidenti meno famosi carcere a vita o pene che rasentano il trentennio, nessuno saprà mai nulla di loro, persi nello sconfinato sistema carcerario cubano.
5/10/2012
Arrestata la blogger cubana Yoani SánchezFermata insieme al marito. Voleva seguire il processo contro Carromero, accusato della morte dei dissidenti Payá e Cepero
La nota blogger cubana Yoani Sánchez è stata arrestata giovedì sera a Bayamo, Cuba, insieme al marito, il giornalista Reinaldo Escobar, e altri attivisti. Come riferisce il sito Cuba Encuentro, sembra che gli attivisti volessero coprire il processo che si celebrerà oggi a Bayamo al giovane politico spagnolo Angel Carromero, accusato di omicidio dopo la morte in un incidente stradale dei dissidenti Oswaldo Paya e Harold Cepero. Ginarte ha detto che la blogger, da lui definita «pro nordamericana», è stata arrestata per non consentirle di fare uno «show mediatico». Yoani Sánchez è anche corrispondente da Cuba per il quotidiano spagnolo El Pais.
29/9/2012
Fermati a Cuba quattro giornalisti italiani
Si tratta di Ilaria Cavo e dell'operatore Fabio Tricarico di TgCom, del fotoreporter del Corriere Stefano Cavicchi e di Domenico Pecile del Messaggero Veneto
La conferma arriva direttamente dalla Farnesina: «La giornalista diMediaset e inviata di Videonewsa Cuba Ilaria Cavo, il cronista delMessaggeroVeneto Domenico Pecile, il fotoreporter delCorriere della Sera Stefano Cavicchi e l'operatore Fabio Tricarico sono stati fermati a Cuba» dove si trovavano per la vicenda del duplice omicidio di Lignano. La notizia era stata resa nota inizialmente da Claudio Brachino, direttore di Videonews: «Ieri sera la Cavo - ha detto in diretta - era con Tricarico e con Cavicchi e stava tornando a L'Avana, dopo aver realizzato una parte del reportage, quando sono stata fermati dalle autorità. La rappresentanza diplomatica italiana è stata immediatamente avvertita. Ilaria - ha detto Brachino - non ha fatto nulla di illegale. Ha realizzato interviste assolutamente lecite».
LA TRASFERTA A CUBA - «Siamo stati interrogati per 12 ore - ha raccontato invece Stefano Cavicchi, l'unico che sarebbe già stato rilasciato nella notte -. Ci hanno portato via i passsaporti e hanno cancellato filmati e fotografie dalla memoria di macchine e telecamere. Siamo in attesa per questa mattina del processo che deciderà la nostra sorte». A Cuba era stato rintracciato dagli inquirenti il fratello di Lisandra, Reiver Laborde Rico, 24 anni, indagato come lei per l'omicidio di Lignano Sabbiadoro. Omicidio in cui erano stati uccisi Rosetta Sostero di 65 anni e il marito e Paolo Burgato, di 69, titolari di un'attività commerciale nel centro della località balneare friulana. I giornalisti stavano proprio indagando sull'omicidio di Lignano ed erano riusciti ad entrare in contatto con il fratello di Lisandra. Appena informata del caso, la nostra sede diplomatica a Cuba si è subito attivata con le autorità locali ed ha avviato contatti diretti anche con i familiari.
IL FERMO - Cavicchi ha precisato di «essere stato fermato da sei agenti che hanno fatto irruzione in casa di Reiver» mentre lui lo fotografava con le bambine e la moglie. Materiale fotografico e girato sono stati distrutti: «Computer e schede sono state tutte ripulite» ha ribadito Cavicchi, segnalando che Reiver «è molto sereno e dice di essere estraneo al duplice omicidio». «Dopo l'interrogatorio ci hanno riaccompagnati in hotel. Ho visto anche Ilaria - ha proseguito Cavicchi - sta bene ma è seccata per la bella intervista fatta che è stata ripulita, come è accaduto anche al collega di Udine, Pecile». Il fotoreporter ha evidenziato di essere arrivato con i colleghi tre giorni fa a Cuba con un visto turistico.
1/9/2012
CUBA: la vicenda di Elian Gonzalez il piccolo esule cubano “riprogrammato” da Fidel Castro
Alcuni agenti “armati fino ai denti” prendono di mira un uomo nascosto dietro una porta con un bambino in braccio. Era l'alba del 22 aprile 2000. Questa foto, che fece il giro del mondo e vinse il Premio Pulitzer, incarnava il risultato assurdo di una storia che era cominciata sei mesi prima, quando Elizabeth Brotons si imbarcò con il figlio Elian Gonzàlez, di soli sei anni, su di una precaria barchetta per fuggire dalla sua nativa Cuba verso la Florida, verso l’occidente, verso la libertà.
Una tempesta tropicale pose fine ai suoi sogni. Prima di annegare però riuscì ad ancorare Elian ad una camera d’aria, utilizzandola come un rudimentale salvagente. Così lo trovarono due pescatori americani. Il ragazzo rimase per due giorni alla deriva, con la sola compagnia di alcuni delfini che forse lo protessero da più spiacevoli incontri in mare aperto. Era il 25 novembre, Giorno del Ringraziamento negli Stati Uniti. Si parlò subito di un miracolo.
Elian era stato preso in consegna dal suo zio paterno, Lazaro Gonzalez, che viveva a Miami. Da Cuba, Juan Miguel, nipote di Lazzaro e padre di Elian, rivoleva il ragazzo che, a suo dire, era stato allontanato dall 'isola senza il suo permesso. La controversia familiare si trasformò presto in un'aspra battaglia politica tra L'Avana e Miami. Fidel Castro fece del ragazzo il simbolo della sua lotta “antimperialista” anche se di fatto fu l'amministrazione Clinton ha sostenere il rimpatrio del bambino, e impose ai cubani continue manifestazioni di protesta. Dall’altra parte, a Miami, gli esuli anticastristi organizzavano veglie davanti alla casa di Gonzalez. La faccenda si concluse con un ordine esecutivo del tribunale che impose un rocambolesco quanto eccessivo “salvataggio” del bambino da parte dell’esercito. Il 28 giugno 2000, il piccolo approdò a L'Avana dove Castro poté esibirlo come “orgoglio” di Cuba.
Oggi, a 18 anni, Castro può raccogliere i “frutti” della sua bravata: Elian Gonzalez è un bel giovane di carnagione scura, deciso a dare la vita per la rivoluzione. E' cadetto della Scuola Militare Camilo Cienfuegos ed è un membro di spicco della Lega dei Giovani Comunisti. Lo stesso Fidel Castro gli consegnò la tessera quando compì 14 anni.
Elian vive con il padre, Juan Miguel, la matrigna e due fratelli più piccoli nella sua città natale di Cardenas, a 150 chilometri da L'Avana. Castro sfruttò bene l’occasione mediatica: infatti la vita della famiglia González prese una svolta radicale in seguito a quei fatti. Juan Miguel lasciò il suo lavoro come cameriere ed ottenne un seggio nell'Assemblea del Potere Popolare, il Parlamento cubano. Si trasferirono in una villetta isolata, con tanto di portineria e sorveglianza. Secondo il giornalista cubano Iván García, “Elian vive in una bolla”, circondato da agenti di sicurezza. Per parlare con lui ci vuole un permesso speciale. Insomma qualsiasi cosa è poco per proteggere “l'eroe e l'esempio della gioventù cubana” immaginata da Castro. Paradossalmente quando Elian era a Miami, fu proprio Fidel che, accusò la “mafia” degli esuli di fare il lavaggio del cervello del bambino. “Non abbiamo intenzione di fare nessuna di queste bassezze” affermava pomposamente. “Distruggere la mente di un bambino, cambiandola totalmente per vergognosi fini di propaganda, è peggio della morte fisica” chiosava il supremo “comandante”. E’ ormai tristemente evidente quanto ha fatto lui per contrastare le “conseguenze dannose” che il passaggio per Miami poteva aver lasciato nel piccolo…
Fino al suo pensionamento per motivi di salute nel 2006, Fidel Castro ha persino partecipato a qualche festa di compleanno del suo “Eliansito” a Cardenas e non ha mancato di apparire in più di qualche occasione con il ragazzo e suo padre in parate e commemorazioni di stato.
All'età di 11 anni, Elian è stato fatto parlare alla Tribuna Antimperialista a L'Avana. A 14 anni, ha ricevuto la citata tessera della gioventù comunista. A 15 anni, è entrato a far parte della cosiddetta Battaglia delle Idee, una campagna per rilanciare la rivoluzione, concepita da Castro quando Elian era a Miami. All'età di 16 anni, in coincidenza con il decimo anniversario del suo ritorno, entrò nella scuola militare. “Un decennio dopo esser stato il giocattolo dei nemici della rivoluzione”, ha scritto il quotidiano Juventud Rebelde, “lo vediamo vestito verde oliva, preparandosi per diventare ufficiale delle Forze Armate Rivoluzionarie”. Ancora lo scorso dicembre, in occasione del suo diciottesimo compleanno, Elian ha manifestato per chiedere la restituzione di cinque spie cubane condannate negli Stati Uniti.
Questi dunque i frutti del solerte “zelo rivoluzionario” di un dittatore che ha impiegato gli ultimi dieci anni per neutralizzare il “lavaggio del cervello” occidentale, secondo lui, a cui il piccolo Elian era stato sottoposto. Guarda caso parte di questo “programma di lavaggio cerebrale” comprendeva anche la visita della statua della Madonna di Fatima che lo zio aveva accettato in quei giorni proprio per pregare ed ottenere quella grazia che avrebbe forse tolto un rivoluzionario a Cuba e donato un figlio di Dio alla Chiesa.
Ma non bisogna mai disperare: si dice che ogni tanto il giovane Elian ami tuttora andare a visitare i delfini del vicino delfinario di Cardenas… si sa, il diavolo fa le pentole ma ai coperchi ci pensa il buon Dio.
31/8/2012
Padri e figli
La notizia che la figlia di un vice presidente cubano ha deciso di rimanere a Tampa Pokemon, in questi giorni, il dibattito sulla scissione generazionale di Castro e il "tradimento ideologico" dell'Uomo Nuovo. Si tratta di una polemica che sembrava sempre confuso: "figli di papà", sia mescolare la bile di alcuni, sono sempre stati una parte significativa di una statistica più ampia, questo ampio settore di cubani che hanno scelto di emigrare in cerca di una nuova vita. La colpa politica non è così trasmessa geneticamente, e anche se ci sono casi certamente individuali di aste con l'esilio come un campo di investire denaro e degli interessi del regime, la maggior parte dei "bambini" che ora risiedono al di fuori di Cuba sono persone che semplicemente hanno deciso di rendere la loro vita al di fuori di un sistema fallito.
In realtà, ci sono più o meno il resto degli immigrati cubani Castro della sua generazione. In molti casi, si tratta di una élite istruita per la successione generazionale che non arrivava mai, e dopo aver verificato le loro preferite opportunità di partenza frustrati, spesso da zero altrove.
Cercando di organizzare le mie idee, ho fatto una breve lista di alcuni figli di alti funzionari del governo cubano attualmente vivono al di fuori di Cuba:
Alina Fernandez Revuelta, figlia di Fidel Castro,
Juan Juan Almeida, figlio del comandante Juan Almeida Bosque,
Javier Leal, figlio dello storico del Comune e membro del Comitato Centrale Eusebio Leal Spengler,
Agostino e Ramirito, figli del comandante Ramiro Valdes,
Antonio Luzon, figlio del Maggiore Generale e Vice Presidente del Consiglio dei Ministri Antonio Enrique Luzon Batlle,
Barredo Giosuè, figlio del direttore di Granma , Lázaro Barredo,
Ofelia Crombet, figlia di Jaime Crombet Hernandez-Baquero, membro del Comitato Centrale del PCC,
Ivan Lily e Juan Carlos, figli del ministro José Abrantes, condannato in causa 2/89,
Deborah ed Ernest, figli del generale Leonardo Andollo Ramón Valdés,
Sergio Montané, figlio di Commander Gesù Montane Oropesa;
Yotuhel Montané (prigioniero il traffico di droga), nipote di Gesù Montane Oropesa comandante,
Cynthia, e Romy Mirell Vallejo, comandante René figlie Vallejo,
Alexis e Daisy Rock, figli di Industria alimentare ministro Alejandro Roca Iglesias, in carcere per corruzione,
Ochoa Diana, figlia del generale Arnaldo Ochoa Sanchez, condannato in causa 1/89,
Ileana e Antonio de la Guardia Jr, figli del colonnello Antonio de la Guardia, condannato in causa 1/89,
Ettore Jr, figlio del colonnello Ettore El Guiro Carbonell Mendez condannato in causa 2/89;
Serguera Rachel, figlia del capitano George Papito Serguera,
Diana e Deborah Cuza, figlie dell'ex capo della marina ammiraglio José L. e Cuza Téllez-Girón,
Acacia e Marcos Gomez, i bambini Comandante e Acacia Delio Gómez Ochoa Manduley Sanchez,
Raul, Maria Teresa, e Maria Victoria Piqui: figli di Marta Artecona, MININT colonnello, è morto a Miami,
Gustavo Rodríguez López-Callejas, fratello Luis Alberto Rodriguez Lopez-Callejas e figlio del generale Guillermo Rodriguez del Pozo,
Alexis Padron, figlio di Amado Padron più condannato, causa 1/89;
Jose Pepito Padrón, figlio dell'ex colonnello Ministero dell'Interno e fondatore di CIMEX Corporation, José Luis Padrón,
Camilo Loret de Mola, figlio del colonnello e il Vice Ministro della SIME Gustavo Loret de Mola,
Ivan Lopez, figlio di José López Moreno, ex direttore del JUCEPLAN;
Angelito Machaco Ameijeiras, figlio di Angelo Machaco Amejeiras Delgado;
Tania Ameijeiras, figlia del maggiore Efigenio Ameijeiras Delgado
Carlos, e Niurka Lahite Elisabetta, figlia del colonnello e il tenente colonnello Lahite Daysi Azcano Lopez,
Juan Carlos e Sasha Figueredo, figli del comandante Carlos El ChinoFigueredo Rosales,
Lisa Perez Rottman, figlia Orlando Perez Rodriguez, vice presidente della società CIMEX,
Ramon, Laura, Yoyo e Maria Victoria Ibarra, figli di Kiko Ibarra, vice ministro delle Costruzioni,
Rolando Anello, Anello Capote figlio René, ex vice ministro degli Esteri;
AICEL Gálvez Amaro , figlia del generale di brigata William Galvez Rodriguez,
la figlia di Giuseppe Pepe Ramirez Cruz, fondatore della ANAP, il figlio del comandante Belarmino Castiglia, figlia di Pedro Alvarez, Alimport ...
Questo è-ovviamente-una lista incompleta, che può aiutare i lettori per sempre. Questa caduta nome provoca un po 'di curiosità, perché negare.Ma la cosa veramente interessante sarebbe raccogliere le testimonianze di queste persone, chiedere loro perché hanno lasciato l'isola, se lo spurgo superato contro i genitori, il disincanto del sistema, la necessità per il progresso o per costruire un mondo tutto loro. Come quel famoso romanzo insegna Turgenev, Padri e figli , un divario generazionale spesso nasconde altre coordinate più complessi: un cambiamento di visione del mondo, l'aumento del nichilismo, frustrazioni sentimentali ...
Conto tra i miei amici più figli di ambasciatori, militari, ministri e viceministri. Sono più vicino a Cuba era di avere un post-rivoluzionaria della classe media. Alcuni avevano più facile, ma non me l'esilio è meno legittimo. Dopo tutto, non ho mai creduto in egualitarismo e pensare che nulla è più socialista di risentimento di classe. Le più sottile schiavitù ideologiche che tengono sistemi come Cuba è una questione complessa che merita di essere ridotto alla logica della resa dei conti generazionale.L'esilio di massa è stato anche un modo per temperare, come Yoani Sánchez ha scritto ieri , la furia paterna ideologico di altri tempi. So che ci sono tragedie familiari reali dietro un elenco di nomi e in molti casi i "figli di papà" e semplici "gente comune" sono stati vittime del Leviatano stesso. Sono sorpreso che molte persone preferiscono vedere compiuta quasi nepotismo fatum rivoluzionaria: che i bambini occupano le posizioni dei loro genitori, a giudicare dallo stesso "peccato".
Io, invece, non capiscono o condividere che l'interesse per ricordare la colpa di un cognome o di una educazione privilegiata, preferisco che hanno scelto di lasciare un paese in rovina in cui si immagina un altro più libero, più prospero e più felice.
2/8/2012
Il proclama mortale
Sei anni. Sono accadute tante cose in così poco tempo. Il “Proclama del Comandante in Capo al popolo di Cuba” citava sette nomi, ma soltanto tre sono ancora al loro posto. Come se il testo non avesse rappresentato solo la notizia della malattia di Fidel Castro ma anche una sorta di maledizione lanciata sulle persone menzionate. José Ramón Balaguer, designato dal Presidente convalescente per dirigere il Programma Nazionale e Internazionale di Salute Pubblica, a metà del 2010 ha lasciato quel ministero. Di fronte alla morte di decine di pazienti per fame e freddo nell’Ospedale Psichiatrico dell’Avana, l’insostituibile funzionario è stato trasferito a un altro incarico, forse per evitare che finisse davanti a un tribunale. Un altro dei menzionati, Carlos Lage, ha perso clamorosamente la sua posizione come Segretario del Comitato Esecutivo del Consiglio dei Ministri. Considerato da molti analisti come il possibile successore al “trono cubano”, il suo allontanamento è stato un duro colpo per coloro che scommettevano su una linea riformista all’interno dello stesso governo.
E che dire di Felipe Pérez Roque? Quel proclama - letto diverse volte durante la notte del 31 luglio 2006 - gli affidava il compito di amministrare i fondi dei programmi relativi a salute, educazione ed energia. Erano trascorsi appena venti mesi che già veniva accusato di essersi fatto ammaliare dal “miele del potere”. L’esorcismo del Proclama stava ottenendo il suo effetto contrario: invece di avallare l’ascesa, certificava la caduta. Lo stesso dito che aveva indicato quegli uomini come fedeli continuatori della sua opera, in un secondo tempo li mostrava come traditori. La vecchia massima secondo cui la vicinanza al potere è tanto proficua quanto pericolosa, veniva esemplificata in un breve spazio di tempo. Venne sostituito anche un altro dei personaggi menzionati, Francisco Soberón, Presidente della Banca Centrale; uscito dalla porta posteriore, alcuni dicono per scrivere le sue memorie, altri per evitare una castigo pubblico.
Tra le persone citate in quel testo premonitore soltanto tre nomi continuano a essere ancora intoccabili. Uno di loro è José Ramón Machado Ventura, che è diventato addirittura il numero due del regime. Neppure Esteban Lazo è stato esautorato, perché ha appreso bene la lezione di non brillare mai di luce propria. E il terzo dei “sopravvissuti” è lo stesso Raúl Castro. Principale beneficiario del “proclama-testamento”, l’ex Ministro delle Forze Armate è stato anche il più maledetto dal suo contenuto. Infatti sul suo conto finiranno non solo le sue colpe ma anche quelle ereditate dal fratello: le riforme tardive, i licenziamenti di massa, il marabú (pianta infestante, ndt) che continua a prosperare lungo le strade, i tagli ai prodotti di prima necessità, il maledetto bicchiere di latte che non si materializza sulle nostre tavole e un elenco interminabile di altre cose. Uno di questi giorni non mi meraviglierebbe ascoltare un nuovo proclama, in cui il Generale Presidente deleghi i suoi poteri a qualcuno che porta il suo stesso cognome. Il prossimo presidente maledetto della storia nazionale.
24/7/2012
Decine di dissidenti arrestati ai funerali di Payà
Le autorità cubane non si sono fermate neanche nel giorno dell’addio a Oswaldo Payà, il più autorevole difensore dei diritti civili a Cuba morto domenica scorsa in un incidente d’auto che per alcuni è piuttosto sospetto. Gli agenti in borghese si sono presentati davanti alla parrocchia del Salvatore del Mondo, nel quartiere Cerro, quella che era solito frequentare il sessantenne fondatore del Movimento cristiano di liberazione, e hanno arrestato decine di dissidenti davanti agli occhi di centinaia di fedeli e numerosi diplomatici europei che volevano dare l’estremo saluto a un uomo che tanto ha rappresentato. In manette è finito anche Guillermo Farinas, uno dei più estimati esponenti del movimento di opposizione al regime castrista, noto per i suoi numerosi scioperi della fame. Il dissidente nel 2010 ricevette dall’EuroParlamento il premio “Sakharov” per i Diritti Umani e la Libertà di Pensiero, già conferito nel 2002 allo stesso Payà.
Prima dell’inizio della cerimonia funebre la chiesa era già stata circondata dalla polizia che era rimasta impassibile davanti agli slogan anti regime urlati dalla folla. “Era una persona che si batteva sinceramente per migliorare le condizioni della gente cubana” ha detto all’Ap Miriam Leyva, una delle fondatrici del movimento Le donne in bianco. ”Vi prometto che continueremo la nostra lotta per i diritti civili di tutti i cittadini” ha dichiarato un altro dissidente. Molti puntano il dito contro il regime
castrista per un incidente d’auto dai contorni poco chiari. La figlia di Payà, Rosa Maria, avrebbe ricevuto una telefonata in cui il padre le diceva che un altro veicolo stava tentando di buttare fuori strada la vettura su cui viaggiava. La famiglia del defunto ha chiesto un’inchiesta sulle circostanze dell’incidente.
Gli arresti rischiano anche di creare qualche grattacapo con l’Europa alle autorità cubane. La polizia, infatti, sta trattenendo anche l’esponente del movimento giovanile del Pp spagnolo, Angel Carromero, che si trovava a bordo dell’auto di Payá al momento dell’incidente. Lo ha reso noto il portavoce parlamentare del partito del presidente del Consiglio spagnolo Mariano Rajoy sottolineando che a carico del giovane non ci sono accuse.
Payà, fondatore del “Movimento Cristiano Liberazione”, è rimasto alla storia come colui che ha raccolto le firme per il progetto “Varela”, uno dei padri della nazione cubana. Nel 2002 portò lui stesso in Parlamento una proposta di referendum con le firme di diecimila cittadini per reclamare maggiori libertá, a partire dalla libertá di associazione e di espressione. La proposta ovviamente fu affossata e oggi a dieci anni di distanza pochi passi avanti sono stati fatti.
CUBA: la vicenda di Elian Gonzalez il piccolo esule cubano “riprogrammato” da Fidel Castro
Alcuni agenti “armati fino ai denti” prendono di mira un uomo nascosto dietro una porta con un bambino in braccio. Era l'alba del 22 aprile 2000. Questa foto, che fece il giro del mondo e vinse il Premio Pulitzer, incarnava il risultato assurdo di una storia che era cominciata sei mesi prima, quando Elizabeth Brotons si imbarcò con il figlio Elian Gonzàlez, di soli sei anni, su di una precaria barchetta per fuggire dalla sua nativa Cuba verso la Florida, verso l’occidente, verso la libertà.
Una tempesta tropicale pose fine ai suoi sogni. Prima di annegare però riuscì ad ancorare Elian ad una camera d’aria, utilizzandola come un rudimentale salvagente. Così lo trovarono due pescatori americani. Il ragazzo rimase per due giorni alla deriva, con la sola compagnia di alcuni delfini che forse lo protessero da più spiacevoli incontri in mare aperto. Era il 25 novembre, Giorno del Ringraziamento negli Stati Uniti. Si parlò subito di un miracolo.
Elian era stato preso in consegna dal suo zio paterno, Lazaro Gonzalez, che viveva a Miami. Da Cuba, Juan Miguel, nipote di Lazzaro e padre di Elian, rivoleva il ragazzo che, a suo dire, era stato allontanato dall 'isola senza il suo permesso. La controversia familiare si trasformò presto in un'aspra battaglia politica tra L'Avana e Miami. Fidel Castro fece del ragazzo il simbolo della sua lotta “antimperialista” anche se di fatto fu l'amministrazione Clinton ha sostenere il rimpatrio del bambino, e impose ai cubani continue manifestazioni di protesta. Dall’altra parte, a Miami, gli esuli anticastristi organizzavano veglie davanti alla casa di Gonzalez. La faccenda si concluse con un ordine esecutivo del tribunale che impose un rocambolesco quanto eccessivo “salvataggio” del bambino da parte dell’esercito. Il 28 giugno 2000, il piccolo approdò a L'Avana dove Castro poté esibirlo come “orgoglio” di Cuba.
Oggi, a 18 anni, Castro può raccogliere i “frutti” della sua bravata: Elian Gonzalez è un bel giovane di carnagione scura, deciso a dare la vita per la rivoluzione. E' cadetto della Scuola Militare Camilo Cienfuegos ed è un membro di spicco della Lega dei Giovani Comunisti. Lo stesso Fidel Castro gli consegnò la tessera quando compì 14 anni.
Elian vive con il padre, Juan Miguel, la matrigna e due fratelli più piccoli nella sua città natale di Cardenas, a 150 chilometri da L'Avana. Castro sfruttò bene l’occasione mediatica: infatti la vita della famiglia González prese una svolta radicale in seguito a quei fatti. Juan Miguel lasciò il suo lavoro come cameriere ed ottenne un seggio nell'Assemblea del Potere Popolare, il Parlamento cubano. Si trasferirono in una villetta isolata, con tanto di portineria e sorveglianza. Secondo il giornalista cubano Iván García, “Elian vive in una bolla”, circondato da agenti di sicurezza. Per parlare con lui ci vuole un permesso speciale. Insomma qualsiasi cosa è poco per proteggere “l'eroe e l'esempio della gioventù cubana” immaginata da Castro. Paradossalmente quando Elian era a Miami, fu proprio Fidel che, accusò la “mafia” degli esuli di fare il lavaggio del cervello del bambino. “Non abbiamo intenzione di fare nessuna di queste bassezze” affermava pomposamente. “Distruggere la mente di un bambino, cambiandola totalmente per vergognosi fini di propaganda, è peggio della morte fisica” chiosava il supremo “comandante”. E’ ormai tristemente evidente quanto ha fatto lui per contrastare le “conseguenze dannose” che il passaggio per Miami poteva aver lasciato nel piccolo…
Fino al suo pensionamento per motivi di salute nel 2006, Fidel Castro ha persino partecipato a qualche festa di compleanno del suo “Eliansito” a Cardenas e non ha mancato di apparire in più di qualche occasione con il ragazzo e suo padre in parate e commemorazioni di stato.
All'età di 11 anni, Elian è stato fatto parlare alla Tribuna Antimperialista a L'Avana. A 14 anni, ha ricevuto la citata tessera della gioventù comunista. A 15 anni, è entrato a far parte della cosiddetta Battaglia delle Idee, una campagna per rilanciare la rivoluzione, concepita da Castro quando Elian era a Miami. All'età di 16 anni, in coincidenza con il decimo anniversario del suo ritorno, entrò nella scuola militare. “Un decennio dopo esser stato il giocattolo dei nemici della rivoluzione”, ha scritto il quotidiano Juventud Rebelde, “lo vediamo vestito verde oliva, preparandosi per diventare ufficiale delle Forze Armate Rivoluzionarie”. Ancora lo scorso dicembre, in occasione del suo diciottesimo compleanno, Elian ha manifestato per chiedere la restituzione di cinque spie cubane condannate negli Stati Uniti.
Questi dunque i frutti del solerte “zelo rivoluzionario” di un dittatore che ha impiegato gli ultimi dieci anni per neutralizzare il “lavaggio del cervello” occidentale, secondo lui, a cui il piccolo Elian era stato sottoposto. Guarda caso parte di questo “programma di lavaggio cerebrale” comprendeva anche la visita della statua della Madonna di Fatima che lo zio aveva accettato in quei giorni proprio per pregare ed ottenere quella grazia che avrebbe forse tolto un rivoluzionario a Cuba e donato un figlio di Dio alla Chiesa.
Ma non bisogna mai disperare: si dice che ogni tanto il giovane Elian ami tuttora andare a visitare i delfini del vicino delfinario di Cardenas… si sa, il diavolo fa le pentole ma ai coperchi ci pensa il buon Dio.
31/8/2012
Padri e figli
La notizia che la figlia di un vice presidente cubano ha deciso di rimanere a Tampa Pokemon, in questi giorni, il dibattito sulla scissione generazionale di Castro e il "tradimento ideologico" dell'Uomo Nuovo. Si tratta di una polemica che sembrava sempre confuso: "figli di papà", sia mescolare la bile di alcuni, sono sempre stati una parte significativa di una statistica più ampia, questo ampio settore di cubani che hanno scelto di emigrare in cerca di una nuova vita. La colpa politica non è così trasmessa geneticamente, e anche se ci sono casi certamente individuali di aste con l'esilio come un campo di investire denaro e degli interessi del regime, la maggior parte dei "bambini" che ora risiedono al di fuori di Cuba sono persone che semplicemente hanno deciso di rendere la loro vita al di fuori di un sistema fallito.
In realtà, ci sono più o meno il resto degli immigrati cubani Castro della sua generazione. In molti casi, si tratta di una élite istruita per la successione generazionale che non arrivava mai, e dopo aver verificato le loro preferite opportunità di partenza frustrati, spesso da zero altrove.
Cercando di organizzare le mie idee, ho fatto una breve lista di alcuni figli di alti funzionari del governo cubano attualmente vivono al di fuori di Cuba:
Alina Fernandez Revuelta, figlia di Fidel Castro,
Juan Juan Almeida, figlio del comandante Juan Almeida Bosque,
Javier Leal, figlio dello storico del Comune e membro del Comitato Centrale Eusebio Leal Spengler,
Agostino e Ramirito, figli del comandante Ramiro Valdes,
Antonio Luzon, figlio del Maggiore Generale e Vice Presidente del Consiglio dei Ministri Antonio Enrique Luzon Batlle,
Barredo Giosuè, figlio del direttore di Granma , Lázaro Barredo,
Ofelia Crombet, figlia di Jaime Crombet Hernandez-Baquero, membro del Comitato Centrale del PCC,
Ivan Lily e Juan Carlos, figli del ministro José Abrantes, condannato in causa 2/89,
Deborah ed Ernest, figli del generale Leonardo Andollo Ramón Valdés,
Sergio Montané, figlio di Commander Gesù Montane Oropesa;
Yotuhel Montané (prigioniero il traffico di droga), nipote di Gesù Montane Oropesa comandante,
Cynthia, e Romy Mirell Vallejo, comandante René figlie Vallejo,
Alexis e Daisy Rock, figli di Industria alimentare ministro Alejandro Roca Iglesias, in carcere per corruzione,
Ochoa Diana, figlia del generale Arnaldo Ochoa Sanchez, condannato in causa 1/89,
Ileana e Antonio de la Guardia Jr, figli del colonnello Antonio de la Guardia, condannato in causa 1/89,
Ettore Jr, figlio del colonnello Ettore El Guiro Carbonell Mendez condannato in causa 2/89;
Serguera Rachel, figlia del capitano George Papito Serguera,
Diana e Deborah Cuza, figlie dell'ex capo della marina ammiraglio José L. e Cuza Téllez-Girón,
Acacia e Marcos Gomez, i bambini Comandante e Acacia Delio Gómez Ochoa Manduley Sanchez,
Raul, Maria Teresa, e Maria Victoria Piqui: figli di Marta Artecona, MININT colonnello, è morto a Miami,
Gustavo Rodríguez López-Callejas, fratello Luis Alberto Rodriguez Lopez-Callejas e figlio del generale Guillermo Rodriguez del Pozo,
Alexis Padron, figlio di Amado Padron più condannato, causa 1/89;
Jose Pepito Padrón, figlio dell'ex colonnello Ministero dell'Interno e fondatore di CIMEX Corporation, José Luis Padrón,
Camilo Loret de Mola, figlio del colonnello e il Vice Ministro della SIME Gustavo Loret de Mola,
Ivan Lopez, figlio di José López Moreno, ex direttore del JUCEPLAN;
Angelito Machaco Ameijeiras, figlio di Angelo Machaco Amejeiras Delgado;
Tania Ameijeiras, figlia del maggiore Efigenio Ameijeiras Delgado
Carlos, e Niurka Lahite Elisabetta, figlia del colonnello e il tenente colonnello Lahite Daysi Azcano Lopez,
Juan Carlos e Sasha Figueredo, figli del comandante Carlos El ChinoFigueredo Rosales,
Lisa Perez Rottman, figlia Orlando Perez Rodriguez, vice presidente della società CIMEX,
Ramon, Laura, Yoyo e Maria Victoria Ibarra, figli di Kiko Ibarra, vice ministro delle Costruzioni,
Rolando Anello, Anello Capote figlio René, ex vice ministro degli Esteri;
AICEL Gálvez Amaro , figlia del generale di brigata William Galvez Rodriguez,
la figlia di Giuseppe Pepe Ramirez Cruz, fondatore della ANAP, il figlio del comandante Belarmino Castiglia, figlia di Pedro Alvarez, Alimport ...
Questo è-ovviamente-una lista incompleta, che può aiutare i lettori per sempre. Questa caduta nome provoca un po 'di curiosità, perché negare.Ma la cosa veramente interessante sarebbe raccogliere le testimonianze di queste persone, chiedere loro perché hanno lasciato l'isola, se lo spurgo superato contro i genitori, il disincanto del sistema, la necessità per il progresso o per costruire un mondo tutto loro. Come quel famoso romanzo insegna Turgenev, Padri e figli , un divario generazionale spesso nasconde altre coordinate più complessi: un cambiamento di visione del mondo, l'aumento del nichilismo, frustrazioni sentimentali ...
Conto tra i miei amici più figli di ambasciatori, militari, ministri e viceministri. Sono più vicino a Cuba era di avere un post-rivoluzionaria della classe media. Alcuni avevano più facile, ma non me l'esilio è meno legittimo. Dopo tutto, non ho mai creduto in egualitarismo e pensare che nulla è più socialista di risentimento di classe. Le più sottile schiavitù ideologiche che tengono sistemi come Cuba è una questione complessa che merita di essere ridotto alla logica della resa dei conti generazionale.L'esilio di massa è stato anche un modo per temperare, come Yoani Sánchez ha scritto ieri , la furia paterna ideologico di altri tempi. So che ci sono tragedie familiari reali dietro un elenco di nomi e in molti casi i "figli di papà" e semplici "gente comune" sono stati vittime del Leviatano stesso. Sono sorpreso che molte persone preferiscono vedere compiuta quasi nepotismo fatum rivoluzionaria: che i bambini occupano le posizioni dei loro genitori, a giudicare dallo stesso "peccato".
Io, invece, non capiscono o condividere che l'interesse per ricordare la colpa di un cognome o di una educazione privilegiata, preferisco che hanno scelto di lasciare un paese in rovina in cui si immagina un altro più libero, più prospero e più felice.
2/8/2012
Il proclama mortale
Sei anni. Sono accadute tante cose in così poco tempo. Il “Proclama del Comandante in Capo al popolo di Cuba” citava sette nomi, ma soltanto tre sono ancora al loro posto. Come se il testo non avesse rappresentato solo la notizia della malattia di Fidel Castro ma anche una sorta di maledizione lanciata sulle persone menzionate. José Ramón Balaguer, designato dal Presidente convalescente per dirigere il Programma Nazionale e Internazionale di Salute Pubblica, a metà del 2010 ha lasciato quel ministero. Di fronte alla morte di decine di pazienti per fame e freddo nell’Ospedale Psichiatrico dell’Avana, l’insostituibile funzionario è stato trasferito a un altro incarico, forse per evitare che finisse davanti a un tribunale. Un altro dei menzionati, Carlos Lage, ha perso clamorosamente la sua posizione come Segretario del Comitato Esecutivo del Consiglio dei Ministri. Considerato da molti analisti come il possibile successore al “trono cubano”, il suo allontanamento è stato un duro colpo per coloro che scommettevano su una linea riformista all’interno dello stesso governo.
E che dire di Felipe Pérez Roque? Quel proclama - letto diverse volte durante la notte del 31 luglio 2006 - gli affidava il compito di amministrare i fondi dei programmi relativi a salute, educazione ed energia. Erano trascorsi appena venti mesi che già veniva accusato di essersi fatto ammaliare dal “miele del potere”. L’esorcismo del Proclama stava ottenendo il suo effetto contrario: invece di avallare l’ascesa, certificava la caduta. Lo stesso dito che aveva indicato quegli uomini come fedeli continuatori della sua opera, in un secondo tempo li mostrava come traditori. La vecchia massima secondo cui la vicinanza al potere è tanto proficua quanto pericolosa, veniva esemplificata in un breve spazio di tempo. Venne sostituito anche un altro dei personaggi menzionati, Francisco Soberón, Presidente della Banca Centrale; uscito dalla porta posteriore, alcuni dicono per scrivere le sue memorie, altri per evitare una castigo pubblico.
Tra le persone citate in quel testo premonitore soltanto tre nomi continuano a essere ancora intoccabili. Uno di loro è José Ramón Machado Ventura, che è diventato addirittura il numero due del regime. Neppure Esteban Lazo è stato esautorato, perché ha appreso bene la lezione di non brillare mai di luce propria. E il terzo dei “sopravvissuti” è lo stesso Raúl Castro. Principale beneficiario del “proclama-testamento”, l’ex Ministro delle Forze Armate è stato anche il più maledetto dal suo contenuto. Infatti sul suo conto finiranno non solo le sue colpe ma anche quelle ereditate dal fratello: le riforme tardive, i licenziamenti di massa, il marabú (pianta infestante, ndt) che continua a prosperare lungo le strade, i tagli ai prodotti di prima necessità, il maledetto bicchiere di latte che non si materializza sulle nostre tavole e un elenco interminabile di altre cose. Uno di questi giorni non mi meraviglierebbe ascoltare un nuovo proclama, in cui il Generale Presidente deleghi i suoi poteri a qualcuno che porta il suo stesso cognome. Il prossimo presidente maledetto della storia nazionale.
24/7/2012
Decine di dissidenti arrestati ai funerali di Payà
Le autorità cubane non si sono fermate neanche nel giorno dell’addio a Oswaldo Payà, il più autorevole difensore dei diritti civili a Cuba morto domenica scorsa in un incidente d’auto che per alcuni è piuttosto sospetto. Gli agenti in borghese si sono presentati davanti alla parrocchia del Salvatore del Mondo, nel quartiere Cerro, quella che era solito frequentare il sessantenne fondatore del Movimento cristiano di liberazione, e hanno arrestato decine di dissidenti davanti agli occhi di centinaia di fedeli e numerosi diplomatici europei che volevano dare l’estremo saluto a un uomo che tanto ha rappresentato. In manette è finito anche Guillermo Farinas, uno dei più estimati esponenti del movimento di opposizione al regime castrista, noto per i suoi numerosi scioperi della fame. Il dissidente nel 2010 ricevette dall’EuroParlamento il premio “Sakharov” per i Diritti Umani e la Libertà di Pensiero, già conferito nel 2002 allo stesso Payà.
Prima dell’inizio della cerimonia funebre la chiesa era già stata circondata dalla polizia che era rimasta impassibile davanti agli slogan anti regime urlati dalla folla. “Era una persona che si batteva sinceramente per migliorare le condizioni della gente cubana” ha detto all’Ap Miriam Leyva, una delle fondatrici del movimento Le donne in bianco. ”Vi prometto che continueremo la nostra lotta per i diritti civili di tutti i cittadini” ha dichiarato un altro dissidente. Molti puntano il dito contro il regime
castrista per un incidente d’auto dai contorni poco chiari. La figlia di Payà, Rosa Maria, avrebbe ricevuto una telefonata in cui il padre le diceva che un altro veicolo stava tentando di buttare fuori strada la vettura su cui viaggiava. La famiglia del defunto ha chiesto un’inchiesta sulle circostanze dell’incidente.
Gli arresti rischiano anche di creare qualche grattacapo con l’Europa alle autorità cubane. La polizia, infatti, sta trattenendo anche l’esponente del movimento giovanile del Pp spagnolo, Angel Carromero, che si trovava a bordo dell’auto di Payá al momento dell’incidente. Lo ha reso noto il portavoce parlamentare del partito del presidente del Consiglio spagnolo Mariano Rajoy sottolineando che a carico del giovane non ci sono accuse.
Payà, fondatore del “Movimento Cristiano Liberazione”, è rimasto alla storia come colui che ha raccolto le firme per il progetto “Varela”, uno dei padri della nazione cubana. Nel 2002 portò lui stesso in Parlamento una proposta di referendum con le firme di diecimila cittadini per reclamare maggiori libertá, a partire dalla libertá di associazione e di espressione. La proposta ovviamente fu affossata e oggi a dieci anni di distanza pochi passi avanti sono stati fatti.
22/7/2012
Oswaldo Payá Sardiñas muore in un incidente automobilistico.
Muore uno dei più seri, intelligenti e autorevoli dissidenti cubani,fondatore nel 1984 del "Movimento cristiano di Liberazione" e promotore del progetto Varela. L'incidente è accaduto nella provincia di Granma nella località La Gavina a 22 Km da Bayamo. Con lui muore anche un altro cubano, Harold Cepero Escalante nativo di Ciego de Avila, lievemente feriti gli altri due passeggeri stranieri, lo spagnolo Carromero Angelo Barrios e lo svedese Jens Modig Aron che si trovavano a bordo dell'auto.
Chi era Oswaldo Payá Sardiñas: era un uomo che con intelligenza e coraggio aveva osato sfidare la dittatura cubana formulando assieme ai suoi collaboratori quello che è entrato nella storia cubana: il progetto Varela. Una serie di coraggiose richieste e proposte alla dittatura che hanno fatto capire al mondo che esistono cubani capaci di guardare negli occhi chi li opprime.
Questi sono i suoi riconoscimenti:
Premio Andrei Sakharov per i Diritti Umani del parlamento Europeo nel 2002.
Dottore in Legge, honoris causa, Università di Miami, Florida, USA.
Candidato Ufficiale per il premio Nobel della Pace 2011, 2010, 2008, 2003 e 2002.
Premio Homo Homini 1999 Repubblica Ceca.
Premio w. Averell Harriman per la Democrazia 2002, National Democratic Institute.
Medaglia di Manuel Carrasco I Formiguera 2004. Unione democratica di Catalogna.
Premio "Quercia della libertà".
I Premio per i diritti dell'Uomo del 2001 della fondazione ispano cubana.
Dottore Honoris Causa in Legge del 2006. Columbia University.
Dottore Honoris Causa in Legge del 2002. Università di Miami.
Candidato Ufficiale per il Premio Principe delle Asturie Presso il Concordia del 2003.
2003 Premio Università di Esilio.
22/7/2012
Isola di silicone
“Queste me le ha impiantate un dottore durante il suo turno di guardia”, mi racconta mentre si tocca il petto con orgoglio sopra la camicetta. Dopo indica il sedere e fa una smorfia: “questo non è venuto tanto bene perché il chirurgo non era molto pratico”. Quando le chiedo dove ha ottenuto le protesi di silicone che con grande evidenza si notano sul suo corpo, mi risponde che indossa soltanto “cose di marca” e per questo ha chiesto al suo fidanzato italiano di portargliele. “La seconda parte è stata più facile, come sai, è bastato pagare un dottore perché eseguisse l’operazione”. Le confesso di non essere molto preparata su questo argomento, che le sale operatorie mi spaventano e che da diversi anni mi sono abituata alla figura sgraziata che vedo allo specchio. Nonostante tutto, le chiedo maggiori informazioni, e lei mi conferma ciò che intuivo: l’esistenza di una rete illegale di chirurgia plastica localizzata negli stessi centri ospedalieri che prestano cure gratuite.
La pratica è stata potenziata alla fine degli anni Novanta e all’inizio le principali clienti eranojineteras (prostitute d’alto bordo, ndt) i cui fidanzati stranieri si sobbarcavano le spese. Ma adesso si è andata estendendo anche a persone di entrambi i sessi che dispongono delle risorse per ottenere il corpo dei loro sogni. Di solito, entrano in ospedale con una falsa cartella clinica, per qualche malattia di cui in realtà non soffrono e dopo poche ore che sono usciti dalla sala operatoria vengono mandati a casa per la convalescenza. Nei registri ospedalieri non resta traccia di questi interventi chirurgici e una buona parte dei materiali utilizzati vengono acquistati sul mercato nero dallo stesso personale medico. Tutto deve essere fatto nel modo migliore, perché un reclamo potrebbe far venire allo scoperto la rete delle persone coinvolte. La discrezione è fondamentale e raramente il paziente viene seguito per sapere se ha avuto reazioni impreviste. “Siamo tutti adulti, quindi ognuno è responsabile di ciò che può accadere”, ha detto il dottore alla mia amica prima che l’anestesia facesse effetto
A un prezzo che oscilla tra i 750 e i 900 CUC (il valore del CUC è pari al dollaro, ndt), i seni artificiali sono l’operazione più richiesta tra tutta l’ampia gamma di impianti clandestini che vengono praticati. Ci sono siti Internet come Revolico.com dove si possono trovare taglie di ogni tipo e le marche più comuni sono Mentor e Femme. A quel prezzo si dovrà aggiungere “la mano d’opera”, che va dai 500 ai 700 CUC, se si tratta di specialisti affermati in questo tipo di attività. Alcuni principianti lo fanno a prezzi più bassi, ma i risultati lasciano molto a desiderare. Per un chirurgo cubano, il cui salario raggiunge appena l’equivalente di 30 CUC mensili, fare queste operazioni è una tentazione molto forte. Tuttavia, sa che il pericolo di essere scoperto e che gli venga ritirato il diritto a esercitare la medicina è molto alto. Per questo i nostri medici si proteggono entrando a far parte di organizzazioni che comprendono la parte amministrativa e direttiva degli ospedali. Risultano coinvolti operatori di ogni tipo: barellieri, estetiste, infermiere e funzionari della salute pubblica. La cosa peggiore che possa accadere è che qualcuno muoia sul tavolo operatorio; in questo caso si dovrà inventare qualche malattia cronica per giustificare il decesso.
Alcune settimane fa, la blogger Rebeca Monzó ha rivelato in un tweet uno tra i tanti scandali di chirurgia illegale. Lo scenario in questo caso era l’ospedale Calixto García, ma potrebbe essere stata qualunque altra sala operatoria della città. Senza entrare nei particolari dell’accaduto, si parla di un’intera sala clandestina riservata a pazienti stranieri e cubani che potevano permettersi di pagare gli interventi. La voce popolare riferisce che tutto è stato scoperto quando una turista recentemente operata ha avuto un emorragia in aeroporto al momento di uscire da Cuba, ma questa potrebbe essere soltanto una leggenda metropolitana. La sola cosa certa è che come il resto della nostra esistenza, anche la medicina sta vivendo una doppia realtà, due dimensioni distinte. Una è quella dei pazienti che non possiedono risorse per elargire mance o per pagare i dottori e l’altra riguarda coloro che possono permettersi una chirurgia a loro piacimento. Possedere risorse materiali può servire ad accelerare i tempi e ad aumentare la qualità di ogni trattamento; far apparire in tempo il filo di sutura, le radiografie, i medicinali antitumorali.
Tutto comincia regalando una saponetta alla dentista che ci guarisce una carie dentaria fino ad arrivare a una sala sterilizzata dove una straniera pratica un aborto o una cubana si fa innestare un seno artificiale.
8/7/2012
Fidel rimbecillito, lo dice Twitter: scrive solo di compagni morti
A Cuba sospettano che l'ex lider maximo soffra di Alzheimer. La prova? I suoi interventi sono solo sui comunisti del passato Honecker e Deng...
Il paladino dei rivoluzionari rossi sembra sempre più lontano dal presente. La malattia lo avrebbe piegato
Fidel Castro non sta tanto bene e lo rivela Twitter. No, non è una delle tante bufale sulla morte dell'ex lider maximo di Cuba girate sul social network negli ultimi mesi. Questa volta a rivelare le cattive condizioni di salute del paladino del comunismo mondiale sono proprio i tweet che Castro, o chi per lui, pubblicano. Le analisi di Fidel, che a Cuba dicono malato di Alzheimer, sembrano tutti lontanissimi dal presente. Pensati da un uomo ormai schiavo del passato, legato solo ai ricordi e incapace di riflessioni attuali. Tant'è che Castro scrive non di Obama e Putin ma di Erich Honecker, storico presidente della Germania comunista (la Ddr crollò nel 1989 insieme al muro di Berlino, il presidente morì nel 1994), e di Deng Xiaoping, scomparso nel 1997 e pioniere del socialismo cinese del dopo Mao. Insomma, se il socialismo era reale la demenza di Castro lo sarebbe di più.
Oswaldo Payá Sardiñas muore in un incidente automobilistico.
Muore uno dei più seri, intelligenti e autorevoli dissidenti cubani,fondatore nel 1984 del "Movimento cristiano di Liberazione" e promotore del progetto Varela. L'incidente è accaduto nella provincia di Granma nella località La Gavina a 22 Km da Bayamo. Con lui muore anche un altro cubano, Harold Cepero Escalante nativo di Ciego de Avila, lievemente feriti gli altri due passeggeri stranieri, lo spagnolo Carromero Angelo Barrios e lo svedese Jens Modig Aron che si trovavano a bordo dell'auto.
Chi era Oswaldo Payá Sardiñas: era un uomo che con intelligenza e coraggio aveva osato sfidare la dittatura cubana formulando assieme ai suoi collaboratori quello che è entrato nella storia cubana: il progetto Varela. Una serie di coraggiose richieste e proposte alla dittatura che hanno fatto capire al mondo che esistono cubani capaci di guardare negli occhi chi li opprime.
Questi sono i suoi riconoscimenti:
Premio Andrei Sakharov per i Diritti Umani del parlamento Europeo nel 2002.
Dottore in Legge, honoris causa, Università di Miami, Florida, USA.
Candidato Ufficiale per il premio Nobel della Pace 2011, 2010, 2008, 2003 e 2002.
Premio Homo Homini 1999 Repubblica Ceca.
Premio w. Averell Harriman per la Democrazia 2002, National Democratic Institute.
Medaglia di Manuel Carrasco I Formiguera 2004. Unione democratica di Catalogna.
Premio "Quercia della libertà".
I Premio per i diritti dell'Uomo del 2001 della fondazione ispano cubana.
Dottore Honoris Causa in Legge del 2006. Columbia University.
Dottore Honoris Causa in Legge del 2002. Università di Miami.
Candidato Ufficiale per il Premio Principe delle Asturie Presso il Concordia del 2003.
2003 Premio Università di Esilio.
22/7/2012
Isola di silicone
“Queste me le ha impiantate un dottore durante il suo turno di guardia”, mi racconta mentre si tocca il petto con orgoglio sopra la camicetta. Dopo indica il sedere e fa una smorfia: “questo non è venuto tanto bene perché il chirurgo non era molto pratico”. Quando le chiedo dove ha ottenuto le protesi di silicone che con grande evidenza si notano sul suo corpo, mi risponde che indossa soltanto “cose di marca” e per questo ha chiesto al suo fidanzato italiano di portargliele. “La seconda parte è stata più facile, come sai, è bastato pagare un dottore perché eseguisse l’operazione”. Le confesso di non essere molto preparata su questo argomento, che le sale operatorie mi spaventano e che da diversi anni mi sono abituata alla figura sgraziata che vedo allo specchio. Nonostante tutto, le chiedo maggiori informazioni, e lei mi conferma ciò che intuivo: l’esistenza di una rete illegale di chirurgia plastica localizzata negli stessi centri ospedalieri che prestano cure gratuite.
La pratica è stata potenziata alla fine degli anni Novanta e all’inizio le principali clienti eranojineteras (prostitute d’alto bordo, ndt) i cui fidanzati stranieri si sobbarcavano le spese. Ma adesso si è andata estendendo anche a persone di entrambi i sessi che dispongono delle risorse per ottenere il corpo dei loro sogni. Di solito, entrano in ospedale con una falsa cartella clinica, per qualche malattia di cui in realtà non soffrono e dopo poche ore che sono usciti dalla sala operatoria vengono mandati a casa per la convalescenza. Nei registri ospedalieri non resta traccia di questi interventi chirurgici e una buona parte dei materiali utilizzati vengono acquistati sul mercato nero dallo stesso personale medico. Tutto deve essere fatto nel modo migliore, perché un reclamo potrebbe far venire allo scoperto la rete delle persone coinvolte. La discrezione è fondamentale e raramente il paziente viene seguito per sapere se ha avuto reazioni impreviste. “Siamo tutti adulti, quindi ognuno è responsabile di ciò che può accadere”, ha detto il dottore alla mia amica prima che l’anestesia facesse effetto
A un prezzo che oscilla tra i 750 e i 900 CUC (il valore del CUC è pari al dollaro, ndt), i seni artificiali sono l’operazione più richiesta tra tutta l’ampia gamma di impianti clandestini che vengono praticati. Ci sono siti Internet come Revolico.com dove si possono trovare taglie di ogni tipo e le marche più comuni sono Mentor e Femme. A quel prezzo si dovrà aggiungere “la mano d’opera”, che va dai 500 ai 700 CUC, se si tratta di specialisti affermati in questo tipo di attività. Alcuni principianti lo fanno a prezzi più bassi, ma i risultati lasciano molto a desiderare. Per un chirurgo cubano, il cui salario raggiunge appena l’equivalente di 30 CUC mensili, fare queste operazioni è una tentazione molto forte. Tuttavia, sa che il pericolo di essere scoperto e che gli venga ritirato il diritto a esercitare la medicina è molto alto. Per questo i nostri medici si proteggono entrando a far parte di organizzazioni che comprendono la parte amministrativa e direttiva degli ospedali. Risultano coinvolti operatori di ogni tipo: barellieri, estetiste, infermiere e funzionari della salute pubblica. La cosa peggiore che possa accadere è che qualcuno muoia sul tavolo operatorio; in questo caso si dovrà inventare qualche malattia cronica per giustificare il decesso.
Alcune settimane fa, la blogger Rebeca Monzó ha rivelato in un tweet uno tra i tanti scandali di chirurgia illegale. Lo scenario in questo caso era l’ospedale Calixto García, ma potrebbe essere stata qualunque altra sala operatoria della città. Senza entrare nei particolari dell’accaduto, si parla di un’intera sala clandestina riservata a pazienti stranieri e cubani che potevano permettersi di pagare gli interventi. La voce popolare riferisce che tutto è stato scoperto quando una turista recentemente operata ha avuto un emorragia in aeroporto al momento di uscire da Cuba, ma questa potrebbe essere soltanto una leggenda metropolitana. La sola cosa certa è che come il resto della nostra esistenza, anche la medicina sta vivendo una doppia realtà, due dimensioni distinte. Una è quella dei pazienti che non possiedono risorse per elargire mance o per pagare i dottori e l’altra riguarda coloro che possono permettersi una chirurgia a loro piacimento. Possedere risorse materiali può servire ad accelerare i tempi e ad aumentare la qualità di ogni trattamento; far apparire in tempo il filo di sutura, le radiografie, i medicinali antitumorali.
Tutto comincia regalando una saponetta alla dentista che ci guarisce una carie dentaria fino ad arrivare a una sala sterilizzata dove una straniera pratica un aborto o una cubana si fa innestare un seno artificiale.
8/7/2012
Fidel rimbecillito, lo dice Twitter: scrive solo di compagni morti
A Cuba sospettano che l'ex lider maximo soffra di Alzheimer. La prova? I suoi interventi sono solo sui comunisti del passato Honecker e Deng...
Il paladino dei rivoluzionari rossi sembra sempre più lontano dal presente. La malattia lo avrebbe piegato
Fidel Castro non sta tanto bene e lo rivela Twitter. No, non è una delle tante bufale sulla morte dell'ex lider maximo di Cuba girate sul social network negli ultimi mesi. Questa volta a rivelare le cattive condizioni di salute del paladino del comunismo mondiale sono proprio i tweet che Castro, o chi per lui, pubblicano. Le analisi di Fidel, che a Cuba dicono malato di Alzheimer, sembrano tutti lontanissimi dal presente. Pensati da un uomo ormai schiavo del passato, legato solo ai ricordi e incapace di riflessioni attuali. Tant'è che Castro scrive non di Obama e Putin ma di Erich Honecker, storico presidente della Germania comunista (la Ddr crollò nel 1989 insieme al muro di Berlino, il presidente morì nel 1994), e di Deng Xiaoping, scomparso nel 1997 e pioniere del socialismo cinese del dopo Mao. Insomma, se il socialismo era reale la demenza di Castro lo sarebbe di più.
11/6/2012
Yoani Sánchez sfida Mariela Castro
“Non si limiti a offendere ma discuta le sue idee”
Da ben tre settimane Raúl Castro non appare in pubblico. Yoani commenta: «Non ho mai amato un presidente onnipresente come Fidel Castro, ma non mi piace neppure uno che non si fa vedere da giorni e sembra nascondersi per non assumersi il peso delle sue decisioni». In compenso si fa notare Mariela, la figlia psicologa e sessuologa, direttrice del Cenesex, che viaggia negli Stati Uniti, rilascia dichiarazioni, insulta, trincia giudizi, ma non ammette un libero scambio di idee con le persone oggetto dei suoi attacchi. La blogger Yoani Sánchez ha sfidato - per mezzo del suo spazio Twitter - Mariela Castro a sostenere un pubblico dibattito e le ha chiesto di non nascondersi.
Yoani sostiene di essere stata insultata da Mariela nel corso di una recente intervista rilasciata al networktelevisivo statunitense CNN. «Vorrei sapere se la figlia del generale Raúl Castro sa argomentare, oltre che insultare», ha detto. «Ti sfido a sostenere un dialogo civile, a un libero dibattito con scambio di opinioni. Tu sei una psicologa, sai bene cosa intendo! Possiamo incontrarci in una delle nostre case, ma se da te non è possibile, vieni pure a casa mia, sai dove vivo, conosci il mio palazzo costruito in stile jugoslavo», ha aggiunto.
Yoani ha detto che Mariela l’ha definita “mercenaria”, anche se non è stata mai condannata da nessun tribunale cubano. «È facile attaccare verbalmente per poi andare a nascondersi dietro il padre», ha concluso. Yoani sta lavorando all’organizzazione del “Festival Clic”, sul rapporto Internet – cittadinanza cubana, e per questo ha invitato Mariela a partecipare. Il Festival si svolgerà all’Avana a partire dal 21 giugno, con l’obiettivo di rafforzare l’uso e lo sviluppo di internet nella società cubana.
27/3/2012
Il Pontefice accolto a Cuba da grida contro comunismo. Fuoriprogramma per Benedetto XVI, accolto da 200mila fedeli.. Forse incontrerà Fidel Castro. Il regime mette in galera 150 oppositori
Fuoriprogramma, ieri, per Papa benedetto XVI all'arrivo all'aeroporto di Santiago de Cuba. Poco dopo lo sbarco dall'aereo e l'accoglienza di Raul Castro, Ratzinger è stato avvicinato da un uomo che ha urlato frasi contro il comunismo, prima di essere allontanato di peso dagli uomini della sicurezza cubana. Il Pontefice non è mai stato in pericolo.
Guarda il video su LiberoTv: Uomo contesta il Papa
Davvero, come hanno fatto intendere sia il Vaticano che l’episcopato cubano, Fidel Castro chiederà un incontro a Benedetto XVI? Davvero, come ha fatto intendere la figlia naturale, ribelle e in esilio Alina Fernández, Fidel coglierebbe l’occasione per manifestare al mondo la più spettacolare delle conversioni? Davvero, come hanno fatto intendere alcuni dei blogger pro-regime che il governo dell’Avana ha avuto cura di far nascere per controbattere i blogger dissidenti stile Yoani Sánchez, Fidel cercherebbe di imbucare nell’incontro anche il suo amico Hugo Chávez, tornato sull’isola per nuove sedute di cura al suo sempre più misterioso male? Tante le speculazioni, su fatti clamorosi che potrebbero accadere, con la visita del Pontefice a Cuba. Una, la certezza: il regime continua ad arrestare a tutto spiano! Almeno 50 persone sono state detenute nella regione attorno Santiago, primo scalo di Benedetto XVI, secondo le denunce della Damas de Blanco della città e del gruppo del dissenso Unione Patriottica di Cuba. E almeno 150 persone in tutta l’isola, secondo la Commissione dei Diritti Umani e Riconciliazione Nazionale di Elizardo Sánchez.
Il Papa, all’arrivo sull’isola, ha ricordato la visita del suo predecessore Giovanni Paolo II e sottolineato la necessità di fare nuovi passi avanti verso la libertà: «Uno dei frutti migliori di quella visita fu l’inaugurazione di una nuova fase nelle relazioni tra Chiesa e stato cubano, anche se rimangono ancora molti aspetti nei quali si può e si deve avanzare». Nel suo discorso, pronunciato accanto a Raul Castro, Ratzinger si è detto «convinto che Cuba sta già guardando al domani e si sforza di rinnovare e ampliare i suoi orizzonti». Dicendo di arrivare come «pellegrino della carità», il papa promette di «portare nel mio cuore le giuste aspirazione e i legittimi desideri di tutti i cubani». Raul Castro, nel suo discorso di benvenuto, sottolinea che «Cuba sta cambiando» e tuona contro l’embargo «economico, politico e mediatico» americano.
I 150 dissidenti in galera, in ogni caso, rischiano di gettare un’ombra sul viaggio di Benedetto XVI. Va detto che era stato in qualche modo il dissenso ad aprire le ostilità, non solo il Premio Sakharov 2010 Guillermo Fariñas aveva chiesto al Papa di non venire se non gli fosse stato possibile parlare liberamente e incontrarsi con gli oppositori, ma due settimane fa un gruppo di 13 militanti del dissidente Partito Repubblicano di Cuba aveva occupato una chiesa dell’Avana per chiedere la liberazione dei prigionieri politici, la fine della repressione, l’aumento dei salari e delle pensioni, e che Benedetto XVI si incontrasse con esponenti del dissenso. Lo stesso cardinale Ortega, ex-detenuto dei campi di lavoro del regime, aveva chiesto alle autorità di intervenire, la polizia aveva sgomberato la chiesa in 10 minuti, e l’episcopato aveva accusato alcuni gruppi del dissenso di voler approfittare del viaggio pastorale per fare provocazioni.
Ma va detto pure che l’altro Premio Sakharov Oswaldo Payá aveva detto che per lui Benedetto XVI è comunque il benvenuto, e sia Marta Beatríz Roque Cabello che Yoani Sánchez si erano dette contro la trasformazione delle chiese in luoghi di lotta politica. A quel punto, però, il regime non ha fatto distinzioni tra i vari settori del dissenso, e si è messo a fare retate. All’inizio delle Damas de Blanco, di cui una settantina sono state rilasciate e poi liberate una settimana fa. E adesso, dopo che il Papa in aereo ha detto che «il marxismo non corrisponde più alla realtà», sono repressioni generalizzate. Obiettivo: impedire che i dissidenti possano recarsi alle messe col Papa, agitando magari qualche cartello imbarazzante. Anche a chi non è stato arrestato sono arrivati avvertimenti precisi della polizia, a starsene chiusi in casa in questi giorni.
23/3/2012
Cuba: Amnesty, aumentate persecuzioni e arresti attivisti e giornalisti
''Un profondo aumento dei casi di persecuzione e di detenzione di attivisti politici, giornalisti e blogger negli ultimi 24 mesi''. E' la denuncia contenuta nel nuovo rapporto reso pubblico oggi, intitolato ''Repressione ordinaria: persecuzione e brevi periodi di carcere politico a Cuba'' di Amnesty International. Secondo la Commissione cubana per i diritti umani e la riconciliazione nazionale, si legge nel rapporto, ''da gennaio a settembre del 2011 vi sono stati 2784 casi di violazione dei diritti umani, per lo piu' brevi periodi di carcere per i dissidenti, ossia 710 casi in piu' rispetto all'intera durata del 2010. Dal marzo scorso, oltre 65 giornalisti indipendenti sono stati imprigionati, nella maggior parte dei casi piu' di una volta''.
''Le tattiche sono cambiate, ma la repressione e' forte come sempre' - ha dichiarato Gerardo Ducos, ricercatore su Cuba di Amnesty International -. Dopo i rilasci di massa dei prigionieri di coscienza nel 2011, le autorita' hanno affilato la loro strategia per zittire il silenzio perseguitando attivisti e giornalisti con brevi periodi di carcere e azioni pubbliche di ripudio''.
Le autorita' cubane, prosegue ancora Amnesty, ''non tollerano alcuna critica alle politiche di stato al di fuori degli spazi istituzionali che sono sotto i controllo del governo.
Le leggi in materia di 'disordini pubblici', 'disprezzo', 'mancanza di rispetto', 'pericolosita'' e 'aggressione' sono usate per perseguitare gli oppositori. Nessuna organizzazione politica o per i diritti umani puo' ottenere il riconoscimento legale.
Gli attivisti per i diritti umani e i giornalisti indipendenti sono trattenuti per periodi che variano dalle poche ore ad alcuni giorni, nelle stazioni di polizia come nei centri di detenzione, dove spesso subiscono interrogatori, intimidazioni, minacce e, in alcuni casi, anche pestaggi. In molti casi, le autorita' non informano le famiglie sulle ragioni dell'arresto o sul luogo di detenzione dei loro cari''.
L'organizzazione fa qualche esempio: ''I fratelli Antonio Michel e Marcos Ma'iquel Lima Cruz, attivisti per i diritti umani, sono in carcere dal 25 dicembre 2010, quando vennero arrestati da funzionari del dipartimento per la Sicurezza dello stato nella citta' di Holgui'n per aver cantato brani che criticavano la mancanza di liberta' d'espressione nel paese. Nel maggio 2011, dopo un processo sommario, i due fratelli sono stati condannati a due e a tre anni per aver rispettivamente ''insultato i simboli della madrepatria' e ''disordini pubblici'. Antonio Michel Lima Cruz ha problemi alla prostata e non starebbe ricevendo cure mediche adeguate.
Potrebbe anche essere posto in liberta' condizionata, poiche' ha gia' scontato oltre la meta' della condanna, ma le autorita' non hanno risposto alle richieste dell'avvocato e della famiglia''.
Amnesty International ha adottato i fratelli Lima Cruz come ''prigionieri di coscienza'' e chiede ''il loro immediato e incondizionato rilascio. Altri ''prigionieri di coscienza' sono gli attivisti per i diritti umani Yasmin Conyedo Rivero'n e suo marito Yusmani Ra'fael Alvarez Esmori, in carcere dall'8 gennaio 2012 con la pretestuosa accusa di ''violenza o intimidazione' contro un pubblico ufficiale. Il giornalista dell'Avana Jose' Alberto Alvarez Bravo e' stato imprigionato 15 volte dall'aprile all'ottobre 2011. In uno di questi arresti, il 12 luglio, i funzionari della Sicurezza hanno sequestrato il suo computer, una chiavetta Usb, una camera digitale, libri e documenti. E' rimasto in prigione oltre 72 ore''.
''La repressione nei confronti dei diritti umani - conclude Ducos - sta peggiorando. Vogliamo che gli attivisti siano in grado di svolgere il loro legittimo lavoro senza timore di rappresaglie''.
19/3/2012
Ex agente Cia: Fidel Castro sapeva dell'omicidio Kennedy
Fidel Castro sapeva che Lee Harvey Oswald voleva assassinare il Presidente Usa John F. Kennedy e non fece nulla per fermarlo. E' quanto ha scritto un ex agente della Cia per l'America Latina, Brian Latell, nel libro 'Castro's Secrets: The Cia and Cuba's Intelligence Machine', che sarà pubblicato il prossimo mese.
Nel testo, Latell scrive che la mattina del 22 novembre 1963, il giorno in cui Kennedy venne ucciso a Dallas, Castro ordinò all'intelligence cubana all'Avana di sospendere ogni attività e di concentrarsi su "ogni piccolo dettaglio, anche il più insignificante, proveniente dal Texas". Secondo l'ex agente della Cia, il leader cubano sapeva che Oswald, a cui era stato negato un visto per Cuba, aveva detto al personale dell'Ambasciata di Città del Messico che avrebbe ucciso Kennedy per dare prova della sua fedeltà alla causa comunista. "Fidel conosceva le intenzioni di Oswald e non fece nulla per fermarlo", ha scritto nel libro.
In un'intervista rilasciata al Miami Herald, Latell ha precisato di aver raccolto le informazioni da interviste a ex agenti dell'intelligence cubana e da documenti Usa classificati. "Non dico che fu Fidel Castro a ordinare l'omicidio. Non dico che Oswald fosse guidato da lui. Potrebbe essere, ma non sostengo questo, perchè non ho trovato alcuna prova - ha precisato - tutto quello che ho scritto è confermato da documenti e fonti. Fidel voleva Kennedy morto? Sì. Temeva Kennedy. E sapeva che Kennedy voleva farlo fuori. Probabilmente, per Fidel si trattava di autodifesa".
19/3/2012
Cuba,dissidenti in manette
Sono almeno 70 gli attivisti del gruppo "Dame in bianco" arrestati a Cuba lo scorso fine settimana, a una settimana dalla visita papale Sono almeno 70 gli attivisti del gruppo 'Dame in bianco' arrestati a Cuba lo scorso fine settimana, a una settimana dalla visita nel Paese di Papa Benedetto XVI.
A una settimana dalla visita di Benedetto XVI, la polizia cubana ha disperso una manifestazione dei parenti dei prigionieri politici e ha arrestato oltre 50 attivisti. La manifestazione era tenuta dalle 'Dame in bianco', che hanno denunciato l'arresto di loro 33 attiviste, tra cui la leader Berta Soler, avvenuto mentre lasciavano la sede dell'organizzazione per recarsi alla messa domenicale. Altre 20 persone sono poi state arrestate durante la manifestazione, perchè non avevano rispettato il percorso abituale delle loro proteste settimanali. Le Dame in bianco, insignite del premio Sakharov per la pace, chiedono la liberazione dei prigionieri politici, tra cui figurano i loro coniugi o compagni. Di solito, le attiviste partecipano insieme alla messa della domenica, quindi manifestano per chiedere il rilascio dei detenuti. I dissidenti hanno moltiplicato le loro iniziative all'Avana in vista della prossima visita del Pontefice, in programma dal 26 al 28 marzo.
13/3/2012
Le folli spese di Yoani
È in atto una campagna mediatica contro lo spazio Twitter di Yoani per tentare di dimostrare che le oltre 214.000 persone che la seguono sul popolare social network, sarebbero frutto di denaro e tecnologia.Il regime continua la sua crociata contro Yoani Sánchez con il solo scopo di gettare discretito sulla famosa blogger. Salim Lamrani - uno specialista della materia - torna a colpire ancora come longa manus governativa e pubblica un articolo sul giornale messicano La Jornada, sul tema Yoani Sánchez e Twitter. Questo articolo ha dato origine a una campagna mediatica sul popolare social network, animata dalle brigate di risposta cibernetica di regime, sotto l’etichetta #YoaniFraude.
Non è la prima volta che il nostro Lamrani tenta di diffamare la blogger, ma ormai sono poche le persone intelligenti disposte a credere ai cani da guardia del sistema castrista, pseudogiornalisti che inventano le peggiori favole e danno credito alle cose più assurde, a uso e consumo dei convinti assertori del regime. La campagna mossa contro Yoani pretenderebbe di dimostrare che le oltre 214.000 persone iscritte al suo spazio Twitter sono state ottenute investendo denaro e tecnologia.
Lamrani calcola che per la quantità di messaggi che Yoani manda ogni mese potrebbe spendere circa 400 CUC (CUC = peso convertibile, moneta turistica parificata al dollaro). Questo è il prezzo che il governo cubano fa pagare ai suoi cittadini per usare una tecnologia probita, per motivi non certo ideologici ma economici. Yoani ha molte persone che la seguono e - quando serve - ci sono sostenitori disposti a ricaricarle il telefono mobile. Inoltre la blogger lavora come giornalista per numerosi media sparsi per il mondo (La Stampa, Internazionale,El Pais...) e ha pubblicato alcuni libri dai quali riceve regolari royalties. I castristi non sono avvezzi alla modernità, alle associazioni di liberi cittadini, alla simpatia che nasce da una condivisione di idee e alle conseguenze economiche di un lavoro retribuito. Preferiscono parlare come sempre di un complotto della CIA. Finisce sempre così, quando non sanno cosa dire e non riescono a spiegare una situazione, mettono di mezzo la CIA e l’Impero.
Tra gli argomenti sorprendenti che usano i castristi c’è il fatto che Yoani segue gli spazi Twitter di molte persone iscritte al suo sito. Come fa? Serve molto tempo di connessione..., dicono. Non è vero, perchè è possibile farlo gratis e in forma automatica usando semplici applicazioni che si trovano sul mercato. Non si deve pagare niente per attivare l’opzione che permette di ricevere gli aggiornamenti delle persone che ti seguono.
A Cuba si investe tempo e denaro per far muovere nelle reti sociali alcuni profili di personaggi chiave del regime, ma per il momento nessuno ha superato gli iscritti allo spazio Twitter di Yoani Sánchez. Fidel Castro conta 190.000 persone, ma l’autrice di Generación Y può guardarlo dall’alto in basso. Raúl Castro, conta solo 10.400 fan e la figlia Mariela appena 6.000. Yoani Sánchez riunisce più persone che seguono i suoi post di Fidel, Raúl e Mariela Castro messi insieme.
Il regime sta cercando di screditare il consenso e l’interesse che si registra intorno alla figura di Yoani con manovre propagandistiche come questo assalto cibernetico denominato #YoaniFraude che può convincere solo i castristi più convinti.
10/2/2012
Cuba, no al visto d'uscita per Yoani
La blogger: "Non mi sorprendono"
L'Avana per la 19esima volta non concede il permesso. Il governo cubano è tornato a negare il permesso di uscita dal paese a Yoani Sánchez, che in questa occasione lo aveva chiesto per recarsi in Brasile dove era stata invitata alla presentazione di un documentario.
La stessa blogger ha reso noto tramite Twitter questo diciannovesimo rifiuto a una richiesta di concessione di permesso per uscire dal suo paese. «Nessuna sorpresa. Continuano a negarmi il permesso di uscita», scrive Yoani Sánchez. Yoani Sánchez era stata invitata dal regista Claudio Galvao da Silva, autore di Conexión Cuba-Honduras, documentario che affronta il tema della repressione della libertà di espressione nell’isola caraibica e durante il colpo di Stato che nel 2009 depose il presidente honduregno Manuel Zelaya. La blogger aveva inviato una lettera alla presidentessa brasiliana, Dilma Rousseff, per chiedere di intercedere con Raúl Castro, ma non è servita a niente.
I motivi economici che legano i due paesi sono stati più importanti delle idee socialdemocratiche della Rousseff. Il Brasile ha concesso il visto di ingresso alla blogger, ma il governo cubano non ha seguito lo stesso ragionamento. Yoani ha continuato a protestare su Twitter: «A che serve costruire un porto grande e moderno come quello di Mariel (con capitale brasiliano, nda) se non potremo usarlo liberamente? Hanno arrestato di nuovo Guillermo Fariñas - premio Sacharov 2010 - il nostro governo segue la stesa routine, nella repressione dei diritti e nel negare il permesso di uscita. Raúl Castro è in viaggio verso il Venezuela e a me non mi lasciano viaggiare. Cose tipiche del totalitarismo! Mi sento come una persona sequestrata da qualcuno che non ascolta e che non dà spiegazioni. Il nostro governo indossa un passamontagna e tiene la pistola alla cintura. Non conosce l’articolo 13 della Dichiarazione dei Diritti Umani. Ringrazio tutti coloro che hanno inviato messaggi di solidarietà dopo questo nuovo divieto di viaggiare deciso dal governo».
29/1/2012
IL Brasile concede il visto a Yoani Sànchez
La blogger cubana Yoani Sánchez (nella foto), nota per le sue posizioni di critica al governo Castro, spera che la presidente brasiliana Dilma Rousseff, da lunedì a Cuba per una visita ufficiale, la aiuti ad ottenere finalmente il permesso di viaggiare all’estero. La ragazza è attesa per il prossimo 10 febbraio a Bahia per presentare un documentario sulla libertà di stampa girato dal cineasta brasiliano Dado Galvao in cui compare anche lei. Il ministero degli Esteri brasiliano le ha già concesso il visto ma, per poter partire, è necessaria anche la tarjeta blanca, la lettera indispensabile ai cubani per passare ai controlli, anche solo per un breve viaggio. Yoani ha presentato la richiesta, come decine di altre volte: «Mi hanno detto che la risposta arriverà venerdì della prossima settimana», ha scritto lei ieri pomeriggio su Twitter (@yoanisanchez). Finora non ha mai funzionato. Dal 2004 ad oggi sono stati 18 i visti rifiutati.
Stavolta le circostanze potrebbero però giocare a suo favore. Sánchez nei giorni scorsi aveva consegnato una lettera all'ambasciata brasiliana all’Avana indirizzata a Dilma Rousseff. “Adesso aspetto una risposta” aveva fatto sapere su Twitter. E un primo segnale è arrivato con la concessione del visto da parte delle autorità brasiliane. Ma ora bisogna vedere se Rousseff sarà disposta a fare di più. La presidente arriverà lunedì prossimo, accompagnata da vari ministri. Incontrerà Raul Castro e forse anche Fidel. Il tema del viaggio è di carattere economico, il nuovo porto di Mariel che verrà finanziato con capitale pubblico brasiliano. Ma l’erede di Lula potrebbe essere più sensibile al tema dei diritti umani di quanto lo fosse l’ex presidente, amico storico della Revolución. Nell’ultimo anno la diplomazia brasiliana si è allontanata da posizioni troppo morbide con l’Iran o il Venezuela di Chávez.
Negli ultimi giorni organizzazioni di dissidenti, come le Damas de Blanco, hanno chiesto un incontro a Rousseff. O almeno una parola sulla repressione del dissenso che continua, alternando aperture (le recenti scarcerazioni) e nuovi drammi, come la morte per sciopero della fame di un altro detenuto, pochi giorni fa. Difficile però che il Brasile compia un gesto così clamoroso, mai fatto da nessun capo di Stato estero durante una visita ufficiale. Ma la presidente potrebbe, invece, premere dietro le quinte perché a Yoani venga permesso di andare in Brasile. Nessuno ci perderebbe la faccia. Come andrà a finire lo sapremo solo nei prossimi giorni.
22/1/2012
Ma quale Cuba libera qui si muore di dittatura
Una certa sinistra è ancora invaghita del decadente sogno castrista. Ma dietro le aperture del regime, c’è oppressione e miseria ideologicaAll'inizio di gennaio era toccato a René Cobas, 46 anni, dissidente cubano in carcere, colto da infarto mentre faceva lo sciopero della fame. Adesso arriva la notizia della morte di Wilmar Villar, 31 anni, anche lui detenuto politico: era giunto al suo 50° giorno di digiuno…
È invece viva e vegeta, per fortuna, Yoani Sanchez, la blogger di Generacion Y che Time ha incluso nelle 100 personalità più influenti del pianeta. Tanto influente in patria non deve essere, visto che negli ultimi quattro anni il governo cubano le ha negato per 18 volte il visto per uscire dal Paese... L'ultimo divieto è di questi giorni, nonostante le aperture natalizie del presidente Raùl Castro in materia di espatrio.
Resta in carcere, infine, l'americano Alan Gross, condannato a 15 anni per crimini contro lo Stato: avrebbe aiutato la comunità ebraica cubana a installare una rete Internet «controrivoluzionaria».
Ogni volta che Cuba torna ala ribalta della cronaca, si ha la sensazione del deja vu: da un lato i sostenitori della piccola «isola rivoluzionaria» impegnata a difendere il proprio comunismo nazionale dal vorace e vicino capitalismo yankee forte del suo embargo economico; dall’altro i critici dell’ultimo «gulag» ancora esistente, con gli oppositori sbattuti in galera, la censura e le condanne a morte, la caccia agli omosessuali, la crisi economica per incapacità politica. È davvero così?
Al museo Alejandre de Humboldt, nell’Avana vecchia, fa bella mostra di sé la replica di un dinosauro di cinque metri di altezza e dodici di larghezza ritrovato nel 2001 da paleontologi messicani nel deserto di Coahuila. Castro (Fidel come Raùl) è come quel dinosauro, solo che è un originale e non una copia, un dinosauro immerso nella sua era, alla sua era sopravvissuto. Politicamente a Cuba non c’è il comunismo di Fidel (o di Raùl), ma il fidelismo (e ora il raulismo) del comunismo. Fidel Castro è stato ed è un caudillo latino-americano che si servì del comunismo, inteso come alleanza con l’Urss, per rafforzare e mantenere il potere.
Era un’alleanza per certi versi obbligata, non tanto e non solo dalle circostanze internazionali, ma soprattutto perché una partnership di quel genere era l’unica che potesse far fronte alla incapacità economica da un lato, al pericolo di una contestazione politica dall'altro. «Il costo economico della Cuba castrista - ha scritto Carlos Franqui nell’autobiografico Cuba, la rivoluzione: mito o realtà? - era mostruoso, ma Cuba era il cavallo di Troia del comunismo in America latina, in Africa e nel Terzo mondo, sosteneva il movimento di guerriglia, le guerre africane e costituiva una formidabile piattaforma militare e spionistica a novanta miglia dal territorio degli Stati Uniti. La vita era austera, ma non insopportabile. Dal punto di vista materiale, il crollo del sistema sovietico ha privato i cubani di tutto».
Per chi nel 1959 aveva ereditato un’economia solida, come Castro stesso si era vantato dicendo di aver fatto «una rivoluzione senza esercito, contro l'esercito, in assenza di una crisi economica», non è un bel risultato.
Quello che oggi resta è una gerontocrazia, età media 75 anni, una crisi profonda quanto irreversibile del sistema, l’ipotesi di una «via cinese» (liberalizzazioni, capitalismo di Stato eccetera), ma anche quella di una seconda Haiti, un malcontento generale, o anche una apatia, l'aver fame di tutto, ma non credere in niente, la vita come diffidenza.
Non è un caso che in quella che è stata chiamata la «narrativa del disincanto», ovvero la Cuba narrata dagli scrittori cubani che a Cuba sono rimasti, non se ne sono andati, ad emergere è un’isola colta nella sua glaciazione politica ed ebollizione umana: emarginati, prostitute, arrivisti, mendicanti, emigranti (balseros che se ne vanno e gusanos che ritornano), pazzi, drogati e soprattutto omosessuali (di ogni sesso e tendenza), quasi tutti segnati da scetticismo, scoramento, e a volte dallo squallore più amaro…
La rivoluzione, insomma, è andata a fondo e ciò che rimane a galla sono i relitti del sistema da un lato, i naufraghi dal fallimento dall'altro. Chi si aggrappa ai primi difende lo status quo, non un’idea, chi nuota fra i secondi si preoccupa semplicemente di non affogare. Ciò rende impossibile qualsiasi relazione che vada al di là di una semplice constatazione dei rapporti: chi ancora detiene il controllo ha smesso da tempo di credere nell’indottrinamento, nella convinzione e nell’esempio come arma del consenso, chi ne è succube è consapevole che è comunque il tempo a lavorare in suo favore e si accontenta di durare.Sopravvivere è il suo modo di combattere.
Via via, dunque, che l’attualità da raccontare si rivela sempre piùprivata e sempre meno pubblica, ovvero si finisce per considerare la res publica come un altro da sé reale, ma non essenziale, l’orizzonte intellettuale si restringe, si fa narcisistico-individuale, non riesce più a essere costitutivo di un’epoca, di una società, di una classe sociale. Negli anni Sessanta, quando Cuba era ancora un esempio e per certi versi un modello, lo scrittore Alejo Carpentier aveva osservato che «nella maggior parte dei romanzi di Balzac i personaggi sono tutti segnati dagli eventi della loro epoca.
Tutti vivono in funzione di qualcosa che è accaduto: la rivoluzione, il crollo dell'impero, la restaurazione della monarchia, i fermenti rivoluzionari». Cinquant’anni dopo, questa sorta di balzacchismo fatto di illusioni perdute, illusioni disattese, illusioni rubate, illusioni sbagliate, ha lasciato il posto all’assenza, più che alla fine delle illusioni stesse: ciò che resta è l'accettazione di una sorta di limbo contemporaneo in cui rifarsi al passato è impossibile, criticare il presente è vietato, sognare un futuro è velleitario e in fondo inutile, perché non c’è nulla su cui farlo poggiare.
Il fatto che ancora oggi Cuba possa esercitare un fascino indipendente dalla miseria politico-ideologica, dalla sua pratica quotidiana, dall'anacronismo di una satrapia familiare cinquantennale, dal contrasto stridente fra una teoria libertaria e una prassi concentrazionaria, la dice lunga sull’incapacità in una certa sinistra di fare i conti con la realtà.
Yoani Sánchez sfida Mariela Castro
“Non si limiti a offendere ma discuta le sue idee”
Da ben tre settimane Raúl Castro non appare in pubblico. Yoani commenta: «Non ho mai amato un presidente onnipresente come Fidel Castro, ma non mi piace neppure uno che non si fa vedere da giorni e sembra nascondersi per non assumersi il peso delle sue decisioni». In compenso si fa notare Mariela, la figlia psicologa e sessuologa, direttrice del Cenesex, che viaggia negli Stati Uniti, rilascia dichiarazioni, insulta, trincia giudizi, ma non ammette un libero scambio di idee con le persone oggetto dei suoi attacchi. La blogger Yoani Sánchez ha sfidato - per mezzo del suo spazio Twitter - Mariela Castro a sostenere un pubblico dibattito e le ha chiesto di non nascondersi.
Yoani sostiene di essere stata insultata da Mariela nel corso di una recente intervista rilasciata al networktelevisivo statunitense CNN. «Vorrei sapere se la figlia del generale Raúl Castro sa argomentare, oltre che insultare», ha detto. «Ti sfido a sostenere un dialogo civile, a un libero dibattito con scambio di opinioni. Tu sei una psicologa, sai bene cosa intendo! Possiamo incontrarci in una delle nostre case, ma se da te non è possibile, vieni pure a casa mia, sai dove vivo, conosci il mio palazzo costruito in stile jugoslavo», ha aggiunto.
Yoani ha detto che Mariela l’ha definita “mercenaria”, anche se non è stata mai condannata da nessun tribunale cubano. «È facile attaccare verbalmente per poi andare a nascondersi dietro il padre», ha concluso. Yoani sta lavorando all’organizzazione del “Festival Clic”, sul rapporto Internet – cittadinanza cubana, e per questo ha invitato Mariela a partecipare. Il Festival si svolgerà all’Avana a partire dal 21 giugno, con l’obiettivo di rafforzare l’uso e lo sviluppo di internet nella società cubana.
27/3/2012
Il Pontefice accolto a Cuba da grida contro comunismo. Fuoriprogramma per Benedetto XVI, accolto da 200mila fedeli.. Forse incontrerà Fidel Castro. Il regime mette in galera 150 oppositori
Fuoriprogramma, ieri, per Papa benedetto XVI all'arrivo all'aeroporto di Santiago de Cuba. Poco dopo lo sbarco dall'aereo e l'accoglienza di Raul Castro, Ratzinger è stato avvicinato da un uomo che ha urlato frasi contro il comunismo, prima di essere allontanato di peso dagli uomini della sicurezza cubana. Il Pontefice non è mai stato in pericolo.
Guarda il video su LiberoTv: Uomo contesta il Papa
Davvero, come hanno fatto intendere sia il Vaticano che l’episcopato cubano, Fidel Castro chiederà un incontro a Benedetto XVI? Davvero, come ha fatto intendere la figlia naturale, ribelle e in esilio Alina Fernández, Fidel coglierebbe l’occasione per manifestare al mondo la più spettacolare delle conversioni? Davvero, come hanno fatto intendere alcuni dei blogger pro-regime che il governo dell’Avana ha avuto cura di far nascere per controbattere i blogger dissidenti stile Yoani Sánchez, Fidel cercherebbe di imbucare nell’incontro anche il suo amico Hugo Chávez, tornato sull’isola per nuove sedute di cura al suo sempre più misterioso male? Tante le speculazioni, su fatti clamorosi che potrebbero accadere, con la visita del Pontefice a Cuba. Una, la certezza: il regime continua ad arrestare a tutto spiano! Almeno 50 persone sono state detenute nella regione attorno Santiago, primo scalo di Benedetto XVI, secondo le denunce della Damas de Blanco della città e del gruppo del dissenso Unione Patriottica di Cuba. E almeno 150 persone in tutta l’isola, secondo la Commissione dei Diritti Umani e Riconciliazione Nazionale di Elizardo Sánchez.
Il Papa, all’arrivo sull’isola, ha ricordato la visita del suo predecessore Giovanni Paolo II e sottolineato la necessità di fare nuovi passi avanti verso la libertà: «Uno dei frutti migliori di quella visita fu l’inaugurazione di una nuova fase nelle relazioni tra Chiesa e stato cubano, anche se rimangono ancora molti aspetti nei quali si può e si deve avanzare». Nel suo discorso, pronunciato accanto a Raul Castro, Ratzinger si è detto «convinto che Cuba sta già guardando al domani e si sforza di rinnovare e ampliare i suoi orizzonti». Dicendo di arrivare come «pellegrino della carità», il papa promette di «portare nel mio cuore le giuste aspirazione e i legittimi desideri di tutti i cubani». Raul Castro, nel suo discorso di benvenuto, sottolinea che «Cuba sta cambiando» e tuona contro l’embargo «economico, politico e mediatico» americano.
I 150 dissidenti in galera, in ogni caso, rischiano di gettare un’ombra sul viaggio di Benedetto XVI. Va detto che era stato in qualche modo il dissenso ad aprire le ostilità, non solo il Premio Sakharov 2010 Guillermo Fariñas aveva chiesto al Papa di non venire se non gli fosse stato possibile parlare liberamente e incontrarsi con gli oppositori, ma due settimane fa un gruppo di 13 militanti del dissidente Partito Repubblicano di Cuba aveva occupato una chiesa dell’Avana per chiedere la liberazione dei prigionieri politici, la fine della repressione, l’aumento dei salari e delle pensioni, e che Benedetto XVI si incontrasse con esponenti del dissenso. Lo stesso cardinale Ortega, ex-detenuto dei campi di lavoro del regime, aveva chiesto alle autorità di intervenire, la polizia aveva sgomberato la chiesa in 10 minuti, e l’episcopato aveva accusato alcuni gruppi del dissenso di voler approfittare del viaggio pastorale per fare provocazioni.
Ma va detto pure che l’altro Premio Sakharov Oswaldo Payá aveva detto che per lui Benedetto XVI è comunque il benvenuto, e sia Marta Beatríz Roque Cabello che Yoani Sánchez si erano dette contro la trasformazione delle chiese in luoghi di lotta politica. A quel punto, però, il regime non ha fatto distinzioni tra i vari settori del dissenso, e si è messo a fare retate. All’inizio delle Damas de Blanco, di cui una settantina sono state rilasciate e poi liberate una settimana fa. E adesso, dopo che il Papa in aereo ha detto che «il marxismo non corrisponde più alla realtà», sono repressioni generalizzate. Obiettivo: impedire che i dissidenti possano recarsi alle messe col Papa, agitando magari qualche cartello imbarazzante. Anche a chi non è stato arrestato sono arrivati avvertimenti precisi della polizia, a starsene chiusi in casa in questi giorni.
23/3/2012
Cuba: Amnesty, aumentate persecuzioni e arresti attivisti e giornalisti
''Un profondo aumento dei casi di persecuzione e di detenzione di attivisti politici, giornalisti e blogger negli ultimi 24 mesi''. E' la denuncia contenuta nel nuovo rapporto reso pubblico oggi, intitolato ''Repressione ordinaria: persecuzione e brevi periodi di carcere politico a Cuba'' di Amnesty International. Secondo la Commissione cubana per i diritti umani e la riconciliazione nazionale, si legge nel rapporto, ''da gennaio a settembre del 2011 vi sono stati 2784 casi di violazione dei diritti umani, per lo piu' brevi periodi di carcere per i dissidenti, ossia 710 casi in piu' rispetto all'intera durata del 2010. Dal marzo scorso, oltre 65 giornalisti indipendenti sono stati imprigionati, nella maggior parte dei casi piu' di una volta''.
''Le tattiche sono cambiate, ma la repressione e' forte come sempre' - ha dichiarato Gerardo Ducos, ricercatore su Cuba di Amnesty International -. Dopo i rilasci di massa dei prigionieri di coscienza nel 2011, le autorita' hanno affilato la loro strategia per zittire il silenzio perseguitando attivisti e giornalisti con brevi periodi di carcere e azioni pubbliche di ripudio''.
Le autorita' cubane, prosegue ancora Amnesty, ''non tollerano alcuna critica alle politiche di stato al di fuori degli spazi istituzionali che sono sotto i controllo del governo.
Le leggi in materia di 'disordini pubblici', 'disprezzo', 'mancanza di rispetto', 'pericolosita'' e 'aggressione' sono usate per perseguitare gli oppositori. Nessuna organizzazione politica o per i diritti umani puo' ottenere il riconoscimento legale.
Gli attivisti per i diritti umani e i giornalisti indipendenti sono trattenuti per periodi che variano dalle poche ore ad alcuni giorni, nelle stazioni di polizia come nei centri di detenzione, dove spesso subiscono interrogatori, intimidazioni, minacce e, in alcuni casi, anche pestaggi. In molti casi, le autorita' non informano le famiglie sulle ragioni dell'arresto o sul luogo di detenzione dei loro cari''.
L'organizzazione fa qualche esempio: ''I fratelli Antonio Michel e Marcos Ma'iquel Lima Cruz, attivisti per i diritti umani, sono in carcere dal 25 dicembre 2010, quando vennero arrestati da funzionari del dipartimento per la Sicurezza dello stato nella citta' di Holgui'n per aver cantato brani che criticavano la mancanza di liberta' d'espressione nel paese. Nel maggio 2011, dopo un processo sommario, i due fratelli sono stati condannati a due e a tre anni per aver rispettivamente ''insultato i simboli della madrepatria' e ''disordini pubblici'. Antonio Michel Lima Cruz ha problemi alla prostata e non starebbe ricevendo cure mediche adeguate.
Potrebbe anche essere posto in liberta' condizionata, poiche' ha gia' scontato oltre la meta' della condanna, ma le autorita' non hanno risposto alle richieste dell'avvocato e della famiglia''.
Amnesty International ha adottato i fratelli Lima Cruz come ''prigionieri di coscienza'' e chiede ''il loro immediato e incondizionato rilascio. Altri ''prigionieri di coscienza' sono gli attivisti per i diritti umani Yasmin Conyedo Rivero'n e suo marito Yusmani Ra'fael Alvarez Esmori, in carcere dall'8 gennaio 2012 con la pretestuosa accusa di ''violenza o intimidazione' contro un pubblico ufficiale. Il giornalista dell'Avana Jose' Alberto Alvarez Bravo e' stato imprigionato 15 volte dall'aprile all'ottobre 2011. In uno di questi arresti, il 12 luglio, i funzionari della Sicurezza hanno sequestrato il suo computer, una chiavetta Usb, una camera digitale, libri e documenti. E' rimasto in prigione oltre 72 ore''.
''La repressione nei confronti dei diritti umani - conclude Ducos - sta peggiorando. Vogliamo che gli attivisti siano in grado di svolgere il loro legittimo lavoro senza timore di rappresaglie''.
19/3/2012
Ex agente Cia: Fidel Castro sapeva dell'omicidio Kennedy
Fidel Castro sapeva che Lee Harvey Oswald voleva assassinare il Presidente Usa John F. Kennedy e non fece nulla per fermarlo. E' quanto ha scritto un ex agente della Cia per l'America Latina, Brian Latell, nel libro 'Castro's Secrets: The Cia and Cuba's Intelligence Machine', che sarà pubblicato il prossimo mese.
Nel testo, Latell scrive che la mattina del 22 novembre 1963, il giorno in cui Kennedy venne ucciso a Dallas, Castro ordinò all'intelligence cubana all'Avana di sospendere ogni attività e di concentrarsi su "ogni piccolo dettaglio, anche il più insignificante, proveniente dal Texas". Secondo l'ex agente della Cia, il leader cubano sapeva che Oswald, a cui era stato negato un visto per Cuba, aveva detto al personale dell'Ambasciata di Città del Messico che avrebbe ucciso Kennedy per dare prova della sua fedeltà alla causa comunista. "Fidel conosceva le intenzioni di Oswald e non fece nulla per fermarlo", ha scritto nel libro.
In un'intervista rilasciata al Miami Herald, Latell ha precisato di aver raccolto le informazioni da interviste a ex agenti dell'intelligence cubana e da documenti Usa classificati. "Non dico che fu Fidel Castro a ordinare l'omicidio. Non dico che Oswald fosse guidato da lui. Potrebbe essere, ma non sostengo questo, perchè non ho trovato alcuna prova - ha precisato - tutto quello che ho scritto è confermato da documenti e fonti. Fidel voleva Kennedy morto? Sì. Temeva Kennedy. E sapeva che Kennedy voleva farlo fuori. Probabilmente, per Fidel si trattava di autodifesa".
19/3/2012
Cuba,dissidenti in manette
Sono almeno 70 gli attivisti del gruppo "Dame in bianco" arrestati a Cuba lo scorso fine settimana, a una settimana dalla visita papale Sono almeno 70 gli attivisti del gruppo 'Dame in bianco' arrestati a Cuba lo scorso fine settimana, a una settimana dalla visita nel Paese di Papa Benedetto XVI.
A una settimana dalla visita di Benedetto XVI, la polizia cubana ha disperso una manifestazione dei parenti dei prigionieri politici e ha arrestato oltre 50 attivisti. La manifestazione era tenuta dalle 'Dame in bianco', che hanno denunciato l'arresto di loro 33 attiviste, tra cui la leader Berta Soler, avvenuto mentre lasciavano la sede dell'organizzazione per recarsi alla messa domenicale. Altre 20 persone sono poi state arrestate durante la manifestazione, perchè non avevano rispettato il percorso abituale delle loro proteste settimanali. Le Dame in bianco, insignite del premio Sakharov per la pace, chiedono la liberazione dei prigionieri politici, tra cui figurano i loro coniugi o compagni. Di solito, le attiviste partecipano insieme alla messa della domenica, quindi manifestano per chiedere il rilascio dei detenuti. I dissidenti hanno moltiplicato le loro iniziative all'Avana in vista della prossima visita del Pontefice, in programma dal 26 al 28 marzo.
13/3/2012
Le folli spese di Yoani
È in atto una campagna mediatica contro lo spazio Twitter di Yoani per tentare di dimostrare che le oltre 214.000 persone che la seguono sul popolare social network, sarebbero frutto di denaro e tecnologia.Il regime continua la sua crociata contro Yoani Sánchez con il solo scopo di gettare discretito sulla famosa blogger. Salim Lamrani - uno specialista della materia - torna a colpire ancora come longa manus governativa e pubblica un articolo sul giornale messicano La Jornada, sul tema Yoani Sánchez e Twitter. Questo articolo ha dato origine a una campagna mediatica sul popolare social network, animata dalle brigate di risposta cibernetica di regime, sotto l’etichetta #YoaniFraude.
Non è la prima volta che il nostro Lamrani tenta di diffamare la blogger, ma ormai sono poche le persone intelligenti disposte a credere ai cani da guardia del sistema castrista, pseudogiornalisti che inventano le peggiori favole e danno credito alle cose più assurde, a uso e consumo dei convinti assertori del regime. La campagna mossa contro Yoani pretenderebbe di dimostrare che le oltre 214.000 persone iscritte al suo spazio Twitter sono state ottenute investendo denaro e tecnologia.
Lamrani calcola che per la quantità di messaggi che Yoani manda ogni mese potrebbe spendere circa 400 CUC (CUC = peso convertibile, moneta turistica parificata al dollaro). Questo è il prezzo che il governo cubano fa pagare ai suoi cittadini per usare una tecnologia probita, per motivi non certo ideologici ma economici. Yoani ha molte persone che la seguono e - quando serve - ci sono sostenitori disposti a ricaricarle il telefono mobile. Inoltre la blogger lavora come giornalista per numerosi media sparsi per il mondo (La Stampa, Internazionale,El Pais...) e ha pubblicato alcuni libri dai quali riceve regolari royalties. I castristi non sono avvezzi alla modernità, alle associazioni di liberi cittadini, alla simpatia che nasce da una condivisione di idee e alle conseguenze economiche di un lavoro retribuito. Preferiscono parlare come sempre di un complotto della CIA. Finisce sempre così, quando non sanno cosa dire e non riescono a spiegare una situazione, mettono di mezzo la CIA e l’Impero.
Tra gli argomenti sorprendenti che usano i castristi c’è il fatto che Yoani segue gli spazi Twitter di molte persone iscritte al suo sito. Come fa? Serve molto tempo di connessione..., dicono. Non è vero, perchè è possibile farlo gratis e in forma automatica usando semplici applicazioni che si trovano sul mercato. Non si deve pagare niente per attivare l’opzione che permette di ricevere gli aggiornamenti delle persone che ti seguono.
A Cuba si investe tempo e denaro per far muovere nelle reti sociali alcuni profili di personaggi chiave del regime, ma per il momento nessuno ha superato gli iscritti allo spazio Twitter di Yoani Sánchez. Fidel Castro conta 190.000 persone, ma l’autrice di Generación Y può guardarlo dall’alto in basso. Raúl Castro, conta solo 10.400 fan e la figlia Mariela appena 6.000. Yoani Sánchez riunisce più persone che seguono i suoi post di Fidel, Raúl e Mariela Castro messi insieme.
Il regime sta cercando di screditare il consenso e l’interesse che si registra intorno alla figura di Yoani con manovre propagandistiche come questo assalto cibernetico denominato #YoaniFraude che può convincere solo i castristi più convinti.
10/2/2012
Cuba, no al visto d'uscita per Yoani
La blogger: "Non mi sorprendono"
L'Avana per la 19esima volta non concede il permesso. Il governo cubano è tornato a negare il permesso di uscita dal paese a Yoani Sánchez, che in questa occasione lo aveva chiesto per recarsi in Brasile dove era stata invitata alla presentazione di un documentario.
La stessa blogger ha reso noto tramite Twitter questo diciannovesimo rifiuto a una richiesta di concessione di permesso per uscire dal suo paese. «Nessuna sorpresa. Continuano a negarmi il permesso di uscita», scrive Yoani Sánchez. Yoani Sánchez era stata invitata dal regista Claudio Galvao da Silva, autore di Conexión Cuba-Honduras, documentario che affronta il tema della repressione della libertà di espressione nell’isola caraibica e durante il colpo di Stato che nel 2009 depose il presidente honduregno Manuel Zelaya. La blogger aveva inviato una lettera alla presidentessa brasiliana, Dilma Rousseff, per chiedere di intercedere con Raúl Castro, ma non è servita a niente.
I motivi economici che legano i due paesi sono stati più importanti delle idee socialdemocratiche della Rousseff. Il Brasile ha concesso il visto di ingresso alla blogger, ma il governo cubano non ha seguito lo stesso ragionamento. Yoani ha continuato a protestare su Twitter: «A che serve costruire un porto grande e moderno come quello di Mariel (con capitale brasiliano, nda) se non potremo usarlo liberamente? Hanno arrestato di nuovo Guillermo Fariñas - premio Sacharov 2010 - il nostro governo segue la stesa routine, nella repressione dei diritti e nel negare il permesso di uscita. Raúl Castro è in viaggio verso il Venezuela e a me non mi lasciano viaggiare. Cose tipiche del totalitarismo! Mi sento come una persona sequestrata da qualcuno che non ascolta e che non dà spiegazioni. Il nostro governo indossa un passamontagna e tiene la pistola alla cintura. Non conosce l’articolo 13 della Dichiarazione dei Diritti Umani. Ringrazio tutti coloro che hanno inviato messaggi di solidarietà dopo questo nuovo divieto di viaggiare deciso dal governo».
29/1/2012
IL Brasile concede il visto a Yoani Sànchez
La blogger cubana Yoani Sánchez (nella foto), nota per le sue posizioni di critica al governo Castro, spera che la presidente brasiliana Dilma Rousseff, da lunedì a Cuba per una visita ufficiale, la aiuti ad ottenere finalmente il permesso di viaggiare all’estero. La ragazza è attesa per il prossimo 10 febbraio a Bahia per presentare un documentario sulla libertà di stampa girato dal cineasta brasiliano Dado Galvao in cui compare anche lei. Il ministero degli Esteri brasiliano le ha già concesso il visto ma, per poter partire, è necessaria anche la tarjeta blanca, la lettera indispensabile ai cubani per passare ai controlli, anche solo per un breve viaggio. Yoani ha presentato la richiesta, come decine di altre volte: «Mi hanno detto che la risposta arriverà venerdì della prossima settimana», ha scritto lei ieri pomeriggio su Twitter (@yoanisanchez). Finora non ha mai funzionato. Dal 2004 ad oggi sono stati 18 i visti rifiutati.
Stavolta le circostanze potrebbero però giocare a suo favore. Sánchez nei giorni scorsi aveva consegnato una lettera all'ambasciata brasiliana all’Avana indirizzata a Dilma Rousseff. “Adesso aspetto una risposta” aveva fatto sapere su Twitter. E un primo segnale è arrivato con la concessione del visto da parte delle autorità brasiliane. Ma ora bisogna vedere se Rousseff sarà disposta a fare di più. La presidente arriverà lunedì prossimo, accompagnata da vari ministri. Incontrerà Raul Castro e forse anche Fidel. Il tema del viaggio è di carattere economico, il nuovo porto di Mariel che verrà finanziato con capitale pubblico brasiliano. Ma l’erede di Lula potrebbe essere più sensibile al tema dei diritti umani di quanto lo fosse l’ex presidente, amico storico della Revolución. Nell’ultimo anno la diplomazia brasiliana si è allontanata da posizioni troppo morbide con l’Iran o il Venezuela di Chávez.
Negli ultimi giorni organizzazioni di dissidenti, come le Damas de Blanco, hanno chiesto un incontro a Rousseff. O almeno una parola sulla repressione del dissenso che continua, alternando aperture (le recenti scarcerazioni) e nuovi drammi, come la morte per sciopero della fame di un altro detenuto, pochi giorni fa. Difficile però che il Brasile compia un gesto così clamoroso, mai fatto da nessun capo di Stato estero durante una visita ufficiale. Ma la presidente potrebbe, invece, premere dietro le quinte perché a Yoani venga permesso di andare in Brasile. Nessuno ci perderebbe la faccia. Come andrà a finire lo sapremo solo nei prossimi giorni.
22/1/2012
Ma quale Cuba libera qui si muore di dittatura
Una certa sinistra è ancora invaghita del decadente sogno castrista. Ma dietro le aperture del regime, c’è oppressione e miseria ideologicaAll'inizio di gennaio era toccato a René Cobas, 46 anni, dissidente cubano in carcere, colto da infarto mentre faceva lo sciopero della fame. Adesso arriva la notizia della morte di Wilmar Villar, 31 anni, anche lui detenuto politico: era giunto al suo 50° giorno di digiuno…
È invece viva e vegeta, per fortuna, Yoani Sanchez, la blogger di Generacion Y che Time ha incluso nelle 100 personalità più influenti del pianeta. Tanto influente in patria non deve essere, visto che negli ultimi quattro anni il governo cubano le ha negato per 18 volte il visto per uscire dal Paese... L'ultimo divieto è di questi giorni, nonostante le aperture natalizie del presidente Raùl Castro in materia di espatrio.
Resta in carcere, infine, l'americano Alan Gross, condannato a 15 anni per crimini contro lo Stato: avrebbe aiutato la comunità ebraica cubana a installare una rete Internet «controrivoluzionaria».
Ogni volta che Cuba torna ala ribalta della cronaca, si ha la sensazione del deja vu: da un lato i sostenitori della piccola «isola rivoluzionaria» impegnata a difendere il proprio comunismo nazionale dal vorace e vicino capitalismo yankee forte del suo embargo economico; dall’altro i critici dell’ultimo «gulag» ancora esistente, con gli oppositori sbattuti in galera, la censura e le condanne a morte, la caccia agli omosessuali, la crisi economica per incapacità politica. È davvero così?
Al museo Alejandre de Humboldt, nell’Avana vecchia, fa bella mostra di sé la replica di un dinosauro di cinque metri di altezza e dodici di larghezza ritrovato nel 2001 da paleontologi messicani nel deserto di Coahuila. Castro (Fidel come Raùl) è come quel dinosauro, solo che è un originale e non una copia, un dinosauro immerso nella sua era, alla sua era sopravvissuto. Politicamente a Cuba non c’è il comunismo di Fidel (o di Raùl), ma il fidelismo (e ora il raulismo) del comunismo. Fidel Castro è stato ed è un caudillo latino-americano che si servì del comunismo, inteso come alleanza con l’Urss, per rafforzare e mantenere il potere.
Era un’alleanza per certi versi obbligata, non tanto e non solo dalle circostanze internazionali, ma soprattutto perché una partnership di quel genere era l’unica che potesse far fronte alla incapacità economica da un lato, al pericolo di una contestazione politica dall'altro. «Il costo economico della Cuba castrista - ha scritto Carlos Franqui nell’autobiografico Cuba, la rivoluzione: mito o realtà? - era mostruoso, ma Cuba era il cavallo di Troia del comunismo in America latina, in Africa e nel Terzo mondo, sosteneva il movimento di guerriglia, le guerre africane e costituiva una formidabile piattaforma militare e spionistica a novanta miglia dal territorio degli Stati Uniti. La vita era austera, ma non insopportabile. Dal punto di vista materiale, il crollo del sistema sovietico ha privato i cubani di tutto».
Per chi nel 1959 aveva ereditato un’economia solida, come Castro stesso si era vantato dicendo di aver fatto «una rivoluzione senza esercito, contro l'esercito, in assenza di una crisi economica», non è un bel risultato.
Quello che oggi resta è una gerontocrazia, età media 75 anni, una crisi profonda quanto irreversibile del sistema, l’ipotesi di una «via cinese» (liberalizzazioni, capitalismo di Stato eccetera), ma anche quella di una seconda Haiti, un malcontento generale, o anche una apatia, l'aver fame di tutto, ma non credere in niente, la vita come diffidenza.
Non è un caso che in quella che è stata chiamata la «narrativa del disincanto», ovvero la Cuba narrata dagli scrittori cubani che a Cuba sono rimasti, non se ne sono andati, ad emergere è un’isola colta nella sua glaciazione politica ed ebollizione umana: emarginati, prostitute, arrivisti, mendicanti, emigranti (balseros che se ne vanno e gusanos che ritornano), pazzi, drogati e soprattutto omosessuali (di ogni sesso e tendenza), quasi tutti segnati da scetticismo, scoramento, e a volte dallo squallore più amaro…
La rivoluzione, insomma, è andata a fondo e ciò che rimane a galla sono i relitti del sistema da un lato, i naufraghi dal fallimento dall'altro. Chi si aggrappa ai primi difende lo status quo, non un’idea, chi nuota fra i secondi si preoccupa semplicemente di non affogare. Ciò rende impossibile qualsiasi relazione che vada al di là di una semplice constatazione dei rapporti: chi ancora detiene il controllo ha smesso da tempo di credere nell’indottrinamento, nella convinzione e nell’esempio come arma del consenso, chi ne è succube è consapevole che è comunque il tempo a lavorare in suo favore e si accontenta di durare.Sopravvivere è il suo modo di combattere.
Via via, dunque, che l’attualità da raccontare si rivela sempre piùprivata e sempre meno pubblica, ovvero si finisce per considerare la res publica come un altro da sé reale, ma non essenziale, l’orizzonte intellettuale si restringe, si fa narcisistico-individuale, non riesce più a essere costitutivo di un’epoca, di una società, di una classe sociale. Negli anni Sessanta, quando Cuba era ancora un esempio e per certi versi un modello, lo scrittore Alejo Carpentier aveva osservato che «nella maggior parte dei romanzi di Balzac i personaggi sono tutti segnati dagli eventi della loro epoca.
Tutti vivono in funzione di qualcosa che è accaduto: la rivoluzione, il crollo dell'impero, la restaurazione della monarchia, i fermenti rivoluzionari». Cinquant’anni dopo, questa sorta di balzacchismo fatto di illusioni perdute, illusioni disattese, illusioni rubate, illusioni sbagliate, ha lasciato il posto all’assenza, più che alla fine delle illusioni stesse: ciò che resta è l'accettazione di una sorta di limbo contemporaneo in cui rifarsi al passato è impossibile, criticare il presente è vietato, sognare un futuro è velleitario e in fondo inutile, perché non c’è nulla su cui farlo poggiare.
Il fatto che ancora oggi Cuba possa esercitare un fascino indipendente dalla miseria politico-ideologica, dalla sua pratica quotidiana, dall'anacronismo di una satrapia familiare cinquantennale, dal contrasto stridente fra una teoria libertaria e una prassi concentrazionaria, la dice lunga sull’incapacità in una certa sinistra di fare i conti con la realtà.
20/1/2012
Un'altra vittima della tirannia castrista assassina
Qualcuno credeva che con l'abdicazione di Fidel Castro e l'ascesa al potere del fratello Raul la situazione a Cuba sarebbe cambiata. E invece nulla è realmente cambiato, con il paese che continua ad essere soggetto ad un duro regime autoritario di stampo comunista. L'ennesima dimostrazione giunge in queste ore con la notizia, divulgata dalla Cuban Human Rights and National Reconciliation Commission (CHRNEC), della morte in carcere di un dissidente di 31 anni lasciatosi letteralmente morire di inedia dopo oltre 50 giorni di sciopero della fame.
Wilmar Villar, questo il suo nome, aveva iniziato lo sciopero della fame in seguito alla condanna a 4 anni di reclusione inflittagli per il semplice fatto di aver partecipato ad una manifestazione di protesta contro il regime. Un'accusa inconcepibile in un paese democratico ma assolutamente normale per un paese in cui da oltre 40 anni vige una delle dittature più repressive del pianeta.
La CHRNEC, organizzazione in cui sono impegnate numerose figure d'opposizione al regime, fa sapere per bocca del proprio portavoce Elizardo Sanchez, chela morte di Villar era «inevitabile e che la piena responsabilità per l'accaduto non può che ricadere sul regime che non ha fatto nulla per evitare il tragico epilogo della vicenda». Sanchez ha aggiunto che la giovane vittima faceva parte di un gruppo di dissidenti chiamato Cuban Patriotic Union (CPU) particolarmente attivo nella regione occidentale dell'isola.
Ed è stato proprio nel corso di una manifestazione del CPU lo scorso novembre che Villar sarebbe stato incarcerato con l'accusa di aver mancato di rispetto alle autorità ed aver resistito all'arresto. Accuse che gli sono valse per l'appunto, una condanna a 4 anni di reclusione: una sentenza che il giovane non riteneva equa e che lo ha spinto allo sciopero della fame che gli è costato la vita.
Cuba non è nuova a questo genere di eventi. Infatti già nel febbraio del 2010 un altro dissidente, Orlando Zapata Tamayo, morì in seguito ad un lungo sciopero della fame. In quel caso L'Avana subì una pesante pressione internazionale soprattutto da parte della Chiesa Cattolica e delle autorità spagnole che costrinsero il regime a liberare una cinquantina di prigionieri politici.
Per il momento né Raul Castro né il suo entourage si sono pronunciati sull'accaduto, ma in rete monta la rabbia dei dissidenti. E c'è già chi ipotizza, come ha fatto il blogger dissidente Yoani Sanchez sul proprio account di Twitter, che l'establishment descriverà Villar come un "comune criminale" così come fece con Zapata dopo la sua morte.
Non è da escludere, però, che anche in questo caso, come avvenne nel 2010, il regime subisca nuove pressioni internazionali. Certo è che chi sperava che le cose a Cuba stessero cambiando ha avuto l'ennesima dimostrazione del contrario. Il paese continua ad essere soffocato da un regime spietato che non tollera alcun tipo di opposizione.
18/1/2012
Il leader cubano è settimo nella classifica stilata da Forbes insieme agli sceicchi del Golfo e alle teste coronate europee. Lui però nega
Fidel Castro tra i potenti più ricchi "Un patrimonio da 900 milioni"
NEW YORK - Con un patrimonio di 900 milioni di dollari, il presidente cubano Fidel Castro è uno dei dieci capi di stato più ricchi del mondo. Per la precisione, si piazza al settimo posto della classifica di "Re, regine e dittatori" più facoltosi stilata ogni anno dalla rivista finanziaria Forbes. Eppure il leader comunista, che compare in un elenco di principi arabi, petrolieri e teste coronate, continua a dichiarare con insistenza che il suo reddito è pari a zero.
Secondo quanto riportato da Forbes, però, le cose non stanno proprio così. Anzi: il patrimonio di Fidel è quasi raddoppiato, se si considera che l'anno scorso la stessa rivista gli aveva attribuito una fortuna personale di circa 550 milioni di dollari. Lui, naturalmente, aveva negato, ed era andato su tutte le furie: "Pensano che sia come Mobutu (ex presidente dello Zaire) o uno di quei miliardari, quei ladri e saccheggiatori che l'impero ha protetto?", aveva detto commentando la classifica 2005. E aveva persino minacciato di portare in tribunale il periodico americano.
A chi obietta che è difficile, almeno in teoria, separare il patrimonio dello stato da quello personale, risponde la pratica, quella dei numeri e dei conti in banca. Secondo la rivista, Castro avrebbe il controllo economico di una rete di compagnie statale: tra le più redditizie, El Palacio de Convenciones, un centro che ospita convention, nei pressi di L'Avana, e Medicuba, azienda farmaceutica che vende vaccini e altri medicinali prodotti a Cuba. Alcuni ex ufficiali cubani affermano che Fidel Castro, che viaggia solo su Mercedes nera, abbia fatto scivolare una parte dei profitti sui suoi conti, che in molti sostengono si trovino al sicuro in Svizzera.
Fidel non è però l'unico dittatore nell'elenco dei più ricchi: con 700 milioni di dollari in tasca è seguito dal presidente della Guinea Equatoriale, Teodoro Obiang. "Possono anche dire che sono soldi del Paese", sostiene uno dei direttori dell'associazione Human Right Watch, che da anni studia come l'amministrazione Obiang usa i guadagni derivati dal petrolio."Sotto il governo Obiang, la ricchezza del Paese è diventata sostanzialmente il bancomat del presidente".
Il petrolio resta, comunque, la principale fonte di reddito per i 'paperoni' del mondo: a conquistare le prime cinque posizioni della classifica sono re e sceicchi degli Stati del Golfo persico. Primo, il re saudita Abdullah, con una fortuna pari a 21 miliardi di dollari, seguito dal sultano del Brunei (20 miliardi) e dal presidente degli Emirati Arabi Uniti (19 miliardi). Tra gli europei, il principe del Liechtenstein, con 'solo' 4 miliardi di dollari e Alberto di Monaco (1 milardo). Solo in fondo alla classifica troviamo la regina Elisabetta d'Inghilterra e Beatrice d'Olanda: pur essendo titolari di fortune secolari, i loro patrimoni personali ammontano rispettivamente a 500 e 270 milioni di dollari.
11/1/2012
Aumenta la repressione a Cuba
Le Dame in Bianco e la Commissione Cubana per i Diritti Umani, organizzazione 'illegale' diretta da Elizardo Sánchez, hanno denunciato un aumento delle detenzioni arbitrarie nel 2011. Si parla di oltre 4.000 arresti temporanei di persone che stavano manifestando il loro pensiero in forma pacifica. Nel solo mese di dicembre si contano ben 796 detenzioni di breve durata, avvenute senza valido motivo. Il movimento delle Dame in Bianco viene regolarmente preso di mira dalla Sicurezza di Stato per impedire sfilate e manifestazioni, ma anche altri dissidenti sono seguiti e intimiditi. Gli atti di ripudio sono all'ordine del giorno e non accennano a finire.
I movimenti alternativi al regime si augurano che il Papa nel corso della prossima visita non si limiti a incontrare esponenti della nomenklatura, ma che riservi spazi della sua agenda per parlare con i rappresentanti della società civile.
Nel frattempo è in arrivo il presidente iraniano e Garrincha rappresenta in forma ironica (cfr. vignetta) la conferenza stampa tenuta insieme al collega venezuelano.
7/1/2012
Cuba: 80% lavoratori aderiscono sindacato. Oggi su isola 357 mila impiegati non statali, doppio che 2010
L'AVANA, 7 GEN - I cubani hanno scoperto i sindacati: secondo il locale quotidiano Granma, infatti, l'80% dei lavoratori autonomi ha scelto di aderire al sindacato per organizzare meglio la propria categoria. Cuba attualmente conta circa 357 mila impiegati non statali, oltre il doppio del 2010, un risultato ottenuto anche grazie al piano di liberalizzazione del sistema economico recentemente introdotto dal presidente cubano, Raul Castro.
2/1/2012
Cuba, la rivoluzione silenziosa di Raul
Spazio ai privati e meno sprechi statali
Persino Fidel Castro ha abbandonato il sogno utopistico di una società egualitaria. Cuba sta cambiando, poco a poco, anche se definisce il sistema economico - politico ancora con l’aggettivo comunista.
Raúl Castro ha permesso ai cubani di dare vita a piccole attività commerciali, ha concesso il diritto di vendere case e veicoli usati, ha persino autorizzato investimenti stranieri, autorizzando la costruzione di veri e propri simboli del capitalismo come i campi da golf.
Raúl Castro non parla mai di riforme, ma di modernizzare il sistema socialista. La pianificazione centralizzata resta la colonna portante del sistema economico cubano. In ogni caso i cambiamenti cercano di far fronte ai difetti strutturali del sistema comunista, abbandonando una cultura paternalistica e attaccando la burocrazia parassitaria, senza mettere in discussione il potere assoluto del governo. Il Presidente cubano vuole dare più spazio alla piccola impresa e al tempo stesso cerca di ridurre le spese improduttive statali, riscuotendo maggiori imposte dai lavoratori privati. Va da sé che la maggior parte delle imprese private verranno aperte da chi è in grado di ottenere aiuti da familiari e amici residenti all’estero. Realizzare questi cambiamenti non è stato facile, perché certi settori statali hanno opposto una forte resistenza ideologica. I tagli alla tessera del razionamento alimentare (libreta) sono stati importanti e dolorosi, perché hanno colpito i più poveri, al punto che sono aumentate le richieste di pasti gratuiti presso le mense della Chiesa cattolica. Vediamo i cambiamenti più importanti.
I lavoratori privati (cuentapropistas)
La possibilità di esercitare un lavoro privato è la riforma più importante, il provvedimento più atteso da parte del cubano medio, in un Paese che nel 1968 aveva nazionalizzato tutto, persino i piccoli carretti che vendevano alimenti. Oggi ben 357.000 persone hanno preso la licenza per svolgere un lavoro privato, in alcuni settori controllati (pagliacci per feste, venditori ambulanti, ristorazione, affittacamere…). La maggior parte di questi lavoratori privati guadagna cifre molto superiori ai 20 dollari mensili che è il salario medio di un dipendente statale. Nel 2011 è stato concesso alle imprese private di avere dei lavoratori dipendenti e di contrattare il loro stipendio, un provvedimento impensabile secondo la mentalità marxista che definiva una situazione simile come sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Gli imprenditori privati possono affittare negozi di proprietà statale e persino promuovere i servizi tramite pubblicità telefonica, un tempo considerata manifestazione di deleterio consumismo. Molte imprese statali diventeranno private, inoltre il governo sta studiando una riforma fiscale e prestiti bancario per agevolare le attività in proprio.
L’entusiasmo dei primi tempi si è un po’ affievolito, perché il 20% dei lavoratori privati avrebbe rivenduto la licenza dopo aver verificato che non esistono margini di guadagno per tutti. I cubani si lamentano perché le attività consentite dalla legge sono poche, inoltre non ci sono venditori all’ingrosso dove acquistare le materie prime e alcune tasse sono ritenute inique. Per esempio, chi affitta camere paga le stesse imposte, indipendentemente dalla rendita, persino se non ha turisti.
Accesso al credito
I cubani adesso possono ottenere prestiti bancari per costruire o ristrutturare le loro abitazioni. Gli agricoltori privati possono aprire conti correnti bancari e ottenere prestiti. Resta l’incertezza sul futuro e molti operatori non si fidano ad aprire conti correnti, perché temono che lo Stato possa confiscare il denaro in presenza di una crisi finanziaria.
Il dilemma dell’agricoltura
L’agricoltura rappresenta un problema importante, visto che Cuba importa dal 60 all’80% del fabbisogno alimentare. A novembre sono stati concessi 3,4 milioni di acri di terre inutilizzate a 170.000 agricoltori privati. Chi coltiva la terra in proprio adesso può vendere i prodotti direttamente ai consumatori e ai centri turistici, perché è stato rimosso l’obbligo di negoziare con lo Stato. Presto le concessioni verranno estese da 33 a 165 acri a testa, la durata dell’affitto passerà da 10 a 25 anni ed è probabile che si affermi il principio della ereditarietà della concessione agraria. Gli agricoltori potranno costruire abitazioni e annessi nei terreni in affitto e saranno rimborsati per i miglioramenti effettuati in caso di non rinnovo della concessione. In ogni caso ci sono ancora 2 milioni di acri di terre incolte e la maggior parte delle attività commerciali deve essere realizzata tramite inefficienti agenzie statali. Pare che funzionari del partito comunista si stiano impadronendo delle terre migliori e che ottengano con grande facilità semi e fertilizzanti, cosa molto più difficile per i comuni mortali.
Vendita di case e veicoli
Il provvedimento che autorizza la vendita di case e veicoli ha destato molto interesse ed è stato salutato come un riconoscimento senza precedenti della proprietà privata. In realtà si è trattato di una semplice legalizzazione di attività che stavano verificandosi da tempo ricorrendo a sotterfugi come la permuta (scambio di case dal valore simile). Il governo ha eliminato molte restrizioni sulla vendita di materiali edili ai privati e ha ridotto i prezzi. Dal giorno dell’autorizzazione a oggi sono state vendute 360 case e ci sono state 1.600 donazioni (un modo per legalizzare vendite non in regola). A Cuba mancano le case, molte sono state divise tra i componenti di una famiglia, quindi non è facile censire il patrimonio immobiliare. Si parla di 600.000 case in un paese con 11.200.000 abitanti. Le vendite di veicoli usati, nel primo mese di vigenza della legge, ammontano a 3.310 e le donazioni a 994. Prima del provvedimento si potevano comprare e vendere solo i veicoli immatricolati antecedentemente al 1959, mentre oggi tutti i veicoli usati possono essere venduti. I nuovi veicoli, invece, sono concessi solo a cubani in sintonia con il governo e che hanno lavorato per il Paese, come i medici che prestano servizio in Venezuela.
Ridurre i controlli
Ridurre i controlli sull’economia è la parte più difficile del programma, soprattutto per quel che riguarda le imprese statali. Il Ministero dello Zucchero e le Poste sono diventate imprese di Stato e dovranno operare secondo criteri di efficienza e di autonomia. In ogni caso le nuove imprese dipenderanno da una pianificazione centralizzata, secondo antiche regole di economia socialista. Dovrebbe essere ammesso il ricorso all’investimento straniero nel settore dello zucchero, così come è stato approvato il finanziamento estero per alcuni centri turistici con campi da golf costruiti su terreni statali e affittati per 99 anni.
La libertà di uscire dal proprio Paese
Raúl Castro ha detto che sta studiando una riforma migratoria, ma che lo farà con i tempi dovuti, vista la situazione delicata dei rapporti tra Cuba e Stati Uniti. I cubani chiedono con urgenza di poter viaggiare senza limitazioni e soprattutto senza dover sottostare ai controlli della Sicurezza di Stato per il rilascio del permesso di uscita. Dovrebbe essere eliminato l’aberrante concetto giuridico di uscita definitiva per i cubani non desiderati e non in sintonia con le idee del governo.
Il prezzo delle riforme
Le riforme hanno un prezzo da pagare nei settori della salute, educazione e benessere sociale, vecchi fiori all’occhiello del regime, ma in decadenza dal 1991, dopo la caduta dell’Unione Sovietica. Si stanno chiudendo alcune cliniche di quartiere, le Università riducono le iscrizioni per certe discipline, molti alimenti sono stati tolti dalla tessera del razionamento alimentare e non vengono più venduti a prezzo politico. Alcune riforme annunciate sono rimaste lettera morta e nessuno ne parla più da tempo, cose come un piano per licenziare 500.000 impiegati statali e uno per vincolare i salari alla produttività.
Da un punto di vista politico, il sistema non accenna a cambiare. Cuba è retta da un governo a partito unico, ci sono rigidi controlli sui mezzi di comunicazione e chi si oppone subisce dure repressioni. I cambiamenti economici prodotti da Raúl Castro non sono pura cosmesi, come dicono i più duri oppositori del regime, ma non possono neppure essere definiti cambiamenti strutturali per riformare il sistema. Alla base del progetto c’è la volontà di conservare il potere modernizzando il socialismo secondo il modello cinese, aprendo all’iniziativa privata ma senza alcun spiraglio in tema di libertà civili.
La visita del Papa
In questa situazione economico - politica arriva la seconda visita di un Papa a Cuba, dopo il viaggio epocale di Giovanni Paolo II. Benedetto XVI sarà sull’Isola dal 26 al 28 marzo e durante l’ultimo giorno di permanenza celebrerà una messa in Piazza della rivoluzione all’Avana. Il Papa sarà ospite dei vescovi cattolici e del cardinale Jaime Ortega, ma sarà ricevuto con tutti gli onori dal generale Raúl Castro. La scusa ufficiale è l’anno giubilare, il festeggiamento dei 400 anni dall’apparizione della Vergine della Carità del Cobre a Santiago di Cuba (1612), dove è stato edificato un santuario. I bene informati dicono che la Chiesa cattolica ha pronto un progetto per favorire l’apertura in senso democratico della società cubana. Non resta che attendere…
28/12/2011
Cancellare Fidel al ritmo lento dell'altro Castro
Viviamo un fine anno senza freddo, un Natale di maniche corte e un po' di sudore, con degli alberelli pieni dappertutto di festoni. A Cuba, con molti alti e bassi, sono trascorsi i dodici mesi di questo 2011, incorniciati da avvenimenti che - come due parentesi - hanno rinchiuso la realtà nazionale tra le scarcerazioni e gli arresti, i controlli e la flessibilità. Ancora a gennaio sono stati liberati - con il contagocce - i prigionieri della «Primavera Nera» del 2003 e proprio in questi giorni hanno ricevuto l'indulto 2900 prigionieri per diversi reati. Quello che è cominciato con la discussione delle linee guida del Sesto Convegno del Partito Comunista, celebrato ad aprile, si conclude ora con i preparativi per una Conferenza Nazionale nella quale pochissimi sperano. Forse è stato questo il periodo durante il quale le nostre autorità hanno avviato il maggior numero di cambiamenti economici e, tuttavia, mai come ora l'impazienza dei cittadini è arrivata a un livello così alto. Sono stati fatti molti passi, ma la strada, come un tapis roulant, procede all'indietro e ci ha lasciati a pochi centimetri del punto di partenza.
Raúl Castro ha intrapreso l'arduo compito di smantellare il fidelismo, di sotterrare in vita il Comandante in Capo. Senza confessarlo, senza neanche fare la critica che ci vuole verso il governo del fratello, il Generale Presidente ha fatto crollare parte dei programmi concepiti dal suo predecessore. Ha cancellato completamente le cosiddette «scuole in campagna», ha aumentato il numero di terreni consegnati in usufrutto ai contadini e ha dato il via al lavoro in proprio. Ha anche cancellato altri deliri come il gigantesco esercito dei «lavoratori sociali», ha messo fine all'«Operazione Miracolo» che importava pazienti da tutta l'America Latina per praticare interventi a Cuba e ha anche smantellato il ministero dello Zucchero, il cui bilancio presenta numeri ogni volta più ridicoli. In una mossa audace e a colpi di decreto, ha permesso la compravendita di automobili e ha aperto il mercato immobiliare in un Paese con decenni d'immobilità in entrambi i settori. Si è addirittura vestito con abiti civili per assistere al vertice della Comunità di Stati Latinoamericani e Caraibici (Celac) e ha firmato la lettera finale dell'evento con un paio di punti sulla democrazia e il rispetto dei diritti umani. L'erede al trono della Rivoluzione ha cercato in tutti modi di ottenere legittimità nell'ambito regionale durante tutto questo 2011.
Ma il raulismo e le sue mosse economiche non hanno dato gli esiti attesi. Un kilogrammo di fagioli continua a costare il salario di tre giorni e per il 2012 il Paese dovrà spendere 1700 milioni di pesos per importare cibo. Nonostante il silenzio della stampa ufficiale, in questi ultimi mesi alcuni casi di corruzione hanno alimentato le voci popolari. Nel suo discorso all'ultima sessione dell'Assemblea Nazionale, il primo segretario del Pcc ha anche affermato che «la corruzione è oggi uno dei nemici principali della Rivoluzione, molto più pericoloso dell'attività sovversiva». Ha indicato l'alto profilo di coloro coinvolti nelle rapine, definendoli «reati commessi dai "colletti bianchi"», ma in realtà sembrerebbero «reati imputabili ai colletti verde militare».
Ogni ispezione ha portato alla luce deviazioni e sottrazioni per cifre allucinanti. Se continua a scavare in quella direzione, Raúl Castro potrebbe guadagnarsi molti nemici nelle proprie file. Come se non bastasse già la fibrillazione e la crescita che si registra tra i dissidenti e altri movimenti civili molto critici con la sua gestione.
Ottobre ha portato una prova difficile sia per gli oppressi che per gli oppressori, con la morte di Laura Pollán, leader delle «Damas de Blanco», e l'agitazione scatenatasi. In quei giorni, la polizia politica ha messo a punto quello che sarebbe stato il suo marchio sul terreno della repressione dell'attuale governo. Arresti brevi, a scopo «pedagogico», senza tracce legali, diversi dai grandi show giudiziari che tanto amava Fidel Castro. Gli attivisti hanno dovuto lottare anche con l'intensificarsi delle campagne mediatiche contro di loro e con la paramilitarizzazione degli organi della Sicurezza di Stato. Di notte, in un angolo, tre sconosciuti si lasciano cadere su un oppositore e lo fanno salire con la forza su una vettura, senza identificarsi, senza portare una divisa, senza indicare il reato che si sta commettendo. La Cuba raulista, pertanto, è più imprevedibile per quanto riguarda le punizioni, perché l'incertezza della pena si erge come il suo miglior metodo di coazione.
L'insicurezza è anche generata dalla lentezza e dall'esitazione nell'avvio di certe riforme sociali e politiche. La cancellazione delle restrizioni migratorie è rimasta fuori del bilancio annuale, con la conseguente frustrazione di tutti coloro che la aspettavano. Il Generale non ha avuto neanche il coraggio di autorizzare la creazione di altri partiti e, invece di aprire il dibattito nazionale, continua a ripetere che si tratta di un tema «tra rivoluzionari». Per lui, questo 2011 è stato una prova dura, perché ha dovuto fare dei cambiamenti che irrimediabilmente gli toglieranno del potere e, tuttavia, percepisce che la sua popolarità diminuisce giorno dopo giorno. Questo non è stato per niente l'anno di Raúl Castro: la sua testardaggine e la propria salute glielo hanno rovinato.
YOANI SÁNCHEZ
25/12/2011
La favola degli attentati a Fidel Castro
In queste settimane i media ufficiali stano facendo a gara a dare la stessa identica notizia falsa, una notizia così palesemente demenziale da dimostrare l'incapacità dei giornalisti di distinguere la realtà dalla propaganda medioevale di cui Fidel Castro ha sempre abbondantemente fatto uso. La notizia è assurda, si sosterrebbe che Fidel Castro ha subito in 47 anni, dal 1959 al 2006 la bellezza di 638 attentati, quasi tutti orditi dalla CIA. Qualcuno si lancia a sostenere addirittura che questo gli darebbe diritto di ottenere un record nel
24/12/2011
Cuba, il regime rilascerà 2.900 detenuti
Castro: "Riformeremo legge migratoria"
Migliaia di detenuti saranno rilasciati dal regime cubano prima della visita del Papa, prevista per i primi mesi del 2012. Il governo di Raul Castro ha annunciato che torneranno in libertà 2.900 prigionieri, tra cui anche alcuni condannati per crimini contro la "sicurezza dello stato". Una formula che fa sperare che si tratti anche di detenuti politici. Tra i 2900 detenuti anche 86 stranieri di 25 paesi.
Nella nota ufficiale che rende nota la decisione, non si fa diretto riferimento alla visita di Benedetto XVI, ma si parla più genericamente di "numerose richieste dei familiari e delle istituzioni religiose". Il regime aveva rilasciato 100 detenuti, dopo un accordo con la Chiesa cattolica, già nel 2010.
Della visita di Benedetto XVI a Cuba si parla da anni, ma solo all'inizio di dicembre è arrivata la conferma ufficiale.
Quella di Benedetto XVI sarà la seconda visita papale nell'isola da quando è al potere Fidel Castro. Nel 1998 lo storico viaggio di Giovanni Paolo II, nel quale il pontefice criticò l'embargo commerciale Usa contro l'isola. Dopo quella visita furono liberati 300 detenuti, di cui 101 per ragioni politiche.
E il presidente cubano Raul Castro ha ribadito oggi la volontà di riformare ("lentamente") la legge migratoria che pone restrizioni alla possibilità di viaggio dei cittadini cubani. "Confermo la mia volontà d'introdurre cambiamenti in questa complessa problematica", ha detto Castro durante i lavori dell'assemblea nazionale.
11/12/2011
Il fratello più furbo di Fidel Castro
È il garante della rivoluzione comunista dei barbudos ma anche il traghettatore verso l'economia capitalista
I cubani ora possono, per esempio, vendere o comperare auto circolanti sull'isola, frequentare hotel prima riservati ai soli turisti stranieri, acquistare qualche elettrodomestico importato dall'estero e, persino, accedere agli internet point per navigare in rete. È il "nuovo corso" del regime castrista. Tutto da verificare. E, per la verità, un po' misero. Raul Castro è al potere da un po' di anni: acclamato Presidente del Consiglio di Stato il 24 febbraio 2008, aveva già di fatto assunto la reggenza del partito e dello Stato in nome di Fidel il 31 luglio 2006. La sua ascesa al posto del fratello era stata interpretata come una svolta politica ed epocale. Aveva suscitato molte, forse troppe, aspettative di liberalizzazione e democratizzazione. Al tempo stesso, aveva spinto tanti, più o meno improvvisati, "cubanologi" in tutto il mondo a interrogarsi sulla trasformazione e sulla possibile fine della più longeva dittatura della storia. Ma le riforme a spizzico che hanno segnato l'avvio del "nuovo corso" del regime costituiscono, tuttavia, una ben flebile risposta ad attese e speranze. E, sono, invece, un invito ai commentatori a mettere da parte le illusione e a ragionare in termini concreti. Che, del resto, Raul Castro possa essere il traghettatore capace di portare Cuba dalla dittatura poliziesca alla democrazia liberale è quanto meno discutibile. La bella e puntuale biografia che un intelligente e brillante diplomatico e saggista italiano, Domenico Vecchioni, già ambasciatore a Cuba, ha dedicato al fratello di Fidel (Domenico Vecchioni, Raul Castro, Greco & Greco Editori) lo dimostra molto bene. Da essa, come prima cosa, emerge un dato caratteriale che spiega, al di là dei vincoli di sangue, il legame che unisce Raul a Fidel: un legame di sudditanza psicologica, che risale ai tempi dell'infanzia e si traduce, son parole di Vecchioni, in un "bisogno di essere circondato dalla famiglia e dagli amici" e quindi, si può aggiungere, anche in una continua ricerca di approvazione da parte di un fratello maggiore che, a differenza di lui, "ha sempre rivendicato piena autonomia personale". Un legame, ancora, che suggerisce l'idea che le aperture e le concessioni liberalizzanti degli ultimi tempi rientrino, in realtà, in una vera e propria strategia propagandistica, rivolta soprattutto all'esterno più che all'interno del paese, frutto dell'inossidabile binomio Fidel-Raul. Da una parte c'è, infatti, il fratello minore, Raul, ormai ottantenne, che si sforza di governare alla giornata, per guadagnare tempo o meglio (come suggerisce Vecchioni) per "fermare il tempo", attento a cogliere certe opportunità offerte dal contesto internazionale, a coltivare rapporti con i paesi amici e infine a vellicare quegli intellettuali occidentali che, da "utili idioti", continuano a esaltare il "modello cubano". Dall'altra parte, c'è il fratello maggiore Fidel, ormai fuori gioco per la salute malandata e l'età, ma più che mai in grado di svolgere appieno il ruolo di "eminenza grigia" e pronto a supportare Raul con tutto il peso e il prestigio della sua immagine di icona internazionale della più longeva rivoluzione della storia. Il rapporto fra i due fratelli è stato sempre dello stesso tipo, con un Raul nel ruolo di "eterno secondo" e succube del fascino promanante dalla personalità, forte e pragmatica, di Fidel. Si potrebbe dire che una costante del comportamento, anche politico, di Raul sia stata quella di cercare di fare cosa gradita al fratello, ammirato e adorato come una icona, e di preparargli la strada per la conquista, prima, e per la conservazione, poi, del potere. Sin dagli anni degli studi universitari, Raul - quando il fratello non si proclamava comunista ma si preoccupava di conservare la compattezza del fronte anti-Batista all'interno del quale erano anche non comunisti - era diventato un convinto sostenitore del marxismo-leninismo e non faceva mistero della sua ammirazione nei confronti del sistema sovietico. E, non a caso, egli si sarebbe rivelato un difensore dell'ortodossia rivoluzionaria e un implacabile gestore dei tribunali rivoluzionari pronti a comminare senza pietà sentenze di condanna a morte per nemici, oppositori o presunti tali. Avrebbe acquistato, per usare una immagine di Vecchioni, le caratteristiche di "un rivoluzionario dalla temibile efficacia: discreto, silenzioso, paranoico", pronto a fare spesso "il lavoro sporco per conto di Fidel, la testa pensante del Movimiento". Diventò, insomma, "il più sovietico" del cubani e il difensore dell'ortodossia marxista-leninista. Il saggio di Domenico Vecchioni, scritto con eleganza e vivacità, ricostruisce, sì, le vicende biografiche di Raul - studente e rivoluzionario, costruttore di forze armate politicizzate e guida di un efficientissimo servizio segreto - ma sottolinea anche la rigidità ideologica del suo sistema di pensiero e il suo legame di sudditanza nei confronti del fratello. Due punti che giustificano il pessimismo sulla sua effettiva capacità di traghettare Cuba dalla dittatura alla democrazia.
10/12/2011
Un Facebook per soli cubani
L'ultima invenzione del regime di L'AvanaUn nuovo modo per il governo di controllare i giovani nel tempo dei social network
Si chiama Red Social ed è il tentativo del regime cubano di mantenere il controllo sull’informazione ai tempi dei social media. In buona sostanza si tratta di un Facebook in salsa cubana, con tanto di grafica copiata di sana pianta dal social network di Mark Zuckerberg. Con una differenza sostanziale: l’utilizzo è riservato a chi vive sull’isola.Cubani connessi con i cubani, come spiega in modo eloquente l’immagine della home page: al globo terrestre, che appare quando si entra in facebook, è stata infatti sostituita l’immagine dell’isola. “Un punto di incontro virtuale per le università cubane”, dice lo slogan del sito lanciato solo pochi giorni fa per iniziativa del Ministero dell’istruzione. Questo è quello che sostiene Carlos Alberto Pérez Benitez, del blog la Chiringa de Cuba, il primo a dare la notizia. Il social usa un indirizzo che clona quello di facebook http://facebook.ismm.edu.cu, che risulta bloccato a chiunque cerchi di accedervi al di fuori di Cuba.
Insomma, dopo la nascita della wikipedia cubana – EcuRed, la comparsa del social segna un nuovo passo verso questa strana forma di autarchia della comunicazione su internet, il cui unico senso sembra essere quello di controllare meglio la circolazione delle informazioni.
4/12/2011
Cuba, l'altra revolución Via libera ai prestiti per i privati: Raul Castro ha autorizzato 181 attività.
A L’Avana resistono le gigantografie di Fidel e Raul, gli ammonimenti del Che e il Granma, il foglio che tutte la mattine racconta la verità di partito.
Ma nella vita di tutti i giorni qualcosa sta cambiando, ed è qualcosa di importante. Con le nuove autorizzazioni approvate a settembre, l’apertura all’iniziativa privata di piccoli imprenditori e commercianti ha portato una ventata di speranza.
Piccole imprese, per lo più a conduzione familiare e per la prima volta in 50 anni sganciate dal controllo statale, sono spuntate nelle principali città.
Ci sono i negozi di generi alimentari e i parrucchieri, i tassisti e i giardinieri.
E poi gli affittacamere, quei proprietari delle casas particulares che ora, grazie alla nuova normativa, possono «godere di una boccata d’aria, soprattutto dal punto di vista fiscale», ha raccontato a Lettera43.it Idalmis Arroyo, proprietaria di una casa particular a Santiago de Cuba.
«Va molto meglio», ha aggiunto, «ora riusciamo ad affrontare con serenità tutte le spese anche nei periodi in cui ci sono pochi turisti».
Il nuovo sistema prevede infatti una semplificazione delle imposte con una tassa unica per i cuentapropistas, come sono definiti lavoratori in proprio, e il cui importo percentuale, in certi settori come quello degli affittacamere, è diminuito in media del 30%.
Poi c’è il decreto sull’accesso al credito, pubblicato il 24 novembre sulla gazzetta ufficiale, che rappresenta l’ultimo e fondamentale tassello del piano di riforme economiche di Plaza de la Revolución, in un Paese che si è retto per decenni su un sistema economico e bancario centralizzato e dove nessun cittadino ha avuto la possibilità di accumulare un capitale da reinvestire.
Dal 20 dicembre, i lavoratori che decidano di mettersi in proprio e impegnarsi in un lavoro «non statale» potranno chiedere un prestito da 3 mila pesos cubani (125 dollari) necessario allo sviluppo della propria attività, Anche i contadini potranno avere un prestito (in questo caso a partire da 500 pesos, ovvero 20,8 dollari), per la riparazione e l’acquisto di strumenti di lavoro.
Così, a piccoli passi, Cuba si muove verso l’economia di mercato dopo 50 anni di socialismo. Non è chiaro il modo in cui le riforme economiche riusciranno a quadrare, né se la debole economia cubana saprà uniformarsi senza collassare.
Poi, non ultime, ci sono le incognite politiche. Tra i settori più ortodossi della classe politica cubana non mancano gli oppositori della riforma economica voluta da Raul Castro, anche se questi esponenti non sembrano avere il peso necessario – né nell’esercito né nella burocrazia del Partito comunista – per detenere o rallentare il processo di rinnovamento.
3/12/2011
Internet a Cuba
Un’architettura che un tempo sarebbe stata definita audace, un prato insolitamente curato e le porte ben custodite per allontanare i curiosi. Il Palazzo delle Convezioni ha ospitato così tanti eventi organizzati dal governo che è difficile separare il suo nome dalla parola “ufficiale”. Viene utilizzato anche come sala parlamentare per un’Assemblea Nazionale che non ha una propria sede e rifiuta di usare lo stupendo emiciclo del Capitolio avanero. Proprio in quel palazzo, nel sancta sanctorum delle cose statali e governative, questa settimana ha avuto luogo un incontro sui mezzi di comunicazione alternativi e sulle reti sociali convocato dal Ministero dei Rapporti Esteri. Il prato trascurato di un anonimo parco sarebbe stato uno scenario migliore, perché i partecipanti avrebbero parlato in pubblico invece che a un ristretto numero di invitati. Ma è chiaro che questa cosa non si poteva permettere.
In un paese dove guadagnano spazio sia la blogosfera che le reti Twitter alternative, è stata organizzata una riunione sul tema Web 2.0 senza invitare una sola voce non istituzionale. Non riconoscere l’esistenza di chi è diverso da noi è un atteggiamento molto infantile; organizzare eventi riservati a pochi eletti per parlare di reti sociali evidenzia, come minimo, un forte timore del pluralismo. Forse i presenti - che provenivano dai cinque continenti - non erano al corrente della parzialità ideologica del Foro. Nel migliore dei casi credevano davvero di poter incontrare l’ampio ventaglio di opinioni che si mostra con tanta forza nei blog e siti internet dedicati a Cuba, realizzati all’interno e all’esterno dell’Isola. Nel Palazzo delle Convenzioni è stato messo in scena un copione schematico, per studiare Internet come arma, trincea, scudo. Sono i vecchi metodi dello scontro politico e dell’estremismo, nascosti da un esile velo di kilobytes.
Basta leggere i 14 punti redatti al termine dell’incontro, che si è protratto per diversi giorni, per concludere che i partecipanti non erano stati invitati per essere ascoltati, ma dovevano soltanto ricevere istruzioni. Per l’autoritarismo che manifesta mi ha sorpreso soprattutto il punto programmatico che consiglia l’uso quotidiano di hashtags su Twitter. Non si rendono conto che mettendo per scritto una simile disposizione rivelano la mancanza di spontaneità delle loro campagne su Web. Credetemi, gli organizzatori di questo Foro volevano soltanto definire una procedura standard, stabilire articoli commissionati e una posizione imposta, ma non hanno niente a che vedere con le reti sociali né con i mezzi di comunicazione alternativi. Salta subito all’occhio quando una cosa è predisposta dall’alto. I lettori preferiscono la spontaneità di un individuo che interagisce in maniera orizzontale con gli altri a una serie di accordi presi in una sala ufficiale, di un palazzo ufficiale, nella zona più ufficiale di questa città.
11/11/2011
Ecco i figli dei tiranni indignados contro papà
La figlia di Raul Castro difende i gay, quella di Fidel fugge a Miami e il nipote di Kim Jong-il scrive: "Meglio la democrazia"I figli crescono e si ribellano. Succede, anche quando il padre fa il dittatore. È successo a Castro, stessa sorte ora anche al fratello Raul. Figlie ribelli e testarde, Mariela come Alina. Nel 1993 Fidel ha visto la sua Alina partire, mascherata da turista per scappare come un rifugiato qualunque. Una figlia tosta, Alina Fernandez Revuelta. Unica discendente del lider maximo, trasgressiva e indisciplinata fin da quando era bambina. A Miami si è rifatta una vita lontana dal suo passato, conduce un programma radio e racconta: «Sono fuggita nel 1993 in Spagna travestita da turista perché mio padre mi considerava una nemica politica e mi teneva sotto controllo. Mi negò il permesso per uscire dal Paese. Ero una marziana reduce da un pianeta lontano e dimenticato». Alina sputa veleno e assicura: «Io sarò sempre una ribelle e non tornerò mai per riabbracciare Fidel, nemmeno per il suo funerale». Figlie che odiano i padri e si vendicano raccontandoli nelle interviste e nei film, (Castro’s daughter: an exile’s Memoir of Cuba), prodotto dal Premio Oscar Bobby Moresco di Million Dollar Baby. «A tre anni gli show di Topolino furono rimpiazzati dalle esecuzioni ordinate da mio padre».
Oggi il regime fa uno sforzo per cambiare. La nipote Mariela è in testa a questo cambiamento. È lei che guida una nuova rivoluzione. Lo fa a partire dai gay, come simbolo del nuovo corso cubano in fatto di sessualità. Infatti se suo zio Fidel e suo padre Raul avevano costruito lager per la rieducazione degli omosessuali, lei lotta contro il maschilismo dei cubani per affermare i loro diritti e sfila in testa ai cortei gay. Eppure oggi Mariela vuole procedere con i piedi di piombo. Sa che rompere ora con il regime non funzionerebbe. Ora che si stanno facendo sforzi per cambiare. Cerca la linea morbida, quella interna. L’altro ieri ha debutto su Twitter, forma democratica per eccellenza di comunicazione. Tanto che lì ha trovato subito una voce contraria e nemica. Yoani Sanchez, blogger cubana anti-governativa l’ha subito attaccata, lei ha reagito, ne è nato un battibecco on-line. Yoani contro Mariela che colpita ha tentato di difendere il nuovo corso. Cioè ribelle sì, ma per il momento meglio non esagerare con gli strappi.
Ma non solo a Cuba escono storie di figli ribelli. Quando il nipote pop di Kim Jong-il è riuscito ad avere accesso a internet il padre, Kim Jong-nam deve essere caduto dalla sedia per lo choc. Sul profilo Facebook il sedicenne Kim Han Sol si è presentato con capelli biondi ossigenati e vestiti alla moda e ha scritto: «Al comunismo preferisco la democrazia». Ma non solo, ha poi elencato interessi e film preferiti (al primo posto Love Actually, commedia romantica con Emma Thompson e Hugh Grant). Gusti decisamente troppo occidentali per il figlio maggiore del numero uno del regime di Pyongyang che ha subito tentato di correre ai ripari bloccando il suo account. Figli cresciuti nell’oro e nell’opulenza che da grandi tradiscono il padre e i suoi ideali. Anche tra i figli di Bin Laden c’è stata una pecora bianca. Omar è cresciuto nel lusso e nello sfarzo e quando il severo genitore ha tentato di spedirlo in un campo di addestramento di Al Qaeda, la sua natura di figlio ribelle è venuta alla luce. È fuggito negli Stati Uniti da dove ha sempre lavorato per la pace. Un colpo al cuore per Bin Laden. Lo stesso colpo inferto da Svetlana Allilueva, figlia prediletta di Stalin. Proprio lei, fuggita negli usa nel 67, ha denunciato i crimini del comunismo. Un dolore risparmiato a Stalin, morto 14 anni prima.
10/11/2011
Venezuela: Chavez ha pochi mesi vita
CARACAS, 10 NOV - ''Il cancro di Hugo Chavez avanza piu' velocemente di quanto previsto e i suoi medici temono che gli rimangano pochi mesi di vita''. Ad affermarlo e' l'ex ambasciatore degli Usa all'Organizzazione degli Stati Americani, Roger Noriega, che cita fonti affidabili interne al governo venezuelano. Secondo Noriega, ''le autorita' statunitensi sapevano del cancro di Chavez sei mesi prima che lui lo annunciasse e sono al corrente del fatto che lui non sara' candidato alle prossime elezioni''.
9/11/2011
La figlia di Castro duetta su Twitter
con la blogger Yoani Sanchez, Mariela, figlia di Raul, debutta come "CastroEspinM"La figlia del presidente cubano Raul Castro, Mariela, ha aperto oggi un account su Twitter, scambiando subito dei messaggi con la nota blogger cubana Yoani Sanchez, da sempre apertamente critica con il governo.
«Sto imparando, presto avrete più notizie», è stato il primo tweet di "CastroEspinM". Poco dopo, Yoani Sanchez dopo averle dato il benvenuto «alla pluralità Twitter» e messo in chiaro che «qui nessuno può farmi tacere, né impedirmi di entrare od uscire dal Paese », le ha chiesto: «Come si può chiedere di accettare un dibattito parziale su un solo tema? La tollerenza è totale o non lo è». Al che Mariela ha risposto: «La tua visione sulla tolleranza ripete i vecchi meccanismi del potere, per migliorare i tuoi "servizi" devi studiare».
Lo scambio dei messaggi ha avuto un'immediata eco nelle reti sociali. Mariela Castro, nota per il suo impegno nella difesa dei diritti delle minoranze omosessuali, ha ringraziato comunque per i «messaggi di incoraggiamento» e anche per quelli «mediocri e noiosi». Molti le hanno chiesto di potersi rivolgere a lei «senza censura». Per CastroEspinM un debutto sul web senz'altro sui
generis.
22/10/2011
Hugo Chavez sostiene di essere miracolosamente guarito dal tumore dopo solo pochi cicli di chemioterapia e il suo medico che invece ha naturalmente detto che al più gli restano un paio di anni di vita è stato costretto a fuggire dal Venezuela.
Ha lasciato il Venezuela Salvador Navarrete, il medico che ha dato al presidente del Venezuela Hugo Chavez due anni di vita per il tumore che da giugno lo costringe a sottoporsi a trattamenti di chemioterapia. Sembra infatti che, dopo le sue dichiarazioni alla stampa sulla salute di Chavez, la polizia abbia fatto visita al suo studio. Poi il medico ha deciso di lasciare il Paese temendo per la sua vita.La fuga del medico dopo la perquisizione del suo studio è stata riferita dalla Bbc. Ex chirurgo personale di Chavez, Navarrete aveva rilasciato lunedì un'intervista al giornale messicano "Milenio Semanal" in cui ha sostenuto che le condizioni di salute di Chavez sono peggiori rispetto a quanto il presidente ammetta pubblicamente. Navarrete ha definito la prognosi "non buona", aggiungendo: "Quando dico questo, voglio dire che non ha più di due anni di vita". Secondo il chirurgo, Chavez avrebbe un sarcoma pelvico.
Giovedì il presidente è rientrato in Venezuela dopo essersi sottoposto a nuovi controlli a Cura, dopo aver terminato a settembre un ciclo di quattro trattamenti di chemioterapia, tre a Cuba e uno a Caracas. Navarrete è stato il chirurgo personale di Chavez dal 2002 fino all'inizio del 2011, quando Chavez ha deciso di rivolgersi solo a medici cubani.
17/10/2011
Laura, grande Laura
Otto anni fa Laura Pollán era una semplice maestra di scuola e viveva insieme al marito Héctor Maseda, che dirigeva fuori dalla legalità il Partito Liberale Cubano. La famiglia cercava di vivere in modo normale nella piccola casa di calle Neptuno, anche se non era facile andare avanti in un paese che considera un crimine la libera associazione. Ma una mattina, alcuni colpi alla porta vennero ad annunciare un cambiamento irrimediabile della loro vita. Dopo un’accurata perquisizione, Maseda fu incarcerato e condannato a 20 anni di galera con l’accusa di aver attentato alla sicurezza nazionale. Il suo delitto: sognare una Cuba diversa, opporsi politicamente alle autorità e mettere per scritto le sue opinioni. Ben settantacinque oppositori vennero processati in quel triste marzo del 2003, rimasto per sempre nella nostra storia nazionale con il nome di Primavera Nera. La logica machista avrebbe voluto che le donne dei dissidenti arrestati restassero in casa a piangere il loro dolore, mentre i mariti scontavano lunghe pene in prigioni molto lontane dalle province di origine. Il governo cubano contava che quel colpo assestato all’opposizione avrebbe persuaso altri inquieti cittadini a non unirsi alle fila dei contestatari. Credeva anche che quelle spose, madri e figlie non avrebbero protestato, nella speranza che il silenzio potesse aiutare di più i loro cari rispetto alla pubblica denuncia di un orrore. Ma spesso i calcoli politici che provengono dalle alte sfere del potere sono errati.
In questo modo sono nate le Damas de Blanco, un gruppo di donne che lottando pacificamente chiedeva la liberazione di tutti i prigionieri di coscienza. Al principio sembrava un movimento modesto e privo di collegamento, vista la grande distanza che separava una donna dall’altra. Ma l’indignazione ha fatto da collante ed è stata un elemento di crescita per un movimento di donne che vestivano di bianco e tenevano in mano gladioli. Tra loro spiccava la voce di una piccola donna dagli occhi chiari che insegnava spagnolo e letteratura in una classe di adolescenti. Laura Pollán è diventata leader e portavoce di un gruppo non politico, concentrato soprattutto sul tema dei diritti umani e della scarcerazione dei familiari. In un paese retto da un’ideologia monocorde, l’ingresso sulla scena delle Damas de Blanco ha rappresentato un’importante novità. Non esibivano statuti di partiti politici, ma mostravano il desiderio di tornare ad abbracciare i loro cari. Hanno scelto di non unirsi a difesa di un’ideologia ma intorno alla fondamentale posizione dell’affetto familiare. Hanno suscitato molte simpatie tra la popolazione dell’Isola e - come accade in casi simili - tutto questo ha generato una campagna di diffamazione e insulti orchestrata dalle autorità.
Le Damas de Blanco sono state il gruppo dissidente più denigrato dai mezzi informativi cubani. Contro di loro è stata portata avanti ogni possibile guerra mediatica, dai tentativi di intimidazione ai meeting di ripudio che hanno raggiunto il culmine davanti alla porta della casa di Laura Pollán. I reporter ufficiali le chiamavano “Le Dame Verdi”, alludendo agli aiuti economici che ricevevano dai cubani esiliati per portare da mangiare ai mariti in prigione. Per ironia della sorte, un governo che ha usato le casse nazionali a sostegno dei più assurdi deliri politici, si permetteva di criticare gli aiuti ricevuti da alcune donne bisognose. La stampa nazionale ha continuato a denigrare la leader di quel movimento pacifico persino quando è entrata in terapia intensiva. Laura Pollán è stata ricoverata in uno di quegli ospedali avaneri dove la capacità medica è molto alta ma scarseggiano le luci, in gravissime condizioni, con forti dolori articolari, mancanza d’aria e deperimento organico. Visto che la situazione era molto grave, è stato chiesto alla famiglia se la paziente poteva essere trasferita in una clinica di lusso destinata ai militari. Laura prima di essere sedata e perdere conoscenza aveva già detto: “Voglio andare nell’ospedale del popolo”. Ed è proprio lì che è morta, dopo che le è stato diagnosticato il dengue con cinque giorni di ritardo, in un paese che da mesi vive un’intensa epidemia di quel virus.
Anche se in questo momento tutti i giornali del mondo stanno pubblicando la notizia della morte di Laura Pollán, il Granma e gli altri imbarazzanti giornali nazionali mantengono il silenzio. Una simile muta reazione può significare la pochezza di un governo incapace di provare dolore di fronte alla morte di un avversario. Non se la sono sentita di fermare le ostilità neppure per esprimere parole di condoglianza e per dire “mi dispiace”. Ma questo silenzio deriva anche dalla paura che avevano di questa piccola insegnante di spagnolo, un timore che è ancora dipinto sui loro volti. La leader delle Damas de Blanco è morta. Da ora in poi nessuno potrà tenere un gladiolo in mano senza pensare a Laura Pollán.
17/10/2011
Hugo Chavez potrebbe non sopravvivere a Fidel Castro
Lo dice il suo medico personale ad una rivista messicana: il tumore non lascia scampo
“Crediamo che la prognosi del paziente Hugo Chavez non sia buona”, dice Salvador Navarrete Aulestia, parte del team medico che ha in cura il presidente venezuelano per il tumore che lo affligge. “E quando dico che non è buona vuol dire che la speranza di vita potrebbe essere massimo di due anni”. Ecco spiegata “la necessità di tenere elezioni anticipate”. Insomma, la rivista messicana Milenio ha in effetti confezionato un piccolo scoop, se è vero che il chirurgo personale di Chavez ha deciso di parlare per descrivere quale è la situazione clinica del suo assistito. Per nulla incoraggiante.
IL TUMORE DI CHAVEZ – Hugo Chavez ha un tipo molto particolare di cancro alla parete prostatica: non alla prostata. Si tratta di un sarcoma, un tipo di “tumore retroperitoneale” del “pavimento pelvico”. Si tratta di un tumore “molto aggressivo” che richiede una robusta chemioterapia. Smentite dunque nettamente le voci che lo volevano afflitto da un cancro alla prostata: “Non è un cancro della prostata”, esclude il medico. “E’ un tumore vicino alla prostata che invade la vescica. Oppure è un tumore originato nella vescica che invade il pavimento pelvico”. E’ per questo che i primi sintomi di Chavez sono stati muscolari.
Sotto questa regione c’è il muscolo ileopsoas, responsabile del sollevamento del femore. E’ il muscolo che alza il ginocchio mentre siamo seduti. Perciò pensiamo che il tumore sia muscolare, originato ed ospitato lì. Lo dico perché, prima di essere sottoposto a chirurgia per rimuovere un tumore maligno grande come una palla da baseball, il presidente ha sofferto un problema al ginocchio: un “referred pain”
Come è noto, Chavez è andato a curarsi a Cuba, dall’amico Fidel Castro.
ARROGANZA – La sua assenza dal Venezuela aveva molto preoccupato la stampa locale che si chiedeva quale fosse il suo stato di salute. Chavez era tornato dalle cliniche cubane dimagrito ma molto combattivo; il nuovo look con la testa rasata lasciava intendere una chemioterapia: e in effetti dopo molte voci era stato lo stesso presidente a confessare la sua malattia. Ora il medico ci spiega che il leader della repubblica Bolivariana non si fa curare in patria perché in Venezuela “non si fida di nessuno”, solo dei cubani: “All’ospedale militare c’è un appartamento pronto ad ogni evenienza con uno staff interamente cubano. Non solo: l’esperienza privata e personale del medico del paziente Chavez è stata quella di un soggetto troppo sicuro di sé, fino ad ignorare tutte le prescrizioni mediche: “Volevamo fargli una doppia endoscopia, sopra e sotto, ma lui ha rifiutato”. Dopo la diagnosi del tumore però il presidente si è detto “pentito” di aver ignorato le raccomandazioni mediche”: “Non pensavo di ammalarmi”, avrebbe detto il presidente Chavez, che sarebbe stato curato in passato anche per “sindromi maniaco-depressive”.
5/9/2011
Cuba, informazione libera via SMS
Cuba Sin Censura è l'iniziativa di un blogger cubano residente in Spagna. Circa un migliaio di telefoni cellulari sull'isola riceve ogni giorno notizie legate all'attualità. Al riparo dal vigile occhio governativo
Si chiama Cuba Sin Censura ed è un servizio gratuito ideato dal blogger cubano Ernesto Hernandez Busto. Un sistema che ha aggirato con facilità il controllo centrale da parte delle autorità cubane, permettendo a circa un migliaio di telefoni cellulari di ricevere quotidianamente brevi notizie in formato SMS.
Messaggi legati all'attualità cubana, inviati dal servizio di Busto - che attualmente risiede in Spagna - ai cellulari di dissidenti, attivisti e blogger. Il meccanismo d'iscrizione aCuba Sin Censura è estremamente semplice: basta inserire un numero telefonico in uno specifico spazio sulla homepage.
Il servizio lanciato da Busto ha dunque approfittato della crescita esplosiva dei possessori di telefono cellulare in terra cubana. Dai quasi 200mila abitanti nel 2007 al milione raggiunto alla fine dello scorso anno. L'invio di SMS riesce così ad aggirare lo stretto controllo applicato dal governo sui sistemi legati ad Internet.
E' l'iniziativa del blogger cubano ha preso a prestito certe dinamiche del marketing telefonico, con l'invio di messaggi a costi contenuti e soprattutto al riparo da tentativi di blocco. Unico neo: non è attualmente possibile decidere di rimuovere il proprio numero di telefono dai registri di Cuba Sin Censura
27/8/2011
Benvenuto, Pablo Milanés
Oggi (sabato 27 agosto, ndt) si esibirà a Miami il cantautorePablo Milanés. Si tratta di un evento intriso di contenuto politico che vale la pena analizzare.
Pablo Milanés ha detto tre cose molto importanti durante un’eccellente intervista concessa a Gloria Ordaz di Univisión. Ha detto che non desidera più cantare per Fidel Castro, che non ha niente in contrario a dedicare una canzone alle Dame in Bianco, e che è un rivoluzionario critico, impegnato con il sistema socialista.
Bene. Questo significa, prima di tutto, che il famoso cantautore ha rotto definitivamente con quella penosa subordinazione morale e intellettuale verso il caudillo che caratterizza le irrazionali dittature personaliste; secondo, che accetta il pluralismo e le differenze all’interno di una società nella quale molte persone mantengono posizioni diverse, senza che questo le trasformi in nemici esecrabili o in agenti della CIA; e, terzo, che non ha smesso di essere comunista, ma non è disposto a tacere di fronte agli errori e ai soprusi del suo governo. Si considera un militante, ma non è cieco e muto di fronte alle cose che non vanno. Il rivoluzionario è un ribelle, non un personaggio quieto e sottomesso.
La mia impressione è che per bocca di Pablo stanno parlando centinaia di migliaia di comunisti cubani che si considerano veri riformisti. Per loro, non bastano le quattro toppe che Raúl vuol mettere al sistema produttivo per conservare la dittatura del partito unico, manovrata da un gruppo di persone scelte dal generale all’interno della ristretta cerchia dei suoi fedelissimi. Questo, secondo quanto si deduce dalle parole di Pablo, non è un governo moderno e legittimo, ma una banda al servizio di un capo onnipotente, incapace persino di rispettare i principi del “centralismo democratico” che dovrebbero regolare le relazioni tra camerati. Per questo motivo Pablo chiede cambiamenti reali.
I democratici dell’opposizione devono fare uno sforzo per comprendere il fenomeno. Pablo Milanés, e con lui centinaia di migliaia di persone che si considerano “rivoluzionarie”, non sono nemiche. Sono avversari politici che hanno certe idee, a mio giudizio assurde, ma restano persone con le quali si potrà e si dovrà convivere in una Cuba liberata dal dogmatismo stalinista dei Castro. Come accade in ogni democrazia sviluppata del pianeta, gruppi ideologicamente diversi convivono nei parlamenti e riescono a trovare momenti di collaborazione.
Forse i giovani cubani non lo sanno, ma nel periodo 1940 - 1944, in piena democrazia, il generale Fulgencio Batista, sostenuto dai comunisti, venne liberamente eletto alla presidenza della repubblica dalla maggioranza dei cubani. In un’epoca segnata da una crescita impetuosa, i comunisti-batistiani difendevano il pluralismo, al punto che entrarono a far parte del governo due ministri di questo partito politico. Quando Batista lasciò la presidenza e si recò in Cile, Pablo Neruda lo salutò con un testo molto ossequioso e pieno di aggettivi entusiasti.
Dopo oltre mezzo secolo di disgrazie, fucilazioni, esili di massa, impoverimento progressivo, avventure militari, violazioni dei diritti umani ed esercizio arbitrario del potere da parte di un caudillo illuminato, impegnato a reinventare tutto quel che esiste, dagli esseri umani alle mucche, passando per il caffè o l’apicoltura, è giunta l’ora che la società, tutta la società, assuma la direzione del suo destino in forma pacifica, razionale, pluralista e collegiale. Questo processo comincia con una sobria stretta di mano tra i comunisti riformisti edemocratici dell’opposizione. Sono, e dovranno essere, avversari rispettabili, non nemici
Benvenuto, Pablo Milanés.
17/8/2011
Doppia censura a Cuba e da noi
Armando de Armas, scrittore e dissidente cubano, per anni si è battuto contro gli stereotipi sulla diaspora cubana. Quelli, tanto per intenderci, secondo cui tutti gli esuli sono mafiosi alla “Scarface”. De Armas ha pubblicato tre anni fa “I miti dell’anti-esilio” con la piccola casa editrice Spirali, fondata da Armando Verdiglione.
Ora la stessa casa editrice rischia di chiudere. Il professor Verdiglione è sotto il torchio dalla magistratura italiana. E per i media è già "colpevole" benché non ancora giudicato. Così rischia di serrarsi una rarissima (se non unica) finestra da cui i dissidenti potevano affacciarsi anche su un pubblico italiano.
Armando de Armas è uno di loro. E’ venuto in Italia, nel fine settimana di ferragosto, non per vacanza, ma per portare la sua solidarietà a Verdiglione e alla Spirali, nella sede della Villa San Carlo Borromeo di Senago, che tante volte ha fatto da cornice a incontri e conferenze di intellettuali fuori dal coro.
De Armas, venendo da Miami, ci conferma che il clima intellettuale che si respira, là come qua, non è dei più aperti. La notizia della settimana, da Cuba, è il compleanno del Lìder Maximo Fidel Castro. Dei dissidenti non si sente neppure parlare. Ma esistono ancora? Come mai tutto il mondo arabo insorge, il contagio arriva persino in Estremo Oriente (qualcosa si è mosso anche in Corea del Nord, per la prima volta in sessanta anni), ma a Cuba la 52enne dittatura di Castro appare più solida che mai?“Io credo che le rivoluzioni, riuscite nel mondo arabo, debbano il loro successo alla relativa mitezza dei loro regimi” – ci spiega De Armas – “si deve sempre fare una distinzione fra i regimi autoritari e quelli totalitari.
Cuba è un regime totalitario e qualsiasi espressione del dissenso è quasi impossibile”. Niente si muove sotto il regime totalitario cubano?Si parla sempre del ruolo che hanno avuto le nuove tecnologie, i blog, i social network e gli smart phones nella Primavera Araba. A Cuba questa influenza delle nuove tecnologie dell’informazione non esiste: è il Paese meno connesso al mondo, assieme, forse, alla Corea del Nord.
Solo poche persone hanno diritto di accesso a Internet. Blogger dissidenti, come la famosa Yoani Sanchez, in realtà danno informazioni su Cuba al mondo esterno, ma la loro influenza dentro il Paese è pari a zero. Per il resto c’è un controllo assoluto sui media. A tutto ciò si aggiunga una repressione capillare, effettuata in due modi: quello brutale, delle botte, della tortura e del carcere.
E quello più subdolo, con lo spionaggio, una rete di informatori molto efficace, che tengono tutti sotto osservazione. Infine c’è un condizionamento psicologico, sin dalla nascita, che ti trasforma in un vero e proprio zombie ideologico. Questa repressione psicologica genera una sindrome di impotenza: l’individuo sente di non poter fare niente contro lo Stato.
Se l’Unione Europea non intende intervenire per la democrazia a Cuba (anche le sanzioni sono state revocate), gli Usa che fanno?Se la dittatura cubana sopravvive da più di mezzo secolo, lo deve anche a una diffusa complicità internazionale. A tutti i livelli: politico, culturale e religioso.
La dittatura cubana è accettata positivamente dall’immaginario collettivo occidentale. Lo spirito socialista o socialistoide è il pensiero dominante da un secolo. Negli Usa, l’amministrazione Obama fa leva su una retorica socialista: collettivizzazione della sanità, della scuola, della grande impresa, ecc… Per i socialisti europei, come per quelli americani, la dittatura cubana può essere contestata per i suoi metodi, non per la sua essenza.
Che è esattamente la stessa: lo Stato superiore alla società, il collettivo sull’individuo. In tutto l’Occidente, però, la stampa è libera e anche il dissenso può esprimersi…Io ho sofferto due tipi differenti di censura. Quella brutale a Cuba, dove se scrivi quel che pensi rischi il carcere.
E quella più sottile negli Usa, dettata dal conformismo del politicamente corretto. Per esempio, solo il 10-15% dei giornalisti americani si definiscono conservatori o libertari, tutti gli altri sono conformi alla cultura dei progressisti/socialisti. D’altra parte la dittatura di Castro non è nata per caso: è stata alimentata da ideologie già diffuse in Occidente che, per l’intero secolo scorso, era diviso fra fascismo e comunismo, entrambi figli dell’ideologia socialista.
Gli Usa, almeno dalla Seconda Guerra Mondiale, hanno però sempre vantato la loro missione di esportazione della libertà…Con l’amministrazione Bush si era affermata l’idea che esportare la democrazia fosse necessario per garantire la sicurezza degli Usa. Da tre anni l’amministrazione Obama ha effettuato una svolta a U.
Ha cercato e cerca tuttora l’appeasement con tutte le dittature, Cuba inclusa. Il 20 maggio, il nostro giorno dell’indipendenza, tradizionalmente il presidente offriva un pranzo ai dissidenti cubani in esilio nella Casa Bianca. Il primo 20 maggio dell’amministrazione Obama si è celebrato in un ristorante messicano di Washington.
Nessun dissidente di rilievo è stato invitato. Lottare contro i miti e i luoghi comuni su Cuba, specie in questi ultimi anni, è diventato un compito immane. Ci si sente dei Don Chisciotte che lottano contro mulini a vento.
14/8/2011
Cuba, sesso a pagamento in crescita. A L'Avana profilerano le prostitute, soprattutto quelle
a basso costo. Sono queste le nuove professioni di Raúl?
In una casa dall’ampio porticato, nel municipio Diez de Octubre, funziona senza sosta un modesto bordello. Diverse ragazze, di un’età compresa tra i 16 e i 19 anni, si vendono per 6 dollari. Esercita funzioni di maîtresse un’ex jinetera di grande esperienza. Si chiama Lucrecia, ha 51 anni, fa parte di quel gruppo di prostitute, figlie della rivoluzione, più attratte dai dollari, moneta illegale fino al 1993, che dal radioso futuro comunista promesso da Fidel Castro.
«Ho aperto l’attività da un paio di mesi. Ha avuto un gran successo. Ricevo dai 20 ai 30 clienti al giorno. Voglio inserire un piccolo bar. Vendere birra e bevande. Se tutto va bene penso di poter servire presto anche pranzi e spuntini», dice Lucrecia, padrona del puticlub, come è stato subito ribattezzato il locale dalla gente del quartiere.
Va da sé che questi bordelli sono illegali. Ma da un po' di tempo a questa parte la prostituzione ha ripreso nuova forza, soprattutto all’Avana. Abbiamo diversi segmenti e tariffe. In prima fila troviamo le jineteras di lusso, belle come modelle internazionali. Prendono 100 dollari a notte, vanno a letto solo con gli stranieri e mettono annunci su web. Segue un esercito di jineteras che frequentano luoghi turistici, spiagge e discoteche dove europei e canadesi ballano salsa e reguetón. Non costano più di 40 dollari. Il mercato cubano del sesso è ormai saturo. Le jineteras dell’Avana si adeguano alla legge della domanda e dell’offerta. L’arrivo di quasi novecentomila cubano americani nel corso dell’ultimo anno, ha provocato l’aumento di prostitute "a basso costo".
Liana si è specializzata in cubani residenti negli Stati Uniti. «Sono i migliori clienti, quasi sempre si portano a rimorchio mezza dozzina di parenti con tanta voglia di fare baldoria. Pagano bene e sono splendidi. Non voglio saperne degli europei. Per la crisi, non sono molto generosi. Il solo vantaggio di andare a letto con un europeo è che puoi fingere di innamorarti e se hai fortuna ti porta via dal paese. I cubani di Miami vengono a far festa, sono vecchi puttanieri. Non è facile raccontar balle a gente simile».
Per soddisfare la domanda di clienti nazionali, nella capitale - e pure in alcune città dell’interno - sono nati bordelli e case di appuntamenti che ofrono compagnia, bibite e letti in stanze confortevoli. Questo è il caso del puticlub di Diez de Octubre, che di notte si riempie di giovani e di persone mature. Tra ragazze e musica discreta, i clienti si divertono molto. Quando sono a corto di denaro, i puttanieri e i loro amici si dirigono in moto o in auto nella zona dell’Autostrada Nazionale, dove moltissime ragazze orientali si prostituiscono per 50 o 60 pesos (due o tre dollari). Fanno l’amore nei sedili delle auto o sopra qualche cartone sistemato in fretta e furia in una piantagione di banane. Sotto le stelle. Salvo eccezioni, queste jineteras sono quasi sempre grasse, le loro carni sono flaccide e piene di cellulite. Le chiamano matadoras de jugadas (da una botta e via) e rappresentano il livello più basso nel settore del sesso a pagamento.
10/8/2011
". Solo i rivoluzionari in grado di distruggere la rivoluzione",
ha detto Fidel nel 2005. "Il nostro peggior nemico non è l'imperialismo, tanto meno i propri dipendenti sul terreno di casa, ma i nostri errori." Raul ha detto il Lunedi 1 ° agosto alla settima sessione della settima legislatura dell'Assemblea nazionale sulle cause che ostacolano l'attuazione degli accordi del sesto Congresso.Così, sia il contesto in cui il nemico imperialista, bloccare gli avversari e la corte, aveva chiaramente rivelato dove i principali nemici del progresso rivoluzionario a Cuba: il contatore attuale.
E 'innegabile che il più pericoloso forze controrivoluzionarie, perché hanno la capacità di ostacolare i cambiamenti necessari sono nel loro governo stesso partito burocrazia /: Si tratta di forze che parlano di modifiche che non cambiano nulla, che si oppone a qualsiasi cambiamento sostanziale il settaria ed esclusiva accusano di controrivoluzionari e agenti dell'imperialismo tutte le variazioni proposte per uscire dalla stagnazione che ha travolto mezzo secolo di governo statale e ultra-centralizzato.
Raul solo criticato l'immobilità e l'inerzia, e il PCC articoli di stampa appaiono proprio che attaccano la burocrazia, hanno chiamato a rispettare il diritto dei cittadini ad essere informati e per informare i giornalisti, e anche criticare la mentalità burocratica e barriere che impediscono limitate misure adottate possono avere qualche progresso.
Ma dobbiamo riconoscere che il fenomeno è sistemico e che la mentalità burocratica della pubblica amministrazione e gli ostacoli, non cambiano gli indirizzi, i giudizi o le intenzioni esemplare e non sono cause ma le conseguenze del set di concetti e norme sulle Stato-centrico che è fondata e gestita attuale modello burocratico.
Questo schema è proprio quello che deve cambiare per cambiare la mentalità. Non dimenticare che la coscienza sociale è prevalentemente di riferimento, quindi, un modo di produrre e di vivere. "Essere sociale determina la coscienza sociale". Stagnante mentalità burocratica è il risultato del modo burocratico e ossificato sono organizzati produzione e la vita socio-politica del paese.
Immobilismo burocratico
E 55 anni è che la relazione di Nikita Krusciov al XX Congresso del PCUS, criticando lo stalinismo ei suoi metodi, ma molti rimangono sostanzialmente le stesse accuse e le deviazioni, che continuano a confondere il socialismo con la creazione di uno stato governato da una "dittatura del proletariato" festa data da una concentrazione della proprietà dei mezzi di produzione e decisioni di ogni tipo, e la società divisa in due classi principali "comunista.": il potere burocratico-sfruttamento-and-run lavoro sfruttato, uno stato capitalismo monopolistico di sotto mentite spoglie.
Essi sono la critica dello stalinismo limitata ai crimini commessi da Stalin e dai suoi organi di sicurezza contro il Partito comunista e le persone della ex URSS, il Patto Molotov-Ribbentrop e le sue conseguenze, l'assassinio di migliaia di ufficiali dell'esercito polacco Katyn, schiacciando sotto le ruote dei carri armati "sovietica" delle rivoluzioni democratiche in Germania, Ungheria e Cecoslovacchia, interventi indiretti in Romania, Germania, Polonia e altri paesi, l'isolamento a cui la Jugoslavia ha subito l'autogestione e gli altri principali gli errori e gli orrori che farebbero testo troppo grande.
Sono le stesse persone che non capiscono che la deviazione del marxismo è essenzialmente un sistema di società statalista e il controllo totalitario di tutte economico, politico e sociale: il "socialismo" che i partiti comunisti del XX secolo, ha cercato di espandere la resto del pianeta che non è riuscita in tutto il mondo e che il popolo ha respinto.
Dopo la relazione critica dello stalinismo metamorfosi, indossavano costumi di rendere più democratico e più sofisticati metodi di repressione e controllo, ma senza cambiare la sua essenza e totalitaria dello stato-centrica.
Queste varianti, più / meno populista e paternalista, solo riuscito a rimuovere e condannare tutti i tentativi di sconfiggere i socialisti del XX secolo nei quattro continenti e nel Terzo Mondo governi nazionalisti generare autocratici, che hanno fornito la migliore servizi per gli interessi più spuria di imperialismo internazionale e la sua propaganda anti-comunista.
Il rifiuto dello stalinismo, non il socialismo
I suoi metodi autoritari, violenti ed estremisti, la loro classe artificiale e accelerato lotta approfondimento, che sono stati identificati con il socialismo o il comunismo, ampiamente pubblicizzato dalla propaganda imperialista grande, alcuni esagerati, che le persone sono state respinte, non la reale socialismo per differenziare dagli altri.
Di Marx, Engels e altri grandi pensatori di tutti i tempi, con le loro differenze, concordato nella sua essenza democratica, umanista, libertaria e l'autogestione. Questo socialismo autentico, praticamente sconosciuto dalle masse, era nascosto e sepolto dal sé-comunisti, sotto una coltre di dogmi e stereotipi.
Così, ho detto non molto tempo fa in un'intervista con il mio amico Dimitri Prieto, l '"anti-comunismo" a Cuba e altrove, allora come oggi, è stato essenzialmente anti-stalinismo.
Di conseguenza, uno dei compiti più importanti dei comunisti del XXI secolo è proprio smascherare e sconfiggere politicamente e ideologicamente allo stalinismo ed i loro coetanei e soccorso l'ideologia socialista in tutta la sua dialettica autentica e ricca rivoluzionario di tenebre spirituali in cui è stato circondato da partiti e regimi che hanno tentato di costruire il socialismo in quei dogmi statalista, totalitario e manichea.
La storia dimostra che per modificare un errore, è necessario riconoscerlo. Quindi l'unico modo per fare un vero cambiamento nel modello politico-economico-sociale, diretto, realizzato a Cuba, non per qualcuno, ma perché le circostanze storiche che seguirono il trionfo rivoluzionario del popolo cubano 1959 - è quello di riconoscere il loro fallimento completo, la loro mancanza di qualsiasi tipo, il parassitismo, la burocrazia e la corruzione sistemica, ei suoi modi fuorvianti e mezzi di carattere neo-stalinista, anche se qui non c'era fine lì, sostegno realizzazioni concrete in aree specifiche ed è riconosciuto meriti imperialista.
Il mostro che non può essere riformato
Modello burocratico che continua a impedire che il popolo cubano di esercitare la libertà di parola, di riunione, associazione e l'elezione per produrre articolazioni sociali e di altro. Perché avevo parte della ragione, molte sezioni ignorate ed escluse o addirittura accusato di "controrivoluzionari" e punito per aver criticato o neo-stalinista di fronte.
La rivoluzione è stata fatta dal popolo per conquistare i loro diritti e appartiene a lui, non qualcuno in particolare, ogni gruppo, vi era una significativa partecipazione in un momento o una sfera.
Provò una società gerarchica, uno stato onnipotente, spendaccione, sprechi, paternalistico, molto generoso e internazionale con la politica estera e militare di grande potenza a spese di un popolo sempre più diseredati.
Il mostro, una copia tropicalizzato del "socialismo reale." Non è la riforma, in quanto non ha tentato nessuna delle varianti in altre parti, come si è sostenuto, sulla base improduttive, soggettiva e volontaristica.
A causa della sua debolezza funzionale e contraddizioni, 1-cambiamento nella direzione di socializzazione e democratizzazione del potere economico e politico, 2-up al completo ripristino del capitalismo privato, come ha fatto di nascosto, o 3-crolla come un castello di carte. Processo complicato, che rispetto ad una partita di pallone qui, non oltre, così dice il Dott. Humberto Miranda.
Per oltre 5 anni, una parte della loro leadership partito / governo ha attirato qualche errore grave dell'economia e della politica e cerca di apportare modifiche, purtroppo, ancora gravata da confusione e dogmi che non possono essere con successo e si muovono molto lentamente, come le forze di inerzia sono determinati a mantenere tutto com'è. La burocrazia non ha mosso un dito per far rispettare l'estensione cooperativa di tutti i settori dell'economia, la più importante misura adottata dal Congresso Sesto, verso la socializzazione della proprietà.
C'è un'apertura stimolata dal Presidente, che è ovviamente mal supportato dalla sua burocrazia partido/gobierno-, che ha fornito l'opportunità di scrittori e artisti del cinema teatro e televisione per fare una critica devastante della pozione neo-stalinista. Ha anche permesso di visioni diverse di un socialismo più partecipativa e democratica, andare alla ribalta nel limitate opportunità di discussione interna.
Continuando con l'analogia della palla, la sinistra democratica socialista è stato "presenti sul territorio ed aumentare le loro strategie di gioco, ma i poteri che essere vero a Cuba sembrano squadra più probabilità di perdere contro la squadra della Capitale, che cambiare i loro modi. Coloro che non vogliono perdere potuto fare altre decisioni ".
Abbiamo detto e ribadiamo che senza democrazia e senza socializzazione del potere politico ed economico, non c'è il socialismo, nessun paese può.
Conferenza PCC prevista per il prossimo gennaio, sarà decisivo per il futuro immediato.
La stragrande maggioranza dei cubani non volevano continuare come siamo, ma non vogliamo tornare indietro nel obbrobrio dello sfruttamento capitalistico e della sottomissione. Quanto sopra non sono più in grado di mantenere il vecchio modello e desideri modificare di seguito. Il "socialismo di stato" sempre di sovvenzioni provenienti da fuori, incapaci di auto-gestito, è in fallimento, lungo la scogliera, ha detto Raul
Il neo-stalinista posizioni sono stati sconfitti nelle loro politiche economiche, in pratica, e ideologicamente dalle idee condivise sempre un socialismo più partecipativa e democratica, dove i lavoratori possano esercitare il controllo diretto di aziende e persone per la sovranità nazionale. Ma le leve chiave del potere gestione economica reale e politica, particolarmente evidente nella sfera ideologica, dove non hanno nemmeno combattere in forum di discussione, di discussione ed evitare evitare la divulgazione di altre vedute interne ed esterne.
Ma la battaglia nel regno delle idee continuerà fino alla sua conclusione.Raul ha appena difeso il diritto dei cubania parlare, ma l'apparato ideologico di controllo politico e sono dedicati a nascondere, ignorare, calunnia, minacciare, molestare e reprimere le differenze politiche, comprese le proposte e le analisi del socialismo reale.
E 'una menzogna che la sconfitta del neo-stalinismo avrebbe sconfitto la rivoluzione cubana: in ogni caso consentire il mantenimento e l'avanzamento del processo rivoluzionario iniziato nel 1959, ostacolato e bloccato, al suo consolidamento finale, se la democratizzazione forzata della vita socializzazione politica del paese dei mezzi di produzione, due tappe ignorato.
Se i comunisti, socialisti, rivoluzionari di tutte le confessioni, i democratici e altri cubani di buona volontà, dentro e fuori il governo di partito / non sono in grado di unirsi per liberarsi del fardello del neo-stalinismo, la burocrazia e l'inerzia del generatore e prendere il trasformazioni socialista e democratico da un modello di punta della società, "con tutti e per il bene di tutti." quindi l'inevitabile collasso potrebbe essere capitalizzati da coloro che cercano un ritorno al neo-coloniale del passato vergognoso.
04/08/2011
A Cuba sta arrivando il capitalismo si potranno vendere e comprare case
“Ora sì che la rivoluzione comincia davvero”, dice con un sorriso largo Jorge Castellanos da dietro la sua scrivania di mogano e l’aria condizionata che spara saette di ghiaccio. Jorge è un giovane avvocato in uno dei più ricchi studi legali di Miami Downtown, e quando dice della rivoluzione lo dice in inglese, perché lui non ama parlare spagnolo anche se il suo nome e la sua faccia parlano comunque di Cuba. “Ora l’Avana sta davvero a una bracciata di mare da Key West”, e con la mano indica l’orizzonte laggiù, oltre la vetrata di cristalli oscurati.
Quello che sta accadendo, e che eccita l’avvocato, è quanto la Revoluciòn per più di 50 anni aveva proibito, vendere e comprar case. E basta infilarsi in qualche modo nella comunità cubana della Florida per cogliere subito quale trambusto crea questa apertura al mercato immobiliare. E’ un mondo che cambia. Il capitalismo sta per sbarcare all’Avana, ci sbarca come mille cautele e una montagna di diffidenze ma è già lì, comunque, che guarda con occhi assatanati di dollari i vecchi palazzi del Malecòn.
A Cuba, quelli che sono rimasti dopo “el Triunfo” di Castro (oggi vivono all’estero quasi 2 milioni di cubani) sono contati in poco più di 3,5 milioni di famiglie; le case dell’isola sono molte di meno, e la coabitazione è una necessità obbligata. Ma non è solo questo deficit che misura le difficoltà quotidiane: oggi, l’unico modo per trovare un appartamento è però di possederne già uno e volerlo scambiare con un altro. Non si compra e non si vende, c’è soltanto la “permuta”, e anche questa è molto controllata dalla burocrazia di regime per impedire speculazioni clandestine: per esempio, deve esserci equivalenza tra i due appartamenti “permutati” perché, se c’è differenza di valore (scambio di un bicamere con un villotto di quattro stanze), il passaggio clandestino d’una forte compensazione in denaro è assai più che un sospetto.
Il programma statale della costruzione di case, poi, è un autentico fallimento: dei 23.394 appartamenti che erano previsti per quest’anno, finora ne sono stati completati appena 28. E quanto ai materiali edili che il governo conta di vendere per quest’anno ai privati, il “Granma” e “Juventud Rebelde” rivelano che nel primo semestre ne è stato consegnato soltanto il 15,6 per cento. Se sono perfino i giornali di regime a denunciarlo, vuol dire che lo sfascio è davvero grave.
Questa creazione d’un mercato prima inesistente era già stata annunciata da Raùl Castro lo scorso anno come “proposito di riforma”. L’Assemblea parlamentare (il Poder Popular) l’ha discusso ieri, insieme a molti altri cambiamenti normativi. Ora i cubani potranno vendere e comprare casa, sia pure con i controlli e le restrizioni che un’economia centralizzata impone a ogni progetto di innovazione. E la più forte di queste restrizioni è, naturalmente, che il mercato immobiliare resta interno all’isola: da fuori, nessuno può comprare né vendere.
Ma l’avvocato sorride: “E’ la solita tonterìa del regime, una stupidaggine che durerà solo di facciata”. Vuol dire che i cubani dell’esilio hanno già pronti il blocchetto degli assegni e contano di investire i loro dollari “per interposta persona”. Pagheranno al parente esule di un cubano dell’isola, e verranno da Jorge a firmare il contratto: il cubano “dell’interno” continuerà ad abitare nell’appartamento, ma prima o poi dovrà consegnarlo all’acquirente. “Certo, qualche rischio c’è, e io non lo nasconderò ai miei clienti. Ma è un investimento che può assicurare un guadagno molto alto. Un appartamento di tre stanze non lontano dalla Rampa oggi viene valutato sui 50-80 mila dollari. E’ un autentico affare”. Non appena l’isola aprirà ulteriormente le strettoie dell’economia controllata, tutti sanno che il boom edilizio sarà il motore d’una crescita esponenziale, anche grazie all’allentamento delle misure restrittive sui viaggi.
La strada la sta aprendo la più importante agenzia turistica di élite, la Abercrombie&Kent, che il 30 settembre parte con un tour dell’isola per 11 giorni al prezzo di 4.325 dollari a persona. “Eh, ma è solo l’inizio. L’Assemblea popolare ieri all’Avana ha allargato ulteriormente la possibilità di viaggiare l’isola, forse anche per gli stessi cubani residenti”.
Jorge lavora nello studio che già preparava richieste di esproprio per gli appartamenti che erano stati requisiti dalla Revoluciòn quando i legittimi proprietari erano scappati a rifugiarsi qui, a Miami. “Prima o poi, i proprietari dovranno riavere le loro case, o esserne comunque risarciti”. Il giovane avvocato che vuol parlare solo l’inglese sa che si sta preparando un fiume di possibili vertenze, il sorriso con cui ne parla ne tradisce la soddisfazione. Sulle pareti della sua ampia stanza di lavoro stanno appese gigantografie del centro dell’Avana scattate dal satellite: i proprietari espropriati dai barbudos di Fidel vengono qui, ci fanno un segno sopra per indicare la loro vecchia casa, e il dossier viene aperto. Quando il capitalismo sarà sbarcato definitivamente all’Avana, quel dossier Jorge lo riprenderà in mano; saranno delizie per i tribunali.
16/7/2011
LA SORELLA CONFESSA: FIDEL CASTRO E' UN ASSASSINO
Pubblicata l'autobiografia della sorella del dittatore Fidel, che per anni aveva lavorato attivamente per la vittoria della Rivoluzione. Juanita - che ha pagato la sua rettitudine: costretta a scappare da Cuba perché avversa ai fratelli, e spesso insultata, negli Usa, dagli esuli cubani, perché pur sempre sorella del dittatore- ci descrive quello che ha vissuto, e che coincide con quanto raccontano tanti altri testimoni.
Cuba è uno dei tanti miti atei del ventesimo secolo, che sopravvive nel ventunesimo, senza più essere un mito, nell’oblio. Per tanti anni a sinistra si è voluto fare di quell’isola il mondo felice, utopico, realizzato dall’uomo: l’isola incantata che, seppure lontana, però c’è. Ci hanno creduto in tanti, a partire da intellettuali come J. Paul Sartre e Simone de Beauvoir, che mentre buttavano a mare con odio due millenni di cristianità, si godevano bagni di folla cubani organizzati dal regime, e ricambiavano con tanto rumoroso affetto. Ci ha creduto il premio Nobel Gabriel Garcia Marquez, divenuto un narratore alla corte di Castro, di cui Carlos Franqui, celebre rivoluzionario castrista poi pentito, ebbe a scrivere: “La patente di sinistra consente a Garcia Marquez di possedere una villa, milioni e ricchezze in Colombia, in Messico e a Cuba, conti bancari… ma lui non condanna il narcotraffico che distrugge il suo paese, non denuncia i crimini della guerriglia colombiana e tace su delitti atroci come quello di padre Camilo Torres. Sceglie la zuppa comunista per interesse…”. Alla rivoluzione cubana credettero anche molti cattolici di sinistra, che nel post Concilio, approfittando della mancata scomunica al comunismo e dell’iniqua ostpolitik vaticana, approfittarono per mescolare il verbo di Marx con quello di Cristo: mons Ernesto Balducci, in Italia, e i teologi della liberazione, in America Latina. Tra questi quell’Ernesto Cardenal che in suo reportage da Cuba, undici anni dopo la Rivoluzione, pur ammettendo l’esistenza dei campi di concentramento e la persecuzione, tra gli altri, dei cattolici, proclamava Cuba capitale dell’umanità e del benessere, anche materiale, e concludeva entusiasta: “A Cuba avevo visto che il socialismo fa sì che sia possibile vivere l’Evangelo nella società”. Ecco, oggi si sa bene cosa succeda a Cuba: miseria, mancanza di libertà e oppositori coraggiosi, per lo più cattolici e neri, che continuano a lottare, costituendo la testimonianza più evidente del fallimento di una dittatura familiare, che dura da ormai cinquant’anni, immobile e feroce. Scriveva alcuni mesi orsono Lucio Caracciolo, su Limes: “Sotto il velo di una propaganda in cui nessuno crede più, la vita quotidiana di Cuba è quella di un paese che non produce quasi nulla. E quindi deve importare il necessario, compresa la frutta tropicale surgelata servita nei paladares (ristorantini privati ad uso dei turisti e altri privilegiati) che viene dritta dalle serre canadesi. Le tessere alimentari offrono sempre meno”. E concludeva: “Sullo sfondo dell’eroica rivoluzione contro Batista e delle grandiose ambizioni geopolitiche del carismatico Fidel, questa Cuba immiserita e sopravvivente, cucita su misura di turista (sessuale, non più ideologico), sembra rassegnata a recitar se stessa”. Eppure, di questo fallimento, così eclatante, si parla poco, almeno in confronto alla esaltazione che se ne fece, per tanti anni, a sinistra. E rimangono quasi introvabili le denunce fatte spesso da cubani cattolici come Armando Valladares, o anche da comunisti un tempo entusiasti come il fotografo d’arte parigino Pierre Golendorf, autori il primo di “Contro ogni speranza. 22 anni nel gulag delle Americhe dal fondo delle carceri di Fidel Castro”, il secondo de “Un comunista nelle prigioni di Fidel Castro". Tanto clamore, dunque, in passato, tanto silenzio oggi. E’ difficile ammettere, anche stavolta, che ci si era sbagliati. Per questo la recente autobiografia di Juanita Castro, “I miei fratelli Fidel e Raùl” (Fazi), ha ricevuto molta meno attenzione di quella che meritava. Poche recensioni e le stroncature di qualche nostalgico incanaglito, come Maria R. Calderoni, sul quotidiano comunista Liberazione, che indignata per le parole di Juanita, concludeva così la sue considerazioni: “Libro chiuso. A lettura finita ci viene in mente, chissà perché, quella frase di Sartre: «L’anticomunista è un cane»”. Eppure il libro di Juanita è molto interessante, perché scritto dalla sorella del dittatore cubano, che per anni aveva lavorato attivamente per la vittoria della Rivoluzione. Juanita - che ha pagato la sua rettitudine: costretta a scappare da Cuba perché avversa ai fratelli, e spesso insultata, negli Usa, dagli esuli cubani, perché pur sempre sorella del dittatore- ci descrive quello che ha vissuto, e che coincide con quanto raccontano tanti altri testimoni. La Rivoluzione contro Batista, testimonia, non era in origine di matrice comunista: vi erano ad appoggiarla, in diverso modo, operai, borghesi, ecclesiastici come il vescovo Enrique Pèrez Serante, cui Castro dovette la sua salvezza dopo una missione fallita. Si volevano la libertà, l’equità sociale, la fine della dittatura, e la gran parte dei protagonisti non voleva saperne né del comunismo né dell’ Unione Sovietica. Furono Fidel, per motivi di potere e null’altro, Raul, per convinzioni più ideologiche, e soprattutto il Che, descritto come un personaggio fanatico, volgare e sanguinario, a impadronirsi della rivoluzione, eliminando tutti i loro stessi compagni di lotta che non vedevano di buon occhio il comunismo e la dittatura. Fu il Che, “che trasudava ateismo da tutti i pori”, a spingere sulla iniqua e crudele “persecuzione religiosa” e sulle fucilazioni indiscriminate di massa. Di fronte a tanta iniquità, ricorda Juanita, mi schierai con quelli che mio fratello Fidel chiamava “vermi” e cercai di salvarne il più possibile, finché non fui costretta, anch’io come ad altri due milioni di cubani, ad emigrare.
8/7/2011
Venezuela: secondo il WSJ, Chávez ha un grave cancro al colon
Hugo Chávez sarebbe ammalato di tumore al colon. Questa l’indiscrezione pubblicata dall’autorevole Wall Street Journalche ha fatto in pochi minuti il giro del mondo. A rivelarla alcune fonti che l’autore dell’articolo ha tenuto anonime ma che avrebbero una conoscenza esatta delle condizioni di salute del capo di Stato venezuelano.
Secondo alcuni specialisti consultati da un altro giornale che sta seguendo il caso, El Nuevo Herald, lo stato di salute del presidente sarebbe critico con metastasi estese.
Chávez 56 anni, è stato operato a Cuba lo scorso 10 giugno. “Ho un tumore maligno e continuo a lottare ma vi prometto che vivremo e vinceremo”, ha detto nel corso di una visita all’Accademia militare di Caracas.
Fino a oggi si era parlato, però, più genericamente di “un tumore nella zona pelvica”. Il presidente bolivariano, che dopo l’operazione segue una dieta rigorosa e ha ridotto le sue apparizioni pubbliche, ha ringraziato pubblicamente anche la sua collega brasiliana Dilma Rousseff che gli aveva aperto le porte del Brasile per potersi curare nei migliori ospedali di San Paolo.
A riprova dell’immagine di buona salute che la presidenza vuole dare di sé è il fatto che Chávez abbia voluto serrare le file del governo per smentire le voci di un possibile rimpasto. Il presidente ha, infatti, “ratificato” e confermato il suo vice Elías Jaua così come l’intero Gabinetto dei Ministri e la cupola dei vertici militari.
1/7/2011
Alla fine Hugo Chavez ha ammesso di avere il cancro
Alla fine Hugo Chávez ha ammesso di avere il cancro.Ricoverato e operato d’urgenza a Cuba il 10 giugno, in un discorso letto in tv alle ore 21 venezuelane del 30 giugno ha ribadito che lo stavano curando per un accesso pelvico: come aveva già informato il comunicato ufficiale con cui il 10 giugno il ministro degli Esteri Nicolás Maduro aveva riferito del ricovero; e come accennato dallo stesso presidente venezuelano in una telefonata dal letto delll'ospedale trasmessa in diretta da Telesur il 12 giugno, nella sua unica apparizione in tv degli ultimi 20 giorni. Ha aggiunto che in quell’intervento i medici cubani gli avevano trovato anche un tumore maligno, che è stato asportato. Ciò è quanto era rimbalzato tra la stampa di Miami e l’opposizione venezuelana, e a cui era stato risposto con toni fuori dai denti.
Secondo Chávez, l’intervento è stato realizzato senza complicazioni. Il che forse dal punto di vista fisico è vero; ma che complicazioni ci siano state sotto altri punti di vista è dimostrato se non altro dal particolare che il discorso di 14 minuti non è stato improvvisato come d'abitudine, ma letto. Con voce incerta, volto pallido, evidente perdita di peso e l’insolita ammissione di aver commesso uno degli “errori fondamentali della sua vita”, non avendo fatto controlli medici regolari.
Chávez ha dovuto interrompere a metà il tour che a Cuba era arrivato alla sua terza tappa dopo quelle in Brasile ed Ecuador, e che era stato peraltro già rinviato di un mese, per via di un malanno a un ginocchio; ha dovuto assentarsi dal vertice del Mercosur a Asunción; il previsto vertice dei capi di Stato dell’America Latina e dei Caraibi che doveva tenersi a Caracas è stato rinviato. A questo punto, è pressoché impossibile che Chávez stia di nuovo in efficienza per martedì: in tempo per quella festa per il bicentenario dell’indipendenza venezuelana che aveva preparato da anni.
A Cuba la notizia della malattia di Chávez non è stata neanche diffusa. Le foto sulla visita dei fratelli Castro al presidente bolivariano in ospedale sono state commentate da Granma e Juventud Rebelde con toni edificanti sulla bellezza dell’amicizia.
“A chi è contro di noi non chiediamo altro che il rispetto per la salute del presidente, non chiediamo altro” ha dichiarato il vicepresidente Elías Jaua. Non c’è dubbio che alcuni slogan dell’opposizione antichavista siano spesso arrivati quasi al punto di augurargli un cancro; ma per quel che riguarda il linguaggio dei suoi rappresentanti ufficiali, al momento siamo quasi a livelli da Westminster.
“Io voglio confrontarmi con un Chávez in salute” ha detto ad esempio - quando ancora non si sapeva esattamente cosa avesse il presidente - Henrique Capriles Radonski, il giovane governatore di Miranda, in pole position nella corsa per essere il candidato dell’opposizione alle prossime elezioni. “Auguro al presidente di riprendersi, perché il cambio in Venezuela deve venire dal voto”. E Julio Borges, leader di quel partito di centro-destra Primero justicia in cui anche Capriles milita: “credo che siamo stati sensati e razionali. Il presidente ha tutto il diritto di ammalarsi e recuperarsi, ma ha anche il dovere di informare il paese di quello che accade”. È un fair play magari affrettato e fasullo. Ma rispetto al quale stride quello che, ad esempio, citando Che Guevara in un discorso ai quadri del Partito socialista unito del Venezuela (Psuv) ha detto Adán Chávez, governatore dello Stato di Barinas ehermanote, “fratellone”, del presidente: “Sarebbe imperdonabile limitarsi solo alle elezioni trascurando gli altri metodi di lotta inclusa quella armata per ottenere il potere, che è lo strumento indispensabile per applicare e sviluppare il programma rivoluzionario”.
Dopo aver negato i problemi e aver accusato oppositori e media ostili di fare disinformazione, a questo punto l’ammissione di Chávez rischia di trasformarsi in un boomerang. L’opposizione appare comunque frastornata, da una parte, è chiaro che basta dire una parola di troppo e si rischia di fare la figura degli sciacalli, e di trovarsi a propria volta alle prese con un boomerang. Dall’altra, nel momento in cui l’Assemblea nazionale ha rifiutato la richiesta dell’opposizione di passare i poteri al vicepresidente Jaua, la polemica iperbole secondo cui con Chávez il Venezuela rischiava di ritrovarsi “governato da Cuba” si è trasformata in realtà.
Nel campo chavista sta invece emergendo un problema di successione anche peggiore. “Stanno già affilando i coltelli”, ha detto Teodoro Petkoff, ex-guerrigliero, leader storico della sinistra venezuelana, avversario altrettanto storico di Chávez e direttore del giornaleTalCual. È possibile che Jaua abbia rifiutato un’investitura formale proprio perché sta già governando di fatto al posto di Chávez. Ma nel sistema della Quinta Repubblica bolivariana il vicepresidente non è eletto dal popolo, ma nominato dal presidente, con funzioni da primo ministro: dunque la sua successione non è incontestabile.
Non che nella sua gestione dell’emergenza abbia mostrato particolare lucidità.Quando ha voluto smentire che il presidente fosse in gravi condizioni, è stata proprio la sua dichiarazione su Chávez “essere umano che sta riprendendosi per seguire la battaglia” a far titolare tutti i giornali del mondo: “Hugo Chávez lotta per la vita”. Diventa quindi importante seguire le mosse di Adán: nel momento in cui nessuno dava notizie, è stato lui il primo a rispondere che Hugo sarebbe tornato “entro 10 o 12 giorni”; ancora lui nel feudo di famiglia di Barinas ha portato mamma Elena a un atto del Psuv. “Un saluto e una benedizione per il mio figlio adorato, che il potere di Dio me lo curi e me lo riporti. Che Dio me lo benedica”; poi è venuta la sua truce invocazione al Che.
Una volta, alla presenza di scrive, Chávez - mentre negava di aver mai finanziato le campagne elettorali di Evo Morales - si lanciò in uno dei suoi tipici racconti familiari. “Io Evo Morales non lo conoscevo neanche. Mi sarei ricordato di uno che si chiama Evo. Mio fratello si chiama Adán, e anch’io mi sarei dovuto chiamare Evo. Dopo il primogenito Adán la mamma avrebbe voluto una femmina per fare la coppia con Eva, e quando vide che ero maschio in un primo momento pensò di adattare al maschile Evo, prima di decidere per Hugo”. Che è il nome del padre. Giocando assieme a casa di un amico, Adán e Hugo da ragazzini furono catechizzati al marxismo dal padre di questo terzo ragazzo.
Mentre il secondogenito per giocare a baseball da professionista entrava in Accademia, Adán diventava professore come il padre, ma anche un noto dirigente dell’ultra-sinistra. Insomma, i due fratelli furono i “ponti” dell’alleanza tra radicali e militari già teorizzata dal leader guerrigliero Douglas Bravo, e poi effettivamente arrivata al potere. Ambasciatore a Cuba, ministro alla Presidenza e ministro dell’Istruzione prima di rilevare il governatorato di Barinas dal padre, Adán ha con Hugo un rapporto simile a quello di Raúl con Fidel Castro: un consigliere in secondo piano rispetto al fratello con migliori qualità di uomo d’azione e leader, ma con una maggior preparazione teorica da marxista ortodosso.
Tuttavia, a Cuba la successione di Raúl ha implicato un maggior pragmatismo. Al contrario, in Venezuela il passaggio di consegne ad Adán sembrerebbe andare piuttosto nel senso di una radicalizzazione dottrinaria. Ma va sempre ricordato che con tutti i suoi limiti il Venezuela ha un sistema pluralista, a differenza di Cuba. E i conti bisogna farli con gli elettori.
1/7/2011
Chavez ammette in Tv: Ho il cancro
Hugo Chavez ha il cancro. Dopo giorni di voci e smentite riguardo alle sue reali condizioni di salute, è stato lo stesso presidente venezuelano, alle 21 ora locale (in piena notte italiana), ad annunciare di avere un tumore che lo ha costretto a subire due operazioni a Cuba nelle ultime settimane. In undiscorso dall'Avana, trasmesso in diretta dalla rete venezuelana Telesur (video in fondo all'articolo), Chavez ha parlato al Paese e "all'opinione pubblica internazionale", ammettendo di avere il cancro e aggiungendo di essersi sottoposto a Cuba a due interventi nelle ultime settimane. Il presidente, in piedi davanti alle telecamere tra la bandiera venezuelana e l'immagine del'libertador' Simon Bolivar, ha spiegato che si è trattato di un "intervento importante realizzato senza complicazioni".
Confermate le voci che circolavano da giorni. "La battaglia che sta combattendo il presidente Chávez per la sua salute deve essere condivisa da tutti, una battaglia per la vita, per il futuro immediato della nostra patria", aveva dichiarato solo qualche giorno fa in un'intervista all'emittenteVenezolana de Television, il ministro degli Esteri venezuelano, confermando indirettamente le voci sulquadro clinico del presidente. E proprio la prolungata permanenza di Chavez sull'isola dell'amico Fidelaveva scatenato in Venezuela speculazioni e ipotesi sulle reali condizioni di salute del leader bolivariano. Per l’opposizione il silenzio non era altro che il tentativo di nascondere la grave malattia che ha colpito il presidente, mentre molti quotidiani e network statunitensi, dalWall Street Journal al Miami Herald, speculavano tanto sulle sue reali condizioni di salute di Chavez quanto sulla sua successione. Era stato, in particolare, il sito del quotidiano in spagnolo di Miami Nuevo Herald a diffondere la notizia di un'operazione per tumore alla prostata.
Due interventi. L'11 giugno il presidente è stato sottoposto a un primo intervento, a seguito della "scoperta di una strana formazione nella regione pelvica" che ha reso necessaria "un'operazione d'emergenza a causa del rischio di un'estesa infezione". Ben presto, però, sono "apparsi sospetti sulla presenza di altre formazioni cellulari non individuate fino a quale momento". Arrivata la conferma di "un tumore" con la presenza di "cellule cancerogene", si è dunque resa necessaria "una seconda operazione" che - ha puntualizzato Chavez - "ha permesso l'estrazione totale di tale tumore". "Nel frattempo - ha concluso il 56enne leader venezuelano - continuo ad essere sottoposto alle cure aggiuntive necessarie per combattere i diversi tipi di cellule riscontrate e proseguire sulla strada di una pronta guarigione", forte del sostegno di Fidel Castro, il quale "mi ha interrogato quasi come un medico, mentre io mi sono confessato quasi come un paziente".
28/6/2011
A Cuba i gay sfidano il governoLa comunità omosessuale scende in piazza senza autorizzazione.
Numerose pressioni della polizia sugli organizzatori della sfilataIl Paseo del Prado mette in mostra le sue belle sculture di leoni, fuse a partire da munizioni e armi della nostra guerra d’indipendenza. Quando fu inaugurato con le ampie panchine di marmo e i frondosi alberi ai due lati, si trasformò rapidamente in un luogo d’incontro e di svago. Parte della sua ampia struttura venne edificata proprio dove una volta c’era la muraglia dell’Avana, che separava la parte dentro le mura della città e la cittadella che stava crescendo intorno. Oggi, questo viale scorre tra il centro storico affollato di turisti e l’altra parte della capitale piena di gente ammucchiata e di strade distrutte. I felini di bronzo, nonostante tutto, continuano a mostrare la stessa nobiltà d’un tempo, il vecchio sogno di grandezza che la nazione accarezzava agli inizi del XX secolo. Anche il Prado, il nostro Prado, ha vissuto momenti di totale oblio solo perché era stato ideato e costruito durante la Repubblica. Quando la storia fu riscritta di nuovo e i vincitori dipinsero con colori cupi tutto il passato, neppure la criniera e le fauci di quelle statue si salvarono dalla critica. Un viale così centrale finì per essere dimenticato, non dalle persone che continuavano a passeggiare lungo la strada alberata, ma dalla retorica ufficiale. Di fatto non si citava mai il suo ampio viale dotato di parco centrale durante i programmi televisivi, né venivano organizzate attività ludiche o politiche all’ombra dei suoi alberi. Tuttavia, i venditori casuali, i bambini che vivevano nelle vicinanze, le coppiette che cercavano un luogo appartato per scambiarsi effusioni, approfittarono della mancanza d’interesse istituzionale e si appropriarono del Prado. In uno dei suoi incroci più centrali venne installata la cosiddetta “borsa della permuta”, una sorta di mercato alternativo di scambio di case in un paese dove è ancora proibita la compravendita di abitazioni. Solo molto tempo dopo, lo storico della città recuperò quella lunga strada appartata. Cominciò un breve periodo di restauro, ma il Paseo del Prado rimase nelle mani dei passanti e dei bambini, perché fino a oggi ogni sua piccola parte mette in evidenza uno splendore passato che infastidisce il potere.
Invece, Piazza della Rivoluzione, con le riunioni di massa e i lunghissimi discorsi di cui è teatro, non ha mai potuto essere un luogo spontaneo di aggregazione. È la grande differenza tra un posto che un popolo sceglie per veder giocare i suoi figli, riposare alcuni minuti prima di proseguire il cammino o fermarsi a osservare il tramonto, e un altro dove viene spinto ad andare in massa, come fosse un plotone. Sembrava proprio che con le loro zanne immortalate in un gesto di sfida, le sculture dei leoni si fossero sempre burlate dei lunghi anni di abbandono istituzionale. Nonostante volessero sminuirne l’importanza, loro continuavano a essere i preferiti delle persone che venivano dalla provincia per scattare una foto ricordo del soggiorno all’Avana. Forse per tutta questa storia a metà strada tra fastosità e omissione, il Paseo del Prado è stato il luogo prescelto per celebrare il giorno dell’orgoglio gay a Cuba. Una comunità appartata, che ha dovuto subire per decenni il machismo culturale e le politiche repressive dello Stato, vuole sfilare per strada il prossimo 28 giugno. La convocazione è stata proclamata da un gruppo alternativo che tutela i diritti di gay, lesbiche, bisessuali e transessuali. Le pressioni della polizia politica sui principali organizzatori si sono fatte sentire sin dal momento dell’annuncio, ma fino a oggi l’idea è ancora valida. Nel frattempo, Mariela Castro - figlia del presidente in carica - continua a negare dal suo centro studi in materia sessuale (CENESEX) la necessità di organizzare simili manifestazioni pubbliche. Al suo posto, la nota psicologa, ha proclamato lo scorso 17 maggio una giornata per celebrare la data in cui l’organizzazione mondiale della salute ha cessato di considerare l’omosessualità come un disturbo psichico. Ma da qui a permettere che la comunità LGBT cubana sfili in maniera autonoma e scenda per le strade a festeggiare la sua diversità, ce ne corre. Fino a questo momento le campagne per far accettare la libera scelta amorosa, sono state nelle mani delle istituzioni ufficiali,senza lasciare che fossero gli stessi interessati a rappresentare le loro istanze. È chiaro che tutto questo rientra nell’impossibilità di associarsi liberamente, mancanza cronica dell’intera società cubana.
Con un gesto di sfida, i promotori della celebrazione per il giorno dell’orgoglio gay, hanno cominciato a diffondere inviti per tutta la città. La componente contagiosa tipica delle reti d’informazione alternativa è dalla loro parte. Ma va messo in conto che un paio di giorni prima della sfilata della diversità, la Sicurezza di Stato possa arrestare o minacciare molti di loro. Qualcosa di simile è già accaduto in passato e ha fatto naufragare identici progetti. Nonostante tutto, la scelta del Paseo del Prado come luogo per l’incontro, avvantaggia e protegge chi riuscirà ad arrivare fino a lì. I turisti con le loro inquiete macchine fotografiche, i bambini curiosi che si muovono da una parte all’altra, le coppiette incaute che si abbracciano sedute sulle panchine, senza rendersene conto faranno da scudo protettore. E i leoni - sì, proprio i leoni! - vivranno ancora una volta il loro momento di gloria, tra vestiti sgargianti, stelle filanti, canti di diversità e strette di mano. In quel giorno, gli artigli e le criniere fuse nel bronzo di una guerra passata, sembreranno meno aggressivi, con una dose in meno di testosterone, con un pizzico in più di splendore.
25/6/2011
Poco dopo la mezzanotte ora italiana sono apparsi tre messaggi sull'account Twitter di Hugo Chavez
tre messaggi che non fanno accenno allo stato della salute del presidente, in realtà messaggi bizzarri se la siuazione clinica fosse critica come viene definita da più fonti, nel primo Chavez dice di sentirsi orgoglioso del fatto che la missione vivienda(la promessa di case per i venezuelani) procede bene, nel secondo afferma di essere fiero della squadra dei ministri al governo del paese e nell'ultimo comunica di essere felice della visita della figlia e di alcuni nipoti. Naturalmente anche sei i messaggi sono nel baldanzoso stile di Chavez non è possibile essere sicuri che sia stato lo stesso presidente venezuelano a postarli. Da un malato in situazione critica non ci si aspetterebbe come primo messaggio dopo 24 ore di notizie allarmanti sul suo stato di gravità un elogio a un piano immobiliare ma quantomeno rassicurazioni sul suo stato di salute.
25/6/2011
Il mistero di Hugo Chavez:
sarebbe in gravi condizioni
Sarebbero critiche le condizioni di salute del presidente venezuelano Hugo Chávez, ricoverato dall’inizio di giugno in un ospedale a Cuba. Lo sostiene il sito del quotidiano in spagnolo di Miami Nuevo Herald, solitamemente ben informato sulle vicende della vicina isola caraibica. Fonti dell’intelligence Usa citate dal giornale parlano di “quadro clinico critico”, anche se non grave. E riportano, senza confermarla, la voce che circola da giorni in Venezuela, secondo cui Chávez soffrirebbe di un tumore alla prostata, che sarebbe già stato operato.TRA FIDEL E RAUL -
Nei giorni scorsi da Cuba era stata diffusa una foto, che mostrava Chávez in tuta sportiva tra Fidel e Raul Castro. Il lungo silenzio del leader bolivariano è stato poi interrotto ieri da tre brevi messaggi su Twitter, in occasione di una festa patriottica venezuelana, ma senza alcun riferimento alle proprie condizioni di salute. Secondo la versione ufficiale del governo di Caracas, Chávez è stato operato d’urgenza a Cuba per un ascesso pubico lo scorso 10 giugno. Tornerà in Venezuela in pochi giorni, si disse. Qualche ora dopo, invece, il Parlamento emanò un decreto d’urgenza per permettere al presidente di manteneri i pieni poteri anche trovandosi all’estero, senza passarli al suo vice Elias Jaua, come chiedeva l’opposizione. FIGLIA E MOGLIE A CUBA- Da cui il diffondersi delle voci di una situazione clinica ben più seria di quella diffusa ufficialmente. «Basta con i segreti. Nei governi autoritari si mandano fotografie, in democrazia ci vuole informazione», ha protestato un esponente della coalizione di partiti che si oppone al chavismo. Il Nuevo Herald ha aggiunto nella notte un particolare importante. La figlia di Chávez Rosines e la ex moglie Marisabel sarebbero già a Cuba, trasportate in gran segreto da un aereo militare venezuelano.
20/6/2011
La Cuba del 2011
La situazione della Cuba di oggi Miseria, la prima cosa che come sempre si nota nella Cuba di oggi è la profonda miseria, una miseria che sembra incurabile, come tutte le conseguenze che porta.
Dal punto di vista della popolazione qualcosa di nuovo c'è, la gente ha meno paura di parlare anche per strada e nei posti pubblici, si critica il governo del paese con meno paura di un tempo, certo si evita ancora di fare il nome di Fidel Castro o del fratello Raul ma basta accendere la scintilla di una discussione per vedere luccicare gli occhi degli interlocutori che sembrano pentole sotto pressione a cui sta per saltare il coperchio. Si parla liberamente del mal contento, della situazione economica drammatica, della repressione poliziesca, ma mai in presenza di sconosciuti e quando qualcuno si avvicina si cambia subito discorso.
Ma discutere con un cubano che ormai è alla terza generazione sotto la dittatura castrista è spesso triste, è solo un lamento di dolore, non c'è quasi mai accenno a una ribellione che potrebbe cambiare il corso della storia, c'è solo rassegnazione, la stessa rassegnazione che ha fatto sì che ormai la prostituzione a Cuba sia diventata l'industria principale. La maggior parte dei cubani vedono come unica soluzione alla miseria la fuga dall'isola non la ribellione. Una cosa che ho sentito dire molte volte è che la cosa più triste di Cuba è la totale mancanza di futuro, ogni cubano si vede assegnata dallo stato solo una triste esistenza, chi ha figli si rammarica di non poter fare altro che rassegnarsi a vederli sprofondare nella miseria. Chi ha parenti all'estero già da quando i figli sono appena nati sogna già di farli espatriare. La gente ormai non capisce più il perché, il perché di tutta quella povertà, quasi nessuno ormai crede alla menzogna dell'embargo che causa la miseria, non si spiega perché i generi di prima necessità spesso manchino, persino il sale, a volte per intere settimane sparisce dal mercato cubano, non si trova neppure pagandolo in cuc, così come molte altre cose che in qualsiasi paese normale costerebbero pochissimo e si troverebbero dappertutto, i cubani hanno ormai ben chiaro che è il loro sistema economico e la loro burocrazia a non funzionare. Chi vive a contatto con il turismo riesce a tirare avanti in qualche modo, basta lavorare in un Hotel, fare le pulizie in una casa affittata a turisti o fare il tassista per racimolare il necessario a vivere meno penosamente, ma chi vive nelle campagne o peggio nelle periferie povere della capitale, nei piccoli centri o delle altre città dell'isola si trova in una situazione da medioevo, pochissimo denaro (lo stipendio medio è il solito di sempre, tra i 15 e i 25 cuc al mese, quindi poco cibo e di scarsa qualità e in barba alla propaganda ha accesso a cure mediche degne di un documentario sull'antico Egitto.
Il perché i cubani accettino tutto questo è difficile per noi europei da capire, anche loro sanno bene che il livello di corruzione tra i loro politici è elevatissimo, ma i cubani sono nati in quel mondo senza notizie dall'esterno, così i loro nonni e i loro padri, sono ormai rassegnati a vivere in quella miseria ma soprattutto hanno paura, una paura atavica e fortissima di andare contro i dettami della “Rivoluzione”, sanno che ribellarsi alla dittatura significa perdere il lavoro ed essere marchiati a vita e sanno anche che criticare il governo apertamente, organizzare assembramenti antigovernativi si paga con molti anni di carcere da quelle parti. Non si possono criticare con troppa facilità i cubani per questo loro atteggiamento passivo, non hanno la cultura della libertà e non conoscono altro sin dalla nascita che un costante e martellante lavaggio del cervello che i mezzi di comunicazione di massa controllati dalla dittatura somministrano di giorno e di notte. A Cuba esistono centinaia di radio governative sparse per l'isola più i canali televisivi che oltre alla rilassante musica cubana diffondono continuamente propaganda politica, una propaganda feroce e assurda, senza nessun contraddittorio. In TV o alla radio il messaggio è sempre uguale: il mondo capitalista è povero e violento, il governo Statunitense sta facendo la guerra al mondo intero e Cuba è l'unico paese libero al mondo, la povertà nel mondo è causata solo dagli Stati Uniti, più tutta una serie di critiche all'Europa e ai paesi ex sovietici che hanno tradito la dottrina socialista.
A Cuba ormai funziona poco del governo, tutto sembra allo sfascio, ma due cose funzionano ancora splendidamente bene, l'apparato della propaganda e i servizi segreti che assieme alla polizia controllano tutto e tutti, o almeno ci provano. Alcuni edifici dell'Habana sono adibite a caserme di poco chiare entità dei servizi segreti, dove centinaia di agenti si affannano ad ascoltare le telefonate dei cubani e provano a filtrare e intercettare ciò che transita attraverso internet dalle connessioni degli Hotel e da quelle dei pochi fortunati che possiedono una connessione casalinga. Gli apparati della propaganda e della repressione a Cuba sono intatti, sembrano appartenere al tempo della guerra fredda.
A cuba non vengono venduti giornali stranieri e la ricezione delle radio della dissidenza di Miami che trasmettono in onde corte, assieme ad altre stazioni radio sgradite alla dittatura viene resa impossibile da un costante utilizzo di sistemi di Jamming, centinaia di trasmettitori che diffondono una fastidiosa interferenza radio su ogni singola frequenza scomoda per evitare che i cubani ricevano le notizie dall'estero. In questa situazione è ovvio che le uniche notizie a Cuba entrano principalmente per due vie, una è il contatto tra cubani e turisti che anche se non comunicano verbalmente, spendendo in un giorno tra hotel o casa particular e affitto dell'auto quello che un cubano può spendere in più di un anno, fanno venire il sospetto ai cubani che la realtà non è quella che racconta la propaganda della dittatura, cioè che il mondo capitalista è ormai finito nella povertà; l'altra via attraverso cui arrivano le notizie, la via principale, sono i cubani che hanno parenti all'estero e i cubani che vivono all'estero e che periodicamente si tornano sull'isola. Data la disastrosa situazione economica Cuba e il sui governo possono continuare a sopravvivere solo grazie al turismo e alle rimesse in moneta pregiata dei cubani emigrati, per cui ciò che rappresenta una fonte di problemi potenziali e che in realtà sta sgretolando ciò che resta della "rivoluzione" è anche qualcosa di cui non poter fare a meno, ormai Cuba non può più chiudere al turismo ne rinunciare a far emigrare i suoi cittadini, che a tutti gli effetti anche fuori dall'isola continuano in un certo senso a lavorare per la dittatura inviando denaro alle famiglie. Ciò che è davvero una novità è qualcosa a cui la dittatura non sembra preparata e che probabilmente non immaginava sarebbe potuta accadere quando permise qualche anno fa l'acquisto di computer sull'isola. Essendo internet per uso domestico appannaggio di pochi eletti, che per un motivo lavorativo o una misteriosa amicizia di qualcuno che lavora nel governo possono collegarsi alla rete da casa con i vecchi modem a 56kb i computer a Cuba sono, o meglio dovrebbero essere entità scollegate l'una dall'altra. Ma la tecnologia non si può fermare, i cubani hanno da prima largamente utilizzato i pennini di memoria e gli hard disk portatili per scambiarsi file da un computer all'altro, poi hanno fatto una grande scoperta, i computer si possono mettere in rete tra loro via radio utilizzando la tecnologia wifi, così sono nate molte piccole reti di computer, alcune di queste reti sono pubbliche, si tratta di ruoter wifi semplicemente accesi e privi di protezione, chiunque si collega non ha accesso ad internet ma può accedere alle cartelle condivise di altri computer e condividere le proprie semplicemente accedendo alle risorse di rete dal proprio computer, all'interno di quelle cartelle c'è molta musica e film, alcuni cubani collegano anche tre quattro hard disk esterni a quelle reti condividendo molti Gb di file, altre reti sono protette e non hanno l'SSID visibile e semplicemente non si sa cosa condividono. In alcuni computer in rete si trovano molti video antigovernativi, alcuni girati con i telefonini a Cuba, altri prelevati da internet da qualcuno che probabilmente li ha portati sull'isola dall'estero su supporti di memoria. Questa è la novità, le notizie passano da computer a computer attraverso queste reti e questa è la prima volta che i servizi di sicurezza della dittatura non possono avere il controllo sulla comunicazione dei cubani. Non si sa quante reti esistono nella capitale, ogni rete, almeno quelle visibili sono composte da tre, quattro computer, in oltre esistono reti che fanno da banca dati, armati di computer portatili i pochi cubani che ne possiedono uno in auto a volte si avvicinano al segnale wifi, entrano in rete e scaricano o caricano quello che desiderano. In giro per l'Habana in alcuni punti della città si possono riceve anche due o tre di queste reti wifi, per cui immagino che non devono essere poche quelle in funzione e alcune sono in funzione solo in certi orari del giorno o della notte. Gli ultimi scandali che hanno coinvolto ministri del governo cubano che sono stati destituiti hanno viaggiato su quelle reti, ecco come i cubani hanno saputo notizie che altrimenti non avrebbero mai saputo, e dai computer le notizie passano velocemente di bocca in bocca. Per far funzionare queste reti si usano normali router commerciali, ma probabilmente vengono utilizzate anche le schede wifi in dotazione ai computer che con appositi software possono essere trasformare in hot spot. Se i cubani fossero in possesso di ruoter in tecnologia Mesh sarebbe davvero una cosa grandiosa, ma dubito che possano essere immessi nel paese tali dispositivi con i controlli aeroportuali sul materiale elettronico che fa ingresso nel paese. I servizi di sicurezza cubani conoscono da tempo l'esistenza di queste reti e il governo cubano è seriamente preoccupato, ma scovarle e limitare il danno non è semplice, i segnali wifi hanno una portata limitata, in ambiente metropolitano è difficile anche con una buona attrezzatura localizzarli con precisione e possono essere spenti in caso di retata. In oltre entrare nelle reti correttamente protette per vedere cosa contengono è praticamente impossibile per chiunque, un acces point a cui fa capo una rete nascosta che non emette l'SSID, ha una protezione WPA2 e un filtro MAC address attivato e che lavori su un canale wireless non standard è praticamente sicura. Questo non significa che chi usa queste reti non corra dei rischi, se uno dei computer in rete che contiene file finisse nelle mani della polizia e i file non fossero ben criptati potrebbe essere molto grave. Tempo fa la sezione tecnica dei servizi di sicurezza ha diramato un video ad uso interno per allertare tutti i reparti dell'esistenza di queste reti di computer e spiegare come riuscire detettarle e localizzarle, ma ironia della sorte questo video è stato rubato da chissà chi ed è finito in alcune di quelle reti diventando di dominio pubblico. Personalmente comunque credo che queste reti di computer non siano una grave minaccia alla dittatura, sono solo un mezzo attraverso il quale possono passare notizie che altrimenti sarebbero censurate, ma sulla maggior parte delle reti transitano solo musica e film, niente di pericoloso, sono il risultato inevitabile del fatto che la gioventù cubana anche se privata di internet ha sete di tecnologia e di notizie non censurate. I servizi di sicurezza cubani sono da sempre abituati ad avere il controllo delle comunicazioni telefoniche all'interno di Cuba, queste reti sono fuori del loro controllo e cosa che li preoccupa non poco è che sono potenzialmente capaci di far transitare oltre che file di qualsiasi tipo anche comunicazioni in fonia VOIP, creando una rete telefonica alternativa e molto difficile da intercettare. Certo le notizie sono pericolose per la dittatura, come lo è la comunicazione non intercettabile tra cubani, si vedrà in futuro cosa succederà, forse un giorno quelle reti wifi saranno utili in qualche modo, per adesso il loro sviluppo sembra essere ancora in una fase iniziale.
Alcuni cubani dicono che sarebbero anche disposti a chiedere il rispetto dei loro diritti e il cambio radicale del sistema economico e quindi politico, ma hanno tutti troppa paura, dicono che sarebbero disposti a farlo esponendosi apertamente solo se a muoversi fossero in migliaia, se fosse una vera sollevazione popolare e la massa fosse tale da non permettere alla dittatura di ignorare le loro richieste arrestandoli tutti.
Per quanto riguarda le licenze di lavoro per piccole imprese permesse da Raul Castro, per adesso la situazione è questa: le licenze richieste sono stare quasi tutte nel settore alimentare, molti cubani hanno aperto piccole attività commerciali, di solito posti dove si preparano panini e frullati di frutta o piccoli paladar, ma molti di loro hanno restituito la licenza perché non sono riusciti a farle funzionare e pagarci le tasse, alcune invece funzionano egregiamente, ma spesso dietro di questi piccoli punti di ristoro che riescono a sopravvivere alla burocrazia e alle tasse c'è uno straniero che ha esperienza nel settore alimentare e altre attività simili sull'isola che finanzia e da la sua impronta imprenditoriale, è triste da dire, ma i cubani dopo mezzo secolo di lavoro alle dipendenze dello stato hanno difficoltà ad organizzarsi privatamente e non hanno il piccolo capitale per iniziare dignitosamente una attività commerciale.
Per quanto riguarda la libertà di espatriare da Cuba con un procedimento semplificato che Raul Castro ha promesso, è sicuramente una grande cosa, ma non cambia di molto la situazione del cubano medio che non ha parenti all'estero dove andare e che non ha neppure il denaro per ottenere il passaporto e per per salire su un aereo, in oltre tranne pochi paesi dell'area socialista che accettano cubani con visto turistico in realtà nel resto del mondo un cubano è comunque praticamente assimilato a un possibile futuro clandestino, per recarsi in quasi tutti i paesi del mondo deve richiedere un visto di entrata con le dovute motivazioni e garanzie.
Per la questione acquisto di casa e automobile ancora a Cuba nessuno sa con esattezza come dovrebbe essere applicata la legge e non c'è ancora un mercato degli immobili che ne decida il valore. Per adesso esiste a Cuba la vecchia usanza della permuta delle abitazioni, con compensazione monetaria del valore in alcuni casi, la nuova legge non è ancora stata perfezionata ed applicata. Nelle attività commerciali dello stato, come pizzerie, paninerie ecc ecc la situazione è disastrosa, spesso manca uno o più ingredienti per preparare il cibo, la burocrazia a volte fa sparire il prosciutto i maccheroni o altro per settimane e gli impiegati alla cassa sempre più spesso hanno preso l'abitudine di fingere di sbagliare a fare il conto e fanno la cresta quando possono su quello che vendono ai turisti, cosa tutto sommato comprensibile quando si guadagnano stipendi da fame.
Questa è la Cuba nel 2011, una specie di dinosauro della storia, un posto dove tutto è fermo tra il 1959 e i primi anni sessanta, Fidel Castro ha fatto fondamentalmente due sole cose nella vita: la “rivoluzione“ per poi non fare altro che prendere il posto del precedente dittatore Fulgenio Batista e ha respinto lo sbarco di Baia dei porci dei dissidenti cubani malamente organizzato da questi ultimi con l'aiuto della CIA. Queste due imprese vengono continuamente narrate ed esaltate alla radio e alla televisione, ancora oggi, a più di mezzo secolo da quegli eventi, come se fossero notizie fresche di fatti appena accaduti. Una noiosa tortura continua e senza tempo, come un vecchio disco che continua traballante a girare su un antico grammofono facendo saltare la puntina sempre sulla stessa traccia, una macabra liturgia che tutti i cubani devono ascoltare dalla nascita sino alla morte e che dovrebbe giustificare tutto il male e il dolore che la dittatura ha inflitto e continua ad infliggere ai cubani.
18/6/2011
Yoani: "Anche a Cuba presto
scoccherà la scintilla della rivolta"
Yoani Sánchez ha preso parte telefonicamente all’evento “Oltre i muri: da Cuba al Medio Oriente. La sfida per la democrazia”, che si è tenuto ad Aosta giovedì 16 giugno, organizzato dal Comune di Aosta e da Lucas di Torino. È stata l’occasione per rivolgerle alcune domande e fare il punto sulla situazione cubana.
Le riforme economiche volute da Raúl Castro e dal Sesto Congresso del Partito Comunista cambieranno il volto di Cuba?
Raúl Castro ha compiuto alcuni interventi in tema di libertà economica e di lavoro privato, ma si tratta di aperture insufficienti e tardive. A Cuba oggi abbiamo 314.000 lavoratori privati, ma molti sono impiegati in settori non produttivi, inoltre non esiste un mercato all’ingrosso e non è garantito l’acceso al credito. La maggioranza della popolazione dipende sempre dallo Stato, che si comporta come un vero e proprio monopolista. I cambiamenti economici non sono stati fatti per favorire la popolazione, ma per un interesse statale a diminuire le spese e a incassare maggiori imposte. Inoltre, la legislazione vigente vieta ai cubani che vivono all’estero di investire denaro a Cuba, anche se sono i soli a possedere capitali per aprire nuove aziende.
L’omofobia a Cuba è un problema superato? Fidel Castro ha recitato il mea culpa nei confronti dei gay dicendo che in passato sono stati commessi molti errori (le UMAP, le persecuzioni…). Adesso per gli omosessuali è tutto risolto?
No. A Cuba c’è ancora omofobia latente nella società civile. Fidel Castro ha fatto autocritica per il periodo oscuro delle persecuzioni e dell’emarginazione dei gay, ma non ha trasformato le parole in veri e propri diritti. Il CENESEX diretto da Mariela Castro (figlia di Raúl) è la sola struttura deputata a occuparsi di omosessualità, si tratta di un’organizzazione governativa, imposta dall’alto e priva di libertà. Gli omosessuali non possono celebrare la giornata dell’orgoglio gay ma devono festeggiare un giornata contro la discriminazione, imposta dallo Stato. A Cuba sono vietate tutte le associazioni che esprimono istanze provenienti dal popolo.
Cosa può fare la blogosfera cubana per favorire libertà e democrazia?
La blogosfera rappresenta un elemento di novità del sistema e sta sperimentando cose nuove per il futuro. Non è un partito politico, non ha un capo. Siamo elettroni liberi e freschi. La blogosfera rappresenta il fenomeno giornalistico indipendente cubano. Siamo il megafono cittadino che diffonde notizie lungo le strade dell’isola e abbatte i muri della censura. La popolarità della blogosfera indipendente ha fatto correre ai ripari il governo che ha inaugurato alcuni blog statali con il compito di ripetere i contenuti diffusi dal Granma e della televisione di Stato. Ma la gente non frequenta certi siti perché sono ripetitivi e mancano di freschezza. Il popolo preferisce la visione dal basso della vita quotidiana perché rispecchia la realtà e non la retorica.
A Cuba assistiamo alla rivalutazione di alcuni autori emarginati in vita come Virgilio Piñera. Si tratta di una manovra politica o stanno davvero cambiando le cose?
Si tratta di un tradizione degli ultimi anni. Il governo cerca di assorbire importanti figure del passato nel pantheon degli autori da celebrare. Bada bene: il requisito fondamentale è che siano morti e quindi che si possano travisare le loro idee o tacere certe posizioni scomode. Il governo si guarda bene dal rendere omaggio ad autori cubani viventi che vivono in esilio come Carlos Alberto Montaner, e Zoé Valdés.
Carlos Varela ha detto che a Cuba si sente libero e che può esprimere liberamente la sua opinione. Ha aggiunto che i cubani hanno diritto a essere più liberi, a vivere dove vogliono e a pensare in maniera diversa dal governo. Il Bob Dylan cubano può parlare liberamente? A Cuba non è pericoloso esprimere la propria opinione?
Carlos Varela ha raggiunto uno status istituzionale che gli permette di parlare e di cantare in maniera polemica, anche se non è più l’autore di un tempo e sembra sempre meno combattivo. Fa molta attenzione a non oltrepassare il limite. A Cuba è pericoloso esprimere un’opinione diversa da quella ufficiale. Sono consentiti solo applausi e adesione totale alle idee governative. In alternativa si corre il rischio di essere censurati.
Il caso della blogger Amina. Cosa pensi di questa menzogna? In Italia c’è gente che dice la stesa cosa sul tuo conto. Io so bene che vivi all’Avana, tuttavia…
Non so a cosa ti riferisci. A Cuba le notizie arrivano in ritardo… Quando ho cominciato a scrivere dicevano cose assurde sul mio conto. Per alcuni non esistevo, per altri non vivevo a Cuba, altri ancora mi descrivevano come un agente di Castro, infine c’era chi mi inseriva nei ruoli della CIA. Accuse alle quali ho sempre ribattuto con il mio impegno e la mia scrittura. Le mie parole sono la miglior risposta alle calunnie. A chi mi accusa dico: leggimi e giudica da solo.
Tua sorella è fuggita negli Stati Uniti, dopo aver vinto la lotteria dei visti, come molti tuoi amici e familiari. Perché la sola aspirazione dei cubani sembra essere la fuga?
Ho vissuto questo evento con molto dolore. Tutta la famiglia di mia sorella ha lasciato Cuba. Non posso denigrarla, anche se non poter rivedere la mia unica sorella mi fa molto male. A Cuba non esistono aspettative umane ed economiche. Il desiderio più diffuso è quello di scappare, dove non importa, quel che conta è lasciare un mondo opprimente che non fa sentire liberi. In ogni caso - lo dico ben chiaro - io non ho la minima intenzione di andarmene. Voglio restare a Cuba per far parte di quella generazione che contribuirà a ricostruire la nazione dopo lo sfacelo.
Il tuo libro Word Press - Un blog para hablar al mundo è uscito in Spagna. Può essere utile allo sviluppo della blogosfera cubana?
Il mio libro può servire ai blogger di tutto il mondo, perché serve a far capire una tecnica come Word Press, attraverso esperienze personali, conoscenze e trucchi del mestiere che cerco di condividere con il pubblico.
La primavera africana sembra in grado di far cadere le dittature che da anni governano molti paesi di quella zona. L’esperienza dei blogger cubani ha qualcosa in comune?
Non abbiamo ancora una voce così forte e uniforme, soprattutto ci manca un collegamento e molte cose sono ancora in uno stato embrionale. Confido che un giorno o l’altro potremo organizzarci e far scoccare la scintilla di una vera rivolta.
Ultima domanda che molti si fanno. Come puoi collegarti a internet e pubblicare i post, se non hai una connessione casalinga?
Non ho Internet a casa, questo è certo. A Cuba soltanto poche persone possono avere Internet e sono collegate al governo. Io vado negli alberghi, negli Internet point e pago il prezzo esoso fissato dal governo per accedere alla navigazione. La notorietà è il mio scudo protettivo. Mi sorvegliano, mi controllano, ma per il momento non mi impediscono di accedere ai punti Internet statali. Preparo i post a casa, sul computer portatile, quindi spedisco all’estero ai collaboratori e ai traduttori volontari. Sono loro - in definitiva - che pubblicano i post.
27/4/2011
Cuba, l'anima spezzata dei Caraibi
'Dal 2007, gli Stati Uniti sono diventati, ironia del destino, il quinto partner commerciale de La Havana. Anche lo zucchero viene importato, nonostante Cuba fosse il primo produttore di canna da zucchero'
Sin dai primi giorni della sua ascesa al potere, Fidel fece di tutto per lanciare il messaggio che la sua Rivoluzione fosse stata opera dei partigiani da lui guidati; furono così messe nell’ombra importanti grandi azioni compiute contro la precedente dittatura dal Movimento "26 Luglio" e la "Resitencia Cívica", che agirono prevalentemente a Santiago de Cuba e La Havana. In altre parole, Fidel si impadronì di meriti storico-militari inesistenti, per dare vita al suo desiderio ideologico di affermare il potere assoluto. Altro che democrazia.
Sì, nei Caraibi esiste anche Cuba. La conosco da decenni, è un'isola dalle bellezze paesaggistiche indimenticabili. Splendida la sua costa, memorabili le danze delle sue belle donne negli arenili a suon di musica, davanti ai fuochi accesi. Costanti i venti alisei che creano un clima dolce e secco, mite. Ma vi è Fidel Castro, con il suo regime illiberale. Il progresso a Cuba è una chimera, forse una allucinazione, certamente una forte aspirazione del popolo cubano.Intanto il robusto e scaltro corteggiatore rosso, l’Urss, non stava certo a guardare. Castro sfruttò abilmente lo slogan: "La nostra Rivoluzione è verde come le Palme". La palma reale è l’albero più popolare a Cuba. Grazie alla propria capacità dissimulatoria, Castro cercava di negare la propria volontà di consegnare Cuba all'interlocutore più credibile esistente sulla piazza politica mondiale; la capacità di Fidel di non comunicare quello che vuole in realtà fare è impressionante. Di fatto, il regime comunista si affermò nell'isola, spezzando l'anima libera per colorita vocazione del popolo cubano.
Sono notevoli le “storiche menzogne” che Castro ha ripetuto al mondo. "Non c’è comunismo nemmeno marxismo nelle nostre idee, bensì democrazia" (Sierrea Mestra ,1958). "Ci sarà libertà per coloro che si esprimeranno a favore nostro e così per chi lo farà contro di noi" (La Havana, gennaio 1959). Queste sono due cristalline menzogne indegne sul piano storico-politico, come decine e decine di altre.
Castro parla sempre. Per confondere e disorientare. E' abilissimo nel comunicare l'ambiguità. L'indole castrista in verità ha saputo a livello mediatico far passare l’embargo americano come un "blocco"; è stato per 50 anni il suo cavallo di battaglia, perché così ha giustificato la violenza, la assenza di libertà alla quale sottomette il popolo cubano. Ai cubani appartiene il primato del più alto tasso di suicidi sul carrello di un aereo, nel viaggio verso la libertà definitiva nell’aldilà. Osserviamo: negli anni antecedenti al 1986 Cuba commerciava liberamente con tutto il mondo, tranne che con gli Stati Uniti, nonostante la merce americana arrivasse comunque a Cuba tramite paesi terzi. Ci chiediamo: è serio ritenere “questo gioco” un vero embargo?
Tre presidenti Usa hanno cercato la distensione con Cuba, ma Castro, vero maestro della manipolazione, è riuscito a far permanere le tensioni tra le due sponde dell’America; un'arma propagandistica per giustificare la sua permanenza al potere, nonostante il decadimento nel quale ha relegato Cuba. Carter, unico presidente statunitense che aveva visitato l’isola in più di mezzo secolo di dittatura castrista (1998), adesso torna per incontrarsi con il fratello di Fidel, Raul, e altre personalità della società cubana. Con generosità dichiara la sua amicizia con Castro.
La verità è che il governo castrista è a corto di liquidità per pagare i debiti contratti; la crisi economico-finanziaria è gravissima fino al punto che già si inizia a parlare di “fattore di sviluppo e crescita” del diritto di proprietà, fino a ieri ornamento principale della deturpante ideologia castrista. Cuba non ha più uno scambio commerciale stabile con molti paesi perché non ha pagato il debito di circa 25 miliardi contratto con l’Occidente e quello con l’ex blocco socialista-comunista di oltre 30 miliardi. Dal 2007, gli Stati Uniti sono diventati, ironia del destino, il quinto partner commerciale de La Havana. Anche lo zucchero viene importato, nonostante Cuba fosse il primo produttore di canna da zucchero. L'anima spezzata di Cuba è una ferita ancora aperta nel gran bel mare dei Caraibi, nonostante la buona e generosa volontà di Carter.
Cuba, la grande casa e il paesePossiede una grande casa di cinque stanze che sta cadendo a pezzi, ottenuta negli anni Sessanta quando la famiglia per cui lavorava come domestica se ne andò in esilio negli Stati Uniti. Al tempo le sembrò di toccare il cielo con un dito per il solo fatto di vivere in una delle zone più eleganti dell’Avana. In un primo periodo perlustrava ogni giorno le stanze e il giardino interno; accarezzava il corrimano in marmo della scala che portava al secondo piano; giocava a riempire le vasche dei tre bagni solo per ricordare a se stessa che adesso quella dimora neoclassica era sua. L’allegria durò fino a quando le prime lampadine si fulminarono, la pittura cominciò a screpolarsi e le erbacce crebbero nel giardino circondato da una superba cancellata. Trovò lavoro come donna di pulizie in una scuola, ma neppure con sei salari come quello che riscuoteva avrebbe potuto conservare lo splendore di una dimora che ogni volta le sembrava più grande e più scomoda. Migliaia di volte, la protagonista di questa storia pensò di vendere la casa ereditata dai suoi antichi datori di lavoro, ma non voleva fare niente che fosse contro la legge. Per molti anni a Cuba è stato proibito il mercato immobiliare ed era possibile solo scambiare proprietà con un meccanismo popolarmente conosciuto come “permuta”. Per regolare e controllare anche certe attività, vennero emanati diversi decreti, restrizioni e limitazioni che trasformavano in un calvario la decisione di cambiare casa. Un onnipotente Istituto delle Abitazioni controllava che venissero rispettate assurde condizioni, come quella di non poter scambiare case che non fossero proporzionalmente uguali. Il numero di stanze e di metri quadrati doveva essere in relazione, altrimenti i “gendarmi” della burocrazia avrebbero capito che dietro il paravento dello scambio si nascondeva una compravendita.
Le condizioni da rispettare erano così tante che le pratiche andavano avanti per più di un anno e quando le famiglie potevano trasferirsi nella nuova abitazione erano stanche di riempire moduli, contrattare avvocati e corrompere ispettori. Per ogni divieto fu escogitato un modo creativo e clandestino di eluderlo. Molti comprarono la loro casetta, nonostante i tribunali punissero con severità - persino confiscando le abitazioni - chi osasse violare una normativa così rigida. In mezzo all’illegalità proliferarono anche i truffatori di ogni tipo. Agenti immobiliari alternativi che fungevano da intermediari tra due famiglie e riscuotevano somme consistenti per redigere il contratto e che spesso scomparivano nel bel mezzo delle pratiche. Succedeva di tutto, alcuni restauravano superficialmente la loro abitazione per andare a vivere in un’altra e quando i nuovi inquilini arrivavano scoprivano che le travi erano marce e le tubature ossidate. La cosa più triste era che nella maggior parte dei casi non si poteva tornare indietro. Si potrebbero narrare migliaia di storie truci in merito al penoso argomento di acquistare o cambiare un’abitazione a Cuba, ma prima di raccontarle dovremo attendere che ci sembrino risibili e sorpassate. Per il momento sono aneddoti troppo recenti ed è compromettente illustrare tutti i particolari. È chiaro che quando gli interessati a compiere una permuta volevano agevolare il procedimento, l’atteggiamento più comune era quello di corrompere i funzionari incaricati. Vennero stabilite quote di denaro - non scritte su carta - da consegnare prima di ogni passo e a ogni incaricato. Senza incentivi materiali, le pratiche per scambiare un’abitazione si arenavano fino a quando l’insistenza del proprietario non riusciva a mandarle avanti, oppure quando alcuni pesos convertibili finivano nelle mani del funzionario competente. Tutti questi limiti immobiliari seguivano l’input governativo di non permettere che venissero alla luce le differenze sociali. In un paese dove fosse stato possibile vendere o comprare una casa, con il solo requisito di averne la proprietà e di possedere il denaro sufficiente per acquistarla, le città si sarebbero ridistribuite rapidamente. Questo è stato il modo scelto per evitare che le persone con maggiore disponibilità economica finissero per vivere nelle migliori abitazioni. La fedeltà ideologica diventò la moneta con la quale si poteva ottenere un’abitazione più dignitosa.
Per questo motivo gli alti funzionari di Stato e i militari scesi dalla Sierra Maestra hanno goduto - sino a oggi - di lussuose dimore in quartieri dotati di stupendi giardini. Nelle classi sociali più umili della società, la gente continuava a dividere le stanze e a sopraelevare soppalchi di legno - che qui chiamiamo barbacoas - per fronteggiare la crescita della famiglia. Non è facile sapere con esattezza quanti cubani siano emigrati dal loro paese spinti, soprattutto, dalla carenza di spazio abitativo. Ma di sicuro deve essere molto alto il numero di coloro che sono fuggiti per non continuare a dividere la camera con la nonna, abbandonando la casa - di pochi metri quadrati - dove abitavano tre generazioni. Per tutti questi motivi, uno dei risultati più attesi del Sesto Congresso del Partito Comunista, era proprio l’eliminazione del divieto di compravendita immobiliare. Quando nel corso della relazione conclusiva si è detto che sarebbe stata permessa la compravendita di case e che restava soltanto da emanare un regolamento normativo, moltissimi cubani hanno tirato un sospiro di sollievo.
La signora proprietaria della grande casa si trovava, al momento dell’annuncio, davanti allo schermo del suo televisore, e stava evitando una perdita d’acqua che cadeva dal tetto, proprio nel bel mezzo della sala. Si è messa a osservare le colonne con i capitelli decorati, le grandi porte di mogano danneggiate dall’umidità e la scala di marmo alla quale aveva tolto il corrimano per venderlo. Finalmente avrebbe potuto appendere alla cancellata del giardino un cartello con sopra scritto: “Si vende casa di cinque stanze bisognosa di urgente restauro. Si compra appartamento di una stanza in un quartiere qualunque”.
24/4/2011
La dieta di Fidel
Riso, tisane e verdure per curare il leader di Cuba. La maggior parte dei cibi consumati da Fidel Castro proviene dal nostro Paese. La dieta è stata pianificata a metà del 2008 dall'Istituto Finlay dell'Avana, con l'obiettivo di correggere gli squilibri causati dalla cura contro il cancro di Fidel.
INGREDIENTI BIO. Il menù giornaliero, secondo il quotidiano spagnolo El Mundo, è composto da zuppa di verdure, riso integrale, miso, ravanelli, erba cipollina, verdure al vapore e tè bianco, una variante del tè verde giapponese quasi totalmente privo di caffeina, somministrato solitamente ai bambini.
La lista delle portate comprende poi sushi di riso integrale con verdure e infusioni di cicoria ricche di minerali e vitamine. Aiutano la digestione, rinforzano l'immunità dell'organismo e sono un potente ricostituente.
La dieta prevede anche alghe Wakana (originarie dei mari giapponesi) e altri prodotti che sono stati coltivati senza utilizzare fertilizzanti o pesticidi.
MADE IN ITALY. Gran parte degli ortaggi e dei cereali utilizzati - rigorosamente biologici, integrali e non trattati - provengono dall'Italia. Per esempio riso integrale, grano saraceno, cous cous, orzo mondo (tipico della cerealicoltura marchigiana, noto anche come orzo nudo), pasta, lenticchie rosse decorticate, semi di girasole italiano e olio extravergine di oliva di prima spremitura.
Nella cucina macrobiotica gli alimenti vengono suddivisi in due gruppi, legati alle forze opposte e complementari che regolano l'universo, lo Yin e lo Yang. Questo tipo di piano alimentare, che dovrebbe combattere l'arteriosclerosi e aumentare la longevità del leader, ha avuto origine in Giappone ed è caratterizzato da regole ben definite, ispirate a quelle dei monaci buddisti.
RISCHIO DI MALNUTRIZIONE. Tuttavia, non si tratta di un miracoloso elisir. La salute dell'anziano líder Maximo, 84 anni, peggiora nonostante l'attenzione con cui vengono preparati i suoi piatti.
Nell'apparizione durante il VI Congresso del Partito comunista, è emerso chiaramente lo stato di debolezza di Fidel, che doveva essere sostenuto da un assistente.
Castro non consuma più prodotti animali, a eccezione di una piccola quantità di pesce magro. Un'alimentazione di questo tipo, secondo numerosi dietologi, rischia di indebolire e fare perdere peso al leader in quanto povera di proteine, vitamine e minerali.
20/4/2011
Liberacuba
Questo blog cerca di proporre le informazioni su Cuba più interessanti, evitando di riportare false notizie o notizie scontate. C'è una sorta di affanno da parte dei media di fornire continuamente notizie su Cuba anche quando non ci sono vere novità da riportare, in questi giorni una notizia che gira molto è che Fidel Castro ha lasciato il potere dimettendosi da primo segretario del partito comunista cubano per lasciare il potere al fratello Raul, bene, questa è una non notizia dal punto di vista di Liberacuba, Fidel Castro è ormai da anni per i suoi problemi di salute fisica e mentale assolutamente incapace di governare, già nei video di alcuni anni fa appare in condizioni mentali molto precarie ed è ovvio che ormai da molto tempo il potere a Cuba è in mano a decine di oligarchi aggrappati ai loro privilegi e non solo a Raul Castro. Il fatto che su internet continuino a comparire messaggi attribuiti a Fidel Castro non cambia la situazione. Come non è una vera notizia quella delle novità che riguardano le licenze per lavoro privato che adesso potrebbero avere i cubani, la verità è che la situazione economica di Cuba è sempre quella di sempre, povertà e miseria senza limiti che qualche sgangherata bancherella di poveri merci non potrà cambiare, con l'aggravante che è in programma una graduale eliminazione della libretta di razionamento e il licenziamento di migliaia di dipendenti statali che farà sprofondare nella disperazione più nera interi nuclei familiari.
Purtroppo il sistema cubano per sua natura non è riformabile, è totalitario in tutti i sensi e incompatibile con le regole del libero mercato e della democrazia e ogni tentativo di riforma equivale a piantare un albero nel sale.
Forse l'unica vera notizia di questo periodo su Cuba è stata la desolante ammissione di Raul Castro degli errori fatti nella gestione economica del paese praticamente da cinquanta anni a questa parte e che il socialismo cubano ha solo prodotto un popolo di disperati e nessun politico in grado di perpetuare la menzogna del socialismo cubano e diventarne il leader. Persino Fidel Castro non ha prodotto un figlio in grado di prendere il suo posto alla maniera di alcune dittature pseudo socialiste come la Corea del Nord ed è stato costretto a far entrare nel governo il fratello Raul ormai anche lui ottantenne. Come sempre però il governo cubano seguita ad esistere, come le vecchie automobili del 1950 che sbuffando fumo arrancano ancora sui viali dell'Habana.
18/4/2011
La Rivoluzione che si converte al capitalismo? L’ennesima finta svolta di L'avana. E Raul proclama: governanti via dopo 10 anni. Ma lui ne ha già 79... I due fratelli sanno che cambiare la dittatura è più difficile che abbatterla A un certo punto del fluviale discorso con cui ha aperto il VI Congresso del Partito comunista cubano - il primo dal 1997 - a Raul Castro è scappata la verità: «Quasi tutti gli accordi presi nei congressi precedenti sono stati dimenticati senza essere stati realizzati» ha detto testualmente. «Mi vergogno di confessarlo pubblicamente». Raul, 79 anni, ma da soli cinque presidente in carica dopo la rinuncia del fratello Fidel, può accampare la scusa che nelle precedenti occasioni non era lui a fare la musica, ma i cubani avranno egualmente tratto le loro conclusioni: da sempre il regime promette riforme, ma poi se le dimentica nei cassetti. La ragione, secondo Yoani Sanchez, leader dei dissidenti e famosa per il suo blog, è molto semplice: il sistema cubano, basato sui divieti, non è riformabile e cercare di aprirlo e perfezionarlo può soltanto provocare la sua fine.
Se si prende per buona questa diagnosi, e nello stesso tempo si presta fede agli impegni presi sabato, stavolta Raul rischia grosso. A richiamare l'attenzione non è tanto l'impegno di limitare d'ora in avanti a due mandati quinquennali tutti gli incarichi pubblici - data l'età, egli e i suoi sodali non corrono rischi - quanto la serie di innovazioni annunciate in campo economico: nuove aperture alla iniziativa privata dopo la legalizzazione di 178 piccole attività, decentramento della produzione e della commercializzazione dei prodotti agroalimentari, maggiore apertura ai capitali stranieri, autorizzazione alla compravendita di case e automobili, concessione di terra demaniale in usufrutto ai contadini. A queste misure liberalizzatici, che sicuramente faranno piacere alla maggioranza dei cubani, fanno peraltro da contraltare alcune altre che potrebbero provocare reazioni negative: il taglio del venti per cento della forza lavoro statale, la introduzione di un sistema fiscale per le nuove attività e soprattutto la (graduale) abolizione della "libreta", la tessera annonaria che da 48 anni garantisce a tutti i cittadini una certa quantità di prodotti alimentari a prezzi calmierati.
Non è la prima volta che Raul parla della necessità di «adattare il socialismo alle sfide del futuro» e di costruire per le nuove generazioni una Cuba diversa. Quanto quella attuale sia tuttora legata al passato è stato simbolicamente dimostrato dalla presenza esclusiva, nella grande parata militare che ha aperto il Congresso per celebrare la continuità della rivoluzione, di vecchie armi fornite dall’Urss. A rappresentare la nuova Cuba, a marcare la differenza con quella «ortodossa» del vecchio Fidel (fisicamente assente da questo Congresso, ma ancora ben presente come padre della patria) ci sono invece fino adesso soprattutto innumerevoli primitive bancarelle dove giovani e vecchi, donne e bambini, cercano di vendere ai passanti poveri oggetti o si offrono di effettuare piccole riparazioni: sono le 200.000 nuove «piccole imprese» che il regime si vanta di avere creato con le riforme del 2009, ma che non danno certo l'impressione della nascita di un libero mercato.
È probabile che Raul, forse impressionato anche dalla rivolta della piazza araba, sia sincero quando afferma che «lo Stato deve diventare più leggero» e il sistema deve «uscire dall'inerzia». Anche il suo sfogo contro i conservatori del partito, che si oppongono alle innovazioni, e il suo lamento per l'assenza di una classe dirigente di ricambio devono essere presi sul serio. È evidente, infine, che gli piacerebbe migliorare i rapporti con gli Stati Uniti, tanto che alla vigilia del Congresso ha concesso a Jimmy Carter di visitare l'isola per tre giorni, incontrare numerosi dissidenti e parlare perfino alla televisione. Ma Castro jr. sa anche benissimo che i sistemi comunisti come il suo possono essere abbattuti, come è accaduto in Unione Sovietica e nei Paesi dell'Europa orientale dopo il fallito tentativo di perestrojka di Gorbaciov, ma difficilmente possono essere cambiati. Perciò, è improbabile che alle promesse faccia seguire in tempi brevi riforme vere, che modifichino la società dalle fondamenta; cercherà, piuttosto, di arrivare alla fine del suo ciclo concedendo il minimo necessario per non essere sbalzato di sella.
27/3/2011
Cuba, l'opposizione interna cresce ma ancora non riempe le piazze
Il cambio politico che sta avvenendo in alcuni paesi nordafricani è stato dettato da due fattori specifici: la presa di coscienza dei giovani e il ruolo catalizzante di internet. Sono loro, i giovani e il web, i protagonisti di queste rivoluzioni, in corso e auspicate. Twit, messaggi, post, foto e video condivisi sui più disparati social network, blog e forum. Tutto passa dalla community di internet. Quel popolo in piazza, che chiede a gran voce democrazia e diritti umani. Due realtà inscindibili: è nel primo che si trovano le garanzie politiche per la salvaguardia ed applicazione dei secondi, soprattutto del diritto di libertà di coscienza e pensiero. Anche i cubani lo sperano per se stessi: che nella loro amata isola si assista a quel tanto (troppo a lungo) atteso cambio politico, un’inversione verso la democrazia.
Consapevole che una simile “onda sociale” potrebbe avere effetti devastanti per la preservazione del regime, il castro-comunismo ha deciso di non subire gli eventi, ma di controllarli. Di qui, due scelte fondamentali: da una parte l’aver messo apparentemente a disposizione di tutti i cubani l’accesso ad internet; dall’altro, il rafforzamento del controllo e presenza statale nel web. Il maggiore timore dell’entourage dei Castro, come emerso in un video diffuso in questi giorni su internet, è che il cyberworld possa rivelarsi un cavallo di Troia per il regime. Il video in questione, pur risalendo al giugno 2010, rivela una strutturale debolezza del regime, oggi ancor più evidente, alla luce delle rivolte che hanno portato allo spodestamento di despota, come Mubarak o Ben Alì. La libertà di cui è ontologicamente pervaso il web, inoltre, potrebbe generare delle crepe nel monopolio informatico de la Havana e far filtrare al di là dei confini cubani informazioni finoggi tenute nascoste.
Il castrismo è chiuso in una roccaforte di silenzi, di informazioni distorte, di propaganda quotidiana, per dimostrare di essere quello che in realtà non è: una democrazia. Il suo vero volto è quello di uno stato di polizia, che non smette di essere tale a dispetto delle aperture registrate negli ultimi mesi: la liberazione di molti prigionieri di coscienza, tra cui Óscar Elías Biscet; l’installazione della banda larga from Caracas, che oggi dovrebbe consentire internet gratuito in tutta l’isola; la riforma del settore privato, che ha comportato il licenziamento di più di 500 mila cubani (prima impiegati pubblici, oggi imprenditori di se stessi, lasciati allo sbando). Tutto ciò è il riflesso di quella demagogia di cui si nutre il regime cubano, fondato sulle regole del Socialismo reale, ormai conscio del proprio imminente epilogo. Intrappolato tra desiderio di preservazione e timore della modernità e cambiamento, il regime dei fratelli Castro tenta faticosamente di dare lustro a un’immagine, ormai desueta ed anacronistica.
Per riuscire a spiegare fino a che punto i movimenti nell’Africa settentrionale ed in Medio Oriente stiano o meno avendo degli effetti sui cubani bisogna rivolgersi alla blogosfera, dove i protagonisti sono due: Fidel e tutti gli altri. Il leader maximo infiamma da tempo il web con le proprie parole e dictat, grazie al controllo (quasi totale) dei mezzi di comunicazione nell’isola. Un esempio su tutti è Granma, quotidiano cubano online in cui giornalmente (e in ben cinque lingue, escluso lo spagnolo) vengono divulgate le reflexiones di Castro. Gli avvenimenti in Tunisia, Egitto ed oggi Libia, prima passati in sordina nelle emittenti radio-televisive di Stato, oggi non possono essere più nascosti sotto la sabbia: Castro non poteva esimersi dal parlarne, analizzarle e trovare (ovviamente) una sua chiave di lettura, del tutto orientata al socialismo e antiamericanismo. Applicando a pieno la regola de “un colpo al cerchio e uno alla botte”, Fidel sostiene apertamente le ragioni dei popoli (africani) oppressi da antichi regimi – una scelta necessaria viste le ragioni che spinsero i cubani a ribellarsi illo tempore al regime filoamericano di Batista, compiendo La Revolución. Dall’altro, taccia i suoi omologhi non di essere dittatori, ma filoamericani, succubi servi dell’Occidente, e per questo meritevoli di decadere. Ecco l’interpretazione (palesemente forzata) che Castro dà degli avvenimenti nordafricani.
Se da una parte riecheggia la voce di Fidel, dall’altra ecco le parole scritte dai bloggers, fuori e dentro l’isola, che hanno fatto dell’informazione la loro arma di battaglia. Yoani Sanchéz, con il suo blog Generación Y, descrive la Cuba di oggi e quella che (si augura) sarà domani. Poi loro, quelli che sono emigrati, costretti all’esilio, come Regina Coyula, ex funzionaria del partito, e Dagoberto Valdes, direttore della rivista Convivencia. Anche facebook gioca un ruolo importante nell’organizzazione dell’opposizione al castrismo: “Por el levantamiento popular en Cuba” conta più di 5mila iscritti, una pagina dedicata allo sharing di video e informazioni che spingono a una presa di coscienza collettiva di tutti i cubani (e non solo). Il regime definisce lo scontro tra il governo centrale cubano e i bloggers anticastristi come cyberenfrentamiento, scontro virtuale per esigenze politiche reali.
L’opposizione dentro e fuori Cuba incontra grandi difficoltà a organizzarsi e strutturarsi. I giovani, in particolare gli studenti, sembrano saturi di più di cinquant’anni di regime dittatoriale comunista, ma nondimeno non riescono a predisporre un gruppo compatto d’opposizione. A Cuba sussistono tutte le condizioni perché si dia vita a una protesta che parta dal basso: la privazione delle libertà fondamentali, i soprusi e vessazioni della dittatura, la povertà dilagante costituiscono un terreno fertile perché ciò accada. Due fattori, però, sembrano ostacolare questo processo: da un canto il folto gruppo di esuli che, sebbene operino costantemente per un cambio politico, sono impossibilitati dalla distanza geografica perché ciò accada; dall’altro, un vassallaggio psicologico in cui vivono i cubani dentro l’isola, una paralisi mentale che gli impedisce di alzare a pieno la propria voce contro il dittatore Fidel. Molti si chiedono se Cuba vedrà sorgere lo stesso movimento popolare che si è propagato nell’Africa settentrionale. I dubbi sono molti, le difficoltà strutturali numerose. Ci si auspica, però, che, seppur lentamente, chi vive nell’isola caraibica abbia la forza (e il reale desiderio politico) perché il cambio possa avvenire.
14/3/2011
Distribuiva cellulari; 15 anni di carcere
Nell'eterna lotta tra Cuba e Stati Uniti, questa volta a farne le spese è stato Alan Gross; un cittadino americano che è stato arrestato e condannato a 15 anni di carcere per crimini contro lo Stato cubano. Gross è un signore di 61 anni, che lavora presso la Development Alternatives Incorporated una specie di agenzia umanitaria privata, con svariati progetti di sviluppo nelle aree più povere del pianeta. Secondo la giustizia di Cuba, Alan Gross sarebbe una spia, perché ha introdotto illegalmente nell'isola dei telefoni satellitari da distribuire ai dissidenti. L'arresto è stato compiuto nel 2009 e la condanna, che era già nell'aria da tempo, è arrivata definitivamente: l'accusa aveva chiesto 20 anni. Nella dittatura di Fidel Castro infatti i telefoni satellitari sono vietati, Alan Gross lo sapeva e per quanto l'avvocatura americana abbia cercato di stravolgerne le intenzioni, il suo obbiettivo era proprio quello di facilitare l'accesso alla Rete da parte di gruppi dissidenti. Per Washington però Alan Gross cercava solo di favorire l'accesso ad Internet da parte della comunità ebraica dell'isola: ma sembrano solo parole diverse per dire la stessa cosa. Per molti Gross è appena diventato un eroe, per pochi non lo sarà; il giudizio andrebbe formulato in base a cosa lo abbia spinto a rischiare di finire gli ultimi anni della sua vita in una prigione cubana.
3/3/2011
I poveri e la tessera di razionamento e il lavoro privato
Brutte notizie inarrivo da Cuba. Si lamentano le persone che dispongono di bassi redditi, i lavoratori privati e persino il governo. Il processo di riforma in senso privato del sistema lavorativo cubano non si potrà compiere prima della fine di marzo, ma non è questo il problema più grave. Tra le riforme si parla di avvicendare mezzo milione di dipendenti statali, di alzare i prezzi dei generi di prima necessità e soprattutto di liberalizzare (eliminare la vendita razionata) i prodotti che fino a oggi venivano venduti a prezzi sovvenzionati.
Alejandro Tur Valladares, giornalista indipendente di Cienfuegos, informa che la vendita libera di alimenti che tradizionalmente si potevano ottenere con la famosa libreta, preoccupa i consumatori che dispongono di un reddito basso. Sono apparsi sul mercato prodotti come pasta dentifricia, piccole confezioni di caffè macinato, piselli e zucchero in grani, ma venduti a prezzi esorbitanti. Il riso costa 5 pesos per libbra, lo zucchero 8 pesos. I consumatori cubani non possono permettersi di pagare queste cifre disponendo degli attuali stipendi. Per questo esiste un diffuso timore intorno alle insistenti voci di una prossima eliminazione della tessera del razionamento alimentare.
Al tempo stesso, da Santa Clara giunge notizia di lavoratori privati vessati da multe e controlli. Gli ispettori esigono le fatture delle materie prime che i piccoli imprenditori utilizzano per l’elaborazione dei prodotti. Il giornalista indipendente Joel Espinosa Medrano afferma che spesso la richiesta è assurda, perché i centri statali che forniscono le materie prime non rilasciano ricevute di acquisto.
Intanto la Prava ha diffuso una notizia interessante che potrebbe cambiare la geografia del potere cubano per i prossimi anni. Fidel Castro lascerebbe la carica di Segretario del Partito Comunista Cubano nelle mani del fratello Raúl. In ogni caso Fidel resterebbe come voce fuori campo, nel solito ruolo di opinionista autorevole sul periodico Granma e nessuno potrebbe togliergli il simbolico posto di Padre della Patria. Al tempo stesso, Raúl potrebbe sentirsi più libero nel continuare sulla strada delle riforme intraprese.
28/2/2011
La prossima dittatura a crollare sarà la Corea del Nord
Cinque Organizzazioni non governative, appena rientrate da Pyongyang, lanciano l’allarme: “La gente è disperata, si rischiano migliaia di morti”. Una fonte spiega ad AsiaNews: “Il rischio è quello di una sollevazione popolare, che finirà con un esodo di massa al Sud”.
La juche, l’ideologia dell’auto-sufficienza lanciata negli anni ’50 dal dittatore Kim Il-sung, sta per distruggere del tutto la Corea del Nord: la popolazione è talmente affamata che mangia grasso crudo, quando riesce a trovarlo, oppure muore di fame. Ora il rischio è quello di una sollevazione popolare che si potrebbe concludere con un esodo di massa verso il Sud. L’allarme è stato lanciato da cinque Organizzazioni non governative americane appena rientrate da Pyongyang.Invitati dal governo, i dirigenti delle Ong - Christian Friends of Korea, Global Resource Services, Mercy Corps, Samaritan’s Purse e World Vision - hanno redatto un rapporto terribile: fra il 50 e l’80 % delle coltivazioni interne sono state distrutte dal gelo che ha colpito il Paese negli scorsi mesi, e gli ospedali sono pieni di casi di malnutrizione.
La questione è complessa: l’invio di aiuti umanitari alla Corea del Nord da parte dei due maggiori donatori (Stati Uniti e Corea del Sud) è stato interrotto dopo le provocazioni militari ordinate da Pyongyang negli ultimi due mesi. L’affondamento della corvetta sudcoreana Cheonan, in cui sono morti 46 marinai, e il bombardamento di un’isoletta sotto il controllo di Seoul hanno fatto infuriare il governo conservatore sudcoreano. Il presidente Lee Myung-bak ha dichiarato che “non ci saranno più aiuti fino alle scuse ufficiali del regime”
Da parte loro, gli Stati Uniti hanno deciso di fermare il flusso perché temono che gli aiuti possano arrivare non alla popolazione, ma all’esercito e alla dirigenza politica del Paese. Il “Caro Leader” Kim Jong-il ha sempre proibito ogni ispezione internazionale, e pretende che gli aiuti vengano scaricati sul confine nelle mani dei militari. Tutto questo si combina poi con una pianificazione economica disastrosa e con una riforma valutaria che ha spezzato gli ultimi barlumi di auto-sufficienza del Paese.
Una fonte coreana spiega ad AsiaNews: “Tutto questo è vero. La gente non ha più di che mangiare, e ho visto di persona dei bambini mangiare la terra. Il rischio è che, senza un aiuto del mondo, la popolazione si possa sollevare in massa andando incontro a un massacro per mano dell’esercito. Oppure potrebbero cercare di sfondare il confine con il Sud per poi scappare; ma Seoul non è in grado di reggere un flusso simile, e potrebbe decidere di rimandarli indietro”.
12/2/2011
Wikileaks/ Collasso sistema sanitario cubano
Questo articolo fornisce testimonianze di alcuni cubani in merito all’assistenza sanitaria
I racconti forniti appartengono a cubani appartenenti a diverse categorie: dipendenti interni, vicini delle periferie dell’Avana, impiegati con contratto locale nazionale, fornitori di servizi quali manicuriste, massaggiatrici, parrucchieri, autisti, musicisti, artisti, insegnanti di yoga, così come studenti di HIV/AIDS e pazienti affetti da cancro, medici, e studenti di medicina stranieri. Una donna cubana sulla trentina confida: “E’ solo una questione di conoscenze. Io non ho problemi perchè sono sana e e ho degli amici in campo medico. Se non avessi tali collegamenti, come la maggior parte dei cubani, sarebbe terribile”. Racconta che i cubani sono sempre più insoddisfatti del sistema sanitario, della mancanza di rifornimenti e medicine, ma anche del fatto che molti medici sono stati mandati all’estero e quei pochi medici di famiglia che ci sono sono sovraccarichi di lavoro.
Una donna sui 40, in stato interessante, ha avuto un aborto spontaneo. All’ospedale di ginecologia hanno usato un aspiratore manuale primitivo, per aspirare il contenuto del ventre, senza alcuna anestesia o antidolorifico. Nessuno le ha mai offerto supporto psicologico per la sua perdita né medicinali, né visite di follow-up.
Un bambino cubano di 6 anni, affetto da osteosarcoma (cancro alle ossa) viene ammesso all’ospedale oncologico. Possono visitarlo solo i suoi genitori, e solo per alcune ore. Non ha una televisione, né giocattoli e l’ospedale non offre alcun tipo di sostegno sociale. I genitori non sanno quasi nulla sul decorso della malattia del loro figlio. Secondo l’FSHP (foreign service health practitioner), i malati di cancro non ricevono una cura continuativa utilizzando quelle procedure base per monitorare la cura del cancro, come raggi X, ecografie e scansionatori. Ai pazienti viene data una sommaria descrizione della loro malattia, senza per altro indicare se il tumore si trova in una fase iniziale o in fase metastatica, o anche la prognosi della malattia. Possono essere sottoposti a chirurgia o chemioterapia, ma tale scelta scelta non viene condivisa e discussa e con loro.
Alcuni pazienti affetti da cancro, hanno riferito di aver contratto l’epatite C dopo essere stati sottoposti a interventi chirurgici. Questo significa una totale mancanza di controlli sule trasfusioni di sangue, come normalmente avviene, per evitare il rischio di contagio di epatite B, C , l’HIV e la sifilide. I pazienti non vengono inoltre informati della gravità di tali infezioni.
Durante i trattamenti di chemioterapia e radioterapia i pazienti vengono lasciati del tutto soli ad affrontare gli effetti collaterali normalmente connessi con tali tipi di cure (nausea grave, vomito, febbre, ulcere della bocca, ecc.), per non parlare del supporto emotivo per fare fronte a tali situazioni. I pazienti possono aver difficoltà nel trovare anche i medicinali più banali, come le vitamine o l’aspirina. Non esiste inoltre alcun programma sociale di sostegno alle famiglie.
I pazienti HIV positivi hanno stampato sulla loro carta d’identità nazionale le lettere “SIDA (AIDS) HAVANA 00000103 002 di 006”. In un paese dove la carta d’identità nazionale deve essere mostrata per tutto, come ad esempio per le razioni mensili per acquistare un biglietto del treno, questa sigla vuol dire stigmatizzare una persona a vita. Non esiste il concetto di riservatezza e la discriminazione è molto forte.
Alcuni nuovi pazienti affetti da HIV/AIDS sono tenuti in quelle che vengono chiamate le “Prision con de Pacientes SIDA de San José”, prigioni per i malati di AIDS. Non è chiaro il perchè siano stati confinanti in queste strutture simili a prigioni, ma l’intento sembra chiaramente discriminatorio, anche a causa dell’omosessualità. Il periodo medio trascorso in questa struttura sembra essere di 18-24 mesi.
Ai malati di AIDS non vengono somministrati farmaci per la prevenzione della polmonite. I medici di famiglia non hanno l’autorità per trattare questo tipo di malattia e c’è una sola struttura a Cuba, l’Instituto Pedro Kouri, nell’Avana, dove i pazienti HIV positivi possono ricevere cure specifiche. Secondo i pazienti, si aspettano di solito mesi per un appuntamento, che può essere anticipato col pagamento della classica “mazzetta”. A causa della mancanza di mezzi di trasporto l’intera isola e il costo del viaggio, molti pazienti HIV-positivi possono essere visti solo una volta all’anno. Mentre il GOC sostiene che vi sia una rete di organizzazioni che fornisce sostegno sociale per i malati di HIV / AIDS, molte delle nostre fonti dicono che non ce n’è mai stata nemmeno una. Poiché “marchiati” come HIV positivi, molti non possono proseguire gli studi universitari e pochi riescono a trovare un lavoro retribuito, molti devono ricorrere a lavori umili per sopravvivere.
Il film documentario “Sicko”, diretto da Michael Moore è stato messo al bando perché accusato di essere sovversivo, anche se in realtà l’intento del film è denunciare il sistema sanitario americano, per mettere in luce quello cubano. Ma il regime non ha voluto alimentare il mito di un sistema gratuito ma che chiaramente non è goduto da tutti allo stesso modo.
Anche l’elite del governo cubano qualche volta lascia il paese per sottoporsi a delle cure mediche. Lo stesso Fidel Castro, nel 2006, era stato affidato a un medico spagnolo per la necessaria assistenza.
Secondo un pediatra locale la fascia degli stipendi varia da 325 pesos a 400 pesos mensili (18 dollari al mese). A pochi medici professionisti è consentito l’accesso a Internet e raramente sono autorizzati a viaggiare per partecipare a conferenze internazionali e corsi di aggiornamento. L’accesso alla letteratura medica aggiornata non è possibile. Tutti vogliono andare via, non soddisfatti dei loro salari e delle cure mediche. I migliori istituti medici a Cuba sono riservati agli stranieri con valuta pregiata, i membri della classe dirigente e il personale di alto rango militare. Tali strutture sono: sono: la Clinica Central Cira Garcia (diplomatici e turisti), il Centro Internacional de Investigaciones Restauracion Neurologica (stranieri e militari d’élite), Centro de Investigaciones Medico Quirurgicas (elite militare e regime), Clinica de Kohly (Primer Buro Politico e Generali del Ministero dell’Interno), e ai piani superiori degli Hermanos Ameijeiras Hospital (stranieri) e Frank Pais Hospital (stranieri). Sono strutture igienicamente qualificate con una vasta gamma di apparecchiature per la diagnostica, farmaci a volontà e suites private con tv via cavo e bagni.
Di seguito alcune osservazioni del FSHP derivanti da alcune visite non autorizzate negli ospedali dell’Avana e dalle conversazioni con alcuni pazienti.
Ospedale Hermanos Ameijeiras
Indirizzo: San Lazaro #701 Esquina A Belascoain, Centro Habana, Havana
Data della visita: Ottobre 2007
Costruito nel 1982, questo ospedale recentemente rinnovato, con 600 letti, è rappresentato nel film di Michael Moore “Sicko”, dove circa 60 interventi chirurgici vengono eseguiti quotidianamente tra cui interventi al cuore, reni e trapianti di cornea, per lo più di pazienti che ricevono cure gratuite. I due piani superiori (mostrati nel film) sono i più moderni e sono riservati ai turisti medici e diplomatici stranieri che pagano in valuta forte. L’ospedale dispone di tre unità di terapia intensiva e di tutte le specializzazioni mediche ad eccezione di Pediatria e Ostetricia / Ginecologia e non ha pronto soccorso. La struttura dispone di uno scanner CT (spesso dicono “fuori servizio”), risonanza magneti e camera iperbarica. Entrando nell’edificio il FSHP è stato colpito dalla lobby, grande e impressionante, con un soffitto a quattro piani, pavimenti in terrazzo lucido e un elegante desk centro di accoglienza. Nessuno era alla reception; 30 o 40 persone erano sparse nelle poltrone di pelle-come in tutta la hall. Non c’erano sedie a rotelle o altri segni evidenti che si trattasse di un ospedale. A causa dell’alto afflusso di stranieri alla struttura per ricevere cure e trattamenti, i Cubani non vi sono ammessi, salvo “mazzetta”.
Ospedale Ramon Gonzalez Coro
Indirizzo: Calle 21 #856 between 4th & 6th Avenues, Vedado Plaza, Havana
Data: Luglio 2006
Questo è oggi l’ospedale di Ostetricia e Ginecologia. L FSHP ha visitato questo ospedale con una paziente incinta. Dopo 15 minuti di attesa un infermiere, non troppo gentile, si è presentato per dire di aspettare. Non c’erano sedie nella sala d’attesa. In seguito la paziente è stata portata in una specie di sala per gli esami che in realtà non aveva altro che un tavolo di lamiera arrugginito. Il medico ha poi tirato fuori un vecchio stetoscopio Pinard per il battito fetale. Questo doveva essere uno dei migliori ospedali. Per non parlare del medico che , seppur competente, era decisamente rozzo e sgarbato con la paziente alla quale è stata diagnosticata un infezione e sono stati prescritti degli antibiotici che non vengono in realtà consigliati durante la gravidanza.
Ospedale Salvador Allende
Indirizzo: Calzada Del Cerro # 1551, Cerro, Havana
Data della visita: Novembre 2007
La Cuba del 2011
La situazione della Cuba di oggi Miseria, la prima cosa che come sempre si nota nella Cuba di oggi è la profonda miseria, una miseria che sembra incurabile, come tutte le conseguenze che porta.
Dal punto di vista della popolazione qualcosa di nuovo c'è, la gente ha meno paura di parlare anche per strada e nei posti pubblici, si critica il governo del paese con meno paura di un tempo, certo si evita ancora di fare il nome di Fidel Castro o del fratello Raul ma basta accendere la scintilla di una discussione per vedere luccicare gli occhi degli interlocutori che sembrano pentole sotto pressione a cui sta per saltare il coperchio. Si parla liberamente del mal contento, della situazione economica drammatica, della repressione poliziesca, ma mai in presenza di sconosciuti e quando qualcuno si avvicina si cambia subito discorso.
Ma discutere con un cubano che ormai è alla terza generazione sotto la dittatura castrista è spesso triste, è solo un lamento di dolore, non c'è quasi mai accenno a una ribellione che potrebbe cambiare il corso della storia, c'è solo rassegnazione, la stessa rassegnazione che ha fatto sì che ormai la prostituzione a Cuba sia diventata l'industria principale. La maggior parte dei cubani vedono come unica soluzione alla miseria la fuga dall'isola non la ribellione. Una cosa che ho sentito dire molte volte è che la cosa più triste di Cuba è la totale mancanza di futuro, ogni cubano si vede assegnata dallo stato solo una triste esistenza, chi ha figli si rammarica di non poter fare altro che rassegnarsi a vederli sprofondare nella miseria. Chi ha parenti all'estero già da quando i figli sono appena nati sogna già di farli espatriare. La gente ormai non capisce più il perché, il perché di tutta quella povertà, quasi nessuno ormai crede alla menzogna dell'embargo che causa la miseria, non si spiega perché i generi di prima necessità spesso manchino, persino il sale, a volte per intere settimane sparisce dal mercato cubano, non si trova neppure pagandolo in cuc, così come molte altre cose che in qualsiasi paese normale costerebbero pochissimo e si troverebbero dappertutto, i cubani hanno ormai ben chiaro che è il loro sistema economico e la loro burocrazia a non funzionare. Chi vive a contatto con il turismo riesce a tirare avanti in qualche modo, basta lavorare in un Hotel, fare le pulizie in una casa affittata a turisti o fare il tassista per racimolare il necessario a vivere meno penosamente, ma chi vive nelle campagne o peggio nelle periferie povere della capitale, nei piccoli centri o delle altre città dell'isola si trova in una situazione da medioevo, pochissimo denaro (lo stipendio medio è il solito di sempre, tra i 15 e i 25 cuc al mese, quindi poco cibo e di scarsa qualità e in barba alla propaganda ha accesso a cure mediche degne di un documentario sull'antico Egitto.
Il perché i cubani accettino tutto questo è difficile per noi europei da capire, anche loro sanno bene che il livello di corruzione tra i loro politici è elevatissimo, ma i cubani sono nati in quel mondo senza notizie dall'esterno, così i loro nonni e i loro padri, sono ormai rassegnati a vivere in quella miseria ma soprattutto hanno paura, una paura atavica e fortissima di andare contro i dettami della “Rivoluzione”, sanno che ribellarsi alla dittatura significa perdere il lavoro ed essere marchiati a vita e sanno anche che criticare il governo apertamente, organizzare assembramenti antigovernativi si paga con molti anni di carcere da quelle parti. Non si possono criticare con troppa facilità i cubani per questo loro atteggiamento passivo, non hanno la cultura della libertà e non conoscono altro sin dalla nascita che un costante e martellante lavaggio del cervello che i mezzi di comunicazione di massa controllati dalla dittatura somministrano di giorno e di notte. A Cuba esistono centinaia di radio governative sparse per l'isola più i canali televisivi che oltre alla rilassante musica cubana diffondono continuamente propaganda politica, una propaganda feroce e assurda, senza nessun contraddittorio. In TV o alla radio il messaggio è sempre uguale: il mondo capitalista è povero e violento, il governo Statunitense sta facendo la guerra al mondo intero e Cuba è l'unico paese libero al mondo, la povertà nel mondo è causata solo dagli Stati Uniti, più tutta una serie di critiche all'Europa e ai paesi ex sovietici che hanno tradito la dottrina socialista.
A Cuba ormai funziona poco del governo, tutto sembra allo sfascio, ma due cose funzionano ancora splendidamente bene, l'apparato della propaganda e i servizi segreti che assieme alla polizia controllano tutto e tutti, o almeno ci provano. Alcuni edifici dell'Habana sono adibite a caserme di poco chiare entità dei servizi segreti, dove centinaia di agenti si affannano ad ascoltare le telefonate dei cubani e provano a filtrare e intercettare ciò che transita attraverso internet dalle connessioni degli Hotel e da quelle dei pochi fortunati che possiedono una connessione casalinga. Gli apparati della propaganda e della repressione a Cuba sono intatti, sembrano appartenere al tempo della guerra fredda.
A cuba non vengono venduti giornali stranieri e la ricezione delle radio della dissidenza di Miami che trasmettono in onde corte, assieme ad altre stazioni radio sgradite alla dittatura viene resa impossibile da un costante utilizzo di sistemi di Jamming, centinaia di trasmettitori che diffondono una fastidiosa interferenza radio su ogni singola frequenza scomoda per evitare che i cubani ricevano le notizie dall'estero. In questa situazione è ovvio che le uniche notizie a Cuba entrano principalmente per due vie, una è il contatto tra cubani e turisti che anche se non comunicano verbalmente, spendendo in un giorno tra hotel o casa particular e affitto dell'auto quello che un cubano può spendere in più di un anno, fanno venire il sospetto ai cubani che la realtà non è quella che racconta la propaganda della dittatura, cioè che il mondo capitalista è ormai finito nella povertà; l'altra via attraverso cui arrivano le notizie, la via principale, sono i cubani che hanno parenti all'estero e i cubani che vivono all'estero e che periodicamente si tornano sull'isola. Data la disastrosa situazione economica Cuba e il sui governo possono continuare a sopravvivere solo grazie al turismo e alle rimesse in moneta pregiata dei cubani emigrati, per cui ciò che rappresenta una fonte di problemi potenziali e che in realtà sta sgretolando ciò che resta della "rivoluzione" è anche qualcosa di cui non poter fare a meno, ormai Cuba non può più chiudere al turismo ne rinunciare a far emigrare i suoi cittadini, che a tutti gli effetti anche fuori dall'isola continuano in un certo senso a lavorare per la dittatura inviando denaro alle famiglie. Ciò che è davvero una novità è qualcosa a cui la dittatura non sembra preparata e che probabilmente non immaginava sarebbe potuta accadere quando permise qualche anno fa l'acquisto di computer sull'isola. Essendo internet per uso domestico appannaggio di pochi eletti, che per un motivo lavorativo o una misteriosa amicizia di qualcuno che lavora nel governo possono collegarsi alla rete da casa con i vecchi modem a 56kb i computer a Cuba sono, o meglio dovrebbero essere entità scollegate l'una dall'altra. Ma la tecnologia non si può fermare, i cubani hanno da prima largamente utilizzato i pennini di memoria e gli hard disk portatili per scambiarsi file da un computer all'altro, poi hanno fatto una grande scoperta, i computer si possono mettere in rete tra loro via radio utilizzando la tecnologia wifi, così sono nate molte piccole reti di computer, alcune di queste reti sono pubbliche, si tratta di ruoter wifi semplicemente accesi e privi di protezione, chiunque si collega non ha accesso ad internet ma può accedere alle cartelle condivise di altri computer e condividere le proprie semplicemente accedendo alle risorse di rete dal proprio computer, all'interno di quelle cartelle c'è molta musica e film, alcuni cubani collegano anche tre quattro hard disk esterni a quelle reti condividendo molti Gb di file, altre reti sono protette e non hanno l'SSID visibile e semplicemente non si sa cosa condividono. In alcuni computer in rete si trovano molti video antigovernativi, alcuni girati con i telefonini a Cuba, altri prelevati da internet da qualcuno che probabilmente li ha portati sull'isola dall'estero su supporti di memoria. Questa è la novità, le notizie passano da computer a computer attraverso queste reti e questa è la prima volta che i servizi di sicurezza della dittatura non possono avere il controllo sulla comunicazione dei cubani. Non si sa quante reti esistono nella capitale, ogni rete, almeno quelle visibili sono composte da tre, quattro computer, in oltre esistono reti che fanno da banca dati, armati di computer portatili i pochi cubani che ne possiedono uno in auto a volte si avvicinano al segnale wifi, entrano in rete e scaricano o caricano quello che desiderano. In giro per l'Habana in alcuni punti della città si possono riceve anche due o tre di queste reti wifi, per cui immagino che non devono essere poche quelle in funzione e alcune sono in funzione solo in certi orari del giorno o della notte. Gli ultimi scandali che hanno coinvolto ministri del governo cubano che sono stati destituiti hanno viaggiato su quelle reti, ecco come i cubani hanno saputo notizie che altrimenti non avrebbero mai saputo, e dai computer le notizie passano velocemente di bocca in bocca. Per far funzionare queste reti si usano normali router commerciali, ma probabilmente vengono utilizzate anche le schede wifi in dotazione ai computer che con appositi software possono essere trasformare in hot spot. Se i cubani fossero in possesso di ruoter in tecnologia Mesh sarebbe davvero una cosa grandiosa, ma dubito che possano essere immessi nel paese tali dispositivi con i controlli aeroportuali sul materiale elettronico che fa ingresso nel paese. I servizi di sicurezza cubani conoscono da tempo l'esistenza di queste reti e il governo cubano è seriamente preoccupato, ma scovarle e limitare il danno non è semplice, i segnali wifi hanno una portata limitata, in ambiente metropolitano è difficile anche con una buona attrezzatura localizzarli con precisione e possono essere spenti in caso di retata. In oltre entrare nelle reti correttamente protette per vedere cosa contengono è praticamente impossibile per chiunque, un acces point a cui fa capo una rete nascosta che non emette l'SSID, ha una protezione WPA2 e un filtro MAC address attivato e che lavori su un canale wireless non standard è praticamente sicura. Questo non significa che chi usa queste reti non corra dei rischi, se uno dei computer in rete che contiene file finisse nelle mani della polizia e i file non fossero ben criptati potrebbe essere molto grave. Tempo fa la sezione tecnica dei servizi di sicurezza ha diramato un video ad uso interno per allertare tutti i reparti dell'esistenza di queste reti di computer e spiegare come riuscire detettarle e localizzarle, ma ironia della sorte questo video è stato rubato da chissà chi ed è finito in alcune di quelle reti diventando di dominio pubblico. Personalmente comunque credo che queste reti di computer non siano una grave minaccia alla dittatura, sono solo un mezzo attraverso il quale possono passare notizie che altrimenti sarebbero censurate, ma sulla maggior parte delle reti transitano solo musica e film, niente di pericoloso, sono il risultato inevitabile del fatto che la gioventù cubana anche se privata di internet ha sete di tecnologia e di notizie non censurate. I servizi di sicurezza cubani sono da sempre abituati ad avere il controllo delle comunicazioni telefoniche all'interno di Cuba, queste reti sono fuori del loro controllo e cosa che li preoccupa non poco è che sono potenzialmente capaci di far transitare oltre che file di qualsiasi tipo anche comunicazioni in fonia VOIP, creando una rete telefonica alternativa e molto difficile da intercettare. Certo le notizie sono pericolose per la dittatura, come lo è la comunicazione non intercettabile tra cubani, si vedrà in futuro cosa succederà, forse un giorno quelle reti wifi saranno utili in qualche modo, per adesso il loro sviluppo sembra essere ancora in una fase iniziale.
Alcuni cubani dicono che sarebbero anche disposti a chiedere il rispetto dei loro diritti e il cambio radicale del sistema economico e quindi politico, ma hanno tutti troppa paura, dicono che sarebbero disposti a farlo esponendosi apertamente solo se a muoversi fossero in migliaia, se fosse una vera sollevazione popolare e la massa fosse tale da non permettere alla dittatura di ignorare le loro richieste arrestandoli tutti.
Per quanto riguarda le licenze di lavoro per piccole imprese permesse da Raul Castro, per adesso la situazione è questa: le licenze richieste sono stare quasi tutte nel settore alimentare, molti cubani hanno aperto piccole attività commerciali, di solito posti dove si preparano panini e frullati di frutta o piccoli paladar, ma molti di loro hanno restituito la licenza perché non sono riusciti a farle funzionare e pagarci le tasse, alcune invece funzionano egregiamente, ma spesso dietro di questi piccoli punti di ristoro che riescono a sopravvivere alla burocrazia e alle tasse c'è uno straniero che ha esperienza nel settore alimentare e altre attività simili sull'isola che finanzia e da la sua impronta imprenditoriale, è triste da dire, ma i cubani dopo mezzo secolo di lavoro alle dipendenze dello stato hanno difficoltà ad organizzarsi privatamente e non hanno il piccolo capitale per iniziare dignitosamente una attività commerciale.
Per quanto riguarda la libertà di espatriare da Cuba con un procedimento semplificato che Raul Castro ha promesso, è sicuramente una grande cosa, ma non cambia di molto la situazione del cubano medio che non ha parenti all'estero dove andare e che non ha neppure il denaro per ottenere il passaporto e per per salire su un aereo, in oltre tranne pochi paesi dell'area socialista che accettano cubani con visto turistico in realtà nel resto del mondo un cubano è comunque praticamente assimilato a un possibile futuro clandestino, per recarsi in quasi tutti i paesi del mondo deve richiedere un visto di entrata con le dovute motivazioni e garanzie.
Per la questione acquisto di casa e automobile ancora a Cuba nessuno sa con esattezza come dovrebbe essere applicata la legge e non c'è ancora un mercato degli immobili che ne decida il valore. Per adesso esiste a Cuba la vecchia usanza della permuta delle abitazioni, con compensazione monetaria del valore in alcuni casi, la nuova legge non è ancora stata perfezionata ed applicata. Nelle attività commerciali dello stato, come pizzerie, paninerie ecc ecc la situazione è disastrosa, spesso manca uno o più ingredienti per preparare il cibo, la burocrazia a volte fa sparire il prosciutto i maccheroni o altro per settimane e gli impiegati alla cassa sempre più spesso hanno preso l'abitudine di fingere di sbagliare a fare il conto e fanno la cresta quando possono su quello che vendono ai turisti, cosa tutto sommato comprensibile quando si guadagnano stipendi da fame.
Questa è la Cuba nel 2011, una specie di dinosauro della storia, un posto dove tutto è fermo tra il 1959 e i primi anni sessanta, Fidel Castro ha fatto fondamentalmente due sole cose nella vita: la “rivoluzione“ per poi non fare altro che prendere il posto del precedente dittatore Fulgenio Batista e ha respinto lo sbarco di Baia dei porci dei dissidenti cubani malamente organizzato da questi ultimi con l'aiuto della CIA. Queste due imprese vengono continuamente narrate ed esaltate alla radio e alla televisione, ancora oggi, a più di mezzo secolo da quegli eventi, come se fossero notizie fresche di fatti appena accaduti. Una noiosa tortura continua e senza tempo, come un vecchio disco che continua traballante a girare su un antico grammofono facendo saltare la puntina sempre sulla stessa traccia, una macabra liturgia che tutti i cubani devono ascoltare dalla nascita sino alla morte e che dovrebbe giustificare tutto il male e il dolore che la dittatura ha inflitto e continua ad infliggere ai cubani.
18/6/2011
Yoani: "Anche a Cuba presto
scoccherà la scintilla della rivolta"
Yoani Sánchez ha preso parte telefonicamente all’evento “Oltre i muri: da Cuba al Medio Oriente. La sfida per la democrazia”, che si è tenuto ad Aosta giovedì 16 giugno, organizzato dal Comune di Aosta e da Lucas di Torino. È stata l’occasione per rivolgerle alcune domande e fare il punto sulla situazione cubana.
Le riforme economiche volute da Raúl Castro e dal Sesto Congresso del Partito Comunista cambieranno il volto di Cuba?
Raúl Castro ha compiuto alcuni interventi in tema di libertà economica e di lavoro privato, ma si tratta di aperture insufficienti e tardive. A Cuba oggi abbiamo 314.000 lavoratori privati, ma molti sono impiegati in settori non produttivi, inoltre non esiste un mercato all’ingrosso e non è garantito l’acceso al credito. La maggioranza della popolazione dipende sempre dallo Stato, che si comporta come un vero e proprio monopolista. I cambiamenti economici non sono stati fatti per favorire la popolazione, ma per un interesse statale a diminuire le spese e a incassare maggiori imposte. Inoltre, la legislazione vigente vieta ai cubani che vivono all’estero di investire denaro a Cuba, anche se sono i soli a possedere capitali per aprire nuove aziende.
L’omofobia a Cuba è un problema superato? Fidel Castro ha recitato il mea culpa nei confronti dei gay dicendo che in passato sono stati commessi molti errori (le UMAP, le persecuzioni…). Adesso per gli omosessuali è tutto risolto?
No. A Cuba c’è ancora omofobia latente nella società civile. Fidel Castro ha fatto autocritica per il periodo oscuro delle persecuzioni e dell’emarginazione dei gay, ma non ha trasformato le parole in veri e propri diritti. Il CENESEX diretto da Mariela Castro (figlia di Raúl) è la sola struttura deputata a occuparsi di omosessualità, si tratta di un’organizzazione governativa, imposta dall’alto e priva di libertà. Gli omosessuali non possono celebrare la giornata dell’orgoglio gay ma devono festeggiare un giornata contro la discriminazione, imposta dallo Stato. A Cuba sono vietate tutte le associazioni che esprimono istanze provenienti dal popolo.
Cosa può fare la blogosfera cubana per favorire libertà e democrazia?
La blogosfera rappresenta un elemento di novità del sistema e sta sperimentando cose nuove per il futuro. Non è un partito politico, non ha un capo. Siamo elettroni liberi e freschi. La blogosfera rappresenta il fenomeno giornalistico indipendente cubano. Siamo il megafono cittadino che diffonde notizie lungo le strade dell’isola e abbatte i muri della censura. La popolarità della blogosfera indipendente ha fatto correre ai ripari il governo che ha inaugurato alcuni blog statali con il compito di ripetere i contenuti diffusi dal Granma e della televisione di Stato. Ma la gente non frequenta certi siti perché sono ripetitivi e mancano di freschezza. Il popolo preferisce la visione dal basso della vita quotidiana perché rispecchia la realtà e non la retorica.
A Cuba assistiamo alla rivalutazione di alcuni autori emarginati in vita come Virgilio Piñera. Si tratta di una manovra politica o stanno davvero cambiando le cose?
Si tratta di un tradizione degli ultimi anni. Il governo cerca di assorbire importanti figure del passato nel pantheon degli autori da celebrare. Bada bene: il requisito fondamentale è che siano morti e quindi che si possano travisare le loro idee o tacere certe posizioni scomode. Il governo si guarda bene dal rendere omaggio ad autori cubani viventi che vivono in esilio come Carlos Alberto Montaner, e Zoé Valdés.
Carlos Varela ha detto che a Cuba si sente libero e che può esprimere liberamente la sua opinione. Ha aggiunto che i cubani hanno diritto a essere più liberi, a vivere dove vogliono e a pensare in maniera diversa dal governo. Il Bob Dylan cubano può parlare liberamente? A Cuba non è pericoloso esprimere la propria opinione?
Carlos Varela ha raggiunto uno status istituzionale che gli permette di parlare e di cantare in maniera polemica, anche se non è più l’autore di un tempo e sembra sempre meno combattivo. Fa molta attenzione a non oltrepassare il limite. A Cuba è pericoloso esprimere un’opinione diversa da quella ufficiale. Sono consentiti solo applausi e adesione totale alle idee governative. In alternativa si corre il rischio di essere censurati.
Il caso della blogger Amina. Cosa pensi di questa menzogna? In Italia c’è gente che dice la stesa cosa sul tuo conto. Io so bene che vivi all’Avana, tuttavia…
Non so a cosa ti riferisci. A Cuba le notizie arrivano in ritardo… Quando ho cominciato a scrivere dicevano cose assurde sul mio conto. Per alcuni non esistevo, per altri non vivevo a Cuba, altri ancora mi descrivevano come un agente di Castro, infine c’era chi mi inseriva nei ruoli della CIA. Accuse alle quali ho sempre ribattuto con il mio impegno e la mia scrittura. Le mie parole sono la miglior risposta alle calunnie. A chi mi accusa dico: leggimi e giudica da solo.
Tua sorella è fuggita negli Stati Uniti, dopo aver vinto la lotteria dei visti, come molti tuoi amici e familiari. Perché la sola aspirazione dei cubani sembra essere la fuga?
Ho vissuto questo evento con molto dolore. Tutta la famiglia di mia sorella ha lasciato Cuba. Non posso denigrarla, anche se non poter rivedere la mia unica sorella mi fa molto male. A Cuba non esistono aspettative umane ed economiche. Il desiderio più diffuso è quello di scappare, dove non importa, quel che conta è lasciare un mondo opprimente che non fa sentire liberi. In ogni caso - lo dico ben chiaro - io non ho la minima intenzione di andarmene. Voglio restare a Cuba per far parte di quella generazione che contribuirà a ricostruire la nazione dopo lo sfacelo.
Il tuo libro Word Press - Un blog para hablar al mundo è uscito in Spagna. Può essere utile allo sviluppo della blogosfera cubana?
Il mio libro può servire ai blogger di tutto il mondo, perché serve a far capire una tecnica come Word Press, attraverso esperienze personali, conoscenze e trucchi del mestiere che cerco di condividere con il pubblico.
La primavera africana sembra in grado di far cadere le dittature che da anni governano molti paesi di quella zona. L’esperienza dei blogger cubani ha qualcosa in comune?
Non abbiamo ancora una voce così forte e uniforme, soprattutto ci manca un collegamento e molte cose sono ancora in uno stato embrionale. Confido che un giorno o l’altro potremo organizzarci e far scoccare la scintilla di una vera rivolta.
Ultima domanda che molti si fanno. Come puoi collegarti a internet e pubblicare i post, se non hai una connessione casalinga?
Non ho Internet a casa, questo è certo. A Cuba soltanto poche persone possono avere Internet e sono collegate al governo. Io vado negli alberghi, negli Internet point e pago il prezzo esoso fissato dal governo per accedere alla navigazione. La notorietà è il mio scudo protettivo. Mi sorvegliano, mi controllano, ma per il momento non mi impediscono di accedere ai punti Internet statali. Preparo i post a casa, sul computer portatile, quindi spedisco all’estero ai collaboratori e ai traduttori volontari. Sono loro - in definitiva - che pubblicano i post.
27/4/2011
Cuba, l'anima spezzata dei Caraibi
'Dal 2007, gli Stati Uniti sono diventati, ironia del destino, il quinto partner commerciale de La Havana. Anche lo zucchero viene importato, nonostante Cuba fosse il primo produttore di canna da zucchero'
Sin dai primi giorni della sua ascesa al potere, Fidel fece di tutto per lanciare il messaggio che la sua Rivoluzione fosse stata opera dei partigiani da lui guidati; furono così messe nell’ombra importanti grandi azioni compiute contro la precedente dittatura dal Movimento "26 Luglio" e la "Resitencia Cívica", che agirono prevalentemente a Santiago de Cuba e La Havana. In altre parole, Fidel si impadronì di meriti storico-militari inesistenti, per dare vita al suo desiderio ideologico di affermare il potere assoluto. Altro che democrazia.
Sì, nei Caraibi esiste anche Cuba. La conosco da decenni, è un'isola dalle bellezze paesaggistiche indimenticabili. Splendida la sua costa, memorabili le danze delle sue belle donne negli arenili a suon di musica, davanti ai fuochi accesi. Costanti i venti alisei che creano un clima dolce e secco, mite. Ma vi è Fidel Castro, con il suo regime illiberale. Il progresso a Cuba è una chimera, forse una allucinazione, certamente una forte aspirazione del popolo cubano.Intanto il robusto e scaltro corteggiatore rosso, l’Urss, non stava certo a guardare. Castro sfruttò abilmente lo slogan: "La nostra Rivoluzione è verde come le Palme". La palma reale è l’albero più popolare a Cuba. Grazie alla propria capacità dissimulatoria, Castro cercava di negare la propria volontà di consegnare Cuba all'interlocutore più credibile esistente sulla piazza politica mondiale; la capacità di Fidel di non comunicare quello che vuole in realtà fare è impressionante. Di fatto, il regime comunista si affermò nell'isola, spezzando l'anima libera per colorita vocazione del popolo cubano.
Sono notevoli le “storiche menzogne” che Castro ha ripetuto al mondo. "Non c’è comunismo nemmeno marxismo nelle nostre idee, bensì democrazia" (Sierrea Mestra ,1958). "Ci sarà libertà per coloro che si esprimeranno a favore nostro e così per chi lo farà contro di noi" (La Havana, gennaio 1959). Queste sono due cristalline menzogne indegne sul piano storico-politico, come decine e decine di altre.
Castro parla sempre. Per confondere e disorientare. E' abilissimo nel comunicare l'ambiguità. L'indole castrista in verità ha saputo a livello mediatico far passare l’embargo americano come un "blocco"; è stato per 50 anni il suo cavallo di battaglia, perché così ha giustificato la violenza, la assenza di libertà alla quale sottomette il popolo cubano. Ai cubani appartiene il primato del più alto tasso di suicidi sul carrello di un aereo, nel viaggio verso la libertà definitiva nell’aldilà. Osserviamo: negli anni antecedenti al 1986 Cuba commerciava liberamente con tutto il mondo, tranne che con gli Stati Uniti, nonostante la merce americana arrivasse comunque a Cuba tramite paesi terzi. Ci chiediamo: è serio ritenere “questo gioco” un vero embargo?
Tre presidenti Usa hanno cercato la distensione con Cuba, ma Castro, vero maestro della manipolazione, è riuscito a far permanere le tensioni tra le due sponde dell’America; un'arma propagandistica per giustificare la sua permanenza al potere, nonostante il decadimento nel quale ha relegato Cuba. Carter, unico presidente statunitense che aveva visitato l’isola in più di mezzo secolo di dittatura castrista (1998), adesso torna per incontrarsi con il fratello di Fidel, Raul, e altre personalità della società cubana. Con generosità dichiara la sua amicizia con Castro.
La verità è che il governo castrista è a corto di liquidità per pagare i debiti contratti; la crisi economico-finanziaria è gravissima fino al punto che già si inizia a parlare di “fattore di sviluppo e crescita” del diritto di proprietà, fino a ieri ornamento principale della deturpante ideologia castrista. Cuba non ha più uno scambio commerciale stabile con molti paesi perché non ha pagato il debito di circa 25 miliardi contratto con l’Occidente e quello con l’ex blocco socialista-comunista di oltre 30 miliardi. Dal 2007, gli Stati Uniti sono diventati, ironia del destino, il quinto partner commerciale de La Havana. Anche lo zucchero viene importato, nonostante Cuba fosse il primo produttore di canna da zucchero. L'anima spezzata di Cuba è una ferita ancora aperta nel gran bel mare dei Caraibi, nonostante la buona e generosa volontà di Carter.
Cuba, la grande casa e il paesePossiede una grande casa di cinque stanze che sta cadendo a pezzi, ottenuta negli anni Sessanta quando la famiglia per cui lavorava come domestica se ne andò in esilio negli Stati Uniti. Al tempo le sembrò di toccare il cielo con un dito per il solo fatto di vivere in una delle zone più eleganti dell’Avana. In un primo periodo perlustrava ogni giorno le stanze e il giardino interno; accarezzava il corrimano in marmo della scala che portava al secondo piano; giocava a riempire le vasche dei tre bagni solo per ricordare a se stessa che adesso quella dimora neoclassica era sua. L’allegria durò fino a quando le prime lampadine si fulminarono, la pittura cominciò a screpolarsi e le erbacce crebbero nel giardino circondato da una superba cancellata. Trovò lavoro come donna di pulizie in una scuola, ma neppure con sei salari come quello che riscuoteva avrebbe potuto conservare lo splendore di una dimora che ogni volta le sembrava più grande e più scomoda. Migliaia di volte, la protagonista di questa storia pensò di vendere la casa ereditata dai suoi antichi datori di lavoro, ma non voleva fare niente che fosse contro la legge. Per molti anni a Cuba è stato proibito il mercato immobiliare ed era possibile solo scambiare proprietà con un meccanismo popolarmente conosciuto come “permuta”. Per regolare e controllare anche certe attività, vennero emanati diversi decreti, restrizioni e limitazioni che trasformavano in un calvario la decisione di cambiare casa. Un onnipotente Istituto delle Abitazioni controllava che venissero rispettate assurde condizioni, come quella di non poter scambiare case che non fossero proporzionalmente uguali. Il numero di stanze e di metri quadrati doveva essere in relazione, altrimenti i “gendarmi” della burocrazia avrebbero capito che dietro il paravento dello scambio si nascondeva una compravendita.
Le condizioni da rispettare erano così tante che le pratiche andavano avanti per più di un anno e quando le famiglie potevano trasferirsi nella nuova abitazione erano stanche di riempire moduli, contrattare avvocati e corrompere ispettori. Per ogni divieto fu escogitato un modo creativo e clandestino di eluderlo. Molti comprarono la loro casetta, nonostante i tribunali punissero con severità - persino confiscando le abitazioni - chi osasse violare una normativa così rigida. In mezzo all’illegalità proliferarono anche i truffatori di ogni tipo. Agenti immobiliari alternativi che fungevano da intermediari tra due famiglie e riscuotevano somme consistenti per redigere il contratto e che spesso scomparivano nel bel mezzo delle pratiche. Succedeva di tutto, alcuni restauravano superficialmente la loro abitazione per andare a vivere in un’altra e quando i nuovi inquilini arrivavano scoprivano che le travi erano marce e le tubature ossidate. La cosa più triste era che nella maggior parte dei casi non si poteva tornare indietro. Si potrebbero narrare migliaia di storie truci in merito al penoso argomento di acquistare o cambiare un’abitazione a Cuba, ma prima di raccontarle dovremo attendere che ci sembrino risibili e sorpassate. Per il momento sono aneddoti troppo recenti ed è compromettente illustrare tutti i particolari. È chiaro che quando gli interessati a compiere una permuta volevano agevolare il procedimento, l’atteggiamento più comune era quello di corrompere i funzionari incaricati. Vennero stabilite quote di denaro - non scritte su carta - da consegnare prima di ogni passo e a ogni incaricato. Senza incentivi materiali, le pratiche per scambiare un’abitazione si arenavano fino a quando l’insistenza del proprietario non riusciva a mandarle avanti, oppure quando alcuni pesos convertibili finivano nelle mani del funzionario competente. Tutti questi limiti immobiliari seguivano l’input governativo di non permettere che venissero alla luce le differenze sociali. In un paese dove fosse stato possibile vendere o comprare una casa, con il solo requisito di averne la proprietà e di possedere il denaro sufficiente per acquistarla, le città si sarebbero ridistribuite rapidamente. Questo è stato il modo scelto per evitare che le persone con maggiore disponibilità economica finissero per vivere nelle migliori abitazioni. La fedeltà ideologica diventò la moneta con la quale si poteva ottenere un’abitazione più dignitosa.
Per questo motivo gli alti funzionari di Stato e i militari scesi dalla Sierra Maestra hanno goduto - sino a oggi - di lussuose dimore in quartieri dotati di stupendi giardini. Nelle classi sociali più umili della società, la gente continuava a dividere le stanze e a sopraelevare soppalchi di legno - che qui chiamiamo barbacoas - per fronteggiare la crescita della famiglia. Non è facile sapere con esattezza quanti cubani siano emigrati dal loro paese spinti, soprattutto, dalla carenza di spazio abitativo. Ma di sicuro deve essere molto alto il numero di coloro che sono fuggiti per non continuare a dividere la camera con la nonna, abbandonando la casa - di pochi metri quadrati - dove abitavano tre generazioni. Per tutti questi motivi, uno dei risultati più attesi del Sesto Congresso del Partito Comunista, era proprio l’eliminazione del divieto di compravendita immobiliare. Quando nel corso della relazione conclusiva si è detto che sarebbe stata permessa la compravendita di case e che restava soltanto da emanare un regolamento normativo, moltissimi cubani hanno tirato un sospiro di sollievo.
La signora proprietaria della grande casa si trovava, al momento dell’annuncio, davanti allo schermo del suo televisore, e stava evitando una perdita d’acqua che cadeva dal tetto, proprio nel bel mezzo della sala. Si è messa a osservare le colonne con i capitelli decorati, le grandi porte di mogano danneggiate dall’umidità e la scala di marmo alla quale aveva tolto il corrimano per venderlo. Finalmente avrebbe potuto appendere alla cancellata del giardino un cartello con sopra scritto: “Si vende casa di cinque stanze bisognosa di urgente restauro. Si compra appartamento di una stanza in un quartiere qualunque”.
24/4/2011
La dieta di Fidel
Riso, tisane e verdure per curare il leader di Cuba. La maggior parte dei cibi consumati da Fidel Castro proviene dal nostro Paese. La dieta è stata pianificata a metà del 2008 dall'Istituto Finlay dell'Avana, con l'obiettivo di correggere gli squilibri causati dalla cura contro il cancro di Fidel.
INGREDIENTI BIO. Il menù giornaliero, secondo il quotidiano spagnolo El Mundo, è composto da zuppa di verdure, riso integrale, miso, ravanelli, erba cipollina, verdure al vapore e tè bianco, una variante del tè verde giapponese quasi totalmente privo di caffeina, somministrato solitamente ai bambini.
La lista delle portate comprende poi sushi di riso integrale con verdure e infusioni di cicoria ricche di minerali e vitamine. Aiutano la digestione, rinforzano l'immunità dell'organismo e sono un potente ricostituente.
La dieta prevede anche alghe Wakana (originarie dei mari giapponesi) e altri prodotti che sono stati coltivati senza utilizzare fertilizzanti o pesticidi.
MADE IN ITALY. Gran parte degli ortaggi e dei cereali utilizzati - rigorosamente biologici, integrali e non trattati - provengono dall'Italia. Per esempio riso integrale, grano saraceno, cous cous, orzo mondo (tipico della cerealicoltura marchigiana, noto anche come orzo nudo), pasta, lenticchie rosse decorticate, semi di girasole italiano e olio extravergine di oliva di prima spremitura.
Nella cucina macrobiotica gli alimenti vengono suddivisi in due gruppi, legati alle forze opposte e complementari che regolano l'universo, lo Yin e lo Yang. Questo tipo di piano alimentare, che dovrebbe combattere l'arteriosclerosi e aumentare la longevità del leader, ha avuto origine in Giappone ed è caratterizzato da regole ben definite, ispirate a quelle dei monaci buddisti.
RISCHIO DI MALNUTRIZIONE. Tuttavia, non si tratta di un miracoloso elisir. La salute dell'anziano líder Maximo, 84 anni, peggiora nonostante l'attenzione con cui vengono preparati i suoi piatti.
Nell'apparizione durante il VI Congresso del Partito comunista, è emerso chiaramente lo stato di debolezza di Fidel, che doveva essere sostenuto da un assistente.
Castro non consuma più prodotti animali, a eccezione di una piccola quantità di pesce magro. Un'alimentazione di questo tipo, secondo numerosi dietologi, rischia di indebolire e fare perdere peso al leader in quanto povera di proteine, vitamine e minerali.
20/4/2011
Liberacuba
Questo blog cerca di proporre le informazioni su Cuba più interessanti, evitando di riportare false notizie o notizie scontate. C'è una sorta di affanno da parte dei media di fornire continuamente notizie su Cuba anche quando non ci sono vere novità da riportare, in questi giorni una notizia che gira molto è che Fidel Castro ha lasciato il potere dimettendosi da primo segretario del partito comunista cubano per lasciare il potere al fratello Raul, bene, questa è una non notizia dal punto di vista di Liberacuba, Fidel Castro è ormai da anni per i suoi problemi di salute fisica e mentale assolutamente incapace di governare, già nei video di alcuni anni fa appare in condizioni mentali molto precarie ed è ovvio che ormai da molto tempo il potere a Cuba è in mano a decine di oligarchi aggrappati ai loro privilegi e non solo a Raul Castro. Il fatto che su internet continuino a comparire messaggi attribuiti a Fidel Castro non cambia la situazione. Come non è una vera notizia quella delle novità che riguardano le licenze per lavoro privato che adesso potrebbero avere i cubani, la verità è che la situazione economica di Cuba è sempre quella di sempre, povertà e miseria senza limiti che qualche sgangherata bancherella di poveri merci non potrà cambiare, con l'aggravante che è in programma una graduale eliminazione della libretta di razionamento e il licenziamento di migliaia di dipendenti statali che farà sprofondare nella disperazione più nera interi nuclei familiari.
Purtroppo il sistema cubano per sua natura non è riformabile, è totalitario in tutti i sensi e incompatibile con le regole del libero mercato e della democrazia e ogni tentativo di riforma equivale a piantare un albero nel sale.
Forse l'unica vera notizia di questo periodo su Cuba è stata la desolante ammissione di Raul Castro degli errori fatti nella gestione economica del paese praticamente da cinquanta anni a questa parte e che il socialismo cubano ha solo prodotto un popolo di disperati e nessun politico in grado di perpetuare la menzogna del socialismo cubano e diventarne il leader. Persino Fidel Castro non ha prodotto un figlio in grado di prendere il suo posto alla maniera di alcune dittature pseudo socialiste come la Corea del Nord ed è stato costretto a far entrare nel governo il fratello Raul ormai anche lui ottantenne. Come sempre però il governo cubano seguita ad esistere, come le vecchie automobili del 1950 che sbuffando fumo arrancano ancora sui viali dell'Habana.
18/4/2011
La Rivoluzione che si converte al capitalismo? L’ennesima finta svolta di L'avana. E Raul proclama: governanti via dopo 10 anni. Ma lui ne ha già 79... I due fratelli sanno che cambiare la dittatura è più difficile che abbatterla A un certo punto del fluviale discorso con cui ha aperto il VI Congresso del Partito comunista cubano - il primo dal 1997 - a Raul Castro è scappata la verità: «Quasi tutti gli accordi presi nei congressi precedenti sono stati dimenticati senza essere stati realizzati» ha detto testualmente. «Mi vergogno di confessarlo pubblicamente». Raul, 79 anni, ma da soli cinque presidente in carica dopo la rinuncia del fratello Fidel, può accampare la scusa che nelle precedenti occasioni non era lui a fare la musica, ma i cubani avranno egualmente tratto le loro conclusioni: da sempre il regime promette riforme, ma poi se le dimentica nei cassetti. La ragione, secondo Yoani Sanchez, leader dei dissidenti e famosa per il suo blog, è molto semplice: il sistema cubano, basato sui divieti, non è riformabile e cercare di aprirlo e perfezionarlo può soltanto provocare la sua fine.
Se si prende per buona questa diagnosi, e nello stesso tempo si presta fede agli impegni presi sabato, stavolta Raul rischia grosso. A richiamare l'attenzione non è tanto l'impegno di limitare d'ora in avanti a due mandati quinquennali tutti gli incarichi pubblici - data l'età, egli e i suoi sodali non corrono rischi - quanto la serie di innovazioni annunciate in campo economico: nuove aperture alla iniziativa privata dopo la legalizzazione di 178 piccole attività, decentramento della produzione e della commercializzazione dei prodotti agroalimentari, maggiore apertura ai capitali stranieri, autorizzazione alla compravendita di case e automobili, concessione di terra demaniale in usufrutto ai contadini. A queste misure liberalizzatici, che sicuramente faranno piacere alla maggioranza dei cubani, fanno peraltro da contraltare alcune altre che potrebbero provocare reazioni negative: il taglio del venti per cento della forza lavoro statale, la introduzione di un sistema fiscale per le nuove attività e soprattutto la (graduale) abolizione della "libreta", la tessera annonaria che da 48 anni garantisce a tutti i cittadini una certa quantità di prodotti alimentari a prezzi calmierati.
Non è la prima volta che Raul parla della necessità di «adattare il socialismo alle sfide del futuro» e di costruire per le nuove generazioni una Cuba diversa. Quanto quella attuale sia tuttora legata al passato è stato simbolicamente dimostrato dalla presenza esclusiva, nella grande parata militare che ha aperto il Congresso per celebrare la continuità della rivoluzione, di vecchie armi fornite dall’Urss. A rappresentare la nuova Cuba, a marcare la differenza con quella «ortodossa» del vecchio Fidel (fisicamente assente da questo Congresso, ma ancora ben presente come padre della patria) ci sono invece fino adesso soprattutto innumerevoli primitive bancarelle dove giovani e vecchi, donne e bambini, cercano di vendere ai passanti poveri oggetti o si offrono di effettuare piccole riparazioni: sono le 200.000 nuove «piccole imprese» che il regime si vanta di avere creato con le riforme del 2009, ma che non danno certo l'impressione della nascita di un libero mercato.
È probabile che Raul, forse impressionato anche dalla rivolta della piazza araba, sia sincero quando afferma che «lo Stato deve diventare più leggero» e il sistema deve «uscire dall'inerzia». Anche il suo sfogo contro i conservatori del partito, che si oppongono alle innovazioni, e il suo lamento per l'assenza di una classe dirigente di ricambio devono essere presi sul serio. È evidente, infine, che gli piacerebbe migliorare i rapporti con gli Stati Uniti, tanto che alla vigilia del Congresso ha concesso a Jimmy Carter di visitare l'isola per tre giorni, incontrare numerosi dissidenti e parlare perfino alla televisione. Ma Castro jr. sa anche benissimo che i sistemi comunisti come il suo possono essere abbattuti, come è accaduto in Unione Sovietica e nei Paesi dell'Europa orientale dopo il fallito tentativo di perestrojka di Gorbaciov, ma difficilmente possono essere cambiati. Perciò, è improbabile che alle promesse faccia seguire in tempi brevi riforme vere, che modifichino la società dalle fondamenta; cercherà, piuttosto, di arrivare alla fine del suo ciclo concedendo il minimo necessario per non essere sbalzato di sella.
27/3/2011
Cuba, l'opposizione interna cresce ma ancora non riempe le piazze
Il cambio politico che sta avvenendo in alcuni paesi nordafricani è stato dettato da due fattori specifici: la presa di coscienza dei giovani e il ruolo catalizzante di internet. Sono loro, i giovani e il web, i protagonisti di queste rivoluzioni, in corso e auspicate. Twit, messaggi, post, foto e video condivisi sui più disparati social network, blog e forum. Tutto passa dalla community di internet. Quel popolo in piazza, che chiede a gran voce democrazia e diritti umani. Due realtà inscindibili: è nel primo che si trovano le garanzie politiche per la salvaguardia ed applicazione dei secondi, soprattutto del diritto di libertà di coscienza e pensiero. Anche i cubani lo sperano per se stessi: che nella loro amata isola si assista a quel tanto (troppo a lungo) atteso cambio politico, un’inversione verso la democrazia.
Consapevole che una simile “onda sociale” potrebbe avere effetti devastanti per la preservazione del regime, il castro-comunismo ha deciso di non subire gli eventi, ma di controllarli. Di qui, due scelte fondamentali: da una parte l’aver messo apparentemente a disposizione di tutti i cubani l’accesso ad internet; dall’altro, il rafforzamento del controllo e presenza statale nel web. Il maggiore timore dell’entourage dei Castro, come emerso in un video diffuso in questi giorni su internet, è che il cyberworld possa rivelarsi un cavallo di Troia per il regime. Il video in questione, pur risalendo al giugno 2010, rivela una strutturale debolezza del regime, oggi ancor più evidente, alla luce delle rivolte che hanno portato allo spodestamento di despota, come Mubarak o Ben Alì. La libertà di cui è ontologicamente pervaso il web, inoltre, potrebbe generare delle crepe nel monopolio informatico de la Havana e far filtrare al di là dei confini cubani informazioni finoggi tenute nascoste.
Il castrismo è chiuso in una roccaforte di silenzi, di informazioni distorte, di propaganda quotidiana, per dimostrare di essere quello che in realtà non è: una democrazia. Il suo vero volto è quello di uno stato di polizia, che non smette di essere tale a dispetto delle aperture registrate negli ultimi mesi: la liberazione di molti prigionieri di coscienza, tra cui Óscar Elías Biscet; l’installazione della banda larga from Caracas, che oggi dovrebbe consentire internet gratuito in tutta l’isola; la riforma del settore privato, che ha comportato il licenziamento di più di 500 mila cubani (prima impiegati pubblici, oggi imprenditori di se stessi, lasciati allo sbando). Tutto ciò è il riflesso di quella demagogia di cui si nutre il regime cubano, fondato sulle regole del Socialismo reale, ormai conscio del proprio imminente epilogo. Intrappolato tra desiderio di preservazione e timore della modernità e cambiamento, il regime dei fratelli Castro tenta faticosamente di dare lustro a un’immagine, ormai desueta ed anacronistica.
Per riuscire a spiegare fino a che punto i movimenti nell’Africa settentrionale ed in Medio Oriente stiano o meno avendo degli effetti sui cubani bisogna rivolgersi alla blogosfera, dove i protagonisti sono due: Fidel e tutti gli altri. Il leader maximo infiamma da tempo il web con le proprie parole e dictat, grazie al controllo (quasi totale) dei mezzi di comunicazione nell’isola. Un esempio su tutti è Granma, quotidiano cubano online in cui giornalmente (e in ben cinque lingue, escluso lo spagnolo) vengono divulgate le reflexiones di Castro. Gli avvenimenti in Tunisia, Egitto ed oggi Libia, prima passati in sordina nelle emittenti radio-televisive di Stato, oggi non possono essere più nascosti sotto la sabbia: Castro non poteva esimersi dal parlarne, analizzarle e trovare (ovviamente) una sua chiave di lettura, del tutto orientata al socialismo e antiamericanismo. Applicando a pieno la regola de “un colpo al cerchio e uno alla botte”, Fidel sostiene apertamente le ragioni dei popoli (africani) oppressi da antichi regimi – una scelta necessaria viste le ragioni che spinsero i cubani a ribellarsi illo tempore al regime filoamericano di Batista, compiendo La Revolución. Dall’altro, taccia i suoi omologhi non di essere dittatori, ma filoamericani, succubi servi dell’Occidente, e per questo meritevoli di decadere. Ecco l’interpretazione (palesemente forzata) che Castro dà degli avvenimenti nordafricani.
Se da una parte riecheggia la voce di Fidel, dall’altra ecco le parole scritte dai bloggers, fuori e dentro l’isola, che hanno fatto dell’informazione la loro arma di battaglia. Yoani Sanchéz, con il suo blog Generación Y, descrive la Cuba di oggi e quella che (si augura) sarà domani. Poi loro, quelli che sono emigrati, costretti all’esilio, come Regina Coyula, ex funzionaria del partito, e Dagoberto Valdes, direttore della rivista Convivencia. Anche facebook gioca un ruolo importante nell’organizzazione dell’opposizione al castrismo: “Por el levantamiento popular en Cuba” conta più di 5mila iscritti, una pagina dedicata allo sharing di video e informazioni che spingono a una presa di coscienza collettiva di tutti i cubani (e non solo). Il regime definisce lo scontro tra il governo centrale cubano e i bloggers anticastristi come cyberenfrentamiento, scontro virtuale per esigenze politiche reali.
L’opposizione dentro e fuori Cuba incontra grandi difficoltà a organizzarsi e strutturarsi. I giovani, in particolare gli studenti, sembrano saturi di più di cinquant’anni di regime dittatoriale comunista, ma nondimeno non riescono a predisporre un gruppo compatto d’opposizione. A Cuba sussistono tutte le condizioni perché si dia vita a una protesta che parta dal basso: la privazione delle libertà fondamentali, i soprusi e vessazioni della dittatura, la povertà dilagante costituiscono un terreno fertile perché ciò accada. Due fattori, però, sembrano ostacolare questo processo: da un canto il folto gruppo di esuli che, sebbene operino costantemente per un cambio politico, sono impossibilitati dalla distanza geografica perché ciò accada; dall’altro, un vassallaggio psicologico in cui vivono i cubani dentro l’isola, una paralisi mentale che gli impedisce di alzare a pieno la propria voce contro il dittatore Fidel. Molti si chiedono se Cuba vedrà sorgere lo stesso movimento popolare che si è propagato nell’Africa settentrionale. I dubbi sono molti, le difficoltà strutturali numerose. Ci si auspica, però, che, seppur lentamente, chi vive nell’isola caraibica abbia la forza (e il reale desiderio politico) perché il cambio possa avvenire.
14/3/2011
Distribuiva cellulari; 15 anni di carcere
Nell'eterna lotta tra Cuba e Stati Uniti, questa volta a farne le spese è stato Alan Gross; un cittadino americano che è stato arrestato e condannato a 15 anni di carcere per crimini contro lo Stato cubano. Gross è un signore di 61 anni, che lavora presso la Development Alternatives Incorporated una specie di agenzia umanitaria privata, con svariati progetti di sviluppo nelle aree più povere del pianeta. Secondo la giustizia di Cuba, Alan Gross sarebbe una spia, perché ha introdotto illegalmente nell'isola dei telefoni satellitari da distribuire ai dissidenti. L'arresto è stato compiuto nel 2009 e la condanna, che era già nell'aria da tempo, è arrivata definitivamente: l'accusa aveva chiesto 20 anni. Nella dittatura di Fidel Castro infatti i telefoni satellitari sono vietati, Alan Gross lo sapeva e per quanto l'avvocatura americana abbia cercato di stravolgerne le intenzioni, il suo obbiettivo era proprio quello di facilitare l'accesso alla Rete da parte di gruppi dissidenti. Per Washington però Alan Gross cercava solo di favorire l'accesso ad Internet da parte della comunità ebraica dell'isola: ma sembrano solo parole diverse per dire la stessa cosa. Per molti Gross è appena diventato un eroe, per pochi non lo sarà; il giudizio andrebbe formulato in base a cosa lo abbia spinto a rischiare di finire gli ultimi anni della sua vita in una prigione cubana.
3/3/2011
I poveri e la tessera di razionamento e il lavoro privato
Brutte notizie inarrivo da Cuba. Si lamentano le persone che dispongono di bassi redditi, i lavoratori privati e persino il governo. Il processo di riforma in senso privato del sistema lavorativo cubano non si potrà compiere prima della fine di marzo, ma non è questo il problema più grave. Tra le riforme si parla di avvicendare mezzo milione di dipendenti statali, di alzare i prezzi dei generi di prima necessità e soprattutto di liberalizzare (eliminare la vendita razionata) i prodotti che fino a oggi venivano venduti a prezzi sovvenzionati.
Alejandro Tur Valladares, giornalista indipendente di Cienfuegos, informa che la vendita libera di alimenti che tradizionalmente si potevano ottenere con la famosa libreta, preoccupa i consumatori che dispongono di un reddito basso. Sono apparsi sul mercato prodotti come pasta dentifricia, piccole confezioni di caffè macinato, piselli e zucchero in grani, ma venduti a prezzi esorbitanti. Il riso costa 5 pesos per libbra, lo zucchero 8 pesos. I consumatori cubani non possono permettersi di pagare queste cifre disponendo degli attuali stipendi. Per questo esiste un diffuso timore intorno alle insistenti voci di una prossima eliminazione della tessera del razionamento alimentare.
Al tempo stesso, da Santa Clara giunge notizia di lavoratori privati vessati da multe e controlli. Gli ispettori esigono le fatture delle materie prime che i piccoli imprenditori utilizzano per l’elaborazione dei prodotti. Il giornalista indipendente Joel Espinosa Medrano afferma che spesso la richiesta è assurda, perché i centri statali che forniscono le materie prime non rilasciano ricevute di acquisto.
Intanto la Prava ha diffuso una notizia interessante che potrebbe cambiare la geografia del potere cubano per i prossimi anni. Fidel Castro lascerebbe la carica di Segretario del Partito Comunista Cubano nelle mani del fratello Raúl. In ogni caso Fidel resterebbe come voce fuori campo, nel solito ruolo di opinionista autorevole sul periodico Granma e nessuno potrebbe togliergli il simbolico posto di Padre della Patria. Al tempo stesso, Raúl potrebbe sentirsi più libero nel continuare sulla strada delle riforme intraprese.
28/2/2011
La prossima dittatura a crollare sarà la Corea del Nord
Cinque Organizzazioni non governative, appena rientrate da Pyongyang, lanciano l’allarme: “La gente è disperata, si rischiano migliaia di morti”. Una fonte spiega ad AsiaNews: “Il rischio è quello di una sollevazione popolare, che finirà con un esodo di massa al Sud”.
La juche, l’ideologia dell’auto-sufficienza lanciata negli anni ’50 dal dittatore Kim Il-sung, sta per distruggere del tutto la Corea del Nord: la popolazione è talmente affamata che mangia grasso crudo, quando riesce a trovarlo, oppure muore di fame. Ora il rischio è quello di una sollevazione popolare che si potrebbe concludere con un esodo di massa verso il Sud. L’allarme è stato lanciato da cinque Organizzazioni non governative americane appena rientrate da Pyongyang.Invitati dal governo, i dirigenti delle Ong - Christian Friends of Korea, Global Resource Services, Mercy Corps, Samaritan’s Purse e World Vision - hanno redatto un rapporto terribile: fra il 50 e l’80 % delle coltivazioni interne sono state distrutte dal gelo che ha colpito il Paese negli scorsi mesi, e gli ospedali sono pieni di casi di malnutrizione.
La questione è complessa: l’invio di aiuti umanitari alla Corea del Nord da parte dei due maggiori donatori (Stati Uniti e Corea del Sud) è stato interrotto dopo le provocazioni militari ordinate da Pyongyang negli ultimi due mesi. L’affondamento della corvetta sudcoreana Cheonan, in cui sono morti 46 marinai, e il bombardamento di un’isoletta sotto il controllo di Seoul hanno fatto infuriare il governo conservatore sudcoreano. Il presidente Lee Myung-bak ha dichiarato che “non ci saranno più aiuti fino alle scuse ufficiali del regime”
Da parte loro, gli Stati Uniti hanno deciso di fermare il flusso perché temono che gli aiuti possano arrivare non alla popolazione, ma all’esercito e alla dirigenza politica del Paese. Il “Caro Leader” Kim Jong-il ha sempre proibito ogni ispezione internazionale, e pretende che gli aiuti vengano scaricati sul confine nelle mani dei militari. Tutto questo si combina poi con una pianificazione economica disastrosa e con una riforma valutaria che ha spezzato gli ultimi barlumi di auto-sufficienza del Paese.
Una fonte coreana spiega ad AsiaNews: “Tutto questo è vero. La gente non ha più di che mangiare, e ho visto di persona dei bambini mangiare la terra. Il rischio è che, senza un aiuto del mondo, la popolazione si possa sollevare in massa andando incontro a un massacro per mano dell’esercito. Oppure potrebbero cercare di sfondare il confine con il Sud per poi scappare; ma Seoul non è in grado di reggere un flusso simile, e potrebbe decidere di rimandarli indietro”.
12/2/2011
Wikileaks/ Collasso sistema sanitario cubano
Questo articolo fornisce testimonianze di alcuni cubani in merito all’assistenza sanitaria
I racconti forniti appartengono a cubani appartenenti a diverse categorie: dipendenti interni, vicini delle periferie dell’Avana, impiegati con contratto locale nazionale, fornitori di servizi quali manicuriste, massaggiatrici, parrucchieri, autisti, musicisti, artisti, insegnanti di yoga, così come studenti di HIV/AIDS e pazienti affetti da cancro, medici, e studenti di medicina stranieri. Una donna cubana sulla trentina confida: “E’ solo una questione di conoscenze. Io non ho problemi perchè sono sana e e ho degli amici in campo medico. Se non avessi tali collegamenti, come la maggior parte dei cubani, sarebbe terribile”. Racconta che i cubani sono sempre più insoddisfatti del sistema sanitario, della mancanza di rifornimenti e medicine, ma anche del fatto che molti medici sono stati mandati all’estero e quei pochi medici di famiglia che ci sono sono sovraccarichi di lavoro.
Una donna sui 40, in stato interessante, ha avuto un aborto spontaneo. All’ospedale di ginecologia hanno usato un aspiratore manuale primitivo, per aspirare il contenuto del ventre, senza alcuna anestesia o antidolorifico. Nessuno le ha mai offerto supporto psicologico per la sua perdita né medicinali, né visite di follow-up.
Un bambino cubano di 6 anni, affetto da osteosarcoma (cancro alle ossa) viene ammesso all’ospedale oncologico. Possono visitarlo solo i suoi genitori, e solo per alcune ore. Non ha una televisione, né giocattoli e l’ospedale non offre alcun tipo di sostegno sociale. I genitori non sanno quasi nulla sul decorso della malattia del loro figlio. Secondo l’FSHP (foreign service health practitioner), i malati di cancro non ricevono una cura continuativa utilizzando quelle procedure base per monitorare la cura del cancro, come raggi X, ecografie e scansionatori. Ai pazienti viene data una sommaria descrizione della loro malattia, senza per altro indicare se il tumore si trova in una fase iniziale o in fase metastatica, o anche la prognosi della malattia. Possono essere sottoposti a chirurgia o chemioterapia, ma tale scelta scelta non viene condivisa e discussa e con loro.
Alcuni pazienti affetti da cancro, hanno riferito di aver contratto l’epatite C dopo essere stati sottoposti a interventi chirurgici. Questo significa una totale mancanza di controlli sule trasfusioni di sangue, come normalmente avviene, per evitare il rischio di contagio di epatite B, C , l’HIV e la sifilide. I pazienti non vengono inoltre informati della gravità di tali infezioni.
Durante i trattamenti di chemioterapia e radioterapia i pazienti vengono lasciati del tutto soli ad affrontare gli effetti collaterali normalmente connessi con tali tipi di cure (nausea grave, vomito, febbre, ulcere della bocca, ecc.), per non parlare del supporto emotivo per fare fronte a tali situazioni. I pazienti possono aver difficoltà nel trovare anche i medicinali più banali, come le vitamine o l’aspirina. Non esiste inoltre alcun programma sociale di sostegno alle famiglie.
I pazienti HIV positivi hanno stampato sulla loro carta d’identità nazionale le lettere “SIDA (AIDS) HAVANA 00000103 002 di 006”. In un paese dove la carta d’identità nazionale deve essere mostrata per tutto, come ad esempio per le razioni mensili per acquistare un biglietto del treno, questa sigla vuol dire stigmatizzare una persona a vita. Non esiste il concetto di riservatezza e la discriminazione è molto forte.
Alcuni nuovi pazienti affetti da HIV/AIDS sono tenuti in quelle che vengono chiamate le “Prision con de Pacientes SIDA de San José”, prigioni per i malati di AIDS. Non è chiaro il perchè siano stati confinanti in queste strutture simili a prigioni, ma l’intento sembra chiaramente discriminatorio, anche a causa dell’omosessualità. Il periodo medio trascorso in questa struttura sembra essere di 18-24 mesi.
Ai malati di AIDS non vengono somministrati farmaci per la prevenzione della polmonite. I medici di famiglia non hanno l’autorità per trattare questo tipo di malattia e c’è una sola struttura a Cuba, l’Instituto Pedro Kouri, nell’Avana, dove i pazienti HIV positivi possono ricevere cure specifiche. Secondo i pazienti, si aspettano di solito mesi per un appuntamento, che può essere anticipato col pagamento della classica “mazzetta”. A causa della mancanza di mezzi di trasporto l’intera isola e il costo del viaggio, molti pazienti HIV-positivi possono essere visti solo una volta all’anno. Mentre il GOC sostiene che vi sia una rete di organizzazioni che fornisce sostegno sociale per i malati di HIV / AIDS, molte delle nostre fonti dicono che non ce n’è mai stata nemmeno una. Poiché “marchiati” come HIV positivi, molti non possono proseguire gli studi universitari e pochi riescono a trovare un lavoro retribuito, molti devono ricorrere a lavori umili per sopravvivere.
Il film documentario “Sicko”, diretto da Michael Moore è stato messo al bando perché accusato di essere sovversivo, anche se in realtà l’intento del film è denunciare il sistema sanitario americano, per mettere in luce quello cubano. Ma il regime non ha voluto alimentare il mito di un sistema gratuito ma che chiaramente non è goduto da tutti allo stesso modo.
Anche l’elite del governo cubano qualche volta lascia il paese per sottoporsi a delle cure mediche. Lo stesso Fidel Castro, nel 2006, era stato affidato a un medico spagnolo per la necessaria assistenza.
Secondo un pediatra locale la fascia degli stipendi varia da 325 pesos a 400 pesos mensili (18 dollari al mese). A pochi medici professionisti è consentito l’accesso a Internet e raramente sono autorizzati a viaggiare per partecipare a conferenze internazionali e corsi di aggiornamento. L’accesso alla letteratura medica aggiornata non è possibile. Tutti vogliono andare via, non soddisfatti dei loro salari e delle cure mediche. I migliori istituti medici a Cuba sono riservati agli stranieri con valuta pregiata, i membri della classe dirigente e il personale di alto rango militare. Tali strutture sono: sono: la Clinica Central Cira Garcia (diplomatici e turisti), il Centro Internacional de Investigaciones Restauracion Neurologica (stranieri e militari d’élite), Centro de Investigaciones Medico Quirurgicas (elite militare e regime), Clinica de Kohly (Primer Buro Politico e Generali del Ministero dell’Interno), e ai piani superiori degli Hermanos Ameijeiras Hospital (stranieri) e Frank Pais Hospital (stranieri). Sono strutture igienicamente qualificate con una vasta gamma di apparecchiature per la diagnostica, farmaci a volontà e suites private con tv via cavo e bagni.
Di seguito alcune osservazioni del FSHP derivanti da alcune visite non autorizzate negli ospedali dell’Avana e dalle conversazioni con alcuni pazienti.
Ospedale Hermanos Ameijeiras
Indirizzo: San Lazaro #701 Esquina A Belascoain, Centro Habana, Havana
Data della visita: Ottobre 2007
Costruito nel 1982, questo ospedale recentemente rinnovato, con 600 letti, è rappresentato nel film di Michael Moore “Sicko”, dove circa 60 interventi chirurgici vengono eseguiti quotidianamente tra cui interventi al cuore, reni e trapianti di cornea, per lo più di pazienti che ricevono cure gratuite. I due piani superiori (mostrati nel film) sono i più moderni e sono riservati ai turisti medici e diplomatici stranieri che pagano in valuta forte. L’ospedale dispone di tre unità di terapia intensiva e di tutte le specializzazioni mediche ad eccezione di Pediatria e Ostetricia / Ginecologia e non ha pronto soccorso. La struttura dispone di uno scanner CT (spesso dicono “fuori servizio”), risonanza magneti e camera iperbarica. Entrando nell’edificio il FSHP è stato colpito dalla lobby, grande e impressionante, con un soffitto a quattro piani, pavimenti in terrazzo lucido e un elegante desk centro di accoglienza. Nessuno era alla reception; 30 o 40 persone erano sparse nelle poltrone di pelle-come in tutta la hall. Non c’erano sedie a rotelle o altri segni evidenti che si trattasse di un ospedale. A causa dell’alto afflusso di stranieri alla struttura per ricevere cure e trattamenti, i Cubani non vi sono ammessi, salvo “mazzetta”.
Ospedale Ramon Gonzalez Coro
Indirizzo: Calle 21 #856 between 4th & 6th Avenues, Vedado Plaza, Havana
Data: Luglio 2006
Questo è oggi l’ospedale di Ostetricia e Ginecologia. L FSHP ha visitato questo ospedale con una paziente incinta. Dopo 15 minuti di attesa un infermiere, non troppo gentile, si è presentato per dire di aspettare. Non c’erano sedie nella sala d’attesa. In seguito la paziente è stata portata in una specie di sala per gli esami che in realtà non aveva altro che un tavolo di lamiera arrugginito. Il medico ha poi tirato fuori un vecchio stetoscopio Pinard per il battito fetale. Questo doveva essere uno dei migliori ospedali. Per non parlare del medico che , seppur competente, era decisamente rozzo e sgarbato con la paziente alla quale è stata diagnosticata un infezione e sono stati prescritti degli antibiotici che non vengono in realtà consigliati durante la gravidanza.
Ospedale Salvador Allende
Indirizzo: Calzada Del Cerro # 1551, Cerro, Havana
Data della visita: Novembre 2007